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28 agosto 516
Giovedì 10 Ottobre 2013
In viaggio verso Uryen
Il mio bell'amerita e i suoi amici hanno un modo di fare strano.
Insofferenti ad ogni mia richiesta, impazienti di partire e di raggiungere la loro Uryen, sembrano infastiditi da me e dal mio paggio, dal lento incedere della della nostra carrozzella, dalle frequenti e necessarie soste che impongo loro.
Non sono uno stupido e sono consapevole di quanto la mia posizione sia delicata. La mia Baronia è in difficoltà, i miei possedimenti comprendono poche anime e qualche casa mezza diroccata, un paio di villaggi spopolati e tanti Nordri alle porte.
Non a caso ho deciso di allontanarmi prudentemente per qualche tempo, svernare in una zona più tranquilla e tornare in primavera quando le acque si saranno calmate: Millsdorf ha già tanti problemi, non può rischiare di trovarsi anche orfana della sua guida.
Non ho altri parenti in vita che potrebbero sostituirmi nel ruolo di Barone, devo tutelare la mia sicurezza per il bene del mio popolo.
Dicono che ad Amer ci sia sempre il sole, che le città siano ricche e variopinte, la gente spensierata. Dicono anche che i costumi siano ben più liberi che qui da noi, meno pregiudizi, meno vecchie regole polverose da rispettare.
Eppure nell'atteggiamento del mio Amerita non noto nessuna concessione alle rilassatezze della vita.
E' anzi severo, duro, chiuso in sè stesso. Si concede qualche bonario scherzo con Kelly, che canzona saltuariamente per le sue fisime e i suoi capricci, parla molto col Prete, ma per il resto è pensieroso.
Mi ricorda un po' certi Paladini che di tanto in tanto si facevano vedere ai Padri della Compassione, sempre concentrati, attenti, quasi circondati da un'aura di intoccabilità. Probabilmente questo modo di fare distaccato è parte integrante del suo innegabile fascino.
Oltre all'accento esotico, naturalmente.
E insomma addio, Millsdorf.
Per qualche mese, almeno, fino alla prossima primavera.
Lascio quelle case mezze scorticate senza troppi rimpianti, anche se un po' mi si stringe il cuore quando penso alla povera Corinne, senza più le sue belle gambe.
Avevo quasi deciso che, dovendo proprio mettere la testa a posto, potesse essere lei a raddrizzarmi un po'... ed ecco che l'hanno colpita tante disgrazie, tante sfortune.
Ma non bisogna abbattersi.
Ho sentito parlar bene del Porto di Uryen. Dopotutto prima o poi dovrò pensare a generare qualche erede, non posso rischiare che la mia dinastia si estingua con me.
Ho delle responsabilità verso il mio feudo a cui non intendo mancare!
Insofferenti ad ogni mia richiesta, impazienti di partire e di raggiungere la loro Uryen, sembrano infastiditi da me e dal mio paggio, dal lento incedere della della nostra carrozzella, dalle frequenti e necessarie soste che impongo loro.
Non sono uno stupido e sono consapevole di quanto la mia posizione sia delicata. La mia Baronia è in difficoltà, i miei possedimenti comprendono poche anime e qualche casa mezza diroccata, un paio di villaggi spopolati e tanti Nordri alle porte.
Non a caso ho deciso di allontanarmi prudentemente per qualche tempo, svernare in una zona più tranquilla e tornare in primavera quando le acque si saranno calmate: Millsdorf ha già tanti problemi, non può rischiare di trovarsi anche orfana della sua guida.
Non ho altri parenti in vita che potrebbero sostituirmi nel ruolo di Barone, devo tutelare la mia sicurezza per il bene del mio popolo.
Dicono che ad Amer ci sia sempre il sole, che le città siano ricche e variopinte, la gente spensierata. Dicono anche che i costumi siano ben più liberi che qui da noi, meno pregiudizi, meno vecchie regole polverose da rispettare.
Eppure nell'atteggiamento del mio Amerita non noto nessuna concessione alle rilassatezze della vita.
E' anzi severo, duro, chiuso in sè stesso. Si concede qualche bonario scherzo con Kelly, che canzona saltuariamente per le sue fisime e i suoi capricci, parla molto col Prete, ma per il resto è pensieroso.
Mi ricorda un po' certi Paladini che di tanto in tanto si facevano vedere ai Padri della Compassione, sempre concentrati, attenti, quasi circondati da un'aura di intoccabilità. Probabilmente questo modo di fare distaccato è parte integrante del suo innegabile fascino.
Oltre all'accento esotico, naturalmente.
E insomma addio, Millsdorf.
Per qualche mese, almeno, fino alla prossima primavera.
Lascio quelle case mezze scorticate senza troppi rimpianti, anche se un po' mi si stringe il cuore quando penso alla povera Corinne, senza più le sue belle gambe.
Avevo quasi deciso che, dovendo proprio mettere la testa a posto, potesse essere lei a raddrizzarmi un po'... ed ecco che l'hanno colpita tante disgrazie, tante sfortune.
Ma non bisogna abbattersi.
Ho sentito parlar bene del Porto di Uryen. Dopotutto prima o poi dovrò pensare a generare qualche erede, non posso rischiare che la mia dinastia si estingua con me.
Ho delle responsabilità verso il mio feudo a cui non intendo mancare!
23 agosto 516
Lunedì 23 Settembre 2013
Che prete!
Qui da noi di preti non se ne sono mai visti, me li immaginavo diversi!
Le rare volte che sono andato a Millsdorf ad assistere alle funzioni di Padre Elija, mi sono fatto l'idea che i preti fossero capaci solo a dispensare consigli, predicozzi, tutto all'insegna di una certa scontata bonarietà.
Invece stanotte, dopo che ci è crollato il mondo addosso, siamo stati attaccati dai morti viventi, molti tra noi contagiati, incendi e uccisioni, ho visto un prete di tutta un'altra pasta.
