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Le cronache degli eroi che salveranno il mondo
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creato il: 23/06/2014
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10 aprile 518
Domenica 5 Marzo 2023
Pristina
«Esci dalla finestra sul retro e và a chiamare gli altri».
Reprimo a stento il senso di vergogna che mi assale nell'udire le parole di Colin. L'unico aspetto positivo della maledizione che si nutre del mio corpo è dato dalla possibilità di aiutare i miei compagni in questi momenti cruciali, quando affrontano avversari che versano in una condizione simile alla mia. Aggrappandomi a questa tenue consolazione sono riuscita ad allontanare l'impulso ricorrente di togliermi la vita, ad accettare le cure di Colin, a seguire Ali in questo lungo viaggio che mi ha portata fino a qui.
Eppure, è sufficiente una sola goccia di quell'orribile sostanza per vanificare tutto, per trasformare il mio cervello in un ammasso pulsante di desideri irrefrenabili, alla stregua della sorte che tocca ad un qualsiasi risvegliato.
La pristina della Mantide, così mi chiamano. Non ho idea di cosa significhi e non mi interessa saperlo. Quando qualcuno si rivolge a me utilizzando quell'espressione di solito scandisce le parole come se si trattasse di chissà quale elogio. Come se non fossi l'innalzato più debole, lento e goffo di tutti quelli che abbiamo incontrato finora, nessuno escluso: talmente inutile da essere un peso persino in queste situazioni, costretta alla fuga da una fiala colma di liquido arancione.
Maledico me stessa e il sangue avvelenato che mi scorre nelle vene mentre attraverso la finestra che mi porterà in salvo, lontana dagli effluvi irresistibili di quella sostanza mefitica. La voglia che ho di bere, di cospargermi di quella roba quando ne avverto l'odore, la presenza, la prossimità, sancisce la distanza che mi separa ormai dalla natura umana. Posso convivere con il ribrezzo che provo ogni volta che mi guardo, con gli sguardi inorriditi di chi mi circonda, con le notti interminabili passate ad ascoltare il respiro delle persone a cui voglio bene, immaginando i loro sogni e chiedendomi se chissà, magari almeno lì, esisto ancora con fattezze diverse da queste... Dèi, quanto mi manca sognare.
I vicoli di Ghaan si aprono davanti ai miei passi veloci, ormai queste contrade le conosco fin troppo bene... grazie ad Ayza. Al pensiero di come mi sono comportata con lei senso di vergogna che provo si fa ancora più intenso: la sorte mi ha fatto conoscere uno spirito affine, una delle poche creature al mondo con cui poter condividere un male che affligge entrambe, e io cosa ho fatto? L'ho allontanata con rabbia, amareggiata perché non voleva darmi l'unica cosa che in quel momento credevo di desiderare, impedendole di onorare le ultime parole di Ali. Non potevi scegliere un successore migliore, amica mia: mi ricorda tantissimo com'eri te. Ho cambiato idea, Ayza: non la voglio più quella roba, voglio che mi aiuti a smettere. E ho bisogno del tuo aiuto adesso, perché Colin e Blanche sono in pericolo e tu sei l'unica che può affrontare quelli che un tempo erano i tuoi compagni.
Il vicolo mi porta sulla strada principale, illuminata da fiaccole e percorsa da piccoli gruppi di persone che si stanno godendo la festa. D'un tratto avverto un rumore dietro di me: mi stanno seguendo. Deve trattarsi dell'innalzato con il bastone: Sami l'Orbo, se ho inteso bene come lo chiamano. Scatto verso la Fortezza in direzione della porta che conduce alla caserma delle guardie, scartando per non investire una giovane coppia che sta venendo via dalla piazza principale. Dove sei, Ayza? Perché non riesco a sentirti?
La presenza ostile che mi segue si fa più vicina. Accelero il passo, ma è tutto inutile: è più veloce di me. Si affianca, mi tira una spallata che non riesco in alcun modo ad evitare, quindi mi spinge con esperienza il bastone tra le gambe, facendomi cadere. Mentre mi schianto al suolo, penso con amarezza che persino un vecchio innalzato come lui è molto più forte, veloce e utile di me. Un attimo dopo mi è addosso: si arrampica sul mio corpo come un gatto, bloccandomi le braccia con le ginocchia e prendendomi il viso con le mani.
«La pristina della Mantide», mormora mentre mi scruta con i suoi occhi da pazzo.
Il peso del suo corpo sopra di me è persino più insopportabile di quell'appellativo odioso. Mi sento impotente, come quella notte in cui Mirai mi costrinse a subire le sue angherie: mentre tento invano di divincolarmi dalla morsa del mio aggressore, il mio cervello rivanga sprazzi di ricordi delle turpi violenze subite durante quella abominevole iniziazione.
Villaggio di Holov, 7 agosto 516
«Mirai... ti prego! Dobbiamo andarcene da qui!»
«Annie... anNiE”...
Sembra sorridere, mentre pronuncia il mio nome. Un sorriso che fa rabbrividire.
