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Discussioni sul GdR in generale e su tutto ciò che altrove è off-topic.

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Annika
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Messaggioda Annika » 21/12/2004, 13:28

Adesso dobbiamo decidere anche una dead line?? (Il lavoro mi rovina, lo so...)


Eh? E sarebbe??? :scratch:

Facciamo senza dead line, che ne dici? L'idea di Luca non mi dispiace, ma perchè Luca non ti cimenti anche tu nel gioco? Sicuramente potresti tirare fuori qualcosa di interessante!

Sui Campi del Pelennor


Wow! Continua! Mi incuriosisce la storia di questo poveraccio finito in mezzo alla battagliona... l'idea è bella e anche la scelta del contesto preciso (la battaglia sui campi del pelennor) vince bene.
Adesso sarebbe bello sapere che tipo è il povero protagonista, chi ha lasciato a casa, che cosa vuole fare, mi vengono un sacco di domande!

Resto in attesa del seguito.
Per "rispondere" devo appiccicare qualcosa qui sotto... mmm.... lavori in corso per lavori in corso, ecco il primo paragrafo della storia che sto scrivendo adesso!

uno due tre... via


Tikki si sporse per raggiungere un fiore oltre il limitare della rupe. La treccia le scivolò davanti al naso e la bambina perse l’equilibrio, ma poggiò la mano a terra e si tenne in ginocchio.
Alzò la testa e si voltò a guardare casa sua, poco distante. Vide il tetto coperto d’erba, la finestra aperta e, attraverso di essa, la mamma che stava preparando da mangiare. Non s’era accorta che lei stava giocando vicino al dirupo, per fortuna, altrimenti l’avrebbe sgridata.
Quel pomeriggio c’era un po’ di foschia, che in basso, sull’acqua, era densa ed impediva di scorgere l’altra sponda del fiordo. Solo la cresta delle montagne emergeva dalla nebbia e si confondeva con le nuvole cariche di pioggia.
Tikki era abituata a quel paesaggio ombroso. La sua casetta si riparava dietro il fianco di un roccione a picco sulle acque del grande fiordo che si spingeva per leghe nell’interno, tra le montagne, i ghiacciai e le foreste: l’Artiglio. Erano isolati dal villaggio, di cui si intravedeva il campanile di legno più in alto, oltre il torrente.
Ma il fiorellino era ancora lì, tra le rocce più giù di quanto il suo braccio arrivasse. Tikki provò ancora a sporgersi ma, per quanto si allungasse, non riusciva che a sfiorarlo con la punta delle dita.
Sbuffò. Si stese pancia a terra. Sentì umido e freddo attraverso la stoffa, però in questo modo il fiore era raggiungibile. Sporse il braccio, e la sua testa bionda adesso si appoggiava sul niente, sulle rocce che scomparivano in basso nella foschia. Un rigagnolo spumeggiava dal lato del roccione. Tikki finalmente raggiunse il fiore e lo colse. Rimase qualche istante così, in questa insolita posizione che le permetteva di guardare un po’ più in là del solito.
C’era qualcosa che si muoveva sull’acqua, appena un’ombra in lontananza. Forse un uccello che planava, o molti uccelli vicini, a giudicare dalle dimensioni. Avanzava molto lentamente.
Tikki si tirò su in ginocchio, reprimendo un’improvvisa vertigine. Il vestitino era un po’ infangato, ma il fiore era così bello che n’era valsa la pena. Sorrise soddisfatta.
« Mamma! » corse verso casa con il fiore in mano, « mamma guarda che bello! È per te! »
Saltellò sui gradini che tenevano la casetta di legno sollevata rispetto al terreno e spalancò la porta. C’era un buon profumo di stufato, e la mamma stava spennando un uccello seduta al tavolo.
« Zitta! Non vuoi mica svegliare tuo fratello? » Poi la guardò meglio, « guarda come hai ridotto il vestito… ti sei rotolata nel fango? »
« Ti ho portato… questo fiore… » Tikki le si avvicinò un po’ avvilita, « non ti piace? »
La mamma sospirò e le rivolse un sorriso, « oh, grazie… è molto bello. Però parla sottovoce, che tuo fratello si è addormentato adesso… »
Tikki ancora teneva in mano il fiore, e si avvicinò a sbirciare nel sacco dove la mamma stava infilando le piume. « Ti posso aiutare? » le chiese, quasi ficcandoci la faccia dentro. Le piume avevano un odore ancora pungente, e facevano pizzicare il naso.
« Metti il fiorellino nella tazza con un po’ d’acqua. »
Tikki ubbidì e, passando vicino al focolare, sbirciò nella pentola che bolliva sul fuoco.
« Tra quanto si mangia? »
« Quando torna tuo padre dal villaggio » rispose lei, « non dovrebbe mancare molto. Hai fame? »
« Sì! Una fame da orso! »
La mamma si alzò in piedi, poggiò l’uccello ormai spiumato sul tavolo e si asciugò le mani col grembiule. Poi sollevò il coperchio della madia e diede alla bambina un cantuccio di pane.
« Tieni questo intanto… ». Si avvicinò alla culletta sospesa dove dormiva il neonato e controllò che non si fosse svegliato. Tikki afferrò il pane con tutte e due le mani sporche, e lo addentò con grande soddisfazione.