"Pentiti, scellerato!" lo sentivo gridare dalla finestra, mentre nel vicolo, a bastonate, faceva sputare l'anima malnata a quell'infame mercenario.
"Pentiti! Mi fai innervosire! Ti ordino di pentirti!"
E giù mazzate in testa, in pancia, a spezzargli le braccia e le gambe e tramutare il suo corpo in una poltiglia indistinta.
"Mi pento, bastardo, basta! Ho detto che mi pento!!"
Inesorabile, Padre Engelhaft ha continuato a massacrarlo, fino a ucciderlo in modo lento e osceno.
Intorno a me, accalcati alla finestra della casa del Borgomastro in cui ci siamo rifugiati, molti sono rimasti scossi, spaventati dalla durezza del prete.
Io no. Io sono ammirato.
Altro che buone parole, altro che consigli scontati e sempliciotti.
Questo è un prete veramente serio, che davanti ai nemici della fede non si fa scrupolo ad adoperare ogni brutalità, a massacrare di botte, a sporcarsi di sangue.
Quel mercenario è complice del disastro che ha quasi annientato il mio villaggio, oggi. E' complice del Doktor Viala, colpevole di tutto questo orrore. E' complice di Spiegelberg, che ha raggirato la mia povera Larissa, sfruttando la sua inquietudine per condurla su una strada di perdizione.
E' complice di Moser, che ha strappato due bambini alla madre per trasformarli in piccoli mostri risvegliati.
E' colpevole di ogni nefandezza.
Bravo, Padre Engelhaft, che non ha esitato un istante a colpire, e colpire duro.
Voglio parlargli, voglio offrirgli il mio aiuto.
Voglio contribuire anche io a combattere la sua battaglia.
Le rare volte che sono andato a Millsdorf ad assistere alle funzioni di Padre Elija, mi sono fatto l'idea che i preti fossero capaci solo a dispensare consigli, predicozzi, tutto all'insegna di una certa scontata bonarietà.
Invece stanotte, dopo che ci è crollato il mondo addosso, siamo stati attaccati dai morti viventi, molti tra noi contagiati, incendi e uccisioni, ho visto un prete di tutta un'altra pasta.
"Pentiti, scellerato!" lo sentivo gridare dalla finestra, mentre nel vicolo, a bastonate, faceva sputare l'anima malnata a quell'infame mercenario.
"Pentiti! Mi fai innervosire! Ti ordino di pentirti!"
E giù mazzate in testa, in pancia, a spezzargli le braccia e le gambe e tramutare il suo corpo in una poltiglia indistinta.
"Mi pento, bastardo, basta! Ho detto che mi pento!!"
Inesorabile, Padre Engelhaft ha continuato a massacrarlo, fino a ucciderlo in modo lento e osceno.
Intorno a me, accalcati alla finestra della casa del Borgomastro in cui ci siamo rifugiati, molti sono rimasti scossi, spaventati dalla durezza del prete.
Io no. Io sono ammirato.
Altro che buone parole, altro che consigli scontati e sempliciotti.
Questo è un prete veramente serio, che davanti ai nemici della fede non si fa scrupolo ad adoperare ogni brutalità, a massacrare di botte, a sporcarsi di sangue.
Quel mercenario è complice del disastro che ha quasi annientato il mio villaggio, oggi. E' complice del Doktor Viala, colpevole di tutto questo orrore. E' complice di Spiegelberg, che ha raggirato la mia povera Larissa, sfruttando la sua inquietudine per condurla su una strada di perdizione.
E' complice di Moser, che ha strappato due bambini alla madre per trasformarli in piccoli mostri risvegliati.
E' colpevole di ogni nefandezza.
Bravo, Padre Engelhaft, che non ha esitato un istante a colpire, e colpire duro.
Voglio parlargli, voglio offrirgli il mio aiuto.
Voglio contribuire anche io a combattere la sua battaglia.
22 agosto 516
Mercoledì 17 Luglio 2013
Trascino i materassi nella sala comune della locanda, uno vicino all'altro. Sono molto pesanti e mentre fatico per spostarli sento la ferita sul braccio - solo un graffio - che brucia e pizzica.
Non è niente, lo so. Non sono certo io a dovermi lamentare. Non in mezzo a tutto questo dolore.
Padre Engelhaft ci ha fatto sistemare la stanza sul retro a mo' di infermeria per i feriti più gravi, Tristifer, Mach, la povera Emyllis e da poco anche mio padre. Ha chiesto delle corde, li ha legati ai letti. Non ci fa avvicinare, ma da qui, dalla sala comune, nonostante il chiacchiericcio, i lamenti e le grida intermittenti di Cristine dal piano di sopra, sentiamo lostesso il loro strazio. Urlano, piangono, tossiscono. Le pareti di legno sono sottili, si sente tutto.
Leggo la paura negli occhi dei miei compaesani, il terrore. Alcuni camminano nervosamente avanti e indietro, incapaci di stare fermi. Hanno ancora qualcuno lì fuori forse, chissà se vivo o morto.
E poi c'è lui, Mathias, che si dà da fare per alleviare la sofferenza degli altri. Cerca di non pensare a Larissa, di non pensare a niente: si capisce dalla rapidità dei suoi gesti, dal modo febbrile che ha di occupare ogni istante in attività utili, senza fermarsi mai.
Ma adesso, dopo tanta fatica, non c'è più molto da fare, l'accampamento è bene o male sistemato, i morenti gemono, gli altri si guardano intorno spaventati.
Il Borgomastro ha chiesto di fare piano, di non gridare, perchè sembra che le grida attirino quei mostri. Chi può quindi tace. Chi non può tacere, perchè il dolore o la disperazione sono troppo forti da sostenere, soffoca i lamenti e piange.
Mathias chiede ancora una volta al Borgomastro cos'altro ci sia da fare.
"Sali di sopra, mettiti di vedetta"
Il mio amico fornaio annuisce e si dirige alle scale.
Lo seguo.
