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6 ottobre 517
Lunedì 11 Dicembre 2017
Amici
No, Gannor.... no.
Gli occhi di Annie non lasciano speranze. Splendono malsani su una maschera nera di sangue e di fango, tra i capelli appiccicosi e i denti bianchi di un ghigno dissennato.
"Non ce l'ho fatta.... ho tentato..."
Emerge barcollando dalla boscaglia, con una torcia spenta in una mano e la spada grondante sangue e umori nerastri nell'altra.
Sola.
Oh Dei...
Il respiro mi si blocca nel petto, il cuore salta un battito. Poi un altro. Poi un... sussulto, un singhiozzo, porto la mano al viso. Gannor. Gannor è perduto.
Annie si trascina qualche altro passo in avanti, subito Colin le corre incontro, a sostenerla. Lei sembra quasi non vederlo, assorta nell'orrore.
"Lasciati pulire.... questi... questi strani tagli?"
Annie non risponde.
"Come te li sei fatti, sono sporchi, fammi pulire, aspetta..."
Bohemond si avvicina. "Lasciala stare, ha bisogno di spazio, adesso".
"Cercate di stare a distanza", fa eco Engelhaft. "State attenti... potrebbe essere pericolosa"
Ma Colin non ascolta e continua a ripulire il sangue che ricopre il suo "Paziente A".
Gannor.
Non ho il coraggio di chiederlo. So già la risposta... oh Dei.... so già la risposta.
C'è mancato un soffio l'altra volta, quando la Colonna ci raggiunse. C'erano quei due soldati di Ghaan, oltre a noi, ed insieme ad Annie il potere dell'altro Innalzato ci ha protetti. Ma c'è mancato un soffio.
Tenevo gli occhi chiusi stretti per non vederli mentre ci camminavano accanto, eppure li sentivo, sentivo il loro odore e il rantolo del falso respiro che li attraversa, i piedi che strascinavano nel loro vagare senza pace. E poi ho sentito Gannor che tossiva, che tratteneva un conato di vomito. A quel punto, d'istinto, ho aperto gli occhi - solo per un attimo! - e li ho visti.
Santi Dei, li ho visti.
Tutto il freddo e il vento di questa notte terribile mi gelano il cuore: fa così freddo che anche le lacrime si ghiacciano e pungono come spilli sul viso. Sento le forze che mi abbandonano, le gambe cedono, ho solo voglia di raggomitolarmi in un angolo e piangere fino al mattino. Ma non è possibile.
"Muoviamoci. Se arriveremo a Trost è tutto merito di Gannor, onoriamo il suo sacrificio e mettiamo il culo dentro a quella città".
Le parole di Logan sembrano venire da lontanissimo. Lui è il primo che pronuncia il nome di Gannor.
Il sacrificio di Gannor.
Lo sapevamo che sarebbe finita così?
E' accaduto così in fretta che non c'è stato neanche il tempo di pensarci. Scacciati i quattro Hunter, eravamo braccati da un'enorme Colonna di Risvegliati... e quando Annie si è offerta di restare indietro con Gannor non abbiamo esitato.
Eppure, come avrebbe fatto Annie, sola con Gannor ferito gravemente, a raggiungere Trost? Se anche fosse riuscita a proteggerlo con il suo potere, se la colonna fosse passata oltre, cosa sarebbe successo?
In verità abbiamo lasciato Gannor indietro, perchè se avessimo provato a tirarcelo appresso la Colonna ci avrebbe raggiunti, e saremmo tutti morti. Il tentativo di Annie di schermarlo agli occhi dei Risvegliati è servito soltanto a fornire un alibi alla nostra fragile coscienza: non lo abbiamo abbandonato lì da solo, ci abbiamo provato.
Lo stesso dilemma che abbiamo avuto con Mag, ma immensamente più doloroso e difficile: non lasciavamo indietro un uomo anziano, conosciuto da poco; lasciavamo indietro uno di noi, un compagno, un amico.
Annie avanza come in sogno, mentre tutti riprendiamo il viaggio verso le luci di Trost. Colin le sta accanto, offre il braccio per sorreggerla, ma lei, sia pure senza guardare, si muove con naturalezza e agilità ferina su questo terreno impervio.
Errore, errore...
Lasciare che Annie vivesse quello che ha appena vissuto è stato un errore. Un errore gravissimo. Santi Dei.... fate che non sia così....
Non abbiamo avuto il coraggio di lasciare da solo Gannor, ma forse così facendo abbiamo perso non soltanto lui, ma anche la nostra Annie. Eppure come avremmo potuto abbandonarlo senza neanche una flebile speranza di salvezza?
Non lo so. Non lo so! Non lo so!
NON LO SO!
N O N
L O
S O ! ! ! !
Lo stato emotivo di Annie è un tesoro troppo fragile per un colpo come questo. La vedo tra le lacrime mentre mi cammina davanti: osservo la sua schiena flessibile, i capelli sporchi, i gesti scattosi. Colin continua a parlarle, ma lei non sembra sentirlo.
Ci siamo allontanate, in questi ultimi tempi. E' sempre più difficile parlarle, è sempre più difficile stare con lei, strapparle una parola, un commento. L'ultimo sorriso glie l'ho strappato a Skogen, appena arrivate, insieme a Giada. Scherzavamo, come ragazze normali.
Ragazze normali. Scherzavamo a proposito di Gannor, dei nostri compagni, ci prendevamo in giro....
Adesso è come se per Annie non ci fosse più spazio per un'amicizia normale. L'unico che riesce ad avvicinarla è Colin, che le sta addosso con inesorabile perseveranza, ed è riuscito a creare con lei uno strano rapporto medico/paziente che a volte mi sembra un po' morboso.
Engelhaft ne ha paura, Bohemond di tanto in tanto cerca di appellarsi al suo spirito marziale per farle coraggio e mantenerla salda nella buona battaglia.
Io ero l'amica normale, quella con cui chiacchierare, in tristezza ed allegria, compagna di stanza e di pettegolezzi per mesi. Adesso quella dimensione sembra essersi annientata, dissolta in tutto l'orrore che stiamo attraversando.
