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Febbraio 517
Lunedì 24 Aprile 2006
Avventure nella Città dei Cento Torrenti
L'altra notte mi sono piacevolmente intrattenuto al "Palo della Cuccagna", una bettola che ho conosciuto anni fa, durante il mio primo soggiorno ad Amer. E' rimasta esattamente come l'ho lasciata l'ultima volta: tre cantine malamente illuminate, con la segatura sul pavimento e le pareti di pietra a nudo su cui si possono ammirare variopinte costellazioni di muffa; tre dozzine di tavoli affollano le prime due sale, e c'è una fila di vecchie botti a fare da bancone nell'ultima.
A mandare avanti la baracca è tale Alphonse LaPierre, un omaccione con la testa bozzuta come una mela cotogna; deve essere un luogo assai inospitale, perchè vi sopravvivono giusto una manciata di peli ispidi, abbarbicati disperatamente a quelle protuberanze come certi arbusti di montagna. Ha altre qualità, il buon Alphonse: una meretrice che conosco giura che quanto a virilità l'oste può ben dirsi proprietario del "Palo della Cuccagna", e che sa amministrarlo con profitto suo e soddisfazione della clientela.
Il Palo (la bisca, intendo) è un ritrovo tradizionale di goliardi. Frotte di studenti squattrinati vengono qui a svuotare i già magri borselli per la gioia dei ruffiani e dei biscazzieri. I primi se ne rimangano seduti insieme alla loro mercanzia: quando qualche sbarbatello vince una mano al "Tarocchino" ecco che invariabilmente la Madame Verdiana di turno lo raggiunge, e allora giù di lusinghe, moine, ammiccamenti, finchè lo sprovveduto non può fare a meno di togliersi lo sfizio. Felice destino, rispetto a quello che tocca a chi cade preda dei secondi. I "Lupi di Gargutz" non abbordano le loro vittime al Palo, le portano qui per sbranarle in tutta comodità.
La caccia inizia in posti apparentemente meno equivoci, taverne e locande frequentate da piccoli mercanti di fuori e soprattutto dai loro figli scapestrati. Gli osti sono al corrente della situazione e non si fanno scrupoli a guardare dall'altra parte: il silenzio, si sa, è d'oro.
Questi tipi dall'aria affabile e con la battuta sempre pronta girano da soli, al più si fanno assistere da una dama prezzolata per meglio ingraziarsi "l'agnellino". Se lo fanno amico e tra un bicchiere e l'altro gli propongono una vera notte di baldoria amerita in cui, se la fortuna arride, corone e sottane non mancheranno.
E così il danaroso imbecille finisce a giocare a "Tarocchino" ad uno dei cinque tavoli che LaPierre affitta ai "Lupi", e in un paio d'ore diventa un imbecille senza il becco di un quattrino. Meglio che la prenda sportivamente, come a suo tempo ho fatto io, perchè i "Lupi" quello che non guadagnano con le carte sono inclini a prenderselo col coltello.
Eh sì, son capitato qui al Palo da "agnellino", e nonostante la batosta l'ambiente m'è piaciuto al punto da farmici tornare ogni volta che i miei studi o gli affari di Dillon mi riconducevano nella Città dei Cento Torrenti. Oramai per i biscazzieri sono un "Corvo", uno che lavora in proprio. Si gioca tra di noi, o al massimo con qualche "agnellino" che dopo essersi fatto spolpare a dovere dai "Lupi" cerca di rifarsi ad un tavolo più abbordabile finendo per rimetterci i pochi spicci che gli restano.
E insomma, l'altra notte ho giocato al Palo fino a tardi, spassandomela alla vecchia maniera. Ho messo da parte una dozzina di Corone d'Argento,
quanto basta per accedere alle grazie di Corinna, una bellezza bruna dall'aria schiva che m'ha sempre intrigato e che malgrado gli anni e gli strapazzi s'è conservata intatta. Se ne stava lì al bancone con quel suo broncio annoiato che mi manda ai matti... per gli Dei! me la sarei proprio goduta.
