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5 gennaio 519
Domenica 15 Maggio 2011
La firma del trattato
Uno scroscio di applausi saluta Sir Al Fennec di Amer mentre riceve dalle mie mani il premio destinato al vincitore del Torneo. Nel suo breve discorso, il Cavaliere dedica la sua vittoria al Duca di Amer e alla famiglia Desyenne, rappresentata da Lord Konon e da Lord Ural. "E' un onore essere premiato da una giovane così bella", mi dice mentre lo accompagno sugli spalti. Sorrido, cercando rilassare la mia tensione: ci siamo, penso tra me e me. Domani è il grande giorno. Il tempo che fino a stamattina sembrava essersi fermato ha preso a correre all'impazzata: il batticuore aumenta ad ogni istante che passa.
Il palco è ora occupato dai soldati del Marchese che scortano i dignitari di Beid: li precedono Lord Elias Kenson e Lord Thedor Korzeniowski, prossimi alla firma del trattato che sancirà una lunga e duratura pace tra la Baronia di Keib e la Marca di Beid. Il momento è solenne. I membri delle delegazioni Deliote si alzano in piedi, manifestando i loro omaggi nei confronti di questo importante risultato. Riconosco il profilo del Senatore Thomàs Raoùl, circondato dai suoi delegati. Alla sua sinistra distinguo chiaramente il Tassiarca Basilios Fokas e, dietro di lui, il Protosebasto Isaàch Anghelos: a una certa distanza, seminascosto all'interno degli spalti riservati agli ospiti di Krandamer, si leva l'esile figura del Metropolita Eunapios, giunto insieme alla delegazione del Duca nel tardo pomeriggio della giornata di ieri. Stando a quello che mi è stato detto, quell'uomo gode di una considerazione persino superiore di quella del Vescovo che celebrerà le mie nozze.
Il documento che sta per essere firmato non è che la riconferma del trattato a valenza decennale stipulato nel marzo del 508: anche allora, il trattato veniva firmato alla vigilia di un importante matrimonio. Lord Thedor Korzeniowski prendeva in moglie Lisa Hrant della Piana del Vento. All'epoca Lady Lisa aveva diciannove anni... la stessa età di Solice adesso.
Fin dal giorno in cui ho saputo della morte di Lisa mi aveva sfiorato il pensiero che il Marchese avrebbe dato a Solice il compito di rinnovare la promessa di pace con la baronia di Keib. Il mio sospetto si era tramutato in certezza alcuni giorni fa, quando Lord Kenson comunicò che avrebbe reso noto il fidanzamento di Solice nel giorno successivo al rinnovo del trattato con Keib: il giorno del mio matrimonio. L'austero e minaccioso Lord Thedor, un ufficiale dell'esercito spregiudicato al punto da tradire i suoi signori per trarre vantaggio e titoli nobiliari dalla loro sconfitta ad opera di Beid, sarebbe quindi diventato mio cognato. Ma l'onta che questo avrebbe significato per me sarebbe stata niente a confronto della maledizione demoniaca che avrebbe colpito mia sorella per il resto della sua vita. Povera Solice, infelicissima sposa di Thedor Korzeniowski, il sanguinario, il macellaio, il lascivo, il traditore, e soprattutto - a quanto si racconta - l'uxoricida. Un matrimonio scellerato, reso purtroppo necessario dall'unione dei Korzeniowski con i De La Fois e dal conseguente mutamento dell'equilibrio di forze della regione.
... E invece mi sbagliavo.
Solice non andrà in sposa a Lord Thedor: il Marchese di Beid non ha intenzione di consegnare sua figlia nelle mani di quell'essere ignobile. Mesi e mesi di trattative segrete, accordi nell'ombra e scambi epistolari sono riusciti a produrre una sorprendente quanto imprevedibile alternativa, tale da convincere il Barone di Keib a rinnovare il trattato senza che gli venga offerto alcun sacrificio. Domani la nostra Marca stringerà un'alleanza con una forza ancor più grande di quella di Annecy, temuta e rispettata non soltanto ad Amer e nel Granducato, ma persino nelle lontane terre di Delos...
Lord Strahd Voranov, Duca di Krandamer.
Non ho ancora le prove, ma non mi servono: mi basta vedere come guarda Solice, l'interesse e la soddisfazione che brillano nei suoi occhi. E dire che all'inizio non volevo credere ai miei, di occhi: come è possibile? come è potuto succedere? Sembrava certo che Lord Strahd fosse già imparolato, per non dire impegnato, con Lady Megan Bjorgsson, figlia del Granduca Harald... Da quello che sapevo, già nell'ultimo Palio di Krandamer il fidanzamento veniva dato per imminente. Il Marchese dev'essere riuscito a compiere un vero miracolo... o forse qualcosa è semplicemente andato storto al giovane e ambizioso Strahd? Che le sue fortune con la famiglia del Granduca si siano improvvisamente esaurite?
... Sia come sia, domani il Duca di Krandamer sarà ufficialmente il mio futuro cognato. Confesso che sono un pò invidiosa: è vero, il mio sarà un matrimonio d'amore, mentre quello di Solice sarà soprattutto un modo per legare il nostro sangue a quello dei Voranov. Ma ciò non toglie che... Solice metterà al mondo l'erede del Duca di Krandamer. Fa impressione, a pensarci bene: è un traguardo vertiginosamente alto, persino per lei. Il suo matrimonio verrà cantato e musicato dai bardi, e la notizia si spargerà in tutto il Continente...
... E poi, diciamolo senza mezzi termini: Lord Strahd forse non è bello come Thomas, ma ha uno sguardo al quale poche donne sono in grado di resistere: nei suoi occhi c'è tutta la forza, il potere, l'autorità della sua stirpe di Duchi. Anche se fosse stronzo e spietato come dicono, di certo non si può negare che sia un partito eccezionale. Congratulazioni, piccoletta! Domani sarai importante come una principessa. E dire che non te n'eri manco accorta... te l'ho dovuto dire io, poco fa.
"Non puoi dire sul serio..."
"Credimi, piccoletta... è lui. Ma non hai visto come ti guardava?"
"Non... non mi è sembrato..."
"Solice, devi darti una svegliata! Quello è venuto apposta... Perché pensi che il Marchese abbia voluto che fossi proprio tu a riceverlo? Lady Amy lo conosceva già, a differenza tua... Ma lui ha insistito: voleva che ci andassi tu. Sono già d'accordo, Solice: è deciso."
"Io.. non lo so, mi sembra così strano...".
"Dimmi cosa ti ha detto. Avrete parlato, no? Raccontami tutto".
"Ho accompagnato lui e la sua scorta a Valamer, insieme a sir Malaki e sir Thomas: ho mostrato loro le stanze che abbiamo riservato... con lui c'era anche Hayden, suo fratello minore, che ha più o meno la stessa età di Karl. A un certo punto Karl, che era venuto con noi, ci ha chiesto se poteva portarlo a visitare il castello..."
"... E Lord Strahd ha acconsentito".
"Si..."
"... E così siete rimasti da soli".
"Si".
"E avete parlato un pò? Cosa vi siete detti?"
"Mi ha detto... che aveva sentito parlare molto di me. E che era contento di scoprire che le voci dicevano il vero, e che ero educata e gentile come gli era stato raccontato."
"Ti ha detto questo? E cos'altro doveva fare per fartelo capire, Solice? Baciarti lì sul posto?"
"Sono frasi di circostanza, Rosalie: non significano niente..."
"... ma falla finita. Quello è l'uomo che sposerai, Solice... Non hai la minima idea di quanto sei fortunata. Te ne rendi conto? Il Duca di Krandamer, dannazione! Sarai Duchessa... che effetto ti fa?"
"Non lo so... è strano."
"E' spettacolare, non strano! E dimmi un'altra cosa... Ti piace?"
"D.. diventare Duchessa, dici?"
"No, scema: Strahd. Che effetto ti fa?"
"Non lo so, Rosalie: non lo so che effetto mi fa".
"Dimmelo".
"Ti ho detto che non lo so."
"Oh, insomma: ti piacciono gli uomini, no?"
"Si..."
"E Strahd, com'è? Ti piace?"
"..."
Ti piace: eccome, se ti piace. Povera piccoletta: al Duca di Krandamer, già conquistatore di Benson, sono bastati pochi minuti per fare breccia nelle tue difese. Mai come stavolta la tua cappa da Paladina ha i giorni contati. Chissà se adesso anche per te il tempo sta scorrendo così all'impazzata... Anche tu non riesci a pensare ad altro? Ce la farai ad addormentarti, stanotte, o la passerai sveglia ed emozionata come accadrà a me?
Oh Dei, che giorni fantastici e carichi di sorprese che mi avete donato: se tutte le notti fossero così, nessuno vorrebbe mai vedere il sorgere del sole.
Il palco è ora occupato dai soldati del Marchese che scortano i dignitari di Beid: li precedono Lord Elias Kenson e Lord Thedor Korzeniowski, prossimi alla firma del trattato che sancirà una lunga e duratura pace tra la Baronia di Keib e la Marca di Beid. Il momento è solenne. I membri delle delegazioni Deliote si alzano in piedi, manifestando i loro omaggi nei confronti di questo importante risultato. Riconosco il profilo del Senatore Thomàs Raoùl, circondato dai suoi delegati. Alla sua sinistra distinguo chiaramente il Tassiarca Basilios Fokas e, dietro di lui, il Protosebasto Isaàch Anghelos: a una certa distanza, seminascosto all'interno degli spalti riservati agli ospiti di Krandamer, si leva l'esile figura del Metropolita Eunapios, giunto insieme alla delegazione del Duca nel tardo pomeriggio della giornata di ieri. Stando a quello che mi è stato detto, quell'uomo gode di una considerazione persino superiore di quella del Vescovo che celebrerà le mie nozze.
Il documento che sta per essere firmato non è che la riconferma del trattato a valenza decennale stipulato nel marzo del 508: anche allora, il trattato veniva firmato alla vigilia di un importante matrimonio. Lord Thedor Korzeniowski prendeva in moglie Lisa Hrant della Piana del Vento. All'epoca Lady Lisa aveva diciannove anni... la stessa età di Solice adesso.
Fin dal giorno in cui ho saputo della morte di Lisa mi aveva sfiorato il pensiero che il Marchese avrebbe dato a Solice il compito di rinnovare la promessa di pace con la baronia di Keib. Il mio sospetto si era tramutato in certezza alcuni giorni fa, quando Lord Kenson comunicò che avrebbe reso noto il fidanzamento di Solice nel giorno successivo al rinnovo del trattato con Keib: il giorno del mio matrimonio. L'austero e minaccioso Lord Thedor, un ufficiale dell'esercito spregiudicato al punto da tradire i suoi signori per trarre vantaggio e titoli nobiliari dalla loro sconfitta ad opera di Beid, sarebbe quindi diventato mio cognato. Ma l'onta che questo avrebbe significato per me sarebbe stata niente a confronto della maledizione demoniaca che avrebbe colpito mia sorella per il resto della sua vita. Povera Solice, infelicissima sposa di Thedor Korzeniowski, il sanguinario, il macellaio, il lascivo, il traditore, e soprattutto - a quanto si racconta - l'uxoricida. Un matrimonio scellerato, reso purtroppo necessario dall'unione dei Korzeniowski con i De La Fois e dal conseguente mutamento dell'equilibrio di forze della regione.
... E invece mi sbagliavo.