Vorrei correre da lei, abbracciarla, piangere insieme la morte di Gannor. Vorrei stringerla, chiederle di raccontarmi com'è andata e raccogliere il suo sfogo e le sue lacrime.
Vorrei.... vorrei di nuovo la mia amica.... ne ho bisogno!
Gannor è perduto. Poco fa era ancora vivo, sia pure ferito da quel terribile Kroc, speravamo di portarlo a Trost per curarlo. La crudele legge di queste terre dice che se qualcuno è ferito e bisogna fuggire... dev'essere abbandonato. E' troppo crudele!
Gannor, amico mio.
Dopo tanta strada insieme, finiamo per separarci in questo posto orribile, paludi maledette brulicanti di mostri. Eppure ne abbiamo passate, di avventure. Siamo usciti, malconci ma vivi, da tantissimi scontri, dai tempi di Cantor, del Vecchio Mulino di Mastro Tober in poi.
Un anno e mezzo che sembra una vita, gomito a gomito a strisciare nello stesso fango della Rocca di Tramontana, assaliti dagli stessi incubi. Quanto siamo cambiati da allora, da quando ci siamo conosciuti!
Il garzone senza famiglia ha lasciato il posto a un soldato coraggioso, affidabile, forte. Quanto si sono indurite le tue mani, soldato di Uryen.
Dovevamo tornare insieme alla Capasanta, ricordi?
Non è giusto.... no, non è giusto....
Trost, già la odio.
Odio le sue mura grottesche che si iniziano a intravedere all'orizzonte, coperte di fuoco. Odio queste paludi... il vento, il freddo...
30 settembre 517
Martedì 21 Novembre 2017
Castello di Seta
"Da sola, sì... da sola. Se c'è una cosa che non mi è mancata, in questi giorni, è la compagnia".
Rhea annuisce distratta, so di non essere una cliente interessante: chiedo poco, pago poco, sono poco attratta dalle meraviglie offerte da questo luogo di piacere. Qualche moneta di rame in cambio di una tinozza d'acqua calda, niente di più, niente di meno.
Eppure non so trovare parole sufficienti a descrivere il sollievo che provo mentre immergo il corpo nell'acqua calda, in questa stanza semibuia, chiudo gli occhi... e respiro. Finalmente in pace. Finalmente non devo preoccuparmi di nulla.
Skogen è un ben triste villaggio a guardarlo oggettivamente, ma quando ti trovi disperso nella Terra di Nessuno, al freddo, affamato e sporco all'inverosimile, coi piedi sempre umidi, dolenti, le mani gonfie e l'ansia costante di essere attaccato da Risvegliati o Kreepar, ecco che queste misere poche case diventano la terra promessa, un porto sicuro.
Il porto sicuro che Mag non è riuscito a raggiungere, nonostante tutti i nostri sforzi.
Mag.
Chissà se riuscirò un giorno a ricordarlo per l'uomo che era, con i suoi guizzi di genialità e l'innegabile vena di follia. Il vecchio capellone che ci ha fatto scoprire l'esistenza della Garmanbozia e che ha salvato la vita di tutti noi trovando un rigagnolo d'acqua nei pressi dell'Antico Maniero.
Parlava di sè in terza persona, a tratti si perdeva in ragionamenti sfilacciati, ricordi confusi. Ma altre volte era precisissimo nel riportare nomi e date, fatti importanti: era un buon osservatore, abile a orientarsi e a trovare di che sopravvivere. Gli ultimi mesi della sua vita erano stati un incubo di solitudine e prigionia, circondato dagli spettri barcollanti dei vecchi compaesani trasformati in mostri. Anche la sua compagna, Patty, un brutto giorno è andata perduta.
Avevamo portato un barlume di speranza, quando lo abbiamo liberato dalla cella in cui i soldati di Ghaan lo stavano facendo morire di fame. A Trost aveva amici, forse parenti, sperava di raggiungerli e rifarsi una vita.
E invece.
Chissà se riuscirò a rivedere il suo volto magro, per prima cosa, quando ripenserò a lui. Le mani sottili con le vene a rilievo. Chissà se riuscirò a togliermi di dosso la sensazione spiacevolissima, nauseante, di qualcosa di liquido, tiepido e appiccicoso che mi cola lungo la schiena, penetra il mantello e i miei abiti. Chissà se ricorderò la sua voce, un giorno, e non i rantoli affannati durante quell'ultima, micidiale fuga.
Non ce l'ho fatta a salvarti, Mag.
"Voi sapete che quel vecchio è morto comunque, e sta cagando sangue da tre giorni, vero?"
Parliamo dei sensi di colpa.
Parliamo della paura di morire, mentre quella mandria di Risvegliati ci incalzavano.
Parliamo della speranza che qualcuno dicesse che Dan aveva ragione. Parliamo di come non volessi essere io a dargli ragione. Non io, no. Non io. Anche se lo sapevo, giù in fondo, nell'ombra torbida del mio cuore, laggiù in fondo lo sapevo anche io che Dan stava dicendo il vero.
Voglio dimenticare il sollievo che ho provato quando Logan ha ammesso che era finita, che Mag non ce l'avrebbe fatta. Non ero già più io a trasportarlo, ho resistito solo pochi minuti di quella fuga precipitosa col suo peso sulle spalle. Eppure sapevo che se ci fossimo ostinati a trascinarci dietro Mag saremmo tutti morti. Lo sapevo, volevo piangere, non volevo ammetterlo.
Poi ecco, Logan ingoia l'amarezza e dichiara ciò che ormai è evidente. E, poco prima che l'orda di Risvegliati sopraggiunga, trova il coraggio di dispensare la misericordia che il povero Mag merita, prima dell'inevitabile scempio finale.
Riuscirò a ricordare Mag senza rivedere il suo corpo straziato, fatto a pezzi e sbranato da quell'orda di corpi irrequieti? Riuscirò a vederlo ancor fragile, ma vivo e umano, oppure nel ricordo quel lago di sangue, visceri e brandelli prenderanno per sempre il sopravvento?