Il ruffiano (un vile di cui non rammento il nome che, d'altro canto, non ha più molta importanza) era lì accanto, intento a darsi arie da gentiluomo assieme a due balordi suoi pari.
Mi sono accostato a lei e le ho offerto una coppa di vino per non dover arrivare brutalmente al nocciolo, per così dire, della transazione... e apriti cielo! quel miserabile si deve essere risentito, senza neanche un fiato mi ha afferrato per la giubba scaraventandomi sul pavimento. Maledetto, strappare così una giubba decentissima! Che dire poi della mia figura, imbrattato dalla testa ai piedi di quella poltiglia immonda di segatura, vino e vomito rappreso!
Non ho fatto in tempo a rialzarmi che già s'era formato un capannello di curiosi, e ai motti osceni dei goliardi s'eran sostituite grida di scherno e incitazione. Il bastardo se ne stava ritto in piedi, a gambe larghe e con le mani sui fianchi, tutto compiaciuto. "Impara a portare rispetto, porcaro!" ha sibilato, godendosi l'approvazione della calca.
Prima che potessi porre mano alla daga Alphonse s'è fatto largo tra ruffiani e protette ed è piombato in mezzo a noi. Brandiva una mazza nodosa (piuttosto simile al suo capoccione, ma non ho osato farglielo notare) e senza perdere tempo ci ha intimato di sistemare la questione fuori. E così abbiamo fatto.
Quattro "Lupi", snudati i lunghi coltelli, ci hanno accompagnato all'esterno. Mentre salivo le scalette che portano alla strada mi rimbombavano in testa le risa stridule delle puttane, quelle gioviali dei goliardi, i ragli rancorosi degli altri ruffiani. Chissà, forse persino gli "agnellini" si sono dimenticati per un attimo delle loro sventure vedendo il modo in cui ero conciato. In verità non mi bruciava la pubblica derisione quanto l'idea che i miei commerci (ci avevo fatto la bocca, ormai)con Corinna sfumassero così. Mi sono voltato per lanciarle un'ultima occhiata malinconica, e ho colto sul suo viso sempre altero un sorrisetto impertinente, pieno di scherno. A quel punto che non ci ho visto più. "Con te ce la vediamo dopo che ho spanzato il tuo amichetto, stanne certa!" ho pensato, disponendomi ad un duello che altrimenti avrei evitato più che volentieri.
I "Lupi" ci hanno accompagnato al Vicolo di San Trifone, un budello che si apre tra l'omonima chiesa ormai in disuso e il muro di cinta del relativo campo santo. Non c'è mai anima viva in giro, e tantomeno finestre da cui qualcuno possa impicciarsi di ciò che avviene giù in strada; di giorno i bottegai lo usano come latrina, di notte ci bazzicano i malfattori, che vengono lì a spartirsi il bottino delle loro ruberie. Non c'è in Amer posto più discreto per, chi abbia di quei conti che si possono regolare solo con l'acciaio.
I duelli non sono mai un bell'affare, lo so bene dai tempi di Achenar. Ammetto che in questo frangente il supporto di Loic non mi sarebbe affatto dispiaciuto, al diavolo l'onore, combattere in mezzo al piscio secco per aver accostato una puttana senza il permesso del suo ruffiano non aveva proprio niente a che vedere con l'onore. Ma tant'era... e non avrei neppure potuto far ricorso alla Magia, mi sarei ritrovato con un palmo d'acciaio in corpo prima di poter dire "Bes!". Bisognava battersi.
I "Lupi" ci hanno lasciati soli senza dire una parola, e in verità non ci siamo persi in convenevoli neanche noi. Il ruffiano mi si è subito avventato addosso. Era svelto di gambe e maneggiava il suo punteruolo con una certa destrezza, ritraendosi come un gatto al balenare dalla mia daga per poi rifarsi avanti più velenoso di prima; questo dannato vicolo poi era troppo stretto per consentirmi di girargli intorno, sicchè poteva tenermi a bada con facilità in virtù della superiore lunghezza del suo ferro (non sono abbastanza stimato al Palo da potermi presentare con la spada, mentre il ruffiano lì era di casa.)