Solice non andrà in sposa a Lord Thedor: il Marchese di Beid non ha intenzione di consegnare sua figlia nelle mani di quell'essere ignobile. Mesi e mesi di trattative segrete, accordi nell'ombra e scambi epistolari sono riusciti a produrre una sorprendente quanto imprevedibile alternativa, tale da convincere il Barone di Keib a rinnovare il trattato senza che gli venga offerto alcun sacrificio. Domani la nostra Marca stringerà un'alleanza con una forza ancor più grande di quella di Annecy, temuta e rispettata non soltanto ad Amer e nel Granducato, ma persino nelle lontane terre di Delos...
Lord Strahd Voranov, Duca di Krandamer.
Non ho ancora le prove, ma non mi servono: mi basta vedere come guarda Solice, l'interesse e la soddisfazione che brillano nei suoi occhi. E dire che all'inizio non volevo credere ai miei, di occhi: come è possibile? come è potuto succedere? Sembrava certo che Lord Strahd fosse già imparolato, per non dire impegnato, con Lady Megan Bjorgsson, figlia del Granduca Harald... Da quello che sapevo, già nell'ultimo Palio di Krandamer il fidanzamento veniva dato per imminente. Il Marchese dev'essere riuscito a compiere un vero miracolo... o forse qualcosa è semplicemente andato storto al giovane e ambizioso Strahd? Che le sue fortune con la famiglia del Granduca si siano improvvisamente esaurite?
... Sia come sia, domani il Duca di Krandamer sarà ufficialmente il mio futuro cognato. Confesso che sono un pò invidiosa: è vero, il mio sarà un matrimonio d'amore, mentre quello di Solice sarà soprattutto un modo per legare il nostro sangue a quello dei Voranov. Ma ciò non toglie che... Solice metterà al mondo l'erede del Duca di Krandamer. Fa impressione, a pensarci bene: è un traguardo vertiginosamente alto, persino per lei. Il suo matrimonio verrà cantato e musicato dai bardi, e la notizia si spargerà in tutto il Continente...
... E poi, diciamolo senza mezzi termini: Lord Strahd forse non è bello come Thomas, ma ha uno sguardo al quale poche donne sono in grado di resistere: nei suoi occhi c'è tutta la forza, il potere, l'autorità della sua stirpe di Duchi. Anche se fosse stronzo e spietato come dicono, di certo non si può negare che sia un partito eccezionale. Congratulazioni, piccoletta! Domani sarai importante come una principessa. E dire che non te n'eri manco accorta... te l'ho dovuto dire io, poco fa.
"Non puoi dire sul serio..."
"Credimi, piccoletta... è lui. Ma non hai visto come ti guardava?"
"Non... non mi è sembrato..."
"Solice, devi darti una svegliata! Quello è venuto apposta... Perché pensi che il Marchese abbia voluto che fossi proprio tu a riceverlo? Lady Amy lo conosceva già, a differenza tua... Ma lui ha insistito: voleva che ci andassi tu. Sono già d'accordo, Solice: è deciso."
"Io.. non lo so, mi sembra così strano...".
"Dimmi cosa ti ha detto. Avrete parlato, no? Raccontami tutto".
"Ho accompagnato lui e la sua scorta a Valamer, insieme a sir Malaki e sir Thomas: ho mostrato loro le stanze che abbiamo riservato... con lui c'era anche Hayden, suo fratello minore, che ha più o meno la stessa età di Karl. A un certo punto Karl, che era venuto con noi, ci ha chiesto se poteva portarlo a visitare il castello..."
"... E Lord Strahd ha acconsentito".
"Si..."
"... E così siete rimasti da soli".
"Si".
"E avete parlato un pò? Cosa vi siete detti?"
"Mi ha detto... che aveva sentito parlare molto di me. E che era contento di scoprire che le voci dicevano il vero, e che ero educata e gentile come gli era stato raccontato."
"Ti ha detto questo? E cos'altro doveva fare per fartelo capire, Solice? Baciarti lì sul posto?"
"Sono frasi di circostanza, Rosalie: non significano niente..."
"... ma falla finita. Quello è l'uomo che sposerai, Solice... Non hai la minima idea di quanto sei fortunata. Te ne rendi conto? Il Duca di Krandamer, dannazione! Sarai Duchessa... che effetto ti fa?"
"Non lo so... è strano."
"E' spettacolare, non strano! E dimmi un'altra cosa... Ti piace?"
"D.. diventare Duchessa, dici?"
"No, scema: Strahd. Che effetto ti fa?"
"Non lo so, Rosalie: non lo so che effetto mi fa".
"Dimmelo".
"Ti ho detto che non lo so."
"Oh, insomma: ti piacciono gli uomini, no?"
"Si..."
"E Strahd, com'è? Ti piace?"
"..."
Ti piace: eccome, se ti piace. Povera piccoletta: al Duca di Krandamer, già conquistatore di Benson, sono bastati pochi minuti per fare breccia nelle tue difese. Mai come stavolta la tua cappa da Paladina ha i giorni contati. Chissà se adesso anche per te il tempo sta scorrendo così all'impazzata... Anche tu non riesci a pensare ad altro? Ce la farai ad addormentarti, stanotte, o la passerai sveglia ed emozionata come accadrà a me?
Oh Dei, che giorni fantastici e carichi di sorprese che mi avete donato: se tutte le notti fossero così, nessuno vorrebbe mai vedere il sorgere del sole.
31 dicembre 518
Domenica 1 Maggio 2011
La Notte delle Streghe (prima parte)
Auguri, congratulazioni, di nuovo auguri: e poi ancora doni, inviti e complimenti, lodi, ringraziamenti e regali. Il gran ballo del giorno del fato è soltanto il primo appuntamento di questi giorni di festa, ma la maggior parte degli invitati sono già qui: altri ancora ne arriveranno, nel corso dei giorni successivi. Mai, da quando vivo qui, il palazzo di Beid aveva ospitato un evento tanto sfarzoso.
Esco dal grande salone con la musica che mi segue, il bicchiere in mano riempito forse un pò troppe volte. Lo alzo, finalmente sola, oltre la balaustra che separa il balcone dal giardino sottostante. Buio, silenzio. La notte che segue il giorno del Fato è la più lunga dell'anno: la notte delle Streghe, come la chiamano i popolani superstiziosi. La leggenda vuole che nell'antichità il sole restasse nascosto per un intero quarto di luna, tornando a splendere soltanto nel settimo giorno di gennaio. Una settimana di tenebra che la tradizione ci esorta a vivere nella preghiera, rintanati nel silenzio delle nostre dimore.
Non questa volta.
"Alla vostra salute, madre mia". O dovrei forse dire "madri"? Quella che non ho mai avuto, quella che non mi ha mai amato e quella che mi ha dato in pasto ai cani. A voi dedico la lunga notte dei miei festeggiamenti. Rido, inclino la testa, bevo e getto il bicchiere di sotto, mandandolo a infrangersi sul selciato in un'esplosione secca di gocce argentate.
"Fate attenzione a non perdere l'equilibrio: potreste farvi male".
A parlarmi è un'ombra sottile ferma al centro del terrazzo: devo avere davvero esagerato col vino per non averla notata prima.
"Vi ringrazio per la vostra premura: sarei così sgarbata a chiedervi di tornare dentro? ho voglia di stare un pò da sola".
"Potete provarci".
"L'ho appena fatto".
"Penso che resterò qui: sono arrivato prima di voi, in fondo".
Riconosco la voce di sir Walder Mormont, il cavaliere di Nekkar che mi è stato presentato oggi: l'oscurità in cui è avvolto nasconde i suoi capelli lunghi e il pallore innaturale del volto. "Il Cavaliere Macabro", l'ha subito soprannominato Ryan. Ripenso con un sorriso all'espressione sul volto di mio padre, Lord Elias Kenson, quando se lo è visto di fronte al posto dell'atteso e inaspettatamente dimissionario Barone di Nekkar. Trasandato, irriverente e poco formale, proprio il genere di cavalieri che detesta. Non mi stupisco di trovarlo qui, infastidito da una musica che non conosce e da balli a cui non vuole nè può prendere parte. Fai un pò come ti pare, penso: tanto il terrazzo è grande.
"Sono certo che era bellissima".
"Chi?"
"Colei a cui avete brindato: vostra madre".
Ah-ah... Argomento sbagliato, sir Walder: e dire che mi stavi quasi simpatico. Mi volto verso la sala, da cui scaturisce uno scroscio di applausi: a non più di dieci metri da me, circondato da un folto gruppo di invitati, Lord Konon Desyenne giace in ginocchio davanti a Lady Juliette Keitel nel tentativo di farsi concedere un ballo. "E che sia una Tresca, stavolta" tuona il cugino del Duca di Amer, agitando un indice in direzione del palco dei musicisti, "ché non si faccia mistero delle mie intenzioni!". La battuta strappa alla sala una risata, alla quale partecipo volentieri.
"Già ve ne andate?"
"Mi è venuta voglia di tornare dentro: ma voi restate pure, se lo desiderate".
"Credevo che il silenzio della notte vi piacesse".
"Lo credevo anch'io. A presto, sir Mormont". Faccio due passi, poi la sua mano mi afferra il polso.
"Aspettate".
Ritraggo il braccio con uno scatto. Adesso state esagerando, sir Cavaliere Macabro.
"Prima di tornare lì dentro, ditemi perché avete scelto questa settimana".
"Non c'è un motivo particolare", rispondo seccamente. "E' capitato così".
"Conoscete la leggenda, vero?"
Scuoto la testa. "Conosco le storie e le superstizioni legate a questi giorni, questo è tutto. Mi piaceva l'idea di scherzarci un pò sopra".
"Voi eravate una paladina, giusto? O una veste bianca...".
"Non c'entra con questo".
"... E poi avete capito che non era ciò che volevate".
"Vi ho detto che non c'entra. Ho scelto questi giorni per gioco, non per polemica nei riguardi di ciò che ero".
"Non vi credo. Io penso che l'abbiate fatto perché volevate fare qualcosa di irriverente, di dissacrante..."
"Pensate quello che vi pare: io torno dentro".
"Ditemi se ho ragione, prima."
"E anche se fosse? Vi crea problemi?"
"Oh no... mi piace, mi piace molto". E così dicendo il cavaliere macabro mi prende ancora il braccio, stavolta all'altezza del polso, chinandosi a baciarmi la mano. Nuovamente mi ritraggo, stavolta a titolo definitivo: ho perso fin troppo tempo con questo spostato, è tempo di tornare dai miei ospiti.
Il mio ritorno nel salone ruba a Lord Konon e a Lady Juliette le fiaccole della ribalta: in pochi istanti mi trovo circondata dalla delegazione di Delos, capitanata dall'eccellentissimo Panipersebasto Thomàs Raoùl. Il Senatore, che parla un Greyhavenese non particolarmente fluido ma comunque comprensibile, si dichiara entusiasta del ricevimento e della selezione raffinata dei vini e delle pietanze, nonché di quella degli invitati: le difficoltà linguistiche non ci impediscono di conversare piacevolmente e di danzare. Al termine del ballo il Panipersebasto insiste per introdurmi personalmente alle altre personalità Deliote presenti: faccio così la conoscenza di Isaàch Anghelos, Protosebasto e Tassiarco di Ausonìa, tanto giovane nell'aspetto quanto austero e riservato nei modi. Dopo di lui è la volta del Tassiarco di Kastorìa, Basilios Fòkas: anch'egli, rivolgendomi un caloroso sorriso, mi invita a ballare.