Non ho mai visto una morte tanto orribile, un corpo straziato a quel modo. E dire che di morti ne ho visti, da un anno e mezzo a questa parte. Ne ho visti tanti davvero.
La morte fa schifo, puzza. Il sangue viscido, le budella, l'infame contenuto degli intestini e dello stomaco, la bile... non importa quanto siamo belli quando abbiamo ancora la pelle indosso: sotto siamo tutti fatti di una poltiglia schifosa.
Eravamo lì fermi, inorriditi e silenziosi, a contemplare i Risvegliati che spalmavano il povero vecchio Mag sulle rocce, gli uni addosso agli altri, in un banchetto infernale.
Vorrei poterlo dimenticare. Vorrei potermi lavare di dosso i ricordi, non soltanto la sporcizia e il sudore del viaggio.
Chi era che mi diceva che Shasda è la dea dell'oblio? Forse Padre Engelhaft, non ricordo bene. O forse era Bohemond, così preoccupato all'idea che varcassi questa soglia, che entrassi nel Castello di Seta. Capirai, il Castello di Seta, che paura.
Certo, un pochino di oblio mi farebbe piacere, lo ammetto. Vorrei dimenticare tutto quel sangue, i lamenti, l'odore orribile di un uomo malato che mi si disfa letteralmente sulla schiena. La carne strappata, i nervi sottili, i brandelli di vestito, le ossa che scricchiolano. Ho un sacco di cose che vorrei dimenticare.
E invece mi tocca ricordare.
Rhea annuisce distratta, so di non essere una cliente interessante: chiedo poco, pago poco, sono poco attratta dalle meraviglie offerte da questo luogo di piacere. Qualche moneta di rame in cambio di una tinozza d'acqua calda, niente di più, niente di meno.
Eppure non so trovare parole sufficienti a descrivere il sollievo che provo mentre immergo il corpo nell'acqua calda, in questa stanza semibuia, chiudo gli occhi... e respiro. Finalmente in pace. Finalmente non devo preoccuparmi di nulla.
Skogen è un ben triste villaggio a guardarlo oggettivamente, ma quando ti trovi disperso nella Terra di Nessuno, al freddo, affamato e sporco all'inverosimile, coi piedi sempre umidi, dolenti, le mani gonfie e l'ansia costante di essere attaccato da Risvegliati o Kreepar, ecco che queste misere poche case diventano la terra promessa, un porto sicuro.
Il porto sicuro che Mag non è riuscito a raggiungere, nonostante tutti i nostri sforzi.
Mag.
Chissà se riuscirò un giorno a ricordarlo per l'uomo che era, con i suoi guizzi di genialità e l'innegabile vena di follia. Il vecchio capellone che ci ha fatto scoprire l'esistenza della Garmanbozia e che ha salvato la vita di tutti noi trovando un rigagnolo d'acqua nei pressi dell'Antico Maniero.
Parlava di sè in terza persona, a tratti si perdeva in ragionamenti sfilacciati, ricordi confusi. Ma altre volte era precisissimo nel riportare nomi e date, fatti importanti: era un buon osservatore, abile a orientarsi e a trovare di che sopravvivere. Gli ultimi mesi della sua vita erano stati un incubo di solitudine e prigionia, circondato dagli spettri barcollanti dei vecchi compaesani trasformati in mostri. Anche la sua compagna, Patty, un brutto giorno è andata perduta.
Avevamo portato un barlume di speranza, quando lo abbiamo liberato dalla cella in cui i soldati di Ghaan lo stavano facendo morire di fame. A Trost aveva amici, forse parenti, sperava di raggiungerli e rifarsi una vita.
E invece.
Chissà se riuscirò a rivedere il suo volto magro, per prima cosa, quando ripenserò a lui. Le mani sottili con le vene a rilievo. Chissà se riuscirò a togliermi di dosso la sensazione spiacevolissima, nauseante, di qualcosa di liquido, tiepido e appiccicoso che mi cola lungo la schiena, penetra il mantello e i miei abiti. Chissà se ricorderò la sua voce, un giorno, e non i rantoli affannati durante quell'ultima, micidiale fuga.
Non ce l'ho fatta a salvarti, Mag.
"Voi sapete che quel vecchio è morto comunque, e sta cagando sangue da tre giorni, vero?"
Parliamo dei sensi di colpa.
Parliamo della paura di morire, mentre quella mandria di Risvegliati ci incalzavano.
Parliamo della speranza che qualcuno dicesse che Dan aveva ragione. Parliamo di come non volessi essere io a dargli ragione. Non io, no. Non io. Anche se lo sapevo, giù in fondo, nell'ombra torbida del mio cuore, laggiù in fondo lo sapevo anche io che Dan stava dicendo il vero.
Voglio dimenticare il sollievo che ho provato quando Logan ha ammesso che era finita, che Mag non ce l'avrebbe fatta. Non ero già più io a trasportarlo, ho resistito solo pochi minuti di quella fuga precipitosa col suo peso sulle spalle. Eppure sapevo che se ci fossimo ostinati a trascinarci dietro Mag saremmo tutti morti. Lo sapevo, volevo piangere, non volevo ammetterlo.
Poi ecco, Logan ingoia l'amarezza e dichiara ciò che ormai è evidente. E, poco prima che l'orda di Risvegliati sopraggiunga, trova il coraggio di dispensare la misericordia che il povero Mag merita, prima dell'inevitabile scempio finale.
Riuscirò a ricordare Mag senza rivedere il suo corpo straziato, fatto a pezzi e sbranato da quell'orda di corpi irrequieti? Riuscirò a vederlo ancor fragile, ma vivo e umano, oppure nel ricordo quel lago di sangue, visceri e brandelli prenderanno per sempre il sopravvento?
Non ho mai visto una morte tanto orribile, un corpo straziato a quel modo. E dire che di morti ne ho visti, da un anno e mezzo a questa parte. Ne ho visti tanti davvero.