«Mirai, per l’amore degli Dei! Stanno morendo tutti! Dobbiamo scappare, oppure...»
«oPpUre cOsA?»
Mi guarda e sorride. E’ pazza. E’ completamente andata. Forse la presenza dei Risvegliati l'ha fatta uscire di testa, fatto sta che se restiamo qui... se continua a trattenermi qui... siamo morte. Sento le lacrime che mi scendono sul viso. Non posso farci niente. Ho paura. Non voglio morire.
«nOn mOrirAi».
C... come fa ad aver...
«ti sEnto, AnniE. SeNtO tUtTo quELLo chE pEnsi».
Guardo la sua mano, stretta intorno al mio braccio mentre mi trascina per le vie di Holov sfoggiando una forza che non ha nulla di umano, facendosi largo tra sagome di Risvegliati. Perché non ci attaccano? Non ci guardano neppure. Come è possibile? Non capisco...
Mi trascina lungo le scale, poi verso la sua camera. Sono passati soltanto tre giorni. Sembra incredibile. Mi spinge dentro e mi getta a terra, proprio nel punto in cui l'avevo fatta cadere io.
«Mirai, io... Mi dispiace, non volevo...» Non so cosa dirle, non so cosa vuole che io le dica.
«Annie... anNiE»... tRe giOrni fA. iN quEstO luOgO. hAi intErrOttO quAlcOsa. tE lO ricOrdi?”.
Non rispondo. Potrei solo peggiorare le cose. Che parli, che dica quel che mi deve dire.
«adEssO è il miO tUrnO di rOmpErE quAlcOsa».
Si avvicina. Mi mette le mani addosso. Ma cos...
Ora basta. Basta avere paura, basta assecondare questa pazza furiosa. In fin dei conti gliele ho suonate una volta, posso farlo di nuovo. E' soltanto una donna, in fondo: una donna come me.
Mi colpisce con una violenza tale da farmi cadere a terra. La testa mi fa male, devo... non riesco a pensare. Sento caldo e umido sulla nuca. Mirai si china su di me, sento le sue dita che mi schiudono la bocca, poi... un liquido, caldo e denso, mi cola sulla faccia. Saliva? Muco? Catarro? Non lo so... Lo sento sulle labbra. E' disgustoso, dovrei avere i conati. Perché non mi fa schifo? Perché non mi viene da vomitare?
Il viso di Mirai è strano. Mi ricorda il disegno di un insetto, una mosca forse... o un tafano, un calabr...
Sento il liquido caldo, denso, dentro la bocca.
Ho aperto la bocca? Perché?
Eppure... non mi fa paura. Mi sento calma, tranquilla... rilassata.
Le membra diventano molli, pesanti. Pesantissime. Avverto le mie braccia adagiarsi sul pavimento. La saliva di Mirai insetto mi cola sui capelli, sul viso, sulle spalle. Mi avvolge come un bozzolo, come per proteggermi. Mi entra dentro e mi scalda, mi calma e mi rilassa, rendendomi docile. Sempre di più.
Sempre di più.
Sempre di più.
«QuEstA cOsA ti fArà mALe».
Non mi importa. Annuisco. Sono pronta. Vedo due appendici sottilissime che spuntano... da dove? Non vedo più la sua bocca. Vedo il suo viso che mi sorride, ma vedo altro... sotto il suo viso, dentro al suo viso, dentro di lei.
Simili a delle antenne?
No... Simili a due aghi. Lunghi e sottilissimi.
«MoltO mALe. Ma pOi ti piAcErà».
Sento che dovrei avere paura, invece sono contenta, soddisfatta. Appagata. Bramo le attenzioni di quei due aghi che mi scrutano, agitando la punta come antenne di un insetto. Li osservo mentre si avvicinano al mio ventre, lenti e leggeri. E lei è... bellissima.
«Non toccarmi!»
Il mio aggressore si ritrae, più per paura del mio grido che non per effetto della flebile spinta che lo accompagnava. Ha cercato di sollevarmi l'armatura, voleva guardarmi le cicatrici. Porco schifoso.
«Stai tranquilla, Annie: non voglio farti del male».
"Non chiamarmi con il mio nome! Non osare rivolgermi la parola». Ali o Ayza avrebbero apostrofato questo farabutto con piglio minaccioso e aria di sfida: a me invece la voce esce rotta dai singhiozzi, mentre le ultime immagini delle brutalità di Mirai tornano a rintanarsi negli oscuri meandri della mia memoria.
«Tu... Sei la cosa più bella che io abbia mai visto. Un'opera d'arte. Avevano ragione a dire che eri meravigliosa... magnifica: la migliore di tutti noi».
Noi? Continuo a fremere di rabbia: i morbosi vaneggiamenti di questo vecchio dissennato mi riportano alla mente l'ennesimo ricordo ripugnante, la lettera che mi scrisse William prima di impazzire... o forse dopo che era già impazzito. Non esiste nessun "noi". Metto la mano sull'elsa della spada. Non so perché mi stia dicendo queste cose e non mi interessa, ma non gli consentirò di umiliarmi ulteriormente.