Il piano di sopra è affollato come quello sottostante. La stanza più grande ospita i bambini, una decina in tutto, a cui cerchiamo di risparmiare lo spettacolo di tanta sofferenza.
In quella adiacente c'è Cristine, nei dolori del travaglio. E poi arcieri, vedette.
Mathias si affaccia alla finestra dello stanzino che dà sul retro e scruta le case ormai deserte, alla ricerca di movimenti sospetti.
"Come stai?" mi chiede accorgendosi che entro dietro di lui.
"Sto bene, grazie"
"Sei stata ferita..."
"E' solo un graffio. Già non mi fa più male", mento.
Mathias annuisce e guarda di nuovo fuori dalla finestra.
"Dove pensi che sia, adesso?" mi domanda all'improvviso.
"Larissa?"
Annuisce. Non lo so dove sia mia sorella. Scuoto il capo.
"Spero che stia bene"
Mathias resta qualche istante zitto, poi scuote il capo. "Siamo condannati, Jana, lo sai, vero? L'hai capito anche tu?"
Osserva il mio viso, non aspetta che io risponda. "Ovunque sia, tua sorella non può stare bene. Non starà mai bene, perchè non esiste speranza per nessuno di noi. Tantomeno per lei. Solo... vorrei rivederla ancora una volta. E insieme ho paura che succeda. Ho paura di cosa vedrò nei suoi occhi."
"Non capisco..."
"Sì invece, sì che capisci. Nessuno la conosce meglio di te. Nessuno le vuol bene... più di te, Jana. Nemmeno io".
"Mathias..."
"E' stata lei a portarli qui, quei mostri. Non so in che modo, non riesco a capire che cosa possa averla spinta a tradirci in una maniera tanto assurda, ma sono sicuro che sia stata opera sua. Opera... anche sua. Sai, " mi guarda in viso, "io non ho paura di morire. Non lo dico per vantarmi di qualcosa, sarebbe una cosa molto stupida di cui vantarsi. Lo dico perchè è vero, perchè non c'è più niente, nè qui nè altrove, per cui valga la pena vivere. Le senti le grida di Cristine? Sta per nascere il bambino".
Annuisco, accenno un timido sorriso ma sento che gli occhi mi si riempiono di lacrime. So già cosa sta per dirmi Mathias, anche se non vorrei sentirglielo dire. Non mi sbaglio. Lui rivolge lo sguardo alla strada e continua a parlare.
"Sento una voce nella testa, Jana, che mi dice "va, ammazzalo subito, prima ancora che nasca, risparmiagli tutto questo". Pensi che io sia un mostro, ad avere questi pensieri? Forse sto diventando pazzo"
"Non penso che tu sia pazzo... è solo che..."
"Jana, io lo so che cosa provi per me"
Avvampo, faccio un passo indietro, il fiato mi muore in gola.
"Mi credi tanto stupido, tanto cieco da non riconoscere i tuoi sentimenti?" si concede un sorriso amaro e continua. "E io, come una bestia senza cuore, continuo a sopportare le angherie di quella stronza di tua sorella, sì. A non riuscire a pensare ad altri che a lei. Lo so, è assurdo... un ridicolo gioco a rimpiattino senza senso. Un gioco dove perdiamo tutti, sempre e per sempre."
Le lacrime adesso mi inondano il viso, mi premo una mano sulla bocca per non singhiozzare. Lui invece sembra calmarsi via via che parla.
"Con te qualunque cosa io faccia è sbagliata. Non posso fare niente di giusto, non posso illuderti, non posso mentirti, non posso amarti. Perdonami Jana. Per fortuna non durerà ancora per molto."
Si volta a guardarmi per un lungo momento, poi torna a fissare la strada.
Vorrei dire qualcosa, sento che c'è qualcosa che potrei dire in questo momento, che potrei rispondere. Ma non trovo niente.
Le parole di speranza mi sfuggono tra le dita, lasciando solo buio e silenzio.
Esco dalla stanza lasciandolo solo.
Qualcosa di nuovo, di ulteriore, mi stringe il cuore, rendendo faticoso ogni singolo battito. Una mano fredda mi stringe il cuore.
Non devo pensarci.
Torno di sotto, posso ancora rendermi utile.
La gente nella sala della locanda è confusa, spaventata. Alcuni, Marille e Tobias soprattutto, iniziano a sentirsi male. Sono stati feriti solo superficialmente, penso che sia suggestione la loro: eppure sudano, tremano, sono febbricitanti.
"Volete dell'acqua?"
"Grazie tesoro" risponde lei con gli occhi lucidi, "ti ringrazio...
Anche Josh, la guardia, ha lo sguardo appannato. Si sostiene con la spalla al muro.
"Josh", mi avvicino, "forse dovresti sederti, togliere l'armatura..."
Lui mi sorride. "Non posso mollare, Jana. Dobbiamo dare l'esempio..."
"Ma tu stai male!"
Scuote il capo. "Sono in servizio, non posso permettermi di stare male"
"Posso fare qualcosa per te?" insisto.
"Stringi più forte il nodo della benda che ho sul braccio, da solo non ci riesco".
Mentre stringo la fasciatura, Josh non manda che un gemito strozzato. Mi intendo poco di medicina, ma credo di saper riconoscere il dolore. Josh ringrazia, sudato, e si mette di nuovo in piedi, vicino alla porta sbarrata della locanda.
Continuo a correre di qua e di là, alla ricerca di chi ha più bisogno di aiuto. Si sparge la voce che Emyllis sia morta, cerco di far coraggio alle persone più spaventate. Poi il Borgomastro e Padre Engelhaft la portano fuori, avvolta in un sudario, davanti agli occhi atterriti di tutti quanti.
Non voglio che Mathias abbia ragione. Che sia tutto perduto. Voglio che qualcuno mi dia parole di speranza, che sappia infondere in me il coraggio che io non sono stata in grado di dare a lui e a tutti gli altri.