A differenza dei suoi conterranei, che incarnano il modello formale dell'ufficiale dell'Impero, Basilios Fòkas ha piuttosto l'aspetto di un giovane mondano: entrambi ci accorgiamo ben presto di non essere completamente sobri e, nonostante il suo Greyhavenese un pò stentato, ci troviamo ben presto a ridere e a scherzare come due amici. Capisco che mi conosce, che ha già sentito parlare di me: sa che il mio promesso sposo è un cavaliere di mio padre, e ha persino l'audacia di dirmi quanto fosse rimasto deluso nell'aver appreso tale notizia: "avreste dovuto dare anche a Delos l'occasione di conquistarvi", conclude fissandomi negli occhi. "Siete un bugiardo, nondimeno questo è il più bel complimento della serata", gli rispondo raggiante. Subito dopo mi confida di aver avuto notizie dell'esistenza di un'altra figlia del Marchese ancora da maritare. Capisco che è il momento di parlargli di Solice: la piccoletta ha i giorni contati, mio padre è stato chiaro... e mi ha anche chiesto di dare una mano al destino. Dopo aver confermato le voci sulla sua esistenza, spiego al Tassiarca come stanno le cose: come è fatta, cosa pensa, come prenderla, cosa dirle.
"Voglio incontrarla", mi dice quando ho finito di incuriosirlo a morte. "Dove si trova?"
Io stessa impiego del tempo a trovarla nel grande salone, lontana com'è dal cuore della festa, impegnata in una interminabile conversazione con gli invitati più noiosi e meno interessanti dell'intero ballo... la delegazione dei nanetti di Nair-Al-Zaurak. Sospiro, scuotendo la testa: in bocca al lupo, Basilios Fòkas, penso mentre gliela indico: ne avrai bisogno.
Grande è la mia sorpesa quando la riconosce.
"Ma... è la paladina", dice sorpreso, fissandola.
"Si, ma... non vi preoccupate: è una sistemazione temporanea", mi viene da rispondere d'istinto. "Ma voi... la conoscete già?"
Il Tassiarco non mi risponde: si avvicina in silenzio al gruppetto, un passo dopo l'altro: Solice alza la testa, anche lei lo riconosce... sembra imbarazzata. I nanetti si disperdono, lasciandoli soli. Sogno o son desta? Tra quei due è senz'altro successo qualcosa, di certo nel corso del viaggio della piccoletta a Delos: ma cosa? E il Marchese ne è a conoscenza? Accidenti... Devo sapere! In un primo momento mi viene l'idea di avvicinarmi furtivamente per poter sentire quello che si dicono... impossibile, senza farsi notare. No, devo limitarmi a guardare la scena da lontano: indagherò più tardi, a notte inoltrata. Obbligherò Solice e Yera a restare alzate: insieme festeggeremo la notte delle Streghe, raccontandoci storie di paura... e rivelandoci segreti. E poi vedremo come utilizzarli al meglio, questi segreti.
Immersa come sono in questi pensieri non noto la figura scura che mi si avvicina da dietro, scivolando in silenzio tra gli invitati come un fantasma tra le lapidi.
"Mi piace molto".
Rieccolo: il Cavaliere Macabro. "Cosa?", rispondo senza voltarmi.
"Quello che fate... e come lo fate".
"Mi fa piacere che la festa vi piaccia".
"Oh, si..."
D'un tratto la musica si interrompe, per riprendere un attimo dopo con un ritmo più lento e solenne.
"Posso ardire di chiedervi di concedermi questo ballo?"
Scuoto la testa. "Non ne sareste in grado, cavaliere. Questa non è una danza adatta a chi non sa ballare".
"Mettetemi alla prova: a Nekkar c'è ancora chi conosce la basse danse".
"Conoscerla vi fa onore... ma sono stanca, e ho da fare".
"Di cosa avete paura? Vostra sorella se la caverà benissimo anche senza di voi... E poi devo ancora darvi il mio regalo. Non siate scortese...".
Mi allontano con passo deciso, tuffandomi in una conversazione in corso tra Ryan, Thomas e un cavaliere di Achenar che non mi è stato ancora presentato: la presenza del mio promesso sposo dovrebbe scoraggiare ogni ulteriore invito da parte del Cavaliere Macabro. "Che bel vestito!" mi dice quella che sembra essere la dama di compagnia del cavaliere. "Vi ringrazio molto. Che bella collana!" le rispondo, indicando il monile tempestato di diamanti sfoggiato senza troppa grazia sopra a una generosa scollatura. Mi viene presentata come Lynn, Lynn di Achenar. E brava Lynn, penso tra me e me: devi aver giocato bene le tue carte di popolana per essere riuscita a ottenere un simile regalo.
Io, d'altro canto, credo di averne appena perso uno...
Esco dal grande salone con la musica che mi segue, il bicchiere in mano riempito forse un pò troppe volte. Lo alzo, finalmente sola, oltre la balaustra che separa il balcone dal giardino sottostante. Buio, silenzio. La notte che segue il giorno del Fato è la più lunga dell'anno: la notte delle Streghe, come la chiamano i popolani superstiziosi. La leggenda vuole che nell'antichità il sole restasse nascosto per un intero quarto di luna, tornando a splendere soltanto nel settimo giorno di gennaio. Una settimana di tenebra che la tradizione ci esorta a vivere nella preghiera, rintanati nel silenzio delle nostre dimore.
Non questa volta.
"Alla vostra salute, madre mia". O dovrei forse dire "madri"? Quella che non ho mai avuto, quella che non mi ha mai amato e quella che mi ha dato in pasto ai cani. A voi dedico la lunga notte dei miei festeggiamenti. Rido, inclino la testa, bevo e getto il bicchiere di sotto, mandandolo a infrangersi sul selciato in un'esplosione secca di gocce argentate.
"Fate attenzione a non perdere l'equilibrio: potreste farvi male".
A parlarmi è un'ombra sottile ferma al centro del terrazzo: devo avere davvero esagerato col vino per non averla notata prima.
"Vi ringrazio per la vostra premura: sarei così sgarbata a chiedervi di tornare dentro? ho voglia di stare un pò da sola".
"Potete provarci".
"L'ho appena fatto".
"Penso che resterò qui: sono arrivato prima di voi, in fondo".
Riconosco la voce di sir Walder Mormont, il cavaliere di Nekkar che mi è stato presentato oggi: l'oscurità in cui è avvolto nasconde i suoi capelli lunghi e il pallore innaturale del volto. "Il Cavaliere Macabro", l'ha subito soprannominato Ryan. Ripenso con un sorriso all'espressione sul volto di mio padre, Lord Elias Kenson, quando se lo è visto di fronte al posto dell'atteso e inaspettatamente dimissionario Barone di Nekkar. Trasandato, irriverente e poco formale, proprio il genere di cavalieri che detesta. Non mi stupisco di trovarlo qui, infastidito da una musica che non conosce e da balli a cui non vuole nè può prendere parte. Fai un pò come ti pare, penso: tanto il terrazzo è grande.
"Sono certo che era bellissima".
"Chi?"
"Colei a cui avete brindato: vostra madre".
Ah-ah... Argomento sbagliato, sir Walder: e dire che mi stavi quasi simpatico. Mi volto verso la sala, da cui scaturisce uno scroscio di applausi: a non più di dieci metri da me, circondato da un folto gruppo di invitati, Lord Konon Desyenne giace in ginocchio davanti a Lady Juliette Keitel nel tentativo di farsi concedere un ballo. "E che sia una Tresca, stavolta" tuona il cugino del Duca di Amer, agitando un indice in direzione del palco dei musicisti, "ché non si faccia mistero delle mie intenzioni!". La battuta strappa alla sala una risata, alla quale partecipo volentieri.
"Già ve ne andate?"
"Mi è venuta voglia di tornare dentro: ma voi restate pure, se lo desiderate".
"Credevo che il silenzio della notte vi piacesse".
"Lo credevo anch'io. A presto, sir Mormont". Faccio due passi, poi la sua mano mi afferra il polso.
"Aspettate".
Ritraggo il braccio con uno scatto. Adesso state esagerando, sir Cavaliere Macabro.
"Prima di tornare lì dentro, ditemi perché avete scelto questa settimana".
"Non c'è un motivo particolare", rispondo seccamente. "E' capitato così".
"Conoscete la leggenda, vero?"
Scuoto la testa. "Conosco le storie e le superstizioni legate a questi giorni, questo è tutto. Mi piaceva l'idea di scherzarci un pò sopra".
"Voi eravate una paladina, giusto? O una veste bianca...".
"Non c'entra con questo".
"... E poi avete capito che non era ciò che volevate".
"Vi ho detto che non c'entra. Ho scelto questi giorni per gioco, non per polemica nei riguardi di ciò che ero".
"Non vi credo. Io penso che l'abbiate fatto perché volevate fare qualcosa di irriverente, di dissacrante..."
"Pensate quello che vi pare: io torno dentro".
"Ditemi se ho ragione, prima."
"E anche se fosse? Vi crea problemi?"
"Oh no... mi piace, mi piace molto". E così dicendo il cavaliere macabro mi prende ancora il braccio, stavolta all'altezza del polso, chinandosi a baciarmi la mano. Nuovamente mi ritraggo, stavolta a titolo definitivo: ho perso fin troppo tempo con questo spostato, è tempo di tornare dai miei ospiti.
Il mio ritorno nel salone ruba a Lord Konon e a Lady Juliette le fiaccole della ribalta: in pochi istanti mi trovo circondata dalla delegazione di Delos, capitanata dall'eccellentissimo Panipersebasto Thomàs Raoùl. Il Senatore, che parla un Greyhavenese non particolarmente fluido ma comunque comprensibile, si dichiara entusiasta del ricevimento e della selezione raffinata dei vini e delle pietanze, nonché di quella degli invitati: le difficoltà linguistiche non ci impediscono di conversare piacevolmente e di danzare. Al termine del ballo il Panipersebasto insiste per introdurmi personalmente alle altre personalità Deliote presenti: faccio così la conoscenza di Isaàch Anghelos, Protosebasto e Tassiarco di Ausonìa, tanto giovane nell'aspetto quanto austero e riservato nei modi. Dopo di lui è la volta del Tassiarco di Kastorìa, Basilios Fòkas: anch'egli, rivolgendomi un caloroso sorriso, mi invita a ballare.
A differenza dei suoi conterranei, che incarnano il modello formale dell'ufficiale dell'Impero, Basilios Fòkas ha piuttosto l'aspetto di un giovane mondano: entrambi ci accorgiamo ben presto di non essere completamente sobri e, nonostante il suo Greyhavenese un pò stentato, ci troviamo ben presto a ridere e a scherzare come due amici. Capisco che mi conosce, che ha già sentito parlare di me: sa che il mio promesso sposo è un cavaliere di mio padre, e ha persino l'audacia di dirmi quanto fosse rimasto deluso nell'aver appreso tale notizia: "avreste dovuto dare anche a Delos l'occasione di conquistarvi", conclude fissandomi negli occhi. "Siete un bugiardo, nondimeno questo è il più bel complimento della serata", gli rispondo raggiante. Subito dopo mi confida di aver avuto notizie dell'esistenza di un'altra figlia del Marchese ancora da maritare. Capisco che è il momento di parlargli di Solice: la piccoletta ha i giorni contati, mio padre è stato chiaro... e mi ha anche chiesto di dare una mano al destino. Dopo aver confermato le voci sulla sua esistenza, spiego al Tassiarca come stanno le cose: come è fatta, cosa pensa, come prenderla, cosa dirle.