« Mangi pane e fango, piccina mia… » le disse sua mamma accarezzandole i capelli.
«Mamma, lo sai che c’era una cosa che camminava sul mare, prima? » le disse Tikki tra un boccone e l’altro, « una cosa grossa e lontana… come un uccello enorme che vola basso basso. »
« Chissà, forse è uno stormo di migratori che vanno via per l’autunno. »
Tikki annuì, diede un altro morso al pane e raccolse le briciole dal tavolo. « Torno a giocare allora? Papà quando viene? »
« Vai tesoro, ti chiamo io quando è pronto. E sta lontana dal ciglio della rupe, mi raccomando. »
« Certo mamma. »
Mentre Tikki correva fuori, sua madre l’accompagnò con lo sguardo. Subito un vagito dalla culletta la distrasse, si avvicinò al maschietto addormentato e lo fece dondolare per qualche istante. Poi tornò a dedicarsi alla cucina.
Non era passato molto tempo, che riconobbe i passi di suo marito che facevano cigolare i gradini di casa. Gli andò incontro sistemandosi i capelli con la mano.
« Dove sta la mia Rose? » disse lui, e lei già gli era tra le braccia. Si baciarono e lui sorrise annusando il buon profumo di stufato. « Ho una fame da orso! » disse, poi posò una mano sul ventre della moglie, « e vedo che anche il guerriero in arrivo cresce a vista d’occhio! »
« Avrà preso da suo padre? » rispose lei. In effetti lui era alto, largo di spalle e con un gran barbone rossiccio che gli nascondeva una cicatrice sullo zigomo. Lui scoppiò in una risata tanto forte da far agitare l’altro piccino nella culla.
« Fa piano! » subito Rose lo azzittì, « non sai quanto c’è voluto per addormentarlo… ». Poi prese le scodelle e le dispose sul tavolo. « È tutto pronto, comunque, possiamo mangiare. »
Lui annuì, e si avvicinò alla finestra. « Chiamo Tikki, allora… »
Guardò fuori e non vide la bimba. C’era il roccione sulla sinistra che riparava dal vento, la betulla con l’altalena attaccata, l’orticello protetto dai teli e, più avanti, la rupe. Oltre si stendeva la nebbia.
« Scusami… » gli disse Rose, spostandolo appena per aprire la madia e prendere il pane da tagliare. Lui si scansò di un passo, e tornò a guardare fuori.
Adesso scorse Tikki, proprio sul ciglio della rupe, che si sbracciava, agitava le mani come per salutare qualcuno. Il vento le muoveva la treccia bionda, e anche la gonnellina.
« Ma cosa…. »
Rose prese con un panno il manico della grossa pentola, ed aiutandosi con una mestola iniziò a distribuire lo stufato nei piatti. Lui sentì lo stomaco che gli brontolava. Ma chi diavolo stava salutando Tikki?
« La piccola sta in piedi sul ciglio » borbottò mentre si avviava alla porta per andarla a chiamare, « ora buscherà qualche scapaccione »
« Sgridala dopo, Ulfrid, ora mangiamo, che si raffredda… »
Lui uscì dalla casetta e subito chiamò: « Tikki! Vieni immediatamente qui! »
La bimba lo sentì, si girò verso di lui e, per nulla intimidita, gli fece cenno di avvicinarsi. « Papà! Ci sono i draghi! » gridò, « vieni a vedere, corri! »
Ulfrid scese i gradini e si avvicinò.
L’altra sponda del fiordo era indistinguibile, celata dalla nebbia fitta. Ma presto vide che qualcosa si muoveva sull’acqua, in basso, una moltitudine di sagome scure.
« Vieni via di lì, Tikki » disse quasi sottovoce.
La bambina era rapita da quelle strane forme nella nebbia. Volti di draghi intagliati nel legno, mostri marini, cigni ombrosi: le prue di molte e molte navi da guerra che avanzavano silenziosamente sulle acque calme del fiordo.
Ulfrid corse da Tikki e l’afferrò per un braccio, strattonandola via. Incurante delle lamentele della bambina, la trascinò in fretta verso casa.
« Rose! » chiamò ancora ai piedi del portico, « Rose prendi il piccolo! »
Lei uscì sulla porta, incuriosita dalle grida. Lui le corse incontro e le sbatté davanti Tikki.
« Mamma… ci sono i draghi… » piagnucolò la bambina. Rose guardò il marito che entrava in casa come una furia. « Porta i bambini al bosco, nascondetevi! » le ordinò.
Spinse da una parte il tavolo apparecchiato, lo stufato volò a terra.
« Ma che stai facendo… »
« Ti ho detto di portare in salvo i bambini, dannazione, ubbidisci! »
Sollevò un’asse del pavimento e tirò fuori un’ascia da battaglia.
Rose mandò un grido, afferrò il piccolino dalla culla e Tikki per un braccio, e cominciò a scendere i gradini. Suo marito uscì un attimo dopo, con l’ascia in una mano ed un corno nell’altra.
« Fatevi sotto, Utumni » mormorò. Poi corse alla rupe, alzò il corno e suonò.
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Messaggioda Garabombo » 21/12/2004, 14:20

UAU!! La situazione si fa interessante... mi piace, mentre leggevo saliva la tensione (sarà perché la pausa pranzo è finita e leggo mentre lavoro???) :eeeek: e adesso non vedo l'ora di sapere come prosegue...