Il Borgomastro, lui ci prova. I suoi discorsi sono energici, nel suo sguardo non vi è ombra di cedimento. Eppure riesco a vedere oltre le sue parole, come se avessi un terzo occhio, capace di scendere un gradino più in basso, nel sotterraneo dei suoi pensieri nascosti.
E' la disperazione che avanza.
Il coraggio che mostra il Borgomastro nasce dal senso del dovere, dal ruolo a cui lui è giustamente fedele. Ma in fondo al suo cuore anche lui è sperduto, come tutti noi.
Eppure io lo so che la scintilla di speranza che cerco esiste.
Non so dove si nasconda, se nel mio braccio indolenzito che ancora non ha iniziato ad infettarsi, o nelle grida di Cristine che sta mettendo al mondo un bambino che non conoscerà mai suo padre.
Non so se la speranza si celi negli sguardi navigati e paurosamente consapevoli dei soldati venuti da Uryen, o nelle armi che impugnano per difenderci da questa invasione.
So soltanto che c'è, che esiste. Noi dobbiamo resistere, sopravvivere, aspettare. E tutto questo incubo un giorno sarà soltanto il passato.
Non è niente, lo so. Non sono certo io a dovermi lamentare. Non in mezzo a tutto questo dolore.
Padre Engelhaft ci ha fatto sistemare la stanza sul retro a mo' di infermeria per i feriti più gravi, Tristifer, Mach, la povera Emyllis e da poco anche mio padre. Ha chiesto delle corde, li ha legati ai letti. Non ci fa avvicinare, ma da qui, dalla sala comune, nonostante il chiacchiericcio, i lamenti e le grida intermittenti di Cristine dal piano di sopra, sentiamo lostesso il loro strazio. Urlano, piangono, tossiscono. Le pareti di legno sono sottili, si sente tutto.
Leggo la paura negli occhi dei miei compaesani, il terrore. Alcuni camminano nervosamente avanti e indietro, incapaci di stare fermi. Hanno ancora qualcuno lì fuori forse, chissà se vivo o morto.
E poi c'è lui, Mathias, che si dà da fare per alleviare la sofferenza degli altri. Cerca di non pensare a Larissa, di non pensare a niente: si capisce dalla rapidità dei suoi gesti, dal modo febbrile che ha di occupare ogni istante in attività utili, senza fermarsi mai.
Ma adesso, dopo tanta fatica, non c'è più molto da fare, l'accampamento è bene o male sistemato, i morenti gemono, gli altri si guardano intorno spaventati.
Il Borgomastro ha chiesto di fare piano, di non gridare, perchè sembra che le grida attirino quei mostri. Chi può quindi tace. Chi non può tacere, perchè il dolore o la disperazione sono troppo forti da sostenere, soffoca i lamenti e piange.
Mathias chiede ancora una volta al Borgomastro cos'altro ci sia da fare.
"Sali di sopra, mettiti di vedetta"
Il mio amico fornaio annuisce e si dirige alle scale.
Lo seguo.
Il piano di sopra è affollato come quello sottostante. La stanza più grande ospita i bambini, una decina in tutto, a cui cerchiamo di risparmiare lo spettacolo di tanta sofferenza.
In quella adiacente c'è Cristine, nei dolori del travaglio. E poi arcieri, vedette.
Mathias si affaccia alla finestra dello stanzino che dà sul retro e scruta le case ormai deserte, alla ricerca di movimenti sospetti.
"Come stai?" mi chiede accorgendosi che entro dietro di lui.
"Sto bene, grazie"
"Sei stata ferita..."
"E' solo un graffio. Già non mi fa più male", mento.
Mathias annuisce e guarda di nuovo fuori dalla finestra.
"Dove pensi che sia, adesso?" mi domanda all'improvviso.
"Larissa?"
Annuisce. Non lo so dove sia mia sorella. Scuoto il capo.
"Spero che stia bene"
Mathias resta qualche istante zitto, poi scuote il capo. "Siamo condannati, Jana, lo sai, vero? L'hai capito anche tu?"
Osserva il mio viso, non aspetta che io risponda. "Ovunque sia, tua sorella non può stare bene. Non starà mai bene, perchè non esiste speranza per nessuno di noi. Tantomeno per lei. Solo... vorrei rivederla ancora una volta. E insieme ho paura che succeda. Ho paura di cosa vedrò nei suoi occhi."
"Non capisco..."
"Sì invece, sì che capisci. Nessuno la conosce meglio di te. Nessuno le vuol bene... più di te, Jana. Nemmeno io".
"Mathias..."
"E' stata lei a portarli qui, quei mostri. Non so in che modo, non riesco a capire che cosa possa averla spinta a tradirci in una maniera tanto assurda, ma sono sicuro che sia stata opera sua. Opera... anche sua. Sai, " mi guarda in viso, "io non ho paura di morire. Non lo dico per vantarmi di qualcosa, sarebbe una cosa molto stupida di cui vantarsi. Lo dico perchè è vero, perchè non c'è più niente, nè qui nè altrove, per cui valga la pena vivere. Le senti le grida di Cristine? Sta per nascere il bambino".
Annuisco, accenno un timido sorriso ma sento che gli occhi mi si riempiono di lacrime. So già cosa sta per dirmi Mathias, anche se non vorrei sentirglielo dire. Non mi sbaglio. Lui rivolge lo sguardo alla strada e continua a parlare.
"Sento una voce nella testa, Jana, che mi dice "va, ammazzalo subito, prima ancora che nasca, risparmiagli tutto questo". Pensi che io sia un mostro, ad avere questi pensieri? Forse sto diventando pazzo"
"Non penso che tu sia pazzo... è solo che..."
"Jana, io lo so che cosa provi per me"
Avvampo, faccio un passo indietro, il fiato mi muore in gola.