La morte fa schifo, puzza. Il sangue viscido, le budella, l'infame contenuto degli intestini e dello stomaco, la bile... non importa quanto siamo belli quando abbiamo ancora la pelle indosso: sotto siamo tutti fatti di una poltiglia schifosa.
Eravamo lì fermi, inorriditi e silenziosi, a contemplare i Risvegliati che spalmavano il povero vecchio Mag sulle rocce, gli uni addosso agli altri, in un banchetto infernale.
Vorrei poterlo dimenticare. Vorrei potermi lavare di dosso i ricordi, non soltanto la sporcizia e il sudore del viaggio.
Chi era che mi diceva che Shasda è la dea dell'oblio? Forse Padre Engelhaft, non ricordo bene. O forse era Bohemond, così preoccupato all'idea che varcassi questa soglia, che entrassi nel Castello di Seta. Capirai, il Castello di Seta, che paura.
Certo, un pochino di oblio mi farebbe piacere, lo ammetto. Vorrei dimenticare tutto quel sangue, i lamenti, l'odore orribile di un uomo malato che mi si disfa letteralmente sulla schiena. La carne strappata, i nervi sottili, i brandelli di vestito, le ossa che scricchiolano. Ho un sacco di cose che vorrei dimenticare.
E invece mi tocca ricordare.
24 settembre 517
Mercoledì 27 Settembre 2017
Armi magiche
Lo scorso gennaio eravamo sulla sponda occidentale del fiume Traunne, schierati dopo lo scontro con la Bestia del Ponte. L'orribile mostro sprofondava lento tra i ghiacci quando una moltitudine di Risvegliati iniziarono a radunarsi sulla riva orientale.
Era buio, la notte rischiarata soltanto dai nostri fuochi, eppure tra le sagome barcollanti e scomposte riconoscemmo lei, Mirai.
Immobile, silenziosa, la giovane donna con antenne di insetto ci guardava da lontano.
Impotenti la osservavamo, ancora frementi di rabbia per i compagni perduti per mano dei suoi mostri.
"Prestami l'arco"
Senza più elmo, con un sottile rivo di sangue che gli scivola sulla fronte, il Sergente Rock mi guarda e protende la mano.
Afferra il mio arco e lo tende.
Sento scricchiolare il legno, la corda tendersi, e tendersi ancora e ancora. E quando penso che non sia possibile tendere ancora di più, lui tende ancora. Tende ancora. E scaglia.
Colpito alla testa, un Risvegliato cade a terra. Uno degli innumerevoli Risvegliati che affollano la riva orientale del fiume. Una goccia nel mare. Uno di meno.
Il mio arco è un buon arco. Ha un nome, una storia. E' stato impugnato da mani più forti delle mie e ha dimostrato tutto il suo valore.
Siamo bloccati su questa collina, al riparo dell'Antico Maniero. Non distante da qui, su un'altura che gode di ottima visuale sul sentiero, si trova un accampamento di soldati di Ghaan, almeno una dozzina di persone. Troppi, per noi.
Non è facile scegliere quale, tra le tante pessime alternative che abbiamo, sia la meno pericolosa. Siamo stati impegnati in una lunga e accesa discussione, per decidere se sia meglio farci sgominare dai nemici o sbranare dai Kreepar, e ancora non ne siamo venuti a capo.
Le obiezioni di Bohemond alla mia proposta sono tutte sensate e ragionevoli. E' da pazzi dividersi, da pazzi sperare di ingannare i nemici indossando le loro insegne, da pazzi sperare di riuscire con la barella di Mag e tutti i feriti ad arrivare Skogen senza essere inseguiti. Il rischio di essere raggiunti, uccisi o fatti prigionieri, è alto.
Ma vediamo le alternative.
Bohemond suggerisce di sfruttare la copertura offerta dai ragni giganti per sgattaiolare via di notte, nella boscaglia e con meno luci possibile. E' sorprendente come proprio lui, che ha sperimentato sulla sua pelle il terribile morso di una di quelle creature, sia disposto ad affrontare nuovamente una simile minaccia.
Colin propone di cercare una strada alternativa e, qualora ci fosse, percorrerla: aggirando la zona pattugliata dai soldati di Ghaan e sbucando, a quanto dice Logan, nei pressi di Pavnor. Ma Colin a Pavnor l'anno scorso non c'è stato, per questo non si rende conto di che trappola mortale sia quel villaggio infestato dai Risvegliati. Può darsi che se ne siano andati, dice. Certo, può darsi. Ma di solito qui le cose tendono a peggiorare, non a migliorare.
Ammesso che non ci venga qualche idea veramente geniale, siamo stretti tra tre possibilità, più o meno da articolare: vedercela coi soldati nemici, vedercela coi Kreepar, vedercela coi Risvegliati. Tutte e tre molto brutte, nessuna che offra buone possibilità di riuscita. Per questo la scelta è così difficile.
Personalmente, tendo a preferire i nemici umani.
A Ghaan ci sono persone "strane", gente sicuramente orribile, stregoni che fanno esperimenti sui soldati e sui Risvegliati, e chissà quanti altri abominii. Ma c'è anche gente normale, che spera di salvare la pelle fino alla fine di questa guerra. Gente che possiamo combattere, che possiamo ingannare, gente a cui possiamo persino arrenderci.
I Risvegliati, oltre che spaventarmi, mi mettono una tristezza incolmabile: anche in loro riconosco traccia dell'antica umanità, e ne vedo la corruzione, l'orribile degrado. Sono uomini trasformati in mostri, capaci a loro volta di trasformarci in morti che camminano.
Quanto ai Kreepar... sono mostri. Mostri puri e semplici. Senza un'anima, una coscienza, una "malvagità". Sono guidati dall'istinto degli insetti e per loro noi siamo soltanto cibo.