Dunque: la "dead line" non è altro che una data di scadenza (mi faccio un po' schifo ad averlo scritto in inglese... io preferisco l'italiano)... ce la diamo, oppure no? Io direi di vedere cosa abbiamo fatto della traccia di Luca (Elmer's Pupil... piacere, io sono Michele) per dopo Natale (io lavorerò anche fra Natale e Capodanno... e anche subito dopo capodanno... e la pausa pranzo oramai è destinata a Myst!)... così abbiamo tempo di seguire tutti i "progetti" che abbiamo in mente.

Il "poveraccio" preso nel mezzo... già avevo l'idea scrivere chi fosse... ma aspetta, non essere impaziente! Comunque sono contento che l'idea piaccia... non è un super eroe... è un uomo della truppa, ma anche la sua storia merita di essere raccontata... questa sera proseguirò...

Bene, a presto (che significa domani) e che la battaglia continui :knight: (ma non far del mare alla povera Tikki!)... CIAO

Michele
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Messaggioda Annika » 21/12/2004, 16:24

La storia di Tikki e compagnia prosegue ancora parecchio (sono le prime 2 delle 20 pagine che ho scritto)... ne mandero' un po' alla volta! :) e intanto avanzo nella scrittura....

La "dead line" che proponi mi sta bene! Allora per Natale avro' buttato giu' qualcosina sul tema di Luca.... chissa' se qualcun altro partecipera' al gioco? :)

Quanto al poveraccio della truppa.... è giusto! Non ci sono solo gli eroi nelle storie, ma anche la gente più "normale" ha storie interessanti.... si sono curiosa e aspettero' con ansia il seguito! :)

(ma non far del mare alla povera Tikki!)...


Chissà! :) Segreto!!!

Anna
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Messaggioda Elmer's pupil » 22/12/2004, 0:57

[Io direi di vedere cosa abbiamo fatto della traccia di Luca (Elmer's Pupil... piacere, io sono Michele) [/quote]

Piacere Michele...non è che non mi volessi presentare, ma, data la funzione che mi sono attribuito di commissionatore delle vostre storie, volevo conservare un'aura di mistero, come avessi chiesto a Mozart di scrivere il Requiem..... :lichmalignus:

In ogni caso ormai Anna mi ha smontato (del resto lei mi conosce!) e quindi mi tocca uscire allo scoperto :signoops:

Scrivete, scrivete, scrivete.....


Luca
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Messaggioda Elmer's pupil » 22/12/2004, 1:04

....E raccontateci che fine fa il nostro sfortunato eroe dell'Ithilien e se la felice famigliola sopravvive ai Vichingoni!
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Messaggioda Garabombo » 22/12/2004, 9:40

Bene, Misterioso Visitatore della Notte,
oramai la commissione è stata presa in carico... ti stupiremo with special effects!

Il povero (nel senso di poco fortunato... forse) arciere prosegue la sua avventura qua sotto.