"Mi credi tanto stupido, tanto cieco da non riconoscere i tuoi sentimenti?" si concede un sorriso amaro e continua. "E io, come una bestia senza cuore, continuo a sopportare le angherie di quella stronza di tua sorella, sì. A non riuscire a pensare ad altri che a lei. Lo so, è assurdo... un ridicolo gioco a rimpiattino senza senso. Un gioco dove perdiamo tutti, sempre e per sempre."
Le lacrime adesso mi inondano il viso, mi premo una mano sulla bocca per non singhiozzare. Lui invece sembra calmarsi via via che parla.
"Con te qualunque cosa io faccia è sbagliata. Non posso fare niente di giusto, non posso illuderti, non posso mentirti, non posso amarti. Perdonami Jana. Per fortuna non durerà ancora per molto."
Si volta a guardarmi per un lungo momento, poi torna a fissare la strada.
Vorrei dire qualcosa, sento che c'è qualcosa che potrei dire in questo momento, che potrei rispondere. Ma non trovo niente.
Le parole di speranza mi sfuggono tra le dita, lasciando solo buio e silenzio.
Esco dalla stanza lasciandolo solo.
Qualcosa di nuovo, di ulteriore, mi stringe il cuore, rendendo faticoso ogni singolo battito. Una mano fredda mi stringe il cuore.
Non devo pensarci.
Torno di sotto, posso ancora rendermi utile.
La gente nella sala della locanda è confusa, spaventata. Alcuni, Marille e Tobias soprattutto, iniziano a sentirsi male. Sono stati feriti solo superficialmente, penso che sia suggestione la loro: eppure sudano, tremano, sono febbricitanti.
"Volete dell'acqua?"
"Grazie tesoro" risponde lei con gli occhi lucidi, "ti ringrazio...
Anche Josh, la guardia, ha lo sguardo appannato. Si sostiene con la spalla al muro.
"Josh", mi avvicino, "forse dovresti sederti, togliere l'armatura..."
Lui mi sorride. "Non posso mollare, Jana. Dobbiamo dare l'esempio..."
"Ma tu stai male!"
Scuote il capo. "Sono in servizio, non posso permettermi di stare male"
"Posso fare qualcosa per te?" insisto.
"Stringi più forte il nodo della benda che ho sul braccio, da solo non ci riesco".
Mentre stringo la fasciatura, Josh non manda che un gemito strozzato. Mi intendo poco di medicina, ma credo di saper riconoscere il dolore. Josh ringrazia, sudato, e si mette di nuovo in piedi, vicino alla porta sbarrata della locanda.
Continuo a correre di qua e di là, alla ricerca di chi ha più bisogno di aiuto. Si sparge la voce che Emyllis sia morta, cerco di far coraggio alle persone più spaventate. Poi il Borgomastro e Padre Engelhaft la portano fuori, avvolta in un sudario, davanti agli occhi atterriti di tutti quanti.
Non voglio che Mathias abbia ragione. Che sia tutto perduto. Voglio che qualcuno mi dia parole di speranza, che sappia infondere in me il coraggio che io non sono stata in grado di dare a lui e a tutti gli altri.
Il Borgomastro, lui ci prova. I suoi discorsi sono energici, nel suo sguardo non vi è ombra di cedimento. Eppure riesco a vedere oltre le sue parole, come se avessi un terzo occhio, capace di scendere un gradino più in basso, nel sotterraneo dei suoi pensieri nascosti.
E' la disperazione che avanza.
Il coraggio che mostra il Borgomastro nasce dal senso del dovere, dal ruolo a cui lui è giustamente fedele. Ma in fondo al suo cuore anche lui è sperduto, come tutti noi.
Eppure io lo so che la scintilla di speranza che cerco esiste.
Non so dove si nasconda, se nel mio braccio indolenzito che ancora non ha iniziato ad infettarsi, o nelle grida di Cristine che sta mettendo al mondo un bambino che non conoscerà mai suo padre.
Non so se la speranza si celi negli sguardi navigati e paurosamente consapevoli dei soldati venuti da Uryen, o nelle armi che impugnano per difenderci da questa invasione.
So soltanto che c'è, che esiste. Noi dobbiamo resistere, sopravvivere, aspettare. E tutto questo incubo un giorno sarà soltanto il passato.
21 agosto 516
Martedì 18 Giugno 2013
Dannata per l'eternità
"Dammi la fiala, Heather".
Percepisco la sua disapprovazione, mi scruta con biasimo misto a sconforto.
"Sei sicura?"
"Non posso morire adesso, dammi la fiala".
Heather deglutisce. I suoi lineamenti, induriti dalle botte che ha ricevuto, si incrinano, vorrebbe piangere. "Devo... chiamare Mutze", mi dice dopo una pausa. "Ce l'ha lei la... fiala".
"Chiamala, allora. Non perdere tempo". Tossisco, il fiato mi si spezza in gola. "Chiamala, sbrigati".
Heather si alza con riluttanza dalla sedia, zoppica leggermente, sembra immensamente vecchia.
Alla porta si ferma e scuote il capo.
"No, no, Rachel, non te lo posso permettere... non puoi cedere a questa debolezza. La vita è degli Dei, sono loro a darcela, loro a decidere quando..."
"Basta chiacchiere!" la interrompo con uno sforzo che mi costa altra tosse, mentre l'aria che riesce a penetrare nei miei polmoni si assottiglia ancora. "Ti prego, chiama Mutze..."
"Hai vissuto nel peccato, non puoi morire nel peccato. Fallo per i tuoi figli..."
Ho bisogno di prendere fiato, ansimo, vorrei finire di spaccarle la faccia, finire il lavoro che qualcun altro ha iniziato al mio posto. Heather, sbrigati dannazione. Sbrigati con quella fiala.
Eccoci qua, la santa e la peccatrice, una di fronte all'altra.
Tutte e due col viso devastato dai pugni e dai colpi di un uomo violento. Chi è stato a conciarti così, Heather? Uno dei Masnadieri? Qualcuno del villaggio? Oppure... oppure il compianto Padre Pike, tra un sermone e l'altro?