Insomma, me la sono vista proprio brutta. Sette scambi infruttuosi, e il mio avversario continuava a giocare al gatto e al topo. La cosa sarebbe andata per le lunghe, e non certo a mio favore. Fortunatamente quest'anno di avventure assieme ai ragazzi di Caen è assai giovato alla mia scherma, e sono riuscito a deviare (non senza difficoltà) gli affondi del suo stocco con la daga. Di questo passo non avrei mai accorciato le distanze, e presto o tardi l'infame mi avrebbe infilzato. E così ho giocato d'azzardo.
Ho evitato di un soffio che mi aprisse un terzo occhio sullo zigomo schivando il punteruolo all'ultimo secondo, e contemporaneamente mi sono allungato per avere le sue trippe a portata di affondo. E per gli Dei, se le ho trovate! Il ruffiano ha lasciato cadere lo stocco, s'è portato le mani all'inguine e ha bestemmiato Dytros non senza una certa solennità. Non gli ho dato il tempo di fare altro: pochi istanti dopo l'ho abbandonato lì, con il sangue che fluiva copioso dal basso ventre (e dalla gola convenientemente squarciata).
Eccomi di nuovo al Palo, ancor meno presentabile di come ne ero uscito. Sembrava che avessi fatto il bagno nel sangue del ruffiano, e la povera giubba era un disastro, ma nessuno ha voluto farci troppo caso: quello che succede fuori dal Palo resta fuori dal Palo, la filosofia di Alphonse è questa e, diversamente da quella di Luran, non ammette discussioni.
L'infelice Corinna era ancora al bancone in balia dei due compari del defunto protettore. Non oso pensare a quali inauditi vaniloqui l'abbiano sottoposta, fatto sta che quando mi ha visto il suo bel viso bruno s'è illuminato in un sorriso che, una volta tanto, ho trovato sincero. Mi è stato facile strapparla all'indegna compagnia; se la sono fatta sotto, i due balordi, a vedermi rosso del sangue del loro amico.
L'indomani ho lasciato la casa di Corinna con indosso un vestito del ruffiano, piuttosto dozzinale in verità. Ma pazienza, almeno quello non ho dovuto pagarlo.
A mandare avanti la baracca è tale Alphonse LaPierre, un omaccione con la testa bozzuta come una mela cotogna; deve essere un luogo assai inospitale, perchè vi sopravvivono giusto una manciata di peli ispidi, abbarbicati disperatamente a quelle protuberanze come certi arbusti di montagna. Ha altre qualità, il buon Alphonse: una meretrice che conosco giura che quanto a virilità l'oste può ben dirsi proprietario del "Palo della Cuccagna", e che sa amministrarlo con profitto suo e soddisfazione della clientela.
Il Palo (la bisca, intendo) è un ritrovo tradizionale di goliardi. Frotte di studenti squattrinati vengono qui a svuotare i già magri borselli per la gioia dei ruffiani e dei biscazzieri. I primi se ne rimangano seduti insieme alla loro mercanzia: quando qualche sbarbatello vince una mano al "Tarocchino" ecco che invariabilmente la Madame Verdiana di turno lo raggiunge, e allora giù di lusinghe, moine, ammiccamenti, finchè lo sprovveduto non può fare a meno di togliersi lo sfizio. Felice destino, rispetto a quello che tocca a chi cade preda dei secondi. I "Lupi di Gargutz" non abbordano le loro vittime al Palo, le portano qui per sbranarle in tutta comodità.
La caccia inizia in posti apparentemente meno equivoci, taverne e locande frequentate da piccoli mercanti di fuori e soprattutto dai loro figli scapestrati. Gli osti sono al corrente della situazione e non si fanno scrupoli a guardare dall'altra parte: il silenzio, si sa, è d'oro.