"Voglio incontrarla", mi dice quando ho finito di incuriosirlo a morte. "Dove si trova?"
Io stessa impiego del tempo a trovarla nel grande salone, lontana com'è dal cuore della festa, impegnata in una interminabile conversazione con gli invitati più noiosi e meno interessanti dell'intero ballo... la delegazione dei nanetti di Nair-Al-Zaurak. Sospiro, scuotendo la testa: in bocca al lupo, Basilios Fòkas, penso mentre gliela indico: ne avrai bisogno.
Grande è la mia sorpesa quando la riconosce.
"Ma... è la paladina", dice sorpreso, fissandola.
"Si, ma... non vi preoccupate: è una sistemazione temporanea", mi viene da rispondere d'istinto. "Ma voi... la conoscete già?"
Il Tassiarco non mi risponde: si avvicina in silenzio al gruppetto, un passo dopo l'altro: Solice alza la testa, anche lei lo riconosce... sembra imbarazzata. I nanetti si disperdono, lasciandoli soli. Sogno o son desta? Tra quei due è senz'altro successo qualcosa, di certo nel corso del viaggio della piccoletta a Delos: ma cosa? E il Marchese ne è a conoscenza? Accidenti... Devo sapere! In un primo momento mi viene l'idea di avvicinarmi furtivamente per poter sentire quello che si dicono... impossibile, senza farsi notare. No, devo limitarmi a guardare la scena da lontano: indagherò più tardi, a notte inoltrata. Obbligherò Solice e Yera a restare alzate: insieme festeggeremo la notte delle Streghe, raccontandoci storie di paura... e rivelandoci segreti. E poi vedremo come utilizzarli al meglio, questi segreti.
Immersa come sono in questi pensieri non noto la figura scura che mi si avvicina da dietro, scivolando in silenzio tra gli invitati come un fantasma tra le lapidi.
"Mi piace molto".
Rieccolo: il Cavaliere Macabro. "Cosa?", rispondo senza voltarmi.
"Quello che fate... e come lo fate".
"Mi fa piacere che la festa vi piaccia".
"Oh, si..."
D'un tratto la musica si interrompe, per riprendere un attimo dopo con un ritmo più lento e solenne.
"Posso ardire di chiedervi di concedermi questo ballo?"
Scuoto la testa. "Non ne sareste in grado, cavaliere. Questa non è una danza adatta a chi non sa ballare".
"Mettetemi alla prova: a Nekkar c'è ancora chi conosce la basse danse".
"Conoscerla vi fa onore... ma sono stanca, e ho da fare".
"Di cosa avete paura? Vostra sorella se la caverà benissimo anche senza di voi... E poi devo ancora darvi il mio regalo. Non siate scortese...".
Mi allontano con passo deciso, tuffandomi in una conversazione in corso tra Ryan, Thomas e un cavaliere di Achenar che non mi è stato ancora presentato: la presenza del mio promesso sposo dovrebbe scoraggiare ogni ulteriore invito da parte del Cavaliere Macabro. "Che bel vestito!" mi dice quella che sembra essere la dama di compagnia del cavaliere. "Vi ringrazio molto. Che bella collana!" le rispondo, indicando il monile tempestato di diamanti sfoggiato senza troppa grazia sopra a una generosa scollatura. Mi viene presentata come Lynn, Lynn di Achenar. E brava Lynn, penso tra me e me: devi aver giocato bene le tue carte di popolana per essere riuscita a ottenere un simile regalo.
Io, d'altro canto, credo di averne appena perso uno...
15 novembre 518
Giovedì 17 Febbraio 2011
Cattivi maestri (prologo)
15 novembre 518
Di nuovo a Chalard. I picchi delle Falayse costeggiano il lato sinistro della via maestra, celando il sentiero che porta al Monastero di Foucault. Chissà se quella strada si ricorda ancora di me: ci conoscevamo bene qualche anno fa, quando non vedevo l'ora di percorrerla per tornare a Beid... Dai miei fratelli, da mio padre, da Sir Thomas. E' con lui che cavalco oggi, insieme a una trentina di soldati da lui comandati. Ma non è Foucault il monastero a cui siamo diretti: la nostra meta è Noyes, ben più modesto tempio per fama e dimensioni e del quale a dire il vero non conservo un buon ricordo: quel luogo mi ha vista entrare debole e febbricitante, lontana da me stessa come non ero mai stata.
Neanche a farlo apposta, una torre fa capolino dalle colline davanti a noi. La sua sagoma fruga tra i miei ricordi, con la grazia che si addice un ospite indesiderato. La Torre del Tramonto, così la chiamava la mia entusiasta sorella: immagino quante feste, tra quei grossi mattoni... Annoia persino da questa distanza. Mi aspettano lunghe giornate. Ma non temete, Padri di Noyes, non è stata la cortesia ad avermi fatto accettare il vostro invito: la Marca di Beid esaudirà le vostre richieste di sua spontanea volontà. Avete chiesto soldati e risposte e state per ricevere entrambe le cose, con l'augurio che possiate farne buon uso.
17 novembre 518
Secondo giorno a Noyes. Il vento è freddo, il cibo si lascia mangiare. Lenzuola pulite, materassi ridicoli, e il rumore... il rumore è ovunque, come fosse il padrone di casa. Che davvero qualcuno possa studiare, in questo collegio? A saperlo prima avrei chiesto di farmi mettere un letto in biblioteca, l'unico posto dove il silenzio è riuscito a restare sul trono: graziose fanciulle vestite di bianco consultano testi e allenano la mano alla scrittura, lontano dagli schiamazzi dei maschi in cortile. L'istinto meno che assente di mescolarmi a loro si tramuta per forza di cose in ineludibile necessità.
"Rosalie Lambert, incontrarvi è per me un piacere e un onore: ma ancora più grande è la gioia nel vedervi sfogliare il memoriale di Giosìa il Venerabile".
L'anziano sacerdote che disturba sia pure educatamente la mia lettura ha un che di familiare: che sia...
"Voi... siete di Beid, non è vero?"
Annuisce, presentandosi come Padre Camarque. Mi saluta di nuovo, dicendo di conoscermi. Mi racconta la sua vita. Ammetto che le sue storie riescono a suscitare il mio interesse: questo monaco sa parlare bene, sembra essere un tipo interessante. La mia attenzione schizza alle stelle quando si mette a raccontare di mio padre: non gli dò tregua, voglio sapere tutto, lo ascolto per ore. La cosa divertente è che non sa dirmi nulla che io già non sappia: ma sono cose che voglio sentire e risentire ancora, come una bambina con la sua favola preferita. E come una bambina, mentre lo ascolto, penso che questa sera dormirò felice e sognerò qualcosa di meraviglioso.
18 novembre 518
Terzo giorno a Noyes. Il vento freddo è morto, ucciso da una brezza gentile che mi carezza con il suo soffio delicato fino a svegliarmi. Le lenzuola scivolano via come seta, e anche la colazione ha un sapore diverso. I materassi... Quelli sono ancora ridicoli: sognare mio padre dà luogo a miracoli, ma per tramutare queste cotenne di gallo in qualcosa di simile a piume non basterebbe tutta la misericordia di Pyros.
Dopo essermi lavata, pettinata e profumata, decido di dare sollievo alla mia schiena indolenzita: il buonumore mi accompagna mentre percorro il chiostro del collegio, salutando gli uccellini che scendono a dissetarsi nelle piccole pozzanghere riempite dalla pioggia notturna. Oggi sarà il primo giorno di colloquio, in cui mi verrà chiesto di raccontare quello che mi è successo.
Fino ad ora sono stata trattata nel migliore dei modi: Padre Quart in persona è venuto a ricevermi, ringraziandomi per aver accettato una richiesta così delicata. Nei due giorni che hanno seguito il mio arrivo ho conosciuto Sir Arles, il Comandante dei Paladini, Padre Horace Ashby, il Rettore del Collegio dove si trova la mia stanza, e molte altre personalità importanti di questo monastero. Hanno fatto del loro meglio per mettermi a mio agio, forse temendo che avrei potuto cambiare idea.
Le loro paure non sono del tutto infondate, e vantano radici tanto fresche quanto solide. I toni con cui meno di un mese fa mio padre il Marchese aveva risposto alla lettera inviatagli da padre Quart erano stati, per usare un eufemismo, piuttosto categorici. Egli non avrebbe consentito all'uomo che aveva avuto l'ardire di penetrare nei giardini del Palazzo di Beid di tornare sul suo territorio, tanto meno per porre a sua figlia domande di qualsivoglia tipo; di contro, comunicava il suo rammarico per aver appreso che l'altra sua figlia era stata inviata nientemeno che a Delos, fatto di cui egli non era stato messo a conoscenza.
Il rammarico è un sentimento di amarezza o contrarietà: per una persona normale può essere talvolta simile al rimpianto o al disappunto. Per il Marchese di Beid è qualcosa che può essere considerato simile a un fulmine che colpisce il tronco di una quercia secolare: il lavoro di molti, moltissimi anni che diventa cenere nel giro di pochi istanti. Questo, se lo so io, lo sanno di certo anche Sir Arles, Sir Bruno e Padre Quart. Il primo e il terzo hanno scritto entrambi una lettera di scuse, mentre il secondo è partito da Chalard per non fare più ritorno.
Quando tutto sembrava ormai perduto gli Dei sono scesi a mettere una pezza su questo disastro diplomatico, facendo spuntare dal nulla Lord Albert con tutti i suoi soldati. Alleanze impreviste, un monastero attaccato e a rischio di cadere, forse il primo di una lunga serie. La barba incolta di Lord Albert ha fatto cadere i pochi capelli che erano rimasti ai Padri di Noyes, ma ha anche provocato il loro perdono da parte del Marchese: trenta soldati a Noyes, cento a Foucault, e altri ancora a presidio delle strade e dei passi principali a scongiurare qualsiasi pericolo di attacco. Questa è stata la seconda risposta di Beid, della quale faccio parte anch'io: visto che colui che fu mio compagno di cella non poteva venire a trovarmi, ho convinto mio padre il Marchese a farmi portare da lui.
"Sono la fidanzata di Sir Thomas: chiedo che mi sia concesso l'onore di accompagnarlo in questo incarico".
e ancora:
"Vi prometto che farò del mio meglio per riportare a casa Solice".
ma soprattutto:
"Voi più di tutti sapete cosa mi è capitato in quelle grotte, e potete comprendere il mio desiderio di fare giustizia dei responsabili: se quest'uomo conosce un modo per arrivare a loro, non posso esimermi dall'aiutarlo nella sua ricerca... e dall'apprendere quelle informazioni".
Sono qui perché mio padre il Marchese ha ascoltato le mie argomentazioni, perché ha avuto fiducia in me. Ho aspettato a lungo questa occasione e ora devo sfruttarla al meglio, affinché la mia visita sia fruttuosa: l'uomo con cui sto per recarmi a parlare è già in debito con me, e presto farò in modo che lo sia ancora di più. Scoprirò la verità sulla mia prima madre, sugli individui che mi hanno rapita... e su Amon.
E poi, finalmente, darò corso alla mia vendetta.
18 novembre 518, qualche ora più tardi
Il tramonto spinge il sole verso il basso, nascondendone i raggi dietro alla Torre che ruba il suo nome e tingendo l'aria di tonalità autunnali. Domani chiederò a Padre Quart di accompagnarmi dentro quell'austero edificio: voglio salire fino in cima, guardare la campagna da lassù. Mentre percorro il sentiero di ciottoli che conduce alle stanze del collegio ripenso al mio primo dialogo con Netjerikhet Zauemia Ruinethot... Quanto lo odiavano i genitori per avergli trovato un nome del genere? forse volevano una femmina. A parte questo, non avrei mai immaginato di...