Sui campi del Pelennor II
La faretra con le frecce pendeva ancora dal suo fianco destro; con la mano toccò le penne e ne contò tredici; l’arco doveva essere da qualche parte oltre il cespuglio di tasso. Lo cercò nell’oscurità che lasciava indovinare solo le forme più grosse: senza pensare sgusciò da sotto il cespuglio e si avventurò oltre il suo rifugio tastando in silenzio il terreno. Il rumore degli scarponi oltre la collina lo fece muovere lentamente, difficilmente avrebbero potuto vederlo anche se qualcuno si fosse spinto fino sul bordo del colle. Si spinse fino ai corpi caduti dei suoi compagni, ma alla fioca luce dei fuochi accesi nella devastazione riuscì solo ad intuire chi fosse la persona a cui si accostava. Trovò infine un arco che riconobbe sotto le dita come il suo dagli intarsi dell’impugnatura e, poco distante, anche la bisaccia della sua cavalcatura. Dei cavalli, invece, non trovò altro che le tracce della loro furiosa fuga dopo l’attacco; ne indovinò la disperazione e la frenesia del galoppo tastando le tracce sul terreno. Decise che anche per lui era giunto il momento di allontanarsi. Il basso versante della collina non lo avrebbe sottratto ancora per molto all’affollarsi dei soldati nemici al di qua della diga. Presto avrebbero invaso anche quella che per lui si era rivelata una isola di salvezza. Decise di inoltrarsi nei campi dall’altra parte del fosso, che erano, per il momento, ancora poco interessati dall’avanzata nemica.
Sempre il più silenziosamente possibile si calò nuovamente al di là della siepe di tasso, aspettò immobile fino a quando fu sicuro che nessuno lo avesse sentito, quindi attraversò il fosso e si appoggiò sulla sponda opposta. Guardò il cielo, ma gli fu impossibile comprendere che ora fosse della notte, o del giorno. L’oscurità che si era levata il giorno precedente non si era diradata, anzi sembrava ancora più fitta e cupa e non lasciava penetrare la luce di alcun astro. Ipotizzò di essere rimasto steso sull’orlo del canale per quattro ore; tanto credette avessero impiegato le truppe avanzanti ad occupare il terreno attorno alla città. Guardò nuovamente verso occidente, la città a poche miglia di distanza, cercando una via che lo portasse nelle prossimità delle mura, ma per quanto era possibile intuire nella notte e a quella distanza, l’accerchiamento operato dal nemico, seppure non ancora completo, era comunque troppo avanzato per consentirgli di raggiungere la sua meta senza l’insormontabile rischio di essere scoperto. Ovunque avanti a sé vide fuochi e colonne di fumo alzarsi, e figure nere muoversi a gruppi sempre più numerosi attorno ai fuochi.
Decise di discendere la roggia verso il Grande Fiume, in questo modo allontanandosi dalla città e, pensava, dalla maggiore concentrazione degli eserciti assedianti. Lentamente si risvegliava in lui il ricordo di un sentiero lungo il monte alle spalle della città, là dove le cerchie più alte delle mura si univano alla colonna di roccia ed era possibile, camminando sul baratro, uscire dall’abitato, salire lungo il versante fino ad una cengia scoscesa, e quindi ridiscendere un vallone boscoso e raggiungere la pianura coltivata. Distava due o più leghe dal luogo ove si trovava, e l’esercito di Mordor era nel mezzo del suo cammino; ma lo avrebbe raggiunto, o almeno avrebbe tentato di farlo.
Camminò per qualche minuto sul fondo del corso d’acqua, allontanandosi dal tumulto e dirigendosi verso sud – est. La notte divenne sempre più buia, ora il bagliore degli incendi era occultato dall’ondulazione del terreno e a stento individuava le sponde ai suoi fianchi. Solo il cielo assorbiva il cupo rosso della distruzione, ma il suo riflesso non raggiungeva il terreno. Avanzò lentamente e silenzioso: lasciò che i suoi passi si confondessero nello scorrere leggero dell’acqua lungo il suo alveo, tutti i sensi all’erta.
Improvvisamente si fermò: il rumore dell’acqua non gli aveva impedito di udire voci davanti a sé. Un gruppo di persone si avvicinavano alla sua sinistra. Si stese sulla sponda e liberò la spada sotto il suo corpo, l’arco poggiato al suo fianco. Comprese dalle voci che un gruppo numeroso stava raggiungendo il fosso poco più a valle del luogo ove si era acquattato, probabilmente erano quasi un centinaio: una compagnia di orchetti? Udì il clangore delle armature e delle armi, dei passi lunghi e pesanti con cui la compagnia avanzava; probabilmente un plotone di alti Haradrim in perlustrazione. Ne indovinò le figure a un centinaio di passi di distanza raggiungere l’argine del fosso; comparvero alcune torce, non si era ingannato: anche alla fioca luce delle fiaccole riconobbe gli stemmi rossi del regno del sud. Alcuni di essi si chinarono sul fosso, oramai poco profondo rispetto al terreno, e allungarono le mani verso l’acqua empiendo, così gli parve, delle borracce. Coprì, con ciò che rimaneva del proprio mantello, il metallo della sua leggera cotta di maglia e della spada, per impedire che il riflesso delle fiamme rivelasse la sua presenza. Li udì scambiarsi frasi cupe e veloci: non si sentivano al sicuro, nonostante la quasi totale conquista del territorio difeso dal Rammas. Provò la tentazione di tirare rapide frecce nel buio, ma comprese che sarebbero state inutili, e le ultime prima di una rapida morte. Attese che si allontanassero, proseguendo lungo il canale, in immobile e silente preoccupazione: non avrebbe avuto possibilità di cercare un luogo ove nascondersi, nel caso si fossero avvicinati. L’oscurità era la sua unica difesa; a dispetto delle intenzioni del Nemico, l’oscurità lo favoriva.
[continua...]

La situazione si fa più difficile... ma non disperiamo... io invece sono preoccupato per Tikki ed il piccolo... quell'Ulfrid lì vuol fare l'eroe... è rischioso!!

Invece per la nostra "Giostra Medievale del Racconto" ho già qualche ideuccia... :wink:
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Messaggioda Annika » 22/12/2004, 11:53

Poveraccio il nostro arciere.... speriamo che riesca a nascondersi senza farsi massacrare!!!

Quanto alla faccenda di Tikki... dovrai aspettare qualche giorno, visto che il paragrafo successivo della storia che sto scrivendo cambia protagonisti...

... ed eccolo qui! :)