Questi tipi dall'aria affabile e con la battuta sempre pronta girano da soli, al più si fanno assistere da una dama prezzolata per meglio ingraziarsi "l'agnellino". Se lo fanno amico e tra un bicchiere e l'altro gli propongono una vera notte di baldoria amerita in cui, se la fortuna arride, corone e sottane non mancheranno.
E così il danaroso imbecille finisce a giocare a "Tarocchino" ad uno dei cinque tavoli che LaPierre affitta ai "Lupi", e in un paio d'ore diventa un imbecille senza il becco di un quattrino. Meglio che la prenda sportivamente, come a suo tempo ho fatto io, perchè i "Lupi" quello che non guadagnano con le carte sono inclini a prenderselo col coltello.
Eh sì, son capitato qui al Palo da "agnellino", e nonostante la batosta l'ambiente m'è piaciuto al punto da farmici tornare ogni volta che i miei studi o gli affari di Dillon mi riconducevano nella Città dei Cento Torrenti. Oramai per i biscazzieri sono un "Corvo", uno che lavora in proprio. Si gioca tra di noi, o al massimo con qualche "agnellino" che dopo essersi fatto spolpare a dovere dai "Lupi" cerca di rifarsi ad un tavolo più abbordabile finendo per rimetterci i pochi spicci che gli restano.
E insomma, l'altra notte ho giocato al Palo fino a tardi, spassandomela alla vecchia maniera. Ho messo da parte una dozzina di Corone d'Argento,
quanto basta per accedere alle grazie di Corinna, una bellezza bruna dall'aria schiva che m'ha sempre intrigato e che malgrado gli anni e gli strapazzi s'è conservata intatta. Se ne stava lì al bancone con quel suo broncio annoiato che mi manda ai matti... per gli Dei! me la sarei proprio goduta.
Il ruffiano (un vile di cui non rammento il nome che, d'altro canto, non ha più molta importanza) era lì accanto, intento a darsi arie da gentiluomo assieme a due balordi suoi pari.
Mi sono accostato a lei e le ho offerto una coppa di vino per non dover arrivare brutalmente al nocciolo, per così dire, della transazione... e apriti cielo! quel miserabile si deve essere risentito, senza neanche un fiato mi ha afferrato per la giubba scaraventandomi sul pavimento. Maledetto, strappare così una giubba decentissima! Che dire poi della mia figura, imbrattato dalla testa ai piedi di quella poltiglia immonda di segatura, vino e vomito rappreso!
Non ho fatto in tempo a rialzarmi che già s'era formato un capannello di curiosi, e ai motti osceni dei goliardi s'eran sostituite grida di scherno e incitazione. Il bastardo se ne stava ritto in piedi, a gambe larghe e con le mani sui fianchi, tutto compiaciuto. "Impara a portare rispetto, porcaro!" ha sibilato, godendosi l'approvazione della calca.
Prima che potessi porre mano alla daga Alphonse s'è fatto largo tra ruffiani e protette ed è piombato in mezzo a noi. Brandiva una mazza nodosa (piuttosto simile al suo capoccione, ma non ho osato farglielo notare) e senza perdere tempo ci ha intimato di sistemare la questione fuori. E così abbiamo fatto.
Quattro "Lupi", snudati i lunghi coltelli, ci hanno accompagnato all'esterno. Mentre salivo le scalette che portano alla strada mi rimbombavano in testa le risa stridule delle puttane, quelle gioviali dei goliardi, i ragli rancorosi degli altri ruffiani. Chissà, forse persino gli "agnellini" si sono dimenticati per un attimo delle loro sventure vedendo il modo in cui ero conciato. In verità non mi bruciava la pubblica derisione quanto l'idea che i miei commerci (ci avevo fatto la bocca, ormai)con Corinna sfumassero così. Mi sono voltato per lanciarle un'ultima occhiata malinconica, e ho colto sul suo viso sempre altero un sorrisetto impertinente, pieno di scherno. A quel punto che non ci ho visto più. "Con te ce la vediamo dopo che ho spanzato il tuo amichetto, stanne certa!" ho pensato, disponendomi ad un duello che altrimenti avrei evitato più che volentieri.