La peccatrice sono io, lei è la santa. Ed è lei a volermi adesso condannare a morte, con la scusa di salvarmi l'anima.
"Fallo per amore dei tuoi figli, Rachel. Resisti a questa tentazione e riuscirai ad essere assolta per tutte le volte che hai peccato. Morirai nella pace degli Dei, la Santa Kayah sarà sulla soglia del paradiso ad accoglierti... ed è lì che ritroverai i tuoi bambini", aggiunge addolcendo il tono di voce.
"Sappiamo entrambe che sono morti... non li privare di una madre adesso... adesso che più hanno bisogno di te"
Devo respirare, devo restare calma.
Rosie e Mark non sono morti, è qui, su questo mondo schifoso, che hanno bisogno di una madre. Anche se è soltanto una prostituta che si è venduta l'anima per l'ultima volta. E' qui che hanno bisogno di me. Non posso abbandonarli.
Heather scruta il mio dilemma, si riempie il cuore di retorica, sogna per qualche istante di avermi salvata.
"Heather... te lo ordino. Dammi quella dannata fiala".
"Rachel, ti prego..."
"Lasciami libera di dannare la mia anima", insisto. Un colpo di tosse mi fa schizzare di sangue il lenzuolo bianco. "Sbrigati".
Heather sospira, apre la porta, scompare sul pianerottolo.
Aspetto.
...
Sento passi che salgono, la febbre credo che stia salendo, ho i brividi.
La porta si spalanca, Mutze entra con gli occhi pieni di lacrime ed una fiala in mano.
Mi abbraccia.
"Povera cara... sta tranquilla, andrà tutto bene" mi mormora senza crederci, con dolcezza materna. "Adesso prendi questo cucchiaio, e poi dell'acqua..."
Con le mani che mi tremano porto alle labbra un cucchiaio colmo di questa torbida pozione. Mutze continua ad accarezzarmi i capelli sudati, mi aiuta, mi porge subito dopo un bicchiere d'acqua per lavare via dalla mia bocca l'aspro sapore della pozione.
Brucia come il fuoco nella mia gola, nello stomaco, il calore si diffonde nel mio corpo ardente.
"Sta tranquilla, Rachel, andrà tutto bene... riabbraccerai presto i tuoi piccoli..." Mutze resta al mio capezzale a lungo, mi tiene la mano, mi cambia una pezza fredda dalla fronte.
Il tempo passa... la tosse...
... forse...
sembra placarsi.
Ed io sono dannata per l'eternità.
Percepisco la sua disapprovazione, mi scruta con biasimo misto a sconforto.
"Sei sicura?"
"Non posso morire adesso, dammi la fiala".
Heather deglutisce. I suoi lineamenti, induriti dalle botte che ha ricevuto, si incrinano, vorrebbe piangere. "Devo... chiamare Mutze", mi dice dopo una pausa. "Ce l'ha lei la... fiala".
"Chiamala, allora. Non perdere tempo". Tossisco, il fiato mi si spezza in gola. "Chiamala, sbrigati".
Heather si alza con riluttanza dalla sedia, zoppica leggermente, sembra immensamente vecchia.
Alla porta si ferma e scuote il capo.
"No, no, Rachel, non te lo posso permettere... non puoi cedere a questa debolezza. La vita è degli Dei, sono loro a darcela, loro a decidere quando..."
"Basta chiacchiere!" la interrompo con uno sforzo che mi costa altra tosse, mentre l'aria che riesce a penetrare nei miei polmoni si assottiglia ancora. "Ti prego, chiama Mutze..."
"Hai vissuto nel peccato, non puoi morire nel peccato. Fallo per i tuoi figli..."
Ho bisogno di prendere fiato, ansimo, vorrei finire di spaccarle la faccia, finire il lavoro che qualcun altro ha iniziato al mio posto. Heather, sbrigati dannazione. Sbrigati con quella fiala.
Eccoci qua, la santa e la peccatrice, una di fronte all'altra.
Tutte e due col viso devastato dai pugni e dai colpi di un uomo violento. Chi è stato a conciarti così, Heather? Uno dei Masnadieri? Qualcuno del villaggio? Oppure... oppure il compianto Padre Pike, tra un sermone e l'altro?
La peccatrice sono io, lei è la santa. Ed è lei a volermi adesso condannare a morte, con la scusa di salvarmi l'anima.
"Fallo per amore dei tuoi figli, Rachel. Resisti a questa tentazione e riuscirai ad essere assolta per tutte le volte che hai peccato. Morirai nella pace degli Dei, la Santa Kayah sarà sulla soglia del paradiso ad accoglierti... ed è lì che ritroverai i tuoi bambini", aggiunge addolcendo il tono di voce.
"Sappiamo entrambe che sono morti... non li privare di una madre adesso... adesso che più hanno bisogno di te"
Devo respirare, devo restare calma.
Rosie e Mark non sono morti, è qui, su questo mondo schifoso, che hanno bisogno di una madre. Anche se è soltanto una prostituta che si è venduta l'anima per l'ultima volta. E' qui che hanno bisogno di me. Non posso abbandonarli.
Heather scruta il mio dilemma, si riempie il cuore di retorica, sogna per qualche istante di avermi salvata.
"Heather... te lo ordino. Dammi quella dannata fiala".
"Rachel, ti prego..."
"Lasciami libera di dannare la mia anima", insisto. Un colpo di tosse mi fa schizzare di sangue il lenzuolo bianco. "Sbrigati".
Heather sospira, apre la porta, scompare sul pianerottolo.
Aspetto.
...
Sento passi che salgono, la febbre credo che stia salendo, ho i brividi.
La porta si spalanca, Mutze entra con gli occhi pieni di lacrime ed una fiala in mano.
Mi abbraccia.
"Povera cara... sta tranquilla, andrà tutto bene" mi mormora senza crederci, con dolcezza materna. "Adesso prendi questo cucchiaio, e poi dell'acqua..."