*

Quello stesso giorno, al villaggio di Tuor c’era aria di festa.
Da molti anni Gjlda non aveva visto simili preparativi, da quando, ancora giovane, aveva assistito alle nozze di Astolf il Borgomastro con Irene di Flakkedam. Allora aveva tre figli piccoli, un marito e poteva ricamare anche punti minuscoli senza difficoltà, mentre ora, nonna e vedova, cominciava a vederci troppo male da vicino per eseguire un ricamo. E a sposarsi questa volta era proprio Margrethe, la figlia minore del Borgomastro, una bella ragazza molto somigliante a sua madre.
« Nonna! Che fai qui giù da sola, non vieni a darci una mano? »
La vecchia sorrise e salutò con la mano il bambino. « Mi sto riposando un momento, c’è bisogno d’aiuto? »
« La mamma dice che devi venire per i dolci allo zenzero. Lei non è tanto capace… »
Gjlda, aiutandosi con il bastone, si alzò in piedi. « Dammi il braccio, Tomska, ho paura di scivolare… su, da bravo. »
Il bambino le fu accanto in un salto. Per raggiungere le prime case del villaggio, un po’ più in alto, era necessario oltrepassare il torrente che di lì a qualche passo si tuffava nel fiordo. I sassi erano scivolosi e in pendenza.
« Se la mamma lo sa, che sei venuta qui giù da sola, nonna…. » le disse il bambino con aria un po’ complice, « lei dice che qui è pericoloso per te, che rischi di farti male. »
Lei si appoggiò al braccio del bambino – Tomska aveva otto anni ma era già abbastanza alto – e si avventurò tra le sterpaglie e i sassi lungo il torrente, verso il guado.
« Ma tu non glie lo dirai, non è vero? » disse lei, « e così magari tra tanti dolcetti allo zenzero ce ne sarà qualcuno in più per il mio nipotino silenzioso… »
Tomska rise. « Terrò il segreto, nonna, sta tranquilla! »
Ogni volta che percorreva quel sentiero, Gjlda sentiva di essere ancora viva. Le sue coetanee, le altre vecchie del villaggio, erano ormai sempre chiuse in casa, o al massimo uscivano nella piazzetta a mezzogiorno, nulla più. Temevano il freddo, gli spifferi, l’umidità e la nebbia che nasceva dal mare. Lei invece, più passava il tempo, più sentiva il desiderio di stare all’aperto, di guardare l’acqua nera e le barche alla pesca, le piaceva osservare gli alberi e restare da sola ad ascoltare il rumore del ruscello.
« Forse è segno che sto diventando un po’ rimbambita… » disse quasi tra sé.
« Che dici, nonna? » Tomska spostò alcuni rovi di lato col piede per allargarle il passaggio, « che segno? »
« Niente, niente… »
L’ultimo tratto era in piano, tra alcune case di legno col tetto ricoperto di zolle di terra. Alcune avevano un basamento in pietra, mentre altre posavano su travi rialzati in modo da stare discoste dall’umidità del suolo.
« Aspetta, fermati nonna, hai una foglia tra i capelli »
Lei si passò una mano in testa, e scrollò il capo. « Adesso? Ce l’ho ancora? »
« No, sei perfetta. Su, spicciamoci! »
Più in alto, nella piazzetta di Tuor, c’era parecchia gente. Alcuni uomini stavano mettendo dei festoni tra una casa e l’altra, mentre le donne sistemavano lumini alle finestre per il corteo nuziale.
« Posso accenderne uno? » chiese Tomska, avvicinandosi, « me ne fai accendere almeno uno? »
« È ancora presto, questi servono per il corteo . Oh, ecco che ci sei, Gjlda… ti stavano cercando, di là al forno! »
Gjlda annuì. « Sì, grazie… sto andando proprio lì. »
Passarono davanti al grande fienile addobbato per l’occasione, ma non ci si poteva nemmeno affacciare dentro, due robusti pescatori impedivano l’accesso ai curiosi.
« Stasera sarà lì dentro il ballo » spiegò Tomska a sua nonna, « ma non vogliono che nessuno vada a vedere come l’hanno decorato… però io ho scoperto che ci sono alcune fessure sul retro da cui si vede dentro… lo sai? Ed è tutto pitturato di bianco, alle pareti! È bellissimo! »
La vecchia annuì.
« Anche quando mi sposai io, tantissimi anni fa, festeggiammo in un grande fienile imbiancato… è la tradizione, e c’erano tanti fiori e lanterne colorate… »
« Davvero? E c’era anche l’Interprete? Lo sai che hanno fatto venire un Interprete da Flakkedam, uno importante… dicono che stasera ci sarà un Vaticinio con un capretto, sai? »
Gjlda non lo sapeva.
« Hanno fatto le cose in grande allora. Io pensavo che sarebbe bastata la benedizione dell’Allieva dell’Interprete, quella ragazza, Riss… di solito basta un Allievo. Anche ai miei tempi c’era solo l’Allievo che leggeva il fegato di un uccellino… » sorrise al pensiero, « e lo sai a me cosa disse? Che avrei vissuto tanto da vedere combattere in guerra i miei nipoti! »
Tomska la guardò di sottecchi: « come sarebbe a dire! »
« Sarebbe a dire che puoi prendertela comoda ad imparare a maneggiare le armi… e che non c’è nessuna fretta! » rispose Gjlda, e ridacchiò. Anche il bambino sorrise, la prese per mano e continuarono fino al forno di buon passo.

*
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Messaggioda Annika » 22/12/2004, 11:56

Ho pensato che forse è il caso che creiamo un topic per storia, altrimenti alla fine viene un mega appiccicaticcio!

Che ve ne pare, non è più ordinato? :fatalfridge:

Quanto alla storia suggerita da Luca.... proprio stanotte ho avuto l'idea!!! Credo che iniziero' a giocherellarci in pausa pranzo.... e chissà che cosa ne verrà fuori!


Anna
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Messaggioda Garabombo » 22/12/2004, 14:49

Annika ha scritto:Ho pensato che forse è il caso che creiamo un topic per storia, altrimenti alla fine viene un mega appiccicaticcio!


Mi sembra corretto... mo' mi ingegno su come fare... non aiutatemi, va bene? "Qualsiasi cosa succeda non aprite questa porta!" ... pausa pranzo dedicata a rivedere Frankestein Junior... ultimamente si lavora pochino!!

Direi che questo luogo, invece, potrebbe rimanere l'arena in cui la giostra letteraria avrà luogo! Quindi i racconti sulla traccia di Elmer's Pupil li mettiamo qua? Vi sembra una buona idea? :wink: EH??
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Messaggioda Annika » 22/12/2004, 14:51

Direi che questo luogo, invece, potrebbe rimanere l'arena in cui la giostra letteraria avrà luogo! Quindi i racconti sulla traccia di Elmer's Pupil li mettiamo qua?