Il mio gesto non passa inosservato. «Non voglio farti del male. Voglio solo dirti una cosa... Una cosa importante».
Scuoto la testa. «Non mi importa nulla di ciò che vuoi dirmi: risparmia il fiato». Sguaino Ametista e subito il ricordo di Ali mi pervade, infondendomi coraggio. Avverto dei rumori provenienti dalla caserma: qualcuno deve aver sentito il mio grido. Meglio così, adesso questo vecchio idiota sarà costretto a tagliare corto.
«Non prendere quella sostanza: tu non sei come noi... non ne hai bisogno. Puoi sopravvivere anche senza, perché la tua comunione... la tua simbiosi... è perfetta. Assolutamente perfetta. Tu sei perfetta, Annie».
Ci vuole un bel coraggio a consigliarmi di non prendere quella roba dopo aver provato a tirarmela addosso, sono sul punto di replicare. Ma subito mi fermo: le farneticazioni di questa feccia non sono degne di essere ascoltate o commentate. «Non capisco quello che dici e non mi interessa niente», rispondo invece, volgendo la punta di Ametista nella sua direzione. «Affrontami o vattene: a te la scelta».
«Manuel aveva ragione», mormora piano, continuando a fissarmi con l'unica orbita che gli rimane. «C'è speranza, dopo tutto».
«Ancora cazzate». La voce di Ali risuona squillante nella mia testa. «Non ascoltarlo, vuole solo incasinarti il cervello. Tagliamogli la testa, così si zittisce una volta per tutte». Sorrido. Vuoi vedere la pristina della Mantide in azione, vecchio? Eccoti servito.
Con un balzo gli sono addosso: il colpo che sferro è veloce e preciso, ma lui lo evita con facilità. Insisto, cercando di metterlo con le spalle al muro, ma non riesco ad impedirgli di mantenere una distanza sufficiente a eludere i miei colpi. Ametista continua a fendere l'aria, mentre la sorte mi sbatte in faccia per l'ennesima volta l'amara consapevolezza di non essere all'altezza di questi abomini: Ayza, Kzar, Sami l'Orbo, Laèl il Muto, e tutta la stramaledetta stirpe dei miei consimili. Di tutta l'immonda progenie nata dal sangue di demoni renitenti a morire io sono la più anemica, come ogni scontro non tarda a dimostrare, malgrado settimane di estenuanti allenamenti, fatiche e discussioni insieme a chi mi aveva giurato che potevo farcela. E' forse questo il significato del termine con cui si ostinano a definirmi? Scarsa? Debole?
«Maledetto!» urlo all'indirizzo del mio avversario, mentre tento invano di impedire che continui a farsi beffe della punta e la lama di una spada che non sono all'altezza di brandire. Sia maledetto lui e tutti quelli come lui... compresa me. «Stronzate, Ani», ruggisce Ali da dentro la spada che fu sua: «tu sei una dei nostri. Lo sei sempre stata e sempre lo sarai. Adesso piantala di frignare e fammi vedere cosa hai imparato. Più veloce. Più veloce... Più veloce!»
E poi, a un tratto, tutto intorno a me rallenta. Un fendente fortunato raggiunge il corpo del mio avversario, costringendolo a parare con il bastone. Un altro lambisce la spalla, squarciandogli il saio. Ametista diventa più leggera colpo dopo colpo, fino a diventare un'estensione naturale del mio braccio: anche Sami l'Orbo se ne accorge, l'interesse maniacale che traboccava dal suo occhio buono lascia il posto a uno sguardo carico di stupore, paura, eccitazione. Volevi vedere le mie ferite, vecchio? Io invece voglio fartene di nuove. Ametista segue i miei pensieri ed è lesta a manifestarli, eludendo una guardia improvvisamente manchevole e conficcandosi nello sterno della sua preda.
la forza del colpo scaglia all'indietro il mio avversario, gettandolo a terra. La ferita è profonda, le fragili vesti che indossa non gli hanno offerto alcuna protezione: eppure, dal solco che adesso gli divide il costato non esce una singola goccia di sangue. Le vestigia di Vaalafor che scorrono nelle mie vene mi spronano a proseguire l'assalto. Eliminalo, Annie. Uccidi questa creatura inferiore prima che si rialzi: è tempo di dimostrare a tutti quanto vali, quello che sei. Divora la tua preda.
Ma io non sono così: Colin, Ali e gli altri mi hanno insegnato a non essere quel genere di mostro. Non oggi, né domani, né mai. Rivolgo la punta di Ametista verso Sami l'Orbo. «Sei in arresto», esclamo senza perderlo di vista. Immediatamente dopo la porta alle mie spalle si apre, rivelando la presenza di tre soldati di Angvard.