Con le mani che mi tremano porto alle labbra un cucchiaio colmo di questa torbida pozione. Mutze continua ad accarezzarmi i capelli sudati, mi aiuta, mi porge subito dopo un bicchiere d'acqua per lavare via dalla mia bocca l'aspro sapore della pozione.
Brucia come il fuoco nella mia gola, nello stomaco, il calore si diffonde nel mio corpo ardente.
"Sta tranquilla, Rachel, andrà tutto bene... riabbraccerai presto i tuoi piccoli..." Mutze resta al mio capezzale a lungo, mi tiene la mano, mi cambia una pezza fredda dalla fronte.
Il tempo passa... la tosse...
... forse...
sembra placarsi.
Ed io sono dannata per l'eternità.
26 luglio 516
Martedì 23 Aprile 2013
riduzione del danno
"Quello che ti è successo è volgare e ingiusto"
Guardo Skià senza capire, chiedendomi se sia la sua pronuncia insolita della mia lingua a confondermi.
"Devi avere più rispetto di te stessa", insiste la deliota. "Fino a quando non avrai più rispetto di te stessa, neanche gli altri ti rispetteranno".
Mi sorride, fa cenno di sedere accanto a lei, coi piedi scalzi che lambiscono le onde del mare.
"Non so come fare", sospiro. "Nessuno capisce le mie parole... per loro sono solo una schiava, come posso farmi rispettare!"
Skià resta qualche momento in silenzio, scrutando il ristretto orizzonte della baia.
"Lo sai da dove vengo?" domanda poi. "Vengo da un monastero lontanissimo da qui, nell'Impero. Ero prigioniera, mi avevano incarcerata. Sai cosa sono i crimini contro la religione e la morale?"
Scuoto il capo. No che non lo so.
"E' facile, Astea. Sono praticamente tutti i crimini che puoi immaginare. Tra di essi c'è il reato di stregoneria, il reato di adulterio verso un marito che ti è stato imposto dai familiari, il reato di bestemmia, il reato di aggressione contro un vecchio Igumeno che non sa tenere le mani a posto..."
"Igumeno? Cos'è un Igumeno?"
"Un vecchio prete, mettila così"
Annuisco. "E tu eri accusata di tutte queste cose?"
"Tra le altre, sì".
"... caspita..."
"Mi avevano rinchiusa ed avevano deciso di buttare la chiave. Il Destino ha voluto diversamente", sorride. "Gunnvor e i suoi compagni hanno assalito il Monastero, lo hanno saccheggiato, hanno fatto strage dei monaci e hanno rimpinzato due navi colme di bottino. All'interno del bottino... c'ero anche io".
"Ma... come me allora!"
Skià annuisce. "Te l'ho detto. Gli altri ti riconoscono il rispetto che tu per prima attribuisci a te stessa. E' una cosa istintiva, funziona con la gente dell'Impero, con quelli del Granducato... e anche con questi selvaggi del Nord".
"E non ti hanno..."
"No, non mi hanno toccata".
Guardo Skià ammirata, invidiosa. Come accidenti ha fatto a ribaltare così drasticamente una posizione tanto disperata?
Lei mi capisce al volo e sorride. "Sono abbastanza brava a convincere le persone".
Restiamo qualche momento zitte, coi piedi nell'acqua fresca della baia. Non trovo il coraggio di chiederle quel che ho nel cuore, ma non serve. Lei lo intuisce a perfezione.
"Vorresti qualche consiglio?"
"Sì... te ne prego".
"D'accordo allora, Astea. Fa come ti dirò e vedrai che le cose miglioreranno presto. Prima di tutto..." mi guarda seria, "sei sicura di non essere incinta?"
"Oh, per gli Dei... credo... credo proprio di no"
"Molto bene. E' fondamentale che tu non resti incinta."
"Ma come posso..."
Skià sorride. "Fidati di me, gli uomini sono prevedibili. Devi solo evitare che siano loro a guidare il gioco".
Ascolto la Deliota affascinata, incuriosita, a tratti imbarazzata. Lei parla, spiega, racconta con la sua bella voce esotica. Elargisce tutti i consigli che una brava madre non ti darebbe mai.
Ripenso per un attimo ai racconti di mia cugina... quanto tempo è cambiato da allora, com'è lontana quella confidenza innocente. Se potessi parlarle adesso... scuoto il capo. Sono cambiate troppe cose, non si può tornare indietro.
Non rivedrò mai più mia cugina, Reiner, i miei familiari...
"Mi stai ascoltando?"
Guardo Skià, mi scuso.
"Stavo pensando a mia cugina, al mio... amico più caro... alle persone che non rivedrò mai più..."
"Chi ti dice che non li rivedrai mai più?"
"Non penso che mi lasceranno mai andar via..."
"Ecco, stai di nuovo sbagliando atteggiamento. Devi avere fiducia... negli Dei, nella fortuna, nella buona sorte"
Sospiro, poco convinta. "E se anche potessi tornare da loro... mi vorrebbero ancora? Adesso che sono stata... profanata dai Nordri... io ho paura che le cose non torneranno comunque mai più come prima"
Skià mi sfiora la guancia con la mano, costringendomi a guardarla in faccia. E' molto seria.
"Quando tornerai a casa, dovrai essere tu a decidere tutto. Il tuo... migliore amico, il tuo... ragazzo... se osa soltanto alzare un sopracciglio, se ha il coraggio di dare la colpa a te per quel che è successo, se storce il naso per il fatto che non sei più la vergine innocente di qualche mese fa... lascialo agli inferi. Non ti merita"
"Ma io..."
"No, ascoltami. E' una cosa seria. Chiunque a casa dovesse criticarti o farti pesare quel che ti sta accadendo qui, non merita altro che di soffrire una sorte simile, o peggiore. Se il tuo amichetto ti verrà incontro, ti abbraccerà senza farti domande e ti vorrà sposare, subito, senza esitazione, allora prenditelo, è un brav'uomo. Ma in caso contrario... non permettere a nessuno di... ehi, ma stai piangendo?"