D'accordo!
Ho iniziato a scrivere oggi in pausa pranzo, una paginetta..... l'idea c'è e mi ci sto divertendo... cmq non verrà una cosa lunga, prevedo 4 - 5 pagine al massimo!
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Messaggioda Garabombo » 24/12/2004, 20:30

Accidenti! Io ho avuto un'idea geniale (see... dicono tutti così...) lunedì, ma non ho avuto voglia di scrivere ed ora sono un po' arenato... e il giorno si avvicina!! Direi che sono nei pasticci...

Ma non importa in realtà volevo solo dire questo:

BUON NATALE A TUTTI!

Michele
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Messaggioda Annika » 26/12/2004, 16:03

Buon Natale! :x-mas:
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Messaggioda Garabombo » 28/12/2004, 11:55

Io ho finito il racconto!

La prima parte è stata anche riletta (una volta, neee!! Quindi siate comprensivi!) e così comincio ad attaccare qua sotto... anche se sono 9 pagine...

Shabra del Flauto

E' la pianura più vasta che si incontri sul continente.
Vista dal Picco dei Tre Signori assomiglia ad una enorme distesa di sabbia e roccia grigia, incisa di quando in quando dagli artigli di un enorme felino che si stesse affilando le unghie. Valli profonde e quasi rettilinee, queste, ne interrompono il lieve ondulare lungo miglia e miglia di arbusti ed erbe secche e taglienti, che sopravvivono grazie alla poca acqua che non scorre via durante i veloci acquazzoni della stagione delle piogge. A meridione è delimitata dalla catena dei Monti Ouros, che si levano quasi verticali dalla piana; un muro alto poco meno di settemila piedi nelle sue vette più alte, e che verso occidente ed oriente volge le sue propaggini al nord, racchiudendo un golfo di aridità e di desolazione largo più di duecento miglia e profondo poco meno di un terzo. Ad oriente, poi, questa pianura si affaccia sull'Oceano di Antafasta, fra scogliere ed insenature, golfi minori e maggiori, collane di alte isole e promontori che frantumano le perturbazioni portate dai flutti e ne fanno la zona più umida e piovosa del continente. A settentrione, fino a dove può giungere l'occhio della più acuta delle alte aquile delle vette, si vede la piana, le sue valli, che sono più simili a crepacci in un terreno vulcanico, gli enormi massi erratici lasciati da antiche glaciazioni, e la migrazione dei suoi possenti Malamuth, animali dalla costituzione gigantesca, capaci di schiacciare una torre sotto il loro peso. E infine, lontano, così lontano che l'occhio fatica a vedere e la mente a comprendere, si scorge il riflesso del sole sui ghiacci della grande calotta gelata, il Polo, luogo così distante e inospitale che le genti che abitano la Piana lo chiamano Maledizione. A occidente, invece, una catena di monti bassi, dolci colline, separa la pianura da una zona di foreste e laghi grandi come l'immaginazione può crearli, e creature meravigliose e mai che nessuno è mai stato capace di descrivere.
La Piana è abitata, oltre che dai suoi principi, i Malamuth, alti, come l'albero Sequoia che cresce all'occidente, e larghi come venti uomini che si tengono per mano, e pesanti, così pesanti che quando la Mandria si muove veloce il suolo trema per miglia attorno, e la polvere che si solleva è il fumo di un incendio, dicevo, la Piana, oltre che dai Malamuth, è abitata da mammiferi di più modeste dimensioni, Cervi della Steppa, veloci e con gli alti palchi su cui si riflette la luce della luna, Buoi e Bisonti dal Pelo Lanoso, grandi, ma bambini di fianco ai Malamuth. E i graffianti Leopardi dalla Zanna, alti come un uomo, veloci come il vento fra le cime del Picco dei Tre Signori, e possenti tanto da riuscire ad abbattere un Malamuth adulto, ma in branchi di dieci almeno, perché un solo Leopardo non potrebbe tenere testa al re della steppa. E poi, nascosto nelle valli strette e scoscese, in piccole comunità spesso in competizione tra loro, vi è anche l'Uomo. L'Uomo della Piana, viene chiamato dalle poche altre popolazioni che lo conoscono, oppure Colui che Cammina, come si chiamano da sé, memori, probabilmente, di antiche pellegrinazioni.
Giù dai Monti Ouros, e verso le distese ghiacciante della Maledizione, soffia un vento costante, lieve, leggero, che fa sibilare dolcemente le erbe e le basse piante della Piana di giorno e di notte. La Piana è anche chiamata, dalla popolazione umana che la abita, il Fruscio; questo perché, al di là del lieve fischio dovuto all'azione del vento, tutti gli abitanti della pianura, dai maggiori appena descritti, ai minori che popolano la bassa terra e le strette valli, emettono pochissimi richiami, quasi timorosi di sovrastare con il loro inutile bisbigliare il suono del Sussurro dei Possenti Dei, come è chiamato il vento. Ma durante i rari mesi estivi dall'Oceano ad est giunge il Vento della Madre, che porta piogge, le poche che non si scaricano sulla costa, e folate rumorose come risate di uomini a caccia. In questi mesi, nei quali si verificano acquazzoni potenti, gli animali si rintanano nella loro solitudine silenziosa, quasi disturbati dallo scrosciare dell'acqua sulle rocce e dalle folate fra i rami. Ma presto le perturbazioni passano e ritorna il basso sole a illuminare il niente assoluto di questa terra desolata.
[Continua...]