"Quanta fretta! Ti aspetta forse qualcuno?"
Come dicevo ieri, il rumore di questo posto riesce a volte ad essere fastidioso. Qualsiasi governante strilla come se stesse parlando con...
"Sto parlando con te. Sei sorda, forse?"
Mi volto in direzione della mia inattesa interlocutrice: è una delle graziose fanciulle della biblioteca, e sembra avere più o meno la mia età.
"Allora sei muta, oltre che sorda..."
La maleducazione è un malanno fastidioso: parte dalle campagne, ma basta perderla di vista un attimo e la ritrovi nelle città, nei castelli... ovunque. Questo collegio, apprendo amaramente mentre mi accingo a rispondere, mostra di non essere immune a tale infausto contagio.
"Scusate, ma non credo di conoscervi: di grazia, a che titolo avete intenzione di prendere il mio tempo?"
Sorride. "Sei stronza come pensavo, Rosalie. Stronza e altezzosa."
Oh Dei, e adesso questa chi è? La osservo, certa di non averla mai vista prima d'ora. Mora, occhi scuri... un serpentello a forma di treccia che scende da un lato del viso. Vuoto totale. La osservo per alcuni secondi: mi guarda fissa e mi riempie di insulti, mentre sorride. Stronza, e sorride. Stronza e altezzosa, e sorride. Stronza, altezzosa, arrogante, assassina... Assassina? Rifletto. Ecco la scorciatoia che mi porta sulla buona strada. Tra un insulto e l'altro comincio a riconoscere l'accento. D'improvviso, sono io a sorridere.
"Interessante: e così fanno studiare anche voi in questo collegio. Magari è l’occasione per imparare come si ricostruiscono le case…"
La cugina arde di di odio e rancore: parla di mio padre e dei miei fratelli, colpevoli di averle ucciso i familiari. Alzo le spalle. e allora? non sei l'unica orfana di guerra. Potrei parlarti anch'io di mio padre e di come è stato ucciso, o di tanti altri genitori morti con e senza la spada in pugno. Servirebbe forse a qualcosa? Non sei disposta ad ascoltermi, proprio come io non intendo ascoltare te. Quello che vorresti fare, invece, è saltarmi addosso qui nel cortile. Eppure, vedo che ti trattieni. Come mai?
Alle galline non insegnano l’autocontrollo. A dispetto delle sue maniere da contadina manesca, questa ragazza non è una popolana. Quando le chiedo il nome risponde a improperi, segno che dev’essere insignificante. Il nome di suo padre, forse? seguono altri insulti: insignificante pure lui. Un Dominus forse, o magari un cavaliere. Perché sto sprecando il mio tempo con te, gallinella di Keib? Che siano i Padri di Noyes a farti da fattore. Riprendo il mio passo, ignorandola. Poi arriva la sfida, soffice come un guanto, sulla nuca.
“Dormi bene, stanotte".
Mi allontano senza voltarmi, soffocando il giullare impazzito che ride a squarciagola dentro di me. Dormi bene anche tu, cuginetta, sappiamo entrambe che ti manca il coraggio per fare alcunché.
7 novembre 518
Giovedì 27 Gennaio 2011
Caccia notturna.
Corte Fabris, signoria di Ratel, Baronia di Laon.
Testimonianza di Ernst Whale, contadino
Sono arrivati nel cuore della notte. Io e mia moglie stavamo dormendo, quando abiamo sentito forti grida che provenivano dalla casa accanto. Ho detto a Adelaide di restare a letto, mi sono alzato ed ho aperto la finestra per capire che stava succedendo.
Davanti, nell'aia, non c'era nessuno ed era buio pesto. Ma con la finestra aperta si sentivano meglio le grida dei vicini, che chiamavano aiuto, invocavano pietà.
"Ernst! Che sta succedendo!" mi ha chiesto Adelaide, saltando giù dal letto, "che cosa..."
"Chiuditi in cantina coi bambini", le ho ordinato. "Io vado a vedere".
Infilo gli zoccoli e la mantella, scendo le scale, mentre sento di sopra i passi trafelati di mia moglie che sveglia i piccoli, li infagotta in fretta, tranquillizzandoli a bassa voce. Rivolgo una silenziosa preghiera a Pyros, che ci protegga, poi prendo l'attizzatoio dal caminetto e mi avvicino alla porta di casa.
Da fuori le grida dei vicini continuano.
Spingo piano le imposte della finestra di cucina per dare un'occhiata all'aia, che è ancora deserta. Poi mi avvicino alla porta di casa e la apro.
E' una notte fredda e dall'odore di brina capisco che l'alba non è lontana.
La porta accanto alla mia è spalancata, da dentro scorgo della luce.
Noi siamo povera gente, nessuno qui chiude a chiave la porta, nessuno ha soldi da buttare per una serratura, e nessuno ha in casa niente di prezioso che valga la pena rubare.
Ma proprio mentre faccio questo pensiero, riconosco le grida di Clarisse, la figlia adolescente dei miei vicini. Un fiore delicato, un piccolo tesoro.
La prima a correre fuori dalla casa è una donna. La riconosco più dalla voce che dalla figura, che è infagottata in un mantello e in un'armatura. "Io vado al fienile!" sta dicendo lei, mentre avanza con una spada in mano ed una torcia nell'altra mano, "voi muovetevi subito ai cavalli!"
Mi passa accanto, non si accorge di me, provo a colpirla con l'attizzatoio.
Sbatto su qualcosa di duro, lei non sembra ferita. Si gira verso di me e mi punta la spada. "Sparisci, se non vuoi morire" mi dice. Serissima.
"Chi siete..." provo a domandare. Lei avanza di un passo nella mia direzione, costringendomi ad arretrare. "Sono Martha. Ora inizia a correre... e ringrazia che non ho tempo da perdere".
Che avrei dovuto fare? Sono un padre di famiglia, ho delle responsabilità verso i miei figli, verso mia moglie... senza di me loro sarebbero perduti.
Ho iniziato ad arretrare lentamente, sempre stringendo in mano l'attizzatoio.
Lei, Martha, avanza verso il fienile, all'altro lato dell'aia. Subito dietro di lei esce dalla porta un uomo armato, che mi rivolge un'occhiata arcigna. E immediatamente dopo ne esce un altro, con tra le braccia un grosso fagotto che si muove debolmente.
"Fermatevi..." provo a dire, ma la voce mi muore in gola. L'ultimo che esce dalla casa è il più grosso della banda, armato di mazza e con una faccia patibolare. Fa alcuni passi verso di me, mi vede incespicare all'indietro e scoppia a ridere.
Succede tutto velocemente. Martha dà fuoco al fienile, gli altri corrono verso le betulle in fondo all'aia, dove avevano lasciato dei cavalli. E si danno tutti alla fuga.
Aspetto qualche istante, ansimando. Poi mi faccio coraggio ed entro in casa di Georg, il mio vicino. Tutto tace.
"Georg..." provo a chiamare. "Sono io, Ernst..."
La casa è buia, si intravede solo un chiarore irregolare che proviene dalla cucina, che sta sul retro. Mi inoltro di qualche metro e sento odore di fumo. "Georg!" chiamo ancora, stavolta a voce alta. Entro in cucina. Una tovaglia sta bruciando, ed illumina le sagome sinistre di tre persone riverse a terra. Riconosco il mio amico, sua moglie e il figlio maggiore, un ragazzo di quindici anni. Stanno a terra, in una pozza di sangue.
"Oh, Dei..." mormoro, mi chino su di loro, nessuno respira. L'aria stessa si sta facendo più fumosa, tanto che ricordo finalmente di avere ancora in mano l'attizzatoio: prendo con la sua punta la tovaglia in fiamme, spingendola nel caminetto spento, prima che provochi un incendio.
"Il fienile..." mormoro amaramente. Per il fienile c'è poco da fare... eppure qualcosa bisogna fare.... Sono l'unico uomo della corte, ormai, e solo Pyros sa come potrò placare le fiamme.
Ai pozzi, al torrente, mobilitare gli uomini delle corti vicine.... ma proprio mentre sto per uscire da casa mi sento chiamare da una vocina debole. "Ernst... sei tu?"
Mi si gela il sangue nelle vene. E' il piccolo Gabriel, il più piccolo dei figli di Georg, un bambino di cinque anni. Lo vedo uscire tremante dal sottoscala, con i piedi scalzi e la camicia da notte indosso.
"Non guardare!" gli ordino.
"Sono... tutti morti, vero?" chiede lui.
Sospiro. "Vieni, ti porto a casa mia, Adelaide ti scalda un po' di latte".
"Tutti..." mormora lui, e mi segue a testa bassa.
Testimonianza di Samuel Horton, soldato
Quei bastardi hanno fatto l'errore più grande della loro vita, questo è poco ma sicuro.
Hanno sconfinato.
Lo sapevamo già che c'erano questi banditi, criminali sanguinari capeggiati da una donna, e che da qualche settimana non facevano altro che tormentare Navon, Luceen, quei posti lì. E non è che ci volesse un genio a capirlo, il problema era proprio legato a chissà che trascorsi tra questa banditessa, Martha, e Sir Andrè. D'altronde lo sanno tutti che è un donnaiolo, chissà che sarà successo tra di loro, per suscitare una simile voglia di vendetta.
Mah, fatti loro, dico io. Fatti loro e di quei poveracci villici di Sir Andrè, che come sempre ci vanno di mezzo... e comunque peggio per loro.
Ma stavolta Martha e i suoi complici hanno sconfinato. Attaccando Corte Fabris sono entrati nel territorio della Signoria di Ratel, e qui a Ratel non si scherza.
Magari, ironia della sorte, nemmeno se ne sono resi conto di avere sconfinato... ma al mio Dominus non interessa. Come non gli interessa se a capeggiare la banda è un bandito, una banditessa, un orco o un adoratore degli Dei oscuri. Si dice che in passato ne abbia fronteggiati a dozzine... chissà se è vero, ma potrebbe anche essere.
Ho portato io stesso la notizia al Castello, ed ho avuto l'onore di parlare con il Dominus in persona. Era tarda mattina, lui sedeva sul molo ai piedi delle mura, insieme a un paio dei suoi figli, ed insegnava loro a pescare.
Quando mi ha visto si è alzato, allontanandosi dai bambini per non farli sentire. Gli ho raccontato dell'assalto alla corte, del rapimento della ragazzina e dell'assassinio di quel contadino, della moglie e del figlio maggiore. Il Dominus ha ascoltato tutto con attenzione, adombrandosi poco a poco.
"Non possono passarla liscia", ha detto poi, quasi con rimpianto. "Stanotte li andiamo a stanare". Poi si è rivolto ai due ragazzini, ordinando loro di rientrare nel castello.
"Partiamo al tramonto, portami cinque tuoi compagni dei migliori. E che non abbiano paura dei cani".
Sento un brivido per la schiena. Il Dominus vuole utilizzare nella caccia i tremendi cani di sua moglie, Lady Dorothy. Che Harkel ci aiuti.
Poco prima del tramonto io e cinque dei miei compagni siamo davanti alle porte del Castello. Si sente l'abbaiare di molti cani.