L'innalzato si rialza lentamente, aiutandosi con il suo bastone: «Che controllo, che equilibrio magnifico.... Manuel aveva ragione», farfuglia ancora una volta, attonito. «Sei perfetta. Abbiamo un futuro».
«Sei in arresto», gli ripeto, incurante delle sue parole: ma sappiamo entrambi che non avrò modo di dare seguito a tale affermazione. Per impedire a questo disgraziato di dileguarsi gli sarei dovuta saltare addosso quando era a terra, per poi staccargli la testa dal corpo: se avessi compiuto questa scelta, i soldati di Angvard che si stanno avvicinando con circospezione sarebbero stati testimoni della mia furia.
«Non prendere quella roba», mi dice ancora. «Non ne hai alcun bisogno. Trova un supporto, un amico, un compagno: aggrappati a lui. Vivi. Ama. Fallo anche per noi». Mentre parla si tocca la ferita che gli ho provocato e mi mostra la mano, nella quale non scorgo che qualche grumo di sangue rappreso.
Vorrebbe dirmi altre cose ma non c'è tempo, i soldati ormai gli sono addosso. Con un balzo si mette fuori dalla portata delle torce, nascosto ai loro sguardi ma non al mio. Da lì mi rivolge una specie di inchino, prima di darmi le spalle e scomparire nell'oscurità. Stanotte non tornerà più. Meglio così, uno in meno. I soldati di Angvard mi circondano, chiedendomi come sto. Dico loro che non c'è tempo da perdere, la casa dell'erborista è stata attaccata, dobbiamo andare di corsa: dobbiamo salvare Colin e Blanche. C'è un altro Innalzato, Laèl il Muto, ma non mi fa paura: adesso so che posso affrontarlo.
Poi, dalle stesse tenebre che avevano inghiottito Sami l'Orbo, giunge un odore, un battito familiare. Tiro un sospiro di sollievo: siano ringraziati gli Dei, almeno lui è salvo. Abbasso gli occhi a osservare il mio riflesso nella lama di Ametista, un attimo prima di riporla nel fodero: «grazie», le dico di cuore. «Grazie per aver sempre creduto in me».
«Di nulla, zia», mi risponde: «lo sai che adoro le feste. Eri tu quella che non ci voleva venire...».
Annuisco. «Perché non sapevo ballare...».
«...E fai ancora schifo, diciamocelo! Ma stai migliorando in fretta. Adesso non farti trovare con gli occhi lucidi, però: abbiamo una paladina da salvare, ricordi?»
Si, me lo ricordo. Sarà fatto, tenente: puoi contarci.
Reprimo a stento il senso di vergogna che mi assale nell'udire le parole di Colin. L'unico aspetto positivo della maledizione che si nutre del mio corpo è dato dalla possibilità di aiutare i miei compagni in questi momenti cruciali, quando affrontano avversari che versano in una condizione simile alla mia. Aggrappandomi a questa tenue consolazione sono riuscita ad allontanare l'impulso ricorrente di togliermi la vita, ad accettare le cure di Colin, a seguire Ali in questo lungo viaggio che mi ha portata fino a qui.
Eppure, è sufficiente una sola goccia di quell'orribile sostanza per vanificare tutto, per trasformare il mio cervello in un ammasso pulsante di desideri irrefrenabili, alla stregua della sorte che tocca ad un qualsiasi risvegliato.
La pristina della Mantide, così mi chiamano. Non ho idea di cosa significhi e non mi interessa saperlo. Quando qualcuno si rivolge a me utilizzando quell'espressione di solito scandisce le parole come se si trattasse di chissà quale elogio. Come se non fossi l'innalzato più debole, lento e goffo di tutti quelli che abbiamo incontrato finora, nessuno escluso: talmente inutile da essere un peso persino in queste situazioni, costretta alla fuga da una fiala colma di liquido arancione.
Maledico me stessa e il sangue avvelenato che mi scorre nelle vene mentre attraverso la finestra che mi porterà in salvo, lontana dagli effluvi irresistibili di quella sostanza mefitica. La voglia che ho di bere, di cospargermi di quella roba quando ne avverto l'odore, la presenza, la prossimità, sancisce la distanza che mi separa ormai dalla natura umana. Posso convivere con il ribrezzo che provo ogni volta che mi guardo, con gli sguardi inorriditi di chi mi circonda, con le notti interminabili passate ad ascoltare il respiro delle persone a cui voglio bene, immaginando i loro sogni e chiedendomi se chissà, magari almeno lì, esisto ancora con fattezze diverse da queste... Dèi, quanto mi manca sognare.
I vicoli di Ghaan si aprono davanti ai miei passi veloci, ormai queste contrade le conosco fin troppo bene... grazie ad Ayza. Al pensiero di come mi sono comportata con lei senso di vergogna che provo si fa ancora più intenso: la sorte mi ha fatto conoscere uno spirito affine, una delle poche creature al mondo con cui poter condividere un male che affligge entrambe, e io cosa ho fatto? L'ho allontanata con rabbia, amareggiata perché non voleva darmi l'unica cosa che in quel momento credevo di desiderare, impedendole di onorare le ultime parole di Ali. Non potevi scegliere un successore migliore, amica mia: mi ricorda tantissimo com'eri te. Ho cambiato idea, Ayza: non la voglio più quella roba, voglio che mi aiuti a smettere. E ho bisogno del tuo aiuto adesso, perché Colin e Blanche sono in pericolo e tu sei l'unica che può affrontare quelli che un tempo erano i tuoi compagni.