Un po' troppo descrittivo, vero? Ma da qua in poi ci sono anche personaggi su personaggi!!! :!exclaim:

Ciao

michele
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Messaggioda Garabombo » 29/12/2004, 15:27

E visto che ho voglia attacco anche con il secondo capitolo...

'Masca,' udì una voce dal basso, 'il sole cala. Presto il freddo della notte ci rapirà ai vivi, se non torniamo al capanno!'
Il basso uomo che stava osservando la piana sotto di sé, a una distanza di più di tremila piedi, si volse e guardò il ragazzo che aveva parlato; quindi si levò in piedi dalla roccia ove era stato seduto per più di tre ore e si avviò lungo il sentiero che discendeva a valle da quello sperone settentrionale del massiccio del Picco dei Tre Signori. Fecero il cammino senza parlare, considerando le ombre nere che lente si allungavano dalle propaggini dei monti verso oriente nella terra ai loro piedi. L'uomo chiamato Masca, coperto da un camiciotto di grezza lana e da una tunica corta di pelle, con sulle gambe muscolose dei pantaloni pure in lana, più leggera, camminava leggermente più avanti del compagno, immerso in pensieri non facili da indovinare leggendo il suo volto scarno e affilato.
Dopo non molto giunsero in un avvallamento. Avevano abbandonato il bordo esterno del versante della montagna ed ora vedevano davanti a loro una larga valle che si apriva verso occidente, con erba verde e abbondante, nutrita dal torrente gorgogliante che scorreva dal picco alle loro spalle. Al riparo di un breve colle si vedeva una bassa costruzione, appoggiata e in parte coperta dal prato erboso sopra di essa. Il camino lasciava fuggire un lieve filo di fumo che saliva dritto nella sera invernale; una luce rossastra filtrava dalla finestra a fianco della porta verso la quale si diressero. Prima di entrare entrambi gli uomini si fermarono a scuotere il terreno via dalle calzature, quindi aprirono l'uscio ed entrarono.
'Shabra, Signora, la notte scende sulla Piana. Non ci sono fuochi accesi.' Disse Masca rivolto ad una esile figura che guardava fuori dalla finestra dalla parte opposta del largo ambiente che era l'unica stanza della costruzione. A destra due bassi tavolati erano al tempo stesso giacigli e panche per sedere, mentre a sinistra, nella parte scavata nel fianco del colle, si apriva una nicchia dove un letto in legno era incastonato, in parte nascosto da pesanti tende ora tirate. Nel mezzo della stanza un focolare ardeva allegro e sopra le fiamme una pentola appesa ad una catena conteneva una zuppa fumante.
La donna che si voltò aveva un volto delicato, segnato precocemente dagli anni in rughe sottili attorno agli occhi, ma ancora bello e sereno, con due fiaccole per pupille. Aveva la mano destra appoggiata alla lastra di vetro che chiudeva la piccola apertura della finestra. Lo sguardo di Masca corse alle dita della mano, serrate in un pugno tremante.
'Non è servito rimanere quassù tre giorni, Signora.'
La frase avrebbe dovuto essere una domanda, ma l'intonazione e gli occhi dell'uomo ne avevano lasciato morire la cadenza trasformandola in una affermazione.
'Sì, amico mio,' rispose la donna, 'è servito a capire molte cose. Ma comprendo cosa vuoi dire.' Lo guardò negli occhi e vide l'amore e la rabbia che Masca provava oramai da dieci anni. 'Domani torneremo e la scelta sarà fatta.'
'Non cambierai la tua scelta?' Di nuovo le parole corsero senza inflessione dalla porta alla finestra.
'No, lo sai. Lo sai da molto tempo. La scelta è stata fatta prima che entrambi nascessimo. Non può essere cambiata. Non come intendi tu.' Dette queste parole Shabra si avvicinò al focolare e rimestò il cibo nella pentola. 'Ora sediamo e ceniamo. La notte è lunga, ma ci serve un lungo riposo.'
Il ragazzo tolse dalla parete della porta un corto tavolato che appoggiò sui sostegni che Masca aveva preparato prendendoli dal lato opposto della parete. Masca tenne gli occhi inchiodati alle mani della donna mentre ella girava un mestolo in legno nella pentola e mentre versava il cibo nelle ciotole che aveva preso da una madia vicino alla nicchia. L'uomo prese dalla stessa madia delle forme di pane secco, le immerse delicatamente in una bacinella d'acqua e le portò in tavola su di un piatto in terracotta. Si sedettero, l'uomo e il ragazzo sui tavolati, mentre Shabra su di uno scranno avvicinato da Masca, e, prendendosi le mani, pregarono il Vento della Madre di portare piogge lunghe e abbondanti. Quando ebbero finito il ragazzo si buttò vorace sul cibo, ma Masca e Shabra tennero le mani allacciate ancora per qualche tempo, lui guardandola negli occhi con uno sguardo triste e addolorato, lei guardandolo sorridendo e carezzandogli la mano. Quindi abbassarono gli occhi e mangiarono senza parlare.
'Signora!' disse il ragazzo dopo aver mangiato veloce, 'Le tue dita sono guarite?'
La guardava da sopra la ciotola in cui aveva appena finito di mangiare, gli occhi speranzosi e la voce titubante a causa dell'arditezza della domanda.
'Certo, Unjarta, certo.' Rispose Shabra sorridendo.
'Allora alla prossima Luna la Musica si farà!' continuò il ragazzo, gli occhi illuminati dalla gioia e dalla felicità.
'Certo, e sarà la più bella Musica che sia mai stata suonata!' Shabra rise perché il volto del ragazzo, che durante i giorni della loro permanenza sulla montagna era sempre rimasto serio e teso, ora esprimeva la spensieratezza dei dodici anni che il ragazzo effettivamente aveva.
Masca taceva mangiando lentamente un boccone, poi il successivo. Guardava ora il volto della donna, ora il ragazzo alla sua sinistra. Sentiva il vento soffiare fra le cime degli alberi e attorno alle assi della casa. Guardava visioni di anni passati, lontani nel tempo, di una ragazza che suonava un corto flauto, una musica degli angeli, danzando leggera e facendo roteare alla luce del sole morente una leggera gonna rossa. Ricordava il tuffo al cuore ogni volta che la musicante emetteva trilli e scale, e piegava le gambe delicate e poi saltava con la grazia delle gazzelle della piana. Lentamente la pietra dura che aveva sul cuore si sciolse, e seppe che Shabra aveva ragione. Ma nonostante questo non riuscì a sentire l'allegria che sembrava aver contagiato i due compagni di pranzo. Ora si stavano raccontando di vecchie feste, di balli sotto la luce delle stelle, di canzoni di grandi Viaggiatori, cacciatori di fiere immaginarie, e di ragazze dalla voce vellutata come una notte estiva, con le stelle che sorridono vicine nel cielo basso della pianura.
[Continua...]