I "Lupi" ci hanno accompagnato al Vicolo di San Trifone, un budello che si apre tra l'omonima chiesa ormai in disuso e il muro di cinta del relativo campo santo. Non c'è mai anima viva in giro, e tantomeno finestre da cui qualcuno possa impicciarsi di ciò che avviene giù in strada; di giorno i bottegai lo usano come latrina, di notte ci bazzicano i malfattori, che vengono lì a spartirsi il bottino delle loro ruberie. Non c'è in Amer posto più discreto per, chi abbia di quei conti che si possono regolare solo con l'acciaio.
I duelli non sono mai un bell'affare, lo so bene dai tempi di Achenar. Ammetto che in questo frangente il supporto di Loic non mi sarebbe affatto dispiaciuto, al diavolo l'onore, combattere in mezzo al piscio secco per aver accostato una puttana senza il permesso del suo ruffiano non aveva proprio niente a che vedere con l'onore. Ma tant'era... e non avrei neppure potuto far ricorso alla Magia, mi sarei ritrovato con un palmo d'acciaio in corpo prima di poter dire "Bes!". Bisognava battersi.
I "Lupi" ci hanno lasciati soli senza dire una parola, e in verità non ci siamo persi in convenevoli neanche noi. Il ruffiano mi si è subito avventato addosso. Era svelto di gambe e maneggiava il suo punteruolo con una certa destrezza, ritraendosi come un gatto al balenare dalla mia daga per poi rifarsi avanti più velenoso di prima; questo dannato vicolo poi era troppo stretto per consentirmi di girargli intorno, sicchè poteva tenermi a bada con facilità in virtù della superiore lunghezza del suo ferro (non sono abbastanza stimato al Palo da potermi presentare con la spada, mentre il ruffiano lì era di casa.)
Insomma, me la sono vista proprio brutta. Sette scambi infruttuosi, e il mio avversario continuava a giocare al gatto e al topo. La cosa sarebbe andata per le lunghe, e non certo a mio favore. Fortunatamente quest'anno di avventure assieme ai ragazzi di Caen è assai giovato alla mia scherma, e sono riuscito a deviare (non senza difficoltà) gli affondi del suo stocco con la daga. Di questo passo non avrei mai accorciato le distanze, e presto o tardi l'infame mi avrebbe infilzato. E così ho giocato d'azzardo.
Ho evitato di un soffio che mi aprisse un terzo occhio sullo zigomo schivando il punteruolo all'ultimo secondo, e contemporaneamente mi sono allungato per avere le sue trippe a portata di affondo. E per gli Dei, se le ho trovate! Il ruffiano ha lasciato cadere lo stocco, s'è portato le mani all'inguine e ha bestemmiato Dytros non senza una certa solennità. Non gli ho dato il tempo di fare altro: pochi istanti dopo l'ho abbandonato lì, con il sangue che fluiva copioso dal basso ventre (e dalla gola convenientemente squarciata).
Eccomi di nuovo al Palo, ancor meno presentabile di come ne ero uscito. Sembrava che avessi fatto il bagno nel sangue del ruffiano, e la povera giubba era un disastro, ma nessuno ha voluto farci troppo caso: quello che succede fuori dal Palo resta fuori dal Palo, la filosofia di Alphonse è questa e, diversamente da quella di Luran, non ammette discussioni.
L'infelice Corinna era ancora al bancone in balia dei due compari del defunto protettore. Non oso pensare a quali inauditi vaniloqui l'abbiano sottoposta, fatto sta che quando mi ha visto il suo bel viso bruno s'è illuminato in un sorriso che, una volta tanto, ho trovato sincero. Mi è stato facile strapparla all'indegna compagnia; se la sono fatta sotto, i due balordi, a vedermi rosso del sangue del loro amico.
L'indomani ho lasciato la casa di Corinna con indosso un vestito del ruffiano, piuttosto dozzinale in verità. Ma pazienza, almeno quello non ho dovuto pagarlo.