Il vicolo mi porta sulla strada principale, illuminata da fiaccole e percorsa da piccoli gruppi di persone che si stanno godendo la festa. D'un tratto avverto un rumore dietro di me: mi stanno seguendo. Deve trattarsi dell'innalzato con il bastone: Sami l'Orbo, se ho inteso bene come lo chiamano. Scatto verso la Fortezza in direzione della porta che conduce alla caserma delle guardie, scartando per non investire una giovane coppia che sta venendo via dalla piazza principale. Dove sei, Ayza? Perché non riesco a sentirti?
La presenza ostile che mi segue si fa più vicina. Accelero il passo, ma è tutto inutile: è più veloce di me. Si affianca, mi tira una spallata che non riesco in alcun modo ad evitare, quindi mi spinge con esperienza il bastone tra le gambe, facendomi cadere. Mentre mi schianto al suolo, penso con amarezza che persino un vecchio innalzato come lui è molto più forte, veloce e utile di me. Un attimo dopo mi è addosso: si arrampica sul mio corpo come un gatto, bloccandomi le braccia con le ginocchia e prendendomi il viso con le mani.
«La pristina della Mantide», mormora mentre mi scruta con i suoi occhi da pazzo.
Il peso del suo corpo sopra di me è persino più insopportabile di quell'appellativo odioso. Mi sento impotente, come quella notte in cui Mirai mi costrinse a subire le sue angherie: mentre tento invano di divincolarmi dalla morsa del mio aggressore, il mio cervello rivanga sprazzi di ricordi delle turpi violenze subite durante quella abominevole iniziazione.
Villaggio di Holov, 7 agosto 516
«Mirai... ti prego! Dobbiamo andarcene da qui!»
«Annie... anNiE”...
Sembra sorridere, mentre pronuncia il mio nome. Un sorriso che fa rabbrividire.
«Mirai, per l’amore degli Dei! Stanno morendo tutti! Dobbiamo scappare, oppure...»
«oPpUre cOsA?»
Mi guarda e sorride. E’ pazza. E’ completamente andata. Forse la presenza dei Risvegliati l'ha fatta uscire di testa, fatto sta che se restiamo qui... se continua a trattenermi qui... siamo morte. Sento le lacrime che mi scendono sul viso. Non posso farci niente. Ho paura. Non voglio morire.
«nOn mOrirAi».
C... come fa ad aver...
«ti sEnto, AnniE. SeNtO tUtTo quELLo chE pEnsi».
Guardo la sua mano, stretta intorno al mio braccio mentre mi trascina per le vie di Holov sfoggiando una forza che non ha nulla di umano, facendosi largo tra sagome di Risvegliati. Perché non ci attaccano? Non ci guardano neppure. Come è possibile? Non capisco...
Mi trascina lungo le scale, poi verso la sua camera. Sono passati soltanto tre giorni. Sembra incredibile. Mi spinge dentro e mi getta a terra, proprio nel punto in cui l'avevo fatta cadere io.
«Mirai, io... Mi dispiace, non volevo...» Non so cosa dirle, non so cosa vuole che io le dica.
«Annie... anNiE»... tRe giOrni fA. iN quEstO luOgO. hAi intErrOttO quAlcOsa. tE lO ricOrdi?”.
Non rispondo. Potrei solo peggiorare le cose. Che parli, che dica quel che mi deve dire.
«adEssO è il miO tUrnO di rOmpErE quAlcOsa».
Si avvicina. Mi mette le mani addosso. Ma cos...
Ora basta. Basta avere paura, basta assecondare questa pazza furiosa. In fin dei conti gliele ho suonate una volta, posso farlo di nuovo. E' soltanto una donna, in fondo: una donna come me.
Mi colpisce con una violenza tale da farmi cadere a terra. La testa mi fa male, devo... non riesco a pensare. Sento caldo e umido sulla nuca. Mirai si china su di me, sento le sue dita che mi schiudono la bocca, poi... un liquido, caldo e denso, mi cola sulla faccia. Saliva? Muco? Catarro? Non lo so... Lo sento sulle labbra. E' disgustoso, dovrei avere i conati. Perché non mi fa schifo? Perché non mi viene da vomitare?
Il viso di Mirai è strano. Mi ricorda il disegno di un insetto, una mosca forse... o un tafano, un calabr...
Sento il liquido caldo, denso, dentro la bocca.
Ho aperto la bocca? Perché?
Eppure... non mi fa paura. Mi sento calma, tranquilla... rilassata.