Mi fa una paura dannata l'idea di avanzare al buio in una foresta popolata da ragni giganti, traslucidi come spettri, che ti scivolano sopra dall'altro all'improvviso per inoculare il loro veleno. Quando quel ragno si è lasciato cadere su Gannor sono riuscita a far avvampare la torcia che il mio compagno teneva in mano. Quando è stato il mio turno di essere il suo bersaglio ho infiammato la mia spada, e il solo ardere della luce di Pyros ha tenuto a distanza quella creatura. Il fuoco scaccia questi ragni giganti. La mia spada magica scaccia i ragni giganti. Lo so, sarebbe bastato anche il gambo di uno sgabello rotto... ma mi piace di più pensare di avere una "spada magica". No, non esistono spade magiche in senso stretto. La magia si infonde in un'arma attraverso il lavoro di chi la forgia, il coraggio di chi la impugna, il briciolo di Yoki che serve per farla risplendere.
Facile no? Infiammo la spada e avanziamo di notte tra decine di torce e lanterne per tenere a distanza quei mostri... ma invece il piano di Bohemond prevede di avanzare nella tenebra, quasi alla cieca, per non farci scoprire dai nemici. Al buio, nel bosco, circondati dai ragni giganti.
La domanda che dobbiamo fare a noi stessi è cosa ci faccia un po' meno paura: i soldati di Ghaan, i Risvegliati o i Kreepar? Non è la morte a farci paura, ma quale morte. Personalmente, ho un pochino meno paura dei soldati di Ghaan.
20 settembre 517
Lunedì 28 Agosto 2017
Funerea campagna
E' calata la sera. Lavoro da molte ore per rinforzare porte e finestre di questa casa, utilizzando tutto il materiale che sono riuscita a trovare: assi di legno, pezzi di mobilio sfasciato, resti di infissi. Razionalmente lo so che è inutile, se l'armata di non-morti che abbiamo visto passare qui vicino deciderà di venirci a bussare, eppure non riesco a restare senza far nulla.
Anche Engelhaft si è dato da fare: ha scoperto un vecchio cerchio protettivo intorno a queste quattro mura, una specie di sigillo di Kayah che dovrebbe impedire al Male di penetrare al suo interno. Si è chiuso in preghiera, ribattendone i segni, con la speranza che possa funzionare ancora e proteggerci questa notte.
Ma Karc è vicino, oltre il fianco della collina. Se dicessi che riesco a sentire la puzza di morto fin qui mi si potrebbe rispondere che è tutta suggestione, quindi non lo dirò, ma il senso di minaccia è fortissimo. Quanti Risvegliati ci saranno, a Karc? Cento? Duecento? Mille? Ventordicimila?
Troppi, poco ma sicuro.
E quel che è peggio, c'è qualcuno che li comanda: non sono una moltitudine di involucri morti e senza più cervello, ma un esercito di soldati che non sentono la fame, il freddo, la paura, il dolore.
Annie ha visto due "persone", in mezzo alla moltitudine di Risvegliati, ne ha percepito la presenza: forse si tratta di individui che, come lei, sono stati in qualche modo trasformati dal contatto con un Demone. Lei "sente" se si avvicinano, un po' come è stato per lo "Strillone", oggi pomeriggio. Chissà se anche loro riescono ad avvertire la presenza di Annie, e a che distanza. I poteri di Annie crescono velocemente, come pure la sua reattività al Potere Magico. Di solito con il Potere Magico funziona così, che chi è in grado di "percepire" può essere a sua volta "percepito".
Pianto qualche altro chiodo, va, e confido che Engelhaft reciti qualche altra preghiera. Male non può fare.
Sono la prima a esserne meravigliata, ma inizio ad orientarmi molto bene in queste terre sciagurate. Tornarci a distanza di un anno mi ha permesso di assimilarne la conformazione. Logan è una guida formidabile, un grande maestro: le sue parole disegnano il paesaggio, svelano le cicatrici della guerra e del tempo, danno un significato alle tracce e ai nomi dei luoghi.
L'antica diga fatta crollare per allagare le campagne e spazzare via i nemici, lo Skogg, le paludi e la zona delle cave dove riposa l'Antico Profeta. Il frutteto contaminato, che soltanto un anno fa ci ha dato di che sopravvivere alla fame, e che adesso è incolto, morente. L'Altare, coi suoi alberi contorti e inginocchiati in preghiera. E poi l'Angelo di Pietra, non molto lontano da qui... nomi che fanno pensare ai popoli antichi che abitavano su questo altopiano, e da cui trapela una religiosità ormai perduta.
C'è una crudele ironia se si pensa che i luoghi di culto più antichi, i sepolcri degli antenati, siano oggi diventati la peggiore delle minacce. I Cairn del Cariceto di Amedran, il Cimitero di Cantor, e chissà quanti altri: questo morbo ha trasformato il rapporto con la morte, con i nostri stessi morti. Al rispetto si è sostituita la paura, la degna sepoltura ha ceduto il passo ad una brutale decapitazione, al riposo nella pace di Kayah ecco che subentra un triste ed eterno vagare nella funerea campagna.
Persino il pudore è stato profanato da questa maledizione. Le carni marcescenti, la puzza di decomposizione, le ossa giallastre che trapelano tra gli squarci della pelle. La decomposizione dei corpi, sorte penosa e umiliante che aspetta tutti dopo la morte, un tempo era nascosta da una decente sepoltura. I morti, avvolti nei sudari, erano deposti nella terra e lì potevano lentamente disfarsi, senza che questo marciume fosse esposto alla luce del sole. Non c'è nudità peggiore di un corpo che si fa carcassa putrida. Un corpo che ha vissuto, ha respirato, che è stato cullato da una madre e amato da una sposa, da uno sposo... un corpo che si svelava soltanto davanti agli occhi benevoli dell'amore, e che altrimenti, pudico, restava avvolto dagli abiti.
Ricordo - con un certo senso di colpa - le rare visite al cimitero dove è sepolta mia madre.
I Morstan hanno una cappella di famiglia, in marmo bianco, decorata con vecchie statue che raffigurano angeli in preghiera. Lì dentro riposano i miei antenati.
C'è un cancelletto che chiude la cappella, con una catena ed un lucchetto di cui mio padre custodisce la chiave. Il marmo è bianco ma il cancello è scuro. Da bambina mi faceva paura il cigolio di quel cancello e mi chiedevo a che scopo chiudere a chiave una tomba di famiglia.