Appena il sole è calato dietro l'orizzonte, le porte si aprono e Sir Porter esce dal castello, attorniato da una mezza dozzina di grossi segugi. Indossa una vecchia corazza di piastre sul tronco, braccia e gambe sono coperte da cuoio rinforzato. Non ha con sè lo scudo, ma soltanto due daghe alla cintura. Eppure sembra incredibilmente a suo agio con un simile equipaggiamento.
Trae da una sacca un vestito, lo fa annusare i cani e quelli iniziano a guardarsi intorno, poi tutti insieme prendono una direzione e iniziano a correre verso il bosco. Li seguiamo.
Sir Porter cammina insieme a noi, a piedi, e a un tratto è costretto a fermarsi a riprendere fiato. "Sono un po' arrugginito", commenta con un mezzo sorriso, "come le mie daghe".
I cani, quasi potessero intuire la volontà del Dominus, rallentano il passo, anche se continuano a muoversi senza esitare nella stessa direzione, verso sud, lungo il fianco di una collina.
Raggiungiamo il crinale quando il cielo è ormai scuro, e le prime stelle iniziano a brillare tra le nuvole.
La zona boscosa che divide Ratel da Navon è ampia e fitta, attraversata da pochi sentieri. Offre infiniti ottimi rifugi a dei fuggiaschi, e senza un valido aiuto cercare Martha e i suoi compari sarebbe come trovare un ago in un pagliaio.
Ma per fortuna noi abbiamo un aiuto, un aiuto spaventoso e quasi sovrannaturale: i cani di Lady Dorothy non conoscono esitazione, e appena raggiunto il crinale iniziano la discesa muovendo lungo il percorso meno intuitivo, il più scoperto e diretto verso Sud.
Poco a poco i cani iniziano a manifestare un'eccitazione crescente, sembra che la preda sia vicina. Sir Porter ci fa cenno di tenerci pronti, avanziamo di buon passo verso il nemico con le armi in pugno.
Testimonianza di Josh "Manigrosse" Kayafils, bandito
E' stato un attacco improvviso e velocissimo.
Ci sono piombati addosso prima i cani, circondandoci da ogni parte. Poi gli uomini, cinque o sei in tutto, capeggiati da un vecchio combattente armato di due daghe che poi, con sorpresa, ho scoperto essere il Dominus di Ratel.
Abbiamo avuto il tempo di prendere le armi prima che ci arrivassero addosso, Martha ci ha gridato di resistere e di mandarli all'inferno, Robert ne ha steso uno con un colpo fortunato alla gola.
Ma ben presto ho capito che era persa.
Caduto il soldato, su Robert si è scagliato quel vecchio demonio, con due daghe ed un'agilità sorprendente per la sua età. L'ha colpito ripetutamente, fino a lasciarlo a terra rantolante.
Io ho subito gettato la spada gridando "mi arrendo! mi arrendo!" mentre quella pazza di Martha corre verso la ragazzina, le punta la spada sotto la gola urlando ai nostri assalitori di andarsene, altrimenti l'avrebbe sgozzata.
Ho colto un attimo di esitazione nei loro sguardi, ma poi il vecchio senza tanti complimenti fa due passi verso Martha. "Non peggiorare la tua situazione, è già abbastanza brutta".
"Avvicinati e l'ammazzo!" insiste lei, ormai come impazzita.
"Lascia la ragazzina e getta la spada"
"Mai!"
Accade contemporaneamente: lui trafigge Martha, mentre Martha colpisce alla gola la ragazzina.
Il resto è storia. Sia Martha che la ragazzina sono sopravvissute, l'una è stata portata come me prigioniera al castello di Sir Porter, l'altra rispedita a casa sua. O a quel che ne è rimasto.
Lungo la via del ritorno, il soldato che mi aveva in consegna aveva voglia di parlare.
"La cosa che mi piacerebbe sapere" mi dice mentre avanziamo per il bosco al lento passo dei feriti, "è se avevate capito sì o no di aver sconfinato nel territorio di Ratel"
Scuoto il capo. "Non sono di queste parti", rispondo.
"Eh... è stato un grosso errore, credimi. Il nostro Dominus è una persona tranquilla, ma non gli si possono fare sgarri, altrimenti si paga amaramente".
Non ho niente da dire, in effetti pagheremo amaramente, penso tra me. Ma il soldato insiste con le sue domande.
"E come mai stavate facendo guerra a Navon? Era un problema personale tra la vostra capobanda e il Dominus?"
Mi stringo nelle spalle. "So che si conoscevano, sì. Non conosco però i loro trascorsi".
"Ehh... quel Sir Navon, lo dicono tutti che era un donnaiolo... sembrava avesse messo la testa a posto, ultimamente, ma poi con tutto quel che gli è capitato..."
POvero me, mi è toccata una comare come sorvegliante, invece di un soldato.
"Non lo so", rispondo tentando di chiudere in fretta. "Non ne ho idea nè mi è mai importato qualcosa".
"Ah... ma della ragazzina sì, te n'è importato eccome, eh?"
Lo sapevo, lo sapevo che era lì che sarebbe andato a parare. E questa sua morbosa curiosità non lo rende poi così migliore di me, questo bastardo.
"Vuoi sapere se l'ho stuprata anche io?" gli domando.
Lui esita, si volta a guardarla, a guardare quella poveretta che avanza zoppicando al fianco del Dominus, avvolta in un mantello non suo. Poi annuisce.
"L'hai fatto?"
"Sì, l'ho fatto. E se non la smetti di fare domande, toccherà presto anche a tua sorella", rispondo tranquillo.
"Eh?", il soldato trasale: "non ti permettere a dire mai più una cosa simile!"
Non dico più nulla.
Tutto questo è già abbastanza penoso.
La nostra grande fuga, iniziata a Spandel qualche mese fa, si conclude qui, nelle prigioni del castello di Ratel.
Testimonianza di Ernst Whale, contadino
Sono arrivati nel cuore della notte. Io e mia moglie stavamo dormendo, quando abiamo sentito forti grida che provenivano dalla casa accanto. Ho detto a Adelaide di restare a letto, mi sono alzato ed ho aperto la finestra per capire che stava succedendo.
Davanti, nell'aia, non c'era nessuno ed era buio pesto. Ma con la finestra aperta si sentivano meglio le grida dei vicini, che chiamavano aiuto, invocavano pietà.
"Ernst! Che sta succedendo!" mi ha chiesto Adelaide, saltando giù dal letto, "che cosa..."
"Chiuditi in cantina coi bambini", le ho ordinato. "Io vado a vedere".
Infilo gli zoccoli e la mantella, scendo le scale, mentre sento di sopra i passi trafelati di mia moglie che sveglia i piccoli, li infagotta in fretta, tranquillizzandoli a bassa voce. Rivolgo una silenziosa preghiera a Pyros, che ci protegga, poi prendo l'attizzatoio dal caminetto e mi avvicino alla porta di casa.
Da fuori le grida dei vicini continuano.
Spingo piano le imposte della finestra di cucina per dare un'occhiata all'aia, che è ancora deserta. Poi mi avvicino alla porta di casa e la apro.
E' una notte fredda e dall'odore di brina capisco che l'alba non è lontana.
La porta accanto alla mia è spalancata, da dentro scorgo della luce.
Noi siamo povera gente, nessuno qui chiude a chiave la porta, nessuno ha soldi da buttare per una serratura, e nessuno ha in casa niente di prezioso che valga la pena rubare.
Ma proprio mentre faccio questo pensiero, riconosco le grida di Clarisse, la figlia adolescente dei miei vicini. Un fiore delicato, un piccolo tesoro.
La prima a correre fuori dalla casa è una donna. La riconosco più dalla voce che dalla figura, che è infagottata in un mantello e in un'armatura. "Io vado al fienile!" sta dicendo lei, mentre avanza con una spada in mano ed una torcia nell'altra mano, "voi muovetevi subito ai cavalli!"
Mi passa accanto, non si accorge di me, provo a colpirla con l'attizzatoio.
Sbatto su qualcosa di duro, lei non sembra ferita. Si gira verso di me e mi punta la spada. "Sparisci, se non vuoi morire" mi dice. Serissima.
"Chi siete..." provo a domandare. Lei avanza di un passo nella mia direzione, costringendomi ad arretrare. "Sono Martha. Ora inizia a correre... e ringrazia che non ho tempo da perdere".
Che avrei dovuto fare? Sono un padre di famiglia, ho delle responsabilità verso i miei figli, verso mia moglie... senza di me loro sarebbero perduti.
Ho iniziato ad arretrare lentamente, sempre stringendo in mano l'attizzatoio.
Lei, Martha, avanza verso il fienile, all'altro lato dell'aia. Subito dietro di lei esce dalla porta un uomo armato, che mi rivolge un'occhiata arcigna. E immediatamente dopo ne esce un altro, con tra le braccia un grosso fagotto che si muove debolmente.
"Fermatevi..." provo a dire, ma la voce mi muore in gola. L'ultimo che esce dalla casa è il più grosso della banda, armato di mazza e con una faccia patibolare. Fa alcuni passi verso di me, mi vede incespicare all'indietro e scoppia a ridere.
Succede tutto velocemente. Martha dà fuoco al fienile, gli altri corrono verso le betulle in fondo all'aia, dove avevano lasciato dei cavalli. E si danno tutti alla fuga.
Aspetto qualche istante, ansimando. Poi mi faccio coraggio ed entro in casa di Georg, il mio vicino. Tutto tace.
"Georg..." provo a chiamare. "Sono io, Ernst..."
La casa è buia, si intravede solo un chiarore irregolare che proviene dalla cucina, che sta sul retro. Mi inoltro di qualche metro e sento odore di fumo. "Georg!" chiamo ancora, stavolta a voce alta. Entro in cucina. Una tovaglia sta bruciando, ed illumina le sagome sinistre di tre persone riverse a terra. Riconosco il mio amico, sua moglie e il figlio maggiore, un ragazzo di quindici anni. Stanno a terra, in una pozza di sangue.
"Oh, Dei..." mormoro, mi chino su di loro, nessuno respira. L'aria stessa si sta facendo più fumosa, tanto che ricordo finalmente di avere ancora in mano l'attizzatoio: prendo con la sua punta la tovaglia in fiamme, spingendola nel caminetto spento, prima che provochi un incendio.
"Il fienile..." mormoro amaramente. Per il fienile c'è poco da fare... eppure qualcosa bisogna fare.... Sono l'unico uomo della corte, ormai, e solo Pyros sa come potrò placare le fiamme.
Ai pozzi, al torrente, mobilitare gli uomini delle corti vicine.... ma proprio mentre sto per uscire da casa mi sento chiamare da una vocina debole. "Ernst... sei tu?"
Mi si gela il sangue nelle vene. E' il piccolo Gabriel, il più piccolo dei figli di Georg, un bambino di cinque anni. Lo vedo uscire tremante dal sottoscala, con i piedi scalzi e la camicia da notte indosso.
"Non guardare!" gli ordino.
"Sono... tutti morti, vero?" chiede lui.
Sospiro. "Vieni, ti porto a casa mia, Adelaide ti scalda un po' di latte".
"Tutti..." mormora lui, e mi segue a testa bassa.
Testimonianza di Samuel Horton, soldato
Quei bastardi hanno fatto l'errore più grande della loro vita, questo è poco ma sicuro.
Hanno sconfinato.
Lo sapevamo già che c'erano questi banditi, criminali sanguinari capeggiati da una donna, e che da qualche settimana non facevano altro che tormentare Navon, Luceen, quei posti lì. E non è che ci volesse un genio a capirlo, il problema era proprio legato a chissà che trascorsi tra questa banditessa, Martha, e Sir Andrè. D'altronde lo sanno tutti che è un donnaiolo, chissà che sarà successo tra di loro, per suscitare una simile voglia di vendetta.