In realtà sono sette pagine...

ciao...
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Messaggioda Garabombo » 08/01/2005, 14:14

E vado con il terzo capitolo... ma Anna, non ci sei?

Partirono prima dell'alba: i due uomini portando una grossa sacca sulle spalle, Shabra una borsa in pelle a tracolla. Il sole era da poco sorto sopra il versante della montagna che già avvistavano il balzo che dalla spalla della catena montuosa precipitava per centinaia di piedi verso la pianura. Imboccarono lo stretto sentiero che scendeva coperto dai rami di radi boschi di aghifogli, cresciuti negli anni sfruttando la poca acqua che cadeva dal cielo. Fecero una rapida pausa al sole alto del mezzogiorno per rifocillarsi, ma presto ripresero il cammino. La sera stava già calando quando raggiunsero le ultime propaggini del monte e finalmente videro i dettagli della landa che si stendeva ai loro piedi: a circa mezza lega a nord della loro posizione una delle strette valli che fendevano la piana si apriva in direzione nord est. La spaccatura nel terreno, larga pochi metri al suo inizio, serpeggiava verso l'orizzonte allargandosi lentamente. Piano la sera si era avvicinata, ed ora le prime stelle splendevano nel cielo nordico; alcuni fili di fumo salivano inclinati verso occidente dalla parte più lontana della valle. Un fuoco, però, splendeva più vicino: appena ai loro piedi, poche decine di piedi più in basso, dove il loro sentiero finiva il suo percorso, qualcuno era in attesa attorno ad un falò.
Masca fermò il suo passo. Era stato fino a quel momento in testa, camminando quasi perso in pensieri lontani. Shabra dietro di lui ogni tanto gli parlava, indicando il volo alto di un rapace, oppure il gorgogliare di una polla d'acqua sorgiva; oppure scherzava e rideva con Unjarta che li seguiva, e gli chiedeva di superare la guida e andare a scoprire cosa si celava dietro una svolta del sentiero, o di andare a raccogliere dell'erba sotto ad un albero. In quei momenti in cui si trovavano soli Shabra guardava l'uomo negli occhi e cercava di sorridergli, ripensando a tempi oramai lontani, a quando aveva guardato la sua schiena allontanarsi in un giorno assolato, a quando aveva preparato la sacca con cui sarebbe partito e vi aveva nascosto un flauto di legno per intrecciare un incantesimo. Immersa in quelle visioni quasi non si accorse che si era fermato. Gli poggiò una mano sulla spalla.
“Siamo quasi arrivati” disse questi senza voltarsi. Allora Shabra chiamò a sé il ragazzo e disse: “Unjarta, ti prego, vai avanti ed avvisa che stiamo arrivando.”
Quando il ragazzo fu svanito nel buio, parlò nuovamente.
“Siamo quasi arrivati. Ancora una volta ti chiedo di non dimenticarti della promessa fatta.”
“E' una promessa maledetta. Ho viaggiato lungo tutte le terre che il sole illumina con i suoi raggi per dimenticarla.” Rispose Masca, ancora senza voltarsi.
“Ma è grazie a questa promessa che io sono viva. E' grazie a quella promessa se tu oggi sei vivo. A me questo basta.” Poi lo fece girare, si avvicinò e gli baciò le labbra. Quindi avanzò accarezzandogli il viso e prendendolo per mano. Camminarono così per un tratto: lei davanti che lo guidava e lui seguendola e proteggendola. In questo modo avevano camminato per tutti quegli anni sotto un sole meno luminoso di quello reale. Quando sentirono le voci basse dell'accampamento si lasciarono la mano e avanzarono nel cerchio di luce del falò.
[Continua...]

Oppure hai paura della sfida???? SCHERZO!!! Sono io che ho paura della sfida... aspetto l'inizio della tua storia!

CIAO!!!

Michele
Garabombo

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