"Ci sono ladri che profanano le tombe alla ricerca di gioielli" mi spiegò Enrik. "Serve a quello il cancello"
"Temevo che fosse per paura che i morti scappassero via..."
"I morti non scappano, ma i morti ricchi a volte indossano gioielli"
Eppure l'idea dei morti prigionieri di quella cappella umida, l'idea di mia madre prigioniera in quella cappella umida, non mi faceva dormire.
Mia madre è rinchiusa lì dentro, immobile, circondata da morti di cento anni prima. Il suo viso bellissimo e morbido poco a poco è rinsecchito, le guance scavate, le labbra si sono ritirate rivelando un ghigno scheletrico. Al posto degli occhi due pozzi neri e marcescenti.
Lei, che in vita possedeva una grazia naturale, sempre attenta a non mostrarsi spettinata, che persino all'ultimo, malata e sofferente, insisteva per indossare le camicie da notte più belle e ricamate... non ha potuto far nulla per evitare il decadimento del suo corpo mortale, la sua trasformazione in un mostro orrendo.
Ma nessuno l'ha vista disfarsi, almeno questo dolore le è stato risparmiato. Il suo corpo è stato chiuso intatto nella tomba e nessuno ha mai potuto profanare il suo pudore. Bella addormentata, indisturbata, nella pace di Kayah.
A noi che le volevamo bene è stata data la consolazione di piangere sulla sua tomba e poterla ricordare per sempre com'era quando se n'è andata.
Quanta crudeltà c'è invece in questi cimilteri che si spalancano, vomitando cadaveri feroci e assassini per le campagne, nei villaggi, tra i familiari in lutto. Non è giusto che il conforto del pianto sia sostituito dalla paura, dal terrore.
Sono passati molti anni ormai, ma non riesco ad immaginare nulla di più doloroso di rivedere mia madre mentre vaga bacollante e scheletrica in mezzo ad altri Risvegliati. Staccarle la testa, bruciarla, abbatterla come un mostro.
Che cosa stiamo diventando?
Una civiltà che combatte i propri morti, che li brucia, che ne ha paura. I cimiteri, non più luoghi di preghiera e di raccoglimento, sono fonti di contagio da cui si propaga questa terribile maledizione.
Chissà quando, chissà dove, moriremo tutti. E se la guerra e la piaga perdureranno, quando verrà il nostro momento, avremo le teste mozzate dal collo, saremo bruciati e abbandonati lontano, senza neanche il conforto di un cipresso o di una pietra con il nostro nome sopra.
Peggio ancora, vagheremo forse noi stessi, nemici dei viventi, terrorizzando chi ancora respira. Avanzeremo tra l'ortica e l'erica, trascinando i piedi, mentre un gemito sibilante farà vibrare il nostro petto svuotato. Mostri, non-morti, l'identità svanita, il corpo sbrindellato, denti e artigli fin troppo affilati.
Insomma, a Karc c'è un cimitero, ma non andremo lì a portare fiori.
Forse nemmeno riusciremo a raggiungere il villaggio, troppo brulicante di mostri che un tempo furono uomini. Le tracce del carretto con gli schiavi di Zodd vanno in quella direzione, ma temo che non ci siano possibilità di salvarli. Staranno brancolando insieme a tutte le altre belve impietose, o al massimo chiusi in qualche gattabuia di Ghaan, in attesa di essere sottoposti ad esperimenti che nemmeno voglio immaginare.
I nostri nemici non hanno rispetto nè per i vivi nè per i morti. Spezzano sigilli, giocano con forze antiche che non possono controllare, trascinati da un delirio di potenza che li abbaglia ed impedisce loro di scorgere il mondo su cui finirebbero per regnare: un mondo di morti, di mostri, di marciume e oscurità.
Non è che il nostro schieramento sia poi così innocente, lo so, ma non è il momento per fare autocritica. E' il momento di inchiodare assi su assi, barricare porte e finestre, pregare che i sigilli di Padre Engelhaft funzionino e che la colonna infame di non-morti risparmi, almeno per questa notte, la "casa che butta giallo".
Al sorgere del sole decideremo che fare.
Anche Engelhaft si è dato da fare: ha scoperto un vecchio cerchio protettivo intorno a queste quattro mura, una specie di sigillo di Kayah che dovrebbe impedire al Male di penetrare al suo interno. Si è chiuso in preghiera, ribattendone i segni, con la speranza che possa funzionare ancora e proteggerci questa notte.
Ma Karc è vicino, oltre il fianco della collina. Se dicessi che riesco a sentire la puzza di morto fin qui mi si potrebbe rispondere che è tutta suggestione, quindi non lo dirò, ma il senso di minaccia è fortissimo. Quanti Risvegliati ci saranno, a Karc? Cento? Duecento? Mille? Ventordicimila?
Troppi, poco ma sicuro.
E quel che è peggio, c'è qualcuno che li comanda: non sono una moltitudine di involucri morti e senza più cervello, ma un esercito di soldati che non sentono la fame, il freddo, la paura, il dolore.
Annie ha visto due "persone", in mezzo alla moltitudine di Risvegliati, ne ha percepito la presenza: forse si tratta di individui che, come lei, sono stati in qualche modo trasformati dal contatto con un Demone. Lei "sente" se si avvicinano, un po' come è stato per lo "Strillone", oggi pomeriggio. Chissà se anche loro riescono ad avvertire la presenza di Annie, e a che distanza. I poteri di Annie crescono velocemente, come pure la sua reattività al Potere Magico. Di solito con il Potere Magico funziona così, che chi è in grado di "percepire" può essere a sua volta "percepito".
Pianto qualche altro chiodo, va, e confido che Engelhaft reciti qualche altra preghiera. Male non può fare.
Sono la prima a esserne meravigliata, ma inizio ad orientarmi molto bene in queste terre sciagurate. Tornarci a distanza di un anno mi ha permesso di assimilarne la conformazione. Logan è una guida formidabile, un grande maestro: le sue parole disegnano il paesaggio, svelano le cicatrici della guerra e del tempo, danno un significato alle tracce e ai nomi dei luoghi.