Mah, fatti loro, dico io. Fatti loro e di quei poveracci villici di Sir Andrè, che come sempre ci vanno di mezzo... e comunque peggio per loro.
Ma stavolta Martha e i suoi complici hanno sconfinato. Attaccando Corte Fabris sono entrati nel territorio della Signoria di Ratel, e qui a Ratel non si scherza.
Magari, ironia della sorte, nemmeno se ne sono resi conto di avere sconfinato... ma al mio Dominus non interessa. Come non gli interessa se a capeggiare la banda è un bandito, una banditessa, un orco o un adoratore degli Dei oscuri. Si dice che in passato ne abbia fronteggiati a dozzine... chissà se è vero, ma potrebbe anche essere.
Ho portato io stesso la notizia al Castello, ed ho avuto l'onore di parlare con il Dominus in persona. Era tarda mattina, lui sedeva sul molo ai piedi delle mura, insieme a un paio dei suoi figli, ed insegnava loro a pescare.
Quando mi ha visto si è alzato, allontanandosi dai bambini per non farli sentire. Gli ho raccontato dell'assalto alla corte, del rapimento della ragazzina e dell'assassinio di quel contadino, della moglie e del figlio maggiore. Il Dominus ha ascoltato tutto con attenzione, adombrandosi poco a poco.
"Non possono passarla liscia", ha detto poi, quasi con rimpianto. "Stanotte li andiamo a stanare". Poi si è rivolto ai due ragazzini, ordinando loro di rientrare nel castello.
"Partiamo al tramonto, portami cinque tuoi compagni dei migliori. E che non abbiano paura dei cani".
Sento un brivido per la schiena. Il Dominus vuole utilizzare nella caccia i tremendi cani di sua moglie, Lady Dorothy. Che Harkel ci aiuti.
Poco prima del tramonto io e cinque dei miei compagni siamo davanti alle porte del Castello. Si sente l'abbaiare di molti cani.
Appena il sole è calato dietro l'orizzonte, le porte si aprono e Sir Porter esce dal castello, attorniato da una mezza dozzina di grossi segugi. Indossa una vecchia corazza di piastre sul tronco, braccia e gambe sono coperte da cuoio rinforzato. Non ha con sè lo scudo, ma soltanto due daghe alla cintura. Eppure sembra incredibilmente a suo agio con un simile equipaggiamento.
Trae da una sacca un vestito, lo fa annusare i cani e quelli iniziano a guardarsi intorno, poi tutti insieme prendono una direzione e iniziano a correre verso il bosco. Li seguiamo.
Sir Porter cammina insieme a noi, a piedi, e a un tratto è costretto a fermarsi a riprendere fiato. "Sono un po' arrugginito", commenta con un mezzo sorriso, "come le mie daghe".
I cani, quasi potessero intuire la volontà del Dominus, rallentano il passo, anche se continuano a muoversi senza esitare nella stessa direzione, verso sud, lungo il fianco di una collina.
Raggiungiamo il crinale quando il cielo è ormai scuro, e le prime stelle iniziano a brillare tra le nuvole.
La zona boscosa che divide Ratel da Navon è ampia e fitta, attraversata da pochi sentieri. Offre infiniti ottimi rifugi a dei fuggiaschi, e senza un valido aiuto cercare Martha e i suoi compari sarebbe come trovare un ago in un pagliaio.
Ma per fortuna noi abbiamo un aiuto, un aiuto spaventoso e quasi sovrannaturale: i cani di Lady Dorothy non conoscono esitazione, e appena raggiunto il crinale iniziano la discesa muovendo lungo il percorso meno intuitivo, il più scoperto e diretto verso Sud.
Poco a poco i cani iniziano a manifestare un'eccitazione crescente, sembra che la preda sia vicina. Sir Porter ci fa cenno di tenerci pronti, avanziamo di buon passo verso il nemico con le armi in pugno.
Testimonianza di Josh "Manigrosse" Kayafils, bandito
E' stato un attacco improvviso e velocissimo.
Ci sono piombati addosso prima i cani, circondandoci da ogni parte. Poi gli uomini, cinque o sei in tutto, capeggiati da un vecchio combattente armato di due daghe che poi, con sorpresa, ho scoperto essere il Dominus di Ratel.
Abbiamo avuto il tempo di prendere le armi prima che ci arrivassero addosso, Martha ci ha gridato di resistere e di mandarli all'inferno, Robert ne ha steso uno con un colpo fortunato alla gola.
Ma ben presto ho capito che era persa.
Caduto il soldato, su Robert si è scagliato quel vecchio demonio, con due daghe ed un'agilità sorprendente per la sua età. L'ha colpito ripetutamente, fino a lasciarlo a terra rantolante.
Io ho subito gettato la spada gridando "mi arrendo! mi arrendo!" mentre quella pazza di Martha corre verso la ragazzina, le punta la spada sotto la gola urlando ai nostri assalitori di andarsene, altrimenti l'avrebbe sgozzata.
Ho colto un attimo di esitazione nei loro sguardi, ma poi il vecchio senza tanti complimenti fa due passi verso Martha. "Non peggiorare la tua situazione, è già abbastanza brutta".
"Avvicinati e l'ammazzo!" insiste lei, ormai come impazzita.
"Lascia la ragazzina e getta la spada"
"Mai!"
Accade contemporaneamente: lui trafigge Martha, mentre Martha colpisce alla gola la ragazzina.
Il resto è storia. Sia Martha che la ragazzina sono sopravvissute, l'una è stata portata come me prigioniera al castello di Sir Porter, l'altra rispedita a casa sua. O a quel che ne è rimasto.
Lungo la via del ritorno, il soldato che mi aveva in consegna aveva voglia di parlare.
"La cosa che mi piacerebbe sapere" mi dice mentre avanziamo per il bosco al lento passo dei feriti, "è se avevate capito sì o no di aver sconfinato nel territorio di Ratel"
Scuoto il capo. "Non sono di queste parti", rispondo.
"Eh... è stato un grosso errore, credimi. Il nostro Dominus è una persona tranquilla, ma non gli si possono fare sgarri, altrimenti si paga amaramente".
Non ho niente da dire, in effetti pagheremo amaramente, penso tra me. Ma il soldato insiste con le sue domande.
"E come mai stavate facendo guerra a Navon? Era un problema personale tra la vostra capobanda e il Dominus?"
Mi stringo nelle spalle. "So che si conoscevano, sì. Non conosco però i loro trascorsi".
"Ehh... quel Sir Navon, lo dicono tutti che era un donnaiolo... sembrava avesse messo la testa a posto, ultimamente, ma poi con tutto quel che gli è capitato..."
POvero me, mi è toccata una comare come sorvegliante, invece di un soldato.
"Non lo so", rispondo tentando di chiudere in fretta. "Non ne ho idea nè mi è mai importato qualcosa".
"Ah... ma della ragazzina sì, te n'è importato eccome, eh?"
Lo sapevo, lo sapevo che era lì che sarebbe andato a parare. E questa sua morbosa curiosità non lo rende poi così migliore di me, questo bastardo.
"Vuoi sapere se l'ho stuprata anche io?" gli domando.
Lui esita, si volta a guardarla, a guardare quella poveretta che avanza zoppicando al fianco del Dominus, avvolta in un mantello non suo. Poi annuisce.
"L'hai fatto?"
"Sì, l'ho fatto. E se non la smetti di fare domande, toccherà presto anche a tua sorella", rispondo tranquillo.
"Eh?", il soldato trasale: "non ti permettere a dire mai più una cosa simile!"
Non dico più nulla.
Tutto questo è già abbastanza penoso.
La nostra grande fuga, iniziata a Spandel qualche mese fa, si conclude qui, nelle prigioni del castello di Ratel.
12 ottobre 518
Lunedì 15 Novembre 2010
12 ottobre dell'anno degli Dei 518
Bosco di Navon
"La nebbia porta sempre il sole", diceva suo padre, il vecchio Pjotr. "Esci tranquillo nella nebbia, perchè l'Occhio di Pyros sorgerà presto a scaldarti".
Eppure quel mattino Yesso Bravo, mentre avanzava trascinando il suo carretto tra gli alberi, si sentiva inquieto.
La nebbia era densa, biancastra, e attraverso di essa riusciva a stento a scorgere i tronchi scuri ricoperti di edera.
Yesso conosceva bene quel sentiero, che da Luceen arrivava nel fitto del bosco, e avrebbe potuto percorrerlo ad occhi chiusi. In una radura più avanti, oltre un leggero avvallamento, il giorno precedente aveva abbattuto una grossa quercia malata, ed oggi bisognava farla a pezzi e portare la legna in paese.
"Mai che qualcuno si offra di darmi una mano", borbottò tra sè con voce appena più alta del necessario, per farsi un po' di compagnia da solo. Il bosco assorbì le sue parole, che si dissolsero nell'aria ovattata.
Ogni volta che superava la deviazione del sentiero che portava al Prato di Neve, il luogo in cui l'inverno prima era stato trovato il corpo di Ludmilla, Yesso Bravo si fermava e si raccoglieva in una breve preghiera.
Così fece anche quel mattino.
Poggiò a terra i due manici del carretto, accompagnandolo con attenzione per non far cadere l'ascia a terra, poi sciolse i muscoli contratti delle gambe, in particolare di quella gamba sinistra che ancora ricordava, nelle giornate umide, l'impronta della morning star del vecchio Bob Delmontesque.
Chiuse gli occhi, sospirò. "Abbi misericordia, oh Kayah, dell'anima della dolce Ludmilla, e aiuta il nostro signore Sir Andrè a trovare e punire chi le ha fatto del male".
Yesso non era bravo con le parole, rimase qualche istante in raccoglimento e poi riaprì gli occhi, per rimettersi in cammino.
Ma, mentre si chinava per sollevare nuovamente il carretto, scorse con la coda dell'occhio un movimento, un lembo di stoffa, lungo il sentierino per il Prato di Neve.
"Ehi, chi è là!", chiamò. Nessuna risposta.
In una giornata diversa Yesso avrebbe lasciato perdere. Avrebbe ripreso il suo carretto e sarebbe andato a tagliare la legna. Molto spesso d'altronde gente di Luceen, specialmente le donne, andavano a portare fiori e a pregare al Prato di Neve, non c'era niente di così insolito.
Eppure quel mattino c'era qualcosa nell'aria, qualcosa che spinse Yesso a raccogliere la sua ascia dal carretto, e ad incamminarsi, lentamente e con cautela, lungo il sentiero per il Prato di Neve.
A terra, nel fango impiastrato di foglie secche, si scorgevano impronte recenti, senza dubbio di più persone.
Yesso strinse più forte l'impugnatura della sua ascia.
Yesso ricordava bene il gennaio dell'anno passato, quando insieme ad altri uomini di Luceen era andato a recuperare il corpo di Ludmilla. Ricordava l'aria limpida, la neve bianchissima, i raggi del sole che filtravano tra i rami secchi degli alberi. Ricordava ogni asperità del sentiero, che tanto li aveva messi in difficoltà nel trascinare il carretto. Ricordava le strettoie, le pietre affioranti, e tanto più ricordava il silenzio opprimente dei suoi compagni, gli sguardi tesi, le voci sussurrate appena sulle orribili condizioni del corpo da poco ritrovato.
Quel mattino il sentiero era molto diverso, senza neve, senza luce, appariva quasi velato da un sogno.