Tiro su col naso. "Scusa Skià... scusami, non volevo..."
Skià non dice alto, mi abbraccia stretto mentre io scoppio in un pianto dirotto.
"Io non tornerò mai a casa..." singhiozzo tra i suoi capelli profumati.
"Pregherò per te" mi sussurra all'orecchio. "Andrà tutto bene".
Guardo Skià senza capire, chiedendomi se sia la sua pronuncia insolita della mia lingua a confondermi.
"Devi avere più rispetto di te stessa", insiste la deliota. "Fino a quando non avrai più rispetto di te stessa, neanche gli altri ti rispetteranno".
Mi sorride, fa cenno di sedere accanto a lei, coi piedi scalzi che lambiscono le onde del mare.
"Non so come fare", sospiro. "Nessuno capisce le mie parole... per loro sono solo una schiava, come posso farmi rispettare!"
Skià resta qualche momento in silenzio, scrutando il ristretto orizzonte della baia.
"Lo sai da dove vengo?" domanda poi. "Vengo da un monastero lontanissimo da qui, nell'Impero. Ero prigioniera, mi avevano incarcerata. Sai cosa sono i crimini contro la religione e la morale?"
Scuoto il capo. No che non lo so.
"E' facile, Astea. Sono praticamente tutti i crimini che puoi immaginare. Tra di essi c'è il reato di stregoneria, il reato di adulterio verso un marito che ti è stato imposto dai familiari, il reato di bestemmia, il reato di aggressione contro un vecchio Igumeno che non sa tenere le mani a posto..."
"Igumeno? Cos'è un Igumeno?"
"Un vecchio prete, mettila così"
Annuisco. "E tu eri accusata di tutte queste cose?"
"Tra le altre, sì".
"... caspita..."
"Mi avevano rinchiusa ed avevano deciso di buttare la chiave. Il Destino ha voluto diversamente", sorride. "Gunnvor e i suoi compagni hanno assalito il Monastero, lo hanno saccheggiato, hanno fatto strage dei monaci e hanno rimpinzato due navi colme di bottino. All'interno del bottino... c'ero anche io".
"Ma... come me allora!"
Skià annuisce. "Te l'ho detto. Gli altri ti riconoscono il rispetto che tu per prima attribuisci a te stessa. E' una cosa istintiva, funziona con la gente dell'Impero, con quelli del Granducato... e anche con questi selvaggi del Nord".
"E non ti hanno..."
"No, non mi hanno toccata".
Guardo Skià ammirata, invidiosa. Come accidenti ha fatto a ribaltare così drasticamente una posizione tanto disperata?
Lei mi capisce al volo e sorride. "Sono abbastanza brava a convincere le persone".
Restiamo qualche momento zitte, coi piedi nell'acqua fresca della baia. Non trovo il coraggio di chiederle quel che ho nel cuore, ma non serve. Lei lo intuisce a perfezione.
"Vorresti qualche consiglio?"
"Sì... te ne prego".
"D'accordo allora, Astea. Fa come ti dirò e vedrai che le cose miglioreranno presto. Prima di tutto..." mi guarda seria, "sei sicura di non essere incinta?"
"Oh, per gli Dei... credo... credo proprio di no"
"Molto bene. E' fondamentale che tu non resti incinta."
"Ma come posso..."
Skià sorride. "Fidati di me, gli uomini sono prevedibili. Devi solo evitare che siano loro a guidare il gioco".
Ascolto la Deliota affascinata, incuriosita, a tratti imbarazzata. Lei parla, spiega, racconta con la sua bella voce esotica. Elargisce tutti i consigli che una brava madre non ti darebbe mai.
Ripenso per un attimo ai racconti di mia cugina... quanto tempo è cambiato da allora, com'è lontana quella confidenza innocente. Se potessi parlarle adesso... scuoto il capo. Sono cambiate troppe cose, non si può tornare indietro.
Non rivedrò mai più mia cugina, Reiner, i miei familiari...
"Mi stai ascoltando?"
Guardo Skià, mi scuso.
"Stavo pensando a mia cugina, al mio... amico più caro... alle persone che non rivedrò mai più..."
"Chi ti dice che non li rivedrai mai più?"
"Non penso che mi lasceranno mai andar via..."
"Ecco, stai di nuovo sbagliando atteggiamento. Devi avere fiducia... negli Dei, nella fortuna, nella buona sorte"
Sospiro, poco convinta. "E se anche potessi tornare da loro... mi vorrebbero ancora? Adesso che sono stata... profanata dai Nordri... io ho paura che le cose non torneranno comunque mai più come prima"
Skià mi sfiora la guancia con la mano, costringendomi a guardarla in faccia. E' molto seria.
"Quando tornerai a casa, dovrai essere tu a decidere tutto. Il tuo... migliore amico, il tuo... ragazzo... se osa soltanto alzare un sopracciglio, se ha il coraggio di dare la colpa a te per quel che è successo, se storce il naso per il fatto che non sei più la vergine innocente di qualche mese fa... lascialo agli inferi. Non ti merita"
"Ma io..."
"No, ascoltami. E' una cosa seria. Chiunque a casa dovesse criticarti o farti pesare quel che ti sta accadendo qui, non merita altro che di soffrire una sorte simile, o peggiore. Se il tuo amichetto ti verrà incontro, ti abbraccerà senza farti domande e ti vorrà sposare, subito, senza esitazione, allora prenditelo, è un brav'uomo. Ma in caso contrario... non permettere a nessuno di... ehi, ma stai piangendo?"
Tiro su col naso. "Scusa Skià... scusami, non volevo..."
Skià non dice alto, mi abbraccia stretto mentre io scoppio in un pianto dirotto.
"Io non tornerò mai a casa..." singhiozzo tra i suoi capelli profumati.
"Pregherò per te" mi sussurra all'orecchio. "Andrà tutto bene".
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