L'antica diga fatta crollare per allagare le campagne e spazzare via i nemici, lo Skogg, le paludi e la zona delle cave dove riposa l'Antico Profeta. Il frutteto contaminato, che soltanto un anno fa ci ha dato di che sopravvivere alla fame, e che adesso è incolto, morente. L'Altare, coi suoi alberi contorti e inginocchiati in preghiera. E poi l'Angelo di Pietra, non molto lontano da qui... nomi che fanno pensare ai popoli antichi che abitavano su questo altopiano, e da cui trapela una religiosità ormai perduta.
C'è una crudele ironia se si pensa che i luoghi di culto più antichi, i sepolcri degli antenati, siano oggi diventati la peggiore delle minacce. I Cairn del Cariceto di Amedran, il Cimitero di Cantor, e chissà quanti altri: questo morbo ha trasformato il rapporto con la morte, con i nostri stessi morti. Al rispetto si è sostituita la paura, la degna sepoltura ha ceduto il passo ad una brutale decapitazione, al riposo nella pace di Kayah ecco che subentra un triste ed eterno vagare nella funerea campagna.
Persino il pudore è stato profanato da questa maledizione. Le carni marcescenti, la puzza di decomposizione, le ossa giallastre che trapelano tra gli squarci della pelle. La decomposizione dei corpi, sorte penosa e umiliante che aspetta tutti dopo la morte, un tempo era nascosta da una decente sepoltura. I morti, avvolti nei sudari, erano deposti nella terra e lì potevano lentamente disfarsi, senza che questo marciume fosse esposto alla luce del sole. Non c'è nudità peggiore di un corpo che si fa carcassa putrida. Un corpo che ha vissuto, ha respirato, che è stato cullato da una madre e amato da una sposa, da uno sposo... un corpo che si svelava soltanto davanti agli occhi benevoli dell'amore, e che altrimenti, pudico, restava avvolto dagli abiti.
Ricordo - con un certo senso di colpa - le rare visite al cimitero dove è sepolta mia madre.
I Morstan hanno una cappella di famiglia, in marmo bianco, decorata con vecchie statue che raffigurano angeli in preghiera. Lì dentro riposano i miei antenati.
C'è un cancelletto che chiude la cappella, con una catena ed un lucchetto di cui mio padre custodisce la chiave. Il marmo è bianco ma il cancello è scuro. Da bambina mi faceva paura il cigolio di quel cancello e mi chiedevo a che scopo chiudere a chiave una tomba di famiglia.
"Ci sono ladri che profanano le tombe alla ricerca di gioielli" mi spiegò Enrik. "Serve a quello il cancello"
"Temevo che fosse per paura che i morti scappassero via..."
"I morti non scappano, ma i morti ricchi a volte indossano gioielli"
Eppure l'idea dei morti prigionieri di quella cappella umida, l'idea di mia madre prigioniera in quella cappella umida, non mi faceva dormire.
Mia madre è rinchiusa lì dentro, immobile, circondata da morti di cento anni prima. Il suo viso bellissimo e morbido poco a poco è rinsecchito, le guance scavate, le labbra si sono ritirate rivelando un ghigno scheletrico. Al posto degli occhi due pozzi neri e marcescenti.
Lei, che in vita possedeva una grazia naturale, sempre attenta a non mostrarsi spettinata, che persino all'ultimo, malata e sofferente, insisteva per indossare le camicie da notte più belle e ricamate... non ha potuto far nulla per evitare il decadimento del suo corpo mortale, la sua trasformazione in un mostro orrendo.
Ma nessuno l'ha vista disfarsi, almeno questo dolore le è stato risparmiato. Il suo corpo è stato chiuso intatto nella tomba e nessuno ha mai potuto profanare il suo pudore. Bella addormentata, indisturbata, nella pace di Kayah.
A noi che le volevamo bene è stata data la consolazione di piangere sulla sua tomba e poterla ricordare per sempre com'era quando se n'è andata.
Quanta crudeltà c'è invece in questi cimilteri che si spalancano, vomitando cadaveri feroci e assassini per le campagne, nei villaggi, tra i familiari in lutto. Non è giusto che il conforto del pianto sia sostituito dalla paura, dal terrore.
Sono passati molti anni ormai, ma non riesco ad immaginare nulla di più doloroso di rivedere mia madre mentre vaga bacollante e scheletrica in mezzo ad altri Risvegliati. Staccarle la testa, bruciarla, abbatterla come un mostro.
Che cosa stiamo diventando?
Una civiltà che combatte i propri morti, che li brucia, che ne ha paura. I cimiteri, non più luoghi di preghiera e di raccoglimento, sono fonti di contagio da cui si propaga questa terribile maledizione.
Chissà quando, chissà dove, moriremo tutti. E se la guerra e la piaga perdureranno, quando verrà il nostro momento, avremo le teste mozzate dal collo, saremo bruciati e abbandonati lontano, senza neanche il conforto di un cipresso o di una pietra con il nostro nome sopra.
Peggio ancora, vagheremo forse noi stessi, nemici dei viventi, terrorizzando chi ancora respira. Avanzeremo tra l'ortica e l'erica, trascinando i piedi, mentre un gemito sibilante farà vibrare il nostro petto svuotato. Mostri, non-morti, l'identità svanita, il corpo sbrindellato, denti e artigli fin troppo affilati.
Insomma, a Karc c'è un cimitero, ma non andremo lì a portare fiori.
Forse nemmeno riusciremo a raggiungere il villaggio, troppo brulicante di mostri che un tempo furono uomini. Le tracce del carretto con gli schiavi di Zodd vanno in quella direzione, ma temo che non ci siano possibilità di salvarli. Staranno brancolando insieme a tutte le altre belve impietose, o al massimo chiusi in qualche gattabuia di Ghaan, in attesa di essere sottoposti ad esperimenti che nemmeno voglio immaginare.