Le membra diventano molli, pesanti. Pesantissime. Avverto le mie braccia adagiarsi sul pavimento. La saliva di Mirai insetto mi cola sui capelli, sul viso, sulle spalle. Mi avvolge come un bozzolo, come per proteggermi. Mi entra dentro e mi scalda, mi calma e mi rilassa, rendendomi docile. Sempre di più.
Sempre di più.
Sempre di più.
«QuEstA cOsA ti fArà mALe».
Non mi importa. Annuisco. Sono pronta. Vedo due appendici sottilissime che spuntano... da dove? Non vedo più la sua bocca. Vedo il suo viso che mi sorride, ma vedo altro... sotto il suo viso, dentro al suo viso, dentro di lei.
Simili a delle antenne?
No... Simili a due aghi. Lunghi e sottilissimi.
«MoltO mALe. Ma pOi ti piAcErà».
Sento che dovrei avere paura, invece sono contenta, soddisfatta. Appagata. Bramo le attenzioni di quei due aghi che mi scrutano, agitando la punta come antenne di un insetto. Li osservo mentre si avvicinano al mio ventre, lenti e leggeri. E lei è... bellissima.
«Non toccarmi!»
Il mio aggressore si ritrae, più per paura del mio grido che non per effetto della flebile spinta che lo accompagnava. Ha cercato di sollevarmi l'armatura, voleva guardarmi le cicatrici. Porco schifoso.
«Stai tranquilla, Annie: non voglio farti del male».
"Non chiamarmi con il mio nome! Non osare rivolgermi la parola». Ali o Ayza avrebbero apostrofato questo farabutto con piglio minaccioso e aria di sfida: a me invece la voce esce rotta dai singhiozzi, mentre le ultime immagini delle brutalità di Mirai tornano a rintanarsi negli oscuri meandri della mia memoria.
«Tu... Sei la cosa più bella che io abbia mai visto. Un'opera d'arte. Avevano ragione a dire che eri meravigliosa... magnifica: la migliore di tutti noi».
Noi? Continuo a fremere di rabbia: i morbosi vaneggiamenti di questo vecchio dissennato mi riportano alla mente l'ennesimo ricordo ripugnante, la lettera che mi scrisse William prima di impazzire... o forse dopo che era già impazzito. Non esiste nessun "noi". Metto la mano sull'elsa della spada. Non so perché mi stia dicendo queste cose e non mi interessa, ma non gli consentirò di umiliarmi ulteriormente.
Il mio gesto non passa inosservato. «Non voglio farti del male. Voglio solo dirti una cosa... Una cosa importante».
Scuoto la testa. «Non mi importa nulla di ciò che vuoi dirmi: risparmia il fiato». Sguaino Ametista e subito il ricordo di Ali mi pervade, infondendomi coraggio. Avverto dei rumori provenienti dalla caserma: qualcuno deve aver sentito il mio grido. Meglio così, adesso questo vecchio idiota sarà costretto a tagliare corto.
«Non prendere quella sostanza: tu non sei come noi... non ne hai bisogno. Puoi sopravvivere anche senza, perché la tua comunione... la tua simbiosi... è perfetta. Assolutamente perfetta. Tu sei perfetta, Annie».
Ci vuole un bel coraggio a consigliarmi di non prendere quella roba dopo aver provato a tirarmela addosso, sono sul punto di replicare. Ma subito mi fermo: le farneticazioni di questa feccia non sono degne di essere ascoltate o commentate. «Non capisco quello che dici e non mi interessa niente», rispondo invece, volgendo la punta di Ametista nella sua direzione. «Affrontami o vattene: a te la scelta».
«Manuel aveva ragione», mormora piano, continuando a fissarmi con l'unica orbita che gli rimane. «C'è speranza, dopo tutto».
«Ancora cazzate». La voce di Ali risuona squillante nella mia testa. «Non ascoltarlo, vuole solo incasinarti il cervello. Tagliamogli la testa, così si zittisce una volta per tutte». Sorrido. Vuoi vedere la pristina della Mantide in azione, vecchio? Eccoti servito.
Con un balzo gli sono addosso: il colpo che sferro è veloce e preciso, ma lui lo evita con facilità. Insisto, cercando di metterlo con le spalle al muro, ma non riesco ad impedirgli di mantenere una distanza sufficiente a eludere i miei colpi. Ametista continua a fendere l'aria, mentre la sorte mi sbatte in faccia per l'ennesima volta l'amara consapevolezza di non essere all'altezza di questi abomini: Ayza, Kzar, Sami l'Orbo, Laèl il Muto, e tutta la stramaledetta stirpe dei miei consimili. Di tutta l'immonda progenie nata dal sangue di demoni renitenti a morire io sono la più anemica, come ogni scontro non tarda a dimostrare, malgrado settimane di estenuanti allenamenti, fatiche e discussioni insieme a chi mi aveva giurato che potevo farcela. E' forse questo il significato del termine con cui si ostinano a definirmi? Scarsa? Debole?