Yesso avanzava cercando di scorgere di nuovo la sagoma che aveva intravisto nella nebbia, ma senza riuscirci. Eppure le impronte erano reali, non era stata un'impressione, nè un fantasma.
Un fantasma... Yesso non credeva ai fantasmi, anche se le lunghe notti degli anni trascorsi alle Parole d'Oro lo avevano abituato a sussultare ad ogni fruscio, a difendersi da ogni ombra.
Mancava ormai poca strada al Prato di Neve, e Yesso percorse gli ultimi metri nella nebbia trattenendo il fiato, come se stesse entrando in una chiesa.
Aveva piovuto nei giorni passati, la terra era fangosa, e al centro della radura si poteva scorgere la grande pietra bianca che ricordava il punto in cui giaceva il corpo di Ludmilla. Una pietra grezza, piuttosto piatta e liscia, spesso ricoperta dai fiori.
A parte la pietra, la radura appariva deserta.
Anche quel mattino c'erano dei fiori, notò Yesso mentre avanzava con cautela, stringendo l'ascia tra le mani. Fiori sparpagliati, rossastri, disordinati...
"Santi Dei..."
Il respiro gli si fermò. Non erano fiori.
Una mano blasfema aveva tracciato sulla pietra bianca degli scarabocchi ripugnanti e volgari, scritte oscene, utilizzando il sangue di uno scoiattolo che giaceva buttato a terra ai piedi della lapide.
Yesso si chinò, posò due dita sulla carcassa, era ancora tiepida: chiunque avesse commesso quella profanazione non poteva essere lontano.
"Ehi tu!" gridò forte Yesso, rivolto alle ombre degli alberi nella nebbia, tutto intorno a lui. "Come hai osato, esci fuori!"
Aveva gridato d'istinto, senza pensarci. Ma subito il timore di chi potesse essere stato l'autore di un simile gesto gli strinse lo stomaco. L'assassino di Ludmilla era tornato? Oppure chi altri avrebbe potuto compiere un simile assurdo sacrilegio?
Udì un fruscio alle sue spalle, strinse forte l'ascia e si voltò.
Arrivò prima il rumore dello scatto oppure il dolore? Yesso non avrebbe saputo dirlo, mentre scivolava a terra con un dardo di balestra conficcato nella gamba. La solita sfortunata gamba sinistra.
L'ascia gli sfuggì di mano, mentre il calore del sangue si diffondeva intorno alla ferita. Rovinò a terra, nel fango, incapace di alzarsi.
"Per... perchè..." mormorò, col cuore che pompava disperatamente.
"Yesso!", si sentì chiamare da voce di donna.
"Chi..."
Dalla boscaglia emerse una sagoma femminile con la balestra in mano, una mantella scura sulle spalle, i capelli ormai lunghi raccolti in una coda di cavallo. Sembrava in forma, abbronzata, i suoi lineamenti erano induriti ed una cicatrice nuova le tagliava in due un sopracciglio.
"Martha..", biascicò sorpreso.
Lei avanzò di qualche passo verso di lui. Alle sue spalle, nella nebbia, Yesso riuscì a scorgere alcuni movimenti: la ragazza non era sola.
"Ho un messaggio per il tuo Signore" disse lei osservandolo dall'alto in basso. "Puoi dire a Sir Navon che sono tornata per lui. Per lui, e per la sua stupida Paladina bionda del cazzo".
"Martha ma dove... sei stata tutti questi mesi, che ti è..." provò a dire Yesso, incredulo. Il dardo era conficcato in profondità nella sua coscia, gli rendeva difficile anche solo ragionare. Parlare era quasi impossibile.
Lei si avvicinò ancora di un passo, chinandosi accanto a lui.
"Lo saprai presto, amico mio. E non saranno belle giornate. Credimi".
Detto questo, Martha si alzò di nuovo in piedi, incamminandosi verso gli alberi. Poco prima di svanire nella nebbia si fermò un momento.
"E buona festa di Reyks", aggiunse. Dopodichè si allontanò.
Bosco di Navon
"La nebbia porta sempre il sole", diceva suo padre, il vecchio Pjotr. "Esci tranquillo nella nebbia, perchè l'Occhio di Pyros sorgerà presto a scaldarti".
Eppure quel mattino Yesso Bravo, mentre avanzava trascinando il suo carretto tra gli alberi, si sentiva inquieto.
La nebbia era densa, biancastra, e attraverso di essa riusciva a stento a scorgere i tronchi scuri ricoperti di edera.
Yesso conosceva bene quel sentiero, che da Luceen arrivava nel fitto del bosco, e avrebbe potuto percorrerlo ad occhi chiusi. In una radura più avanti, oltre un leggero avvallamento, il giorno precedente aveva abbattuto una grossa quercia malata, ed oggi bisognava farla a pezzi e portare la legna in paese.
"Mai che qualcuno si offra di darmi una mano", borbottò tra sè con voce appena più alta del necessario, per farsi un po' di compagnia da solo. Il bosco assorbì le sue parole, che si dissolsero nell'aria ovattata.
Ogni volta che superava la deviazione del sentiero che portava al Prato di Neve, il luogo in cui l'inverno prima era stato trovato il corpo di Ludmilla, Yesso Bravo si fermava e si raccoglieva in una breve preghiera.
Così fece anche quel mattino.
Poggiò a terra i due manici del carretto, accompagnandolo con attenzione per non far cadere l'ascia a terra, poi sciolse i muscoli contratti delle gambe, in particolare di quella gamba sinistra che ancora ricordava, nelle giornate umide, l'impronta della morning star del vecchio Bob Delmontesque.
Chiuse gli occhi, sospirò. "Abbi misericordia, oh Kayah, dell'anima della dolce Ludmilla, e aiuta il nostro signore Sir Andrè a trovare e punire chi le ha fatto del male".
Yesso non era bravo con le parole, rimase qualche istante in raccoglimento e poi riaprì gli occhi, per rimettersi in cammino.
Ma, mentre si chinava per sollevare nuovamente il carretto, scorse con la coda dell'occhio un movimento, un lembo di stoffa, lungo il sentierino per il Prato di Neve.
"Ehi, chi è là!", chiamò. Nessuna risposta.
In una giornata diversa Yesso avrebbe lasciato perdere. Avrebbe ripreso il suo carretto e sarebbe andato a tagliare la legna. Molto spesso d'altronde gente di Luceen, specialmente le donne, andavano a portare fiori e a pregare al Prato di Neve, non c'era niente di così insolito.
Eppure quel mattino c'era qualcosa nell'aria, qualcosa che spinse Yesso a raccogliere la sua ascia dal carretto, e ad incamminarsi, lentamente e con cautela, lungo il sentiero per il Prato di Neve.
A terra, nel fango impiastrato di foglie secche, si scorgevano impronte recenti, senza dubbio di più persone.
Yesso strinse più forte l'impugnatura della sua ascia.
Yesso ricordava bene il gennaio dell'anno passato, quando insieme ad altri uomini di Luceen era andato a recuperare il corpo di Ludmilla. Ricordava l'aria limpida, la neve bianchissima, i raggi del sole che filtravano tra i rami secchi degli alberi. Ricordava ogni asperità del sentiero, che tanto li aveva messi in difficoltà nel trascinare il carretto. Ricordava le strettoie, le pietre affioranti, e tanto più ricordava il silenzio opprimente dei suoi compagni, gli sguardi tesi, le voci sussurrate appena sulle orribili condizioni del corpo da poco ritrovato.
Quel mattino il sentiero era molto diverso, senza neve, senza luce, appariva quasi velato da un sogno.
Yesso avanzava cercando di scorgere di nuovo la sagoma che aveva intravisto nella nebbia, ma senza riuscirci. Eppure le impronte erano reali, non era stata un'impressione, nè un fantasma.
Un fantasma... Yesso non credeva ai fantasmi, anche se le lunghe notti degli anni trascorsi alle Parole d'Oro lo avevano abituato a sussultare ad ogni fruscio, a difendersi da ogni ombra.
Mancava ormai poca strada al Prato di Neve, e Yesso percorse gli ultimi metri nella nebbia trattenendo il fiato, come se stesse entrando in una chiesa.
Aveva piovuto nei giorni passati, la terra era fangosa, e al centro della radura si poteva scorgere la grande pietra bianca che ricordava il punto in cui giaceva il corpo di Ludmilla. Una pietra grezza, piuttosto piatta e liscia, spesso ricoperta dai fiori.
A parte la pietra, la radura appariva deserta.
Anche quel mattino c'erano dei fiori, notò Yesso mentre avanzava con cautela, stringendo l'ascia tra le mani. Fiori sparpagliati, rossastri, disordinati...
"Santi Dei..."
Il respiro gli si fermò. Non erano fiori.
Una mano blasfema aveva tracciato sulla pietra bianca degli scarabocchi ripugnanti e volgari, scritte oscene, utilizzando il sangue di uno scoiattolo che giaceva buttato a terra ai piedi della lapide.
Yesso si chinò, posò due dita sulla carcassa, era ancora tiepida: chiunque avesse commesso quella profanazione non poteva essere lontano.
"Ehi tu!" gridò forte Yesso, rivolto alle ombre degli alberi nella nebbia, tutto intorno a lui. "Come hai osato, esci fuori!"
Aveva gridato d'istinto, senza pensarci. Ma subito il timore di chi potesse essere stato l'autore di un simile gesto gli strinse lo stomaco. L'assassino di Ludmilla era tornato? Oppure chi altri avrebbe potuto compiere un simile assurdo sacrilegio?
Udì un fruscio alle sue spalle, strinse forte l'ascia e si voltò.
Arrivò prima il rumore dello scatto oppure il dolore? Yesso non avrebbe saputo dirlo, mentre scivolava a terra con un dardo di balestra conficcato nella gamba. La solita sfortunata gamba sinistra.
L'ascia gli sfuggì di mano, mentre il calore del sangue si diffondeva intorno alla ferita. Rovinò a terra, nel fango, incapace di alzarsi.
"Per... perchè..." mormorò, col cuore che pompava disperatamente.
"Yesso!", si sentì chiamare da voce di donna.
"Chi..."
Dalla boscaglia emerse una sagoma femminile con la balestra in mano, una mantella scura sulle spalle, i capelli ormai lunghi raccolti in una coda di cavallo. Sembrava in forma, abbronzata, i suoi lineamenti erano induriti ed una cicatrice nuova le tagliava in due un sopracciglio.
"Martha..", biascicò sorpreso.
Lei avanzò di qualche passo verso di lui. Alle sue spalle, nella nebbia, Yesso riuscì a scorgere alcuni movimenti: la ragazza non era sola.
"Ho un messaggio per il tuo Signore" disse lei osservandolo dall'alto in basso. "Puoi dire a Sir Navon che sono tornata per lui. Per lui, e per la sua stupida Paladina bionda del cazzo".
"Martha ma dove... sei stata tutti questi mesi, che ti è..." provò a dire Yesso, incredulo. Il dardo era conficcato in profondità nella sua coscia, gli rendeva difficile anche solo ragionare. Parlare era quasi impossibile.
Lei si avvicinò ancora di un passo, chinandosi accanto a lui.
"Lo saprai presto, amico mio. E non saranno belle giornate. Credimi".
Detto questo, Martha si alzò di nuovo in piedi, incamminandosi verso gli alberi. Poco prima di svanire nella nebbia si fermò un momento.
"E buona festa di Reyks", aggiunse. Dopodichè si allontanò.
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