I nostri nemici non hanno rispetto nè per i vivi nè per i morti. Spezzano sigilli, giocano con forze antiche che non possono controllare, trascinati da un delirio di potenza che li abbaglia ed impedisce loro di scorgere il mondo su cui finirebbero per regnare: un mondo di morti, di mostri, di marciume e oscurità.
Non è che il nostro schieramento sia poi così innocente, lo so, ma non è il momento per fare autocritica. E' il momento di inchiodare assi su assi, barricare porte e finestre, pregare che i sigilli di Padre Engelhaft funzionino e che la colonna infame di non-morti risparmi, almeno per questa notte, la "casa che butta giallo".
Al sorgere del sole decideremo che fare.
15 settembre 517
Lunedì 3 Luglio 2017
Quando dire sì, quando dire no.
Annie apre gli occhi, dopo giorni di sonno profondissimo. Siede sul letto, ancora non sa di trovarsi a Skogen. Ansima, si guarda intorno, poi il suo sguardo incontra il mio. "Ho fatto un sogno", dice.
Il bianco dei suoi occhi, già prima iniettato di sangue, è diventato nero. L'iride, un tempo azzurra, adesso è rossa e sembra brillare debolmente.
"Ti senti bene?"
La mia amica annuisce, si alza in piedi e sgranchisce le gambe. I segni delle ustioni sono quasi scomparsi, trasformati in sottili linee viola che le percorrono il viso. Sono io a restare senza parole, mentre la guardo.
"Ho qualcosa di strano?" domanda, leggendo lo sgomento nel mio volto. Annuisco. "I tuoi occhi... sono diversi"
Il sidro è dolce, alla festa di addio degli Elsenoriti. Ho studiato tutto il giorno, sento gli occhi stanchi e un piacevole torpore. Quando il Principe si avvicina per salutarmi sorrido e gli porgo la mano. "Se tu maga, tu non può non venire nostra isola"
Annuisco, con piacere. Poi ecco lui mi guarda e domanda: "Io volere sapere se tu questa notte volere essere mia principessa".
... mia principessa.
Farfuglio qualche scusa sgrammaticata, ma lui insiste: "Tu innamorato? Tu futuro marito che aspetta casa?". "No", ammetto, "io pensa uomo impossibile". Impossibile... non saprei descriverlo meglio. E a quanto pare per Aiden un "uomo impossibile" non è una ragione sufficiente a rinunciare.
Quando usciamo dal Tempietto di Kayah, al cimitero, Annie trema, per un attimo barcolla. Si allontana di qualche passo dalla cappella, raggiunge il torrente e tossisce sangue nero. Dice che sta bene, che è stato solo un capogiro. Sistema il cappuccio in modo che le nasconda il viso, quindi procediamo verso quello che qui chiamano il tempio della mantide: la casa di Mirai.
Una casa apparentemente innocua, in legno, vicina al Castello di Seta.
Già a una certa distanza avverto la magia che vibra: ad ogni passo verso la casa, la magia reagisce e si espande verso di me, trasmettendo un senso di sicurezzza e piacere.
Dir... Bes...
Le rune si formano sulle mie labbra senza quasi che io me ne renda conto. Intorno alla casetta si materializzano colonne di marmo rosa, tutte scolpite con bassorilievi elaborati. Sulla porta e sulle pareti della casetta appaiono dei glifi luminescenti, di lontano si avverte un vago ronzio, il fremere come di infiniti insetti.
Dovrebbe spaventarmi tutto questo, eppure mi sento accolta, specialmente con Annie accanto.
Aiden è silenziosissimo quando viene a chiamarmi.
Più che un principe sembra un ragazzino che non vede l'ora di fare una gran marachella: usciamo nel coprifuoco di Skogen senza fiatare, trattenendo il riso. Ma dobbiamo fare poca strada, il suo "castello" è una casupola abbandonata vicino a quella in cui siamo ospitati.
E' più che sufficiente per noi.
Per fare una principessa non serve un castello: a quanto pare basta un Principe.
Dimentico in un istante Conrad, che mi voleva soltanto per potersene vantare, ed anche Alyster scompare nel nulla che è. Non dimentico chi non è mai stato, nè mai sarà... eppure riesco a sospingerlo dolcemente in un angolo, lontano dai baci e delle carezze dell'elsenorita. Finalmente capisco il senso di tutto questo affannarsi: Aiden sa essere rispettoso, divertente, senza fisime e senza pretese. So che lui e la sua gente sono pirati molto pericolosi, eppure è da lui, da un pirata di Ilsanora, che imparo una buona volta cosa significa..... .
Domani si ricomincia ad avanzare, soffrire e combattere. Ma adesso esiste soltanto questa notte, bel ricordo di sua isola e mio continente.
La casa mi attrae, il suo richiamo è sempre più intenso.
Ho una voglia fortissima di allungare la mano e sfiorare la colonna che ho davanti, sentire se il marmo così ben scolpito è freddo, se è tiepido, se è reale. Osservo i bassorilievi dall'aria antica, un altro passo e potrei toccarli. Altri pochi passi e potrei raggiungere la maniglia della porta. Aiden c'è riuscito, l'ha provata ad aprire... ma quella porta per lui era chiusa. Qualcosa mi dice che per noi, per me e soprattutto per Annie, quella porta si aprirebbe.
Ma no. Evitiamo.
"Tutto ok Annie?"
La mia migliore amica annuisce: vede anche lei quello che sto vedendo io. Le colonne sommerse nel suo sogno, il richiamo. "Bentornata a casa..." la voce della Mantide.
"Torniamo indietro, dai"
Un passo dopo l'altro, le colonne si fanno diafane e svaniscono, la magia si ritrae verso le mura della casetta, l'aria torna quieta.
"Una trappola, secondo me era una trappola" mormoro ad Annie appena prendiamo fiato. Lei annuisce.
Turbate, torniamo da Engelhaft e dagli altri.
Non è vero che non bisogna mai chiudere gli occhi... ma di certo è importante riaprirli in fretta, appena serve.
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