«Maledetto!» urlo all'indirizzo del mio avversario, mentre tento invano di impedire che continui a farsi beffe della punta e la lama di una spada che non sono all'altezza di brandire. Sia maledetto lui e tutti quelli come lui... compresa me. «Stronzate, Ani», ruggisce Ali da dentro la spada che fu sua: «tu sei una dei nostri. Lo sei sempre stata e sempre lo sarai. Adesso piantala di frignare e fammi vedere cosa hai imparato. Più veloce. Più veloce... Più veloce!»
E poi, a un tratto, tutto intorno a me rallenta. Un fendente fortunato raggiunge il corpo del mio avversario, costringendolo a parare con il bastone. Un altro lambisce la spalla, squarciandogli il saio. Ametista diventa più leggera colpo dopo colpo, fino a diventare un'estensione naturale del mio braccio: anche Sami l'Orbo se ne accorge, l'interesse maniacale che traboccava dal suo occhio buono lascia il posto a uno sguardo carico di stupore, paura, eccitazione. Volevi vedere le mie ferite, vecchio? Io invece voglio fartene di nuove. Ametista segue i miei pensieri ed è lesta a manifestarli, eludendo una guardia improvvisamente manchevole e conficcandosi nello sterno della sua preda.
la forza del colpo scaglia all'indietro il mio avversario, gettandolo a terra. La ferita è profonda, le fragili vesti che indossa non gli hanno offerto alcuna protezione: eppure, dal solco che adesso gli divide il costato non esce una singola goccia di sangue. Le vestigia di Vaalafor che scorrono nelle mie vene mi spronano a proseguire l'assalto. Eliminalo, Annie. Uccidi questa creatura inferiore prima che si rialzi: è tempo di dimostrare a tutti quanto vali, quello che sei. Divora la tua preda.
Ma io non sono così: Colin, Ali e gli altri mi hanno insegnato a non essere quel genere di mostro. Non oggi, né domani, né mai. Rivolgo la punta di Ametista verso Sami l'Orbo. «Sei in arresto», esclamo senza perderlo di vista. Immediatamente dopo la porta alle mie spalle si apre, rivelando la presenza di tre soldati di Angvard.
L'innalzato si rialza lentamente, aiutandosi con il suo bastone: «Che controllo, che equilibrio magnifico.... Manuel aveva ragione», farfuglia ancora una volta, attonito. «Sei perfetta. Abbiamo un futuro».
«Sei in arresto», gli ripeto, incurante delle sue parole: ma sappiamo entrambi che non avrò modo di dare seguito a tale affermazione. Per impedire a questo disgraziato di dileguarsi gli sarei dovuta saltare addosso quando era a terra, per poi staccargli la testa dal corpo: se avessi compiuto questa scelta, i soldati di Angvard che si stanno avvicinando con circospezione sarebbero stati testimoni della mia furia.
«Non prendere quella roba», mi dice ancora. «Non ne hai alcun bisogno. Trova un supporto, un amico, un compagno: aggrappati a lui. Vivi. Ama. Fallo anche per noi». Mentre parla si tocca la ferita che gli ho provocato e mi mostra la mano, nella quale non scorgo che qualche grumo di sangue rappreso.
Vorrebbe dirmi altre cose ma non c'è tempo, i soldati ormai gli sono addosso. Con un balzo si mette fuori dalla portata delle torce, nascosto ai loro sguardi ma non al mio. Da lì mi rivolge una specie di inchino, prima di darmi le spalle e scomparire nell'oscurità. Stanotte non tornerà più. Meglio così, uno in meno. I soldati di Angvard mi circondano, chiedendomi come sto. Dico loro che non c'è tempo da perdere, la casa dell'erborista è stata attaccata, dobbiamo andare di corsa: dobbiamo salvare Colin e Blanche. C'è un altro Innalzato, Laèl il Muto, ma non mi fa paura: adesso so che posso affrontarlo.
Poi, dalle stesse tenebre che avevano inghiottito Sami l'Orbo, giunge un odore, un battito familiare. Tiro un sospiro di sollievo: siano ringraziati gli Dei, almeno lui è salvo. Abbasso gli occhi a osservare il mio riflesso nella lama di Ametista, un attimo prima di riporla nel fodero: «grazie», le dico di cuore. «Grazie per aver sempre creduto in me».
«Di nulla, zia», mi risponde: «lo sai che adoro le feste. Eri tu quella che non ci voleva venire...».
Annuisco. «Perché non sapevo ballare...».
«...E fai ancora schifo, diciamocelo! Ma stai migliorando in fretta. Adesso non farti trovare con gli occhi lucidi, però: abbiamo una paladina da salvare, ricordi?»
Si, me lo ricordo. Sarà fatto, tenente: puoi contarci.
14 febbraio 518
Mercoledì 12 Ottobre 2022
Lo Scudo dell'Ultimo
Data: 14 febbraio, ore 06:58
Luogo: Città di Ghaan, contrada della Scure
POV: Garruk Jagger
La zona che percorriamo ora è decisamente più pulita della latrina a cielo aperto da cui siamo entrati. Le stamberghe di legno hanno lasciato il posto a imponenti edifici in pietra, i vicoletti storti e polverosi dove a momenti facevo fatica a passare sono diventati strade pavimentate con grandi pietre levigate. Apprezzo lo sforzo, cari Ghaanesi, ma con me non attacca: la vostra città resterebbe una cagata pazzesca anche con le strade lastricate d'oro.
Il pugno alzato di Logan ci intima di fermarci: due guardie a ore undici. Come avevamo previsto, hanno stretto le maglie a protezione del centro, dove si trovano i principali punti chiave... tra cui quello dove siamo diretti. Mi prudono le mani, ma quello che va fatto adesso non è un lavoro per me: e serve qualcuno che lo faccia a regola d'arte, altrimenti avremo addosso l'intero contingente cittadino in un batter d'occhio. I candidati ideali per questo lavoretto sarebbero probabilmente gli innalzati, ma Logan ha già chiarito che non avrebbe chiesto ai "ragazzi di Ghaan" di ammazzare i loro compaesani. Andranno lui e il tenente Cope. Se Vasq fosse qui, sono certo che avrebbe scelto lui... Guardaci le spalle dal cielo, amico mio: se oggi siamo qui è anche per merito tuo. Sputo per terra, mentre i nostri scompaiono in silenzio di fronte a noi. Tre minuti dopo sono già di ritorno, trascinando due carcasse che di lì a poco vengono delicatamente spinte dietro un muretto. Altri due in meno.
Proseguiamo senza ulteriori intoppi fino al punto in cui i "ragazzi di Ghaan" ci dicono che siamo arrivati: l'imponente figura del Sanatorio si staglia a una manciata di passi da noi. Mi chiedo come mai in questa ulcera di Ducato si sia diffusa la manìa di chiamare gli ospedali in modi così assurdi: Nosocomio, Sanatorio... E' proprio vero che più non conti un cazzo e più ti dai arie. In ogni caso, se quello che ci hanno raccontato è vero, quell'edificio è molto più di un semplice ospedale. Come previsto, inoltre, tutta la piazza che lo circonda brulica di soldati.
"Come la vedi, Garr?" Mi chiede Ali.
Come una condanna a morte, ecco come la vedo. Abbiamo un piano per entrare, per quanto balordo, ma le probabilità di uscire vivi da quel nido di vespe sono quantomai scarse. E' una missione di sola andata, salvo miracoli... almeno per la nostra squadra.
Logan si volta a guardarci, come a sincerarsi per l'ultima volta che ciascuno di noi abbia ben chiaro quello che deve fare. Il ruolo affidato alla mia squadra, se non altro, è semplice da ricordare: varcare l'ingresso secondario di quell'edificio, seguire le indicazioni dei "ragazzi di Ghaan" fino a raggiungere il laboratorio segreto di Aghvan, uccidere chiunque si trovi lì - Aghvan compreso, se ci farà la cortesia di non tentare la fuga - e distruggere tutto ciò che contiene. Cosa potrebbe andare storto? Tutto, ovviamente. A partire dalla pagliacciata che ci toccherà fare tra poco per entrare, che per molti aspetti è l'aspetto mi preoccupa di più.
"Ma lo sai che quell'ascia sul petto ti dona?" mi sussurra Ali, subito prima di metterci in marcia.
"Altroché", bofonchio di rimando. "Che idea del cazzo: e comunque non ci cascheranno mai, sono troppo bello per essere scambiato per un giannizzero di Ghaan".
"Poteva andare peggio, Garr... Potevano farti vestire da donna!"
"Guarda, a momenti avrei preferito!"
"... e farti arrivare in nave!"
Sputo per terra. "Hai ragione, c'è sempre un peggio: andiamo a spaccare i giocattoli allo Stregone, va...".
Un vero peccato che l'Angelo Nero abbia deciso di perdersi quest'ultimo giro di giostra: con tutto il culo che si è fatto per farci arrivare fin qui, avrebbe meritato di prendere parte alla fine della storia.
Data: 14 febbraio, ore 07:12
Luogo: Città di Ghaan, Piazza del Sanatorio
POV: Ayza Reich
"Sono entrati: qui finisce la parte facile", mormora Kzar, issandosi sul campanile della chiesa che si erge di fronte al Sanatorio fino a tornare di fianco a me.
"Già".
"A cosa pensi? Sembri turbata".
Annuisco. "C'è qualcosa che non va: e l'odore di quell'uomo... non riesco a ricordare dove l'ho già sentito".
"Capisco. Purtroppo però dobbiamo andare, altrimenti i nostri avranno problemi ben più grossi... e anche noi".
Sorrido. I nostri, addirittura: così li chiama adesso. Kzar è fatto così: semplice e diretto, esattamente come prima di diventare un innalzato. Lo conosco da una vita e non penso di averlo mai visto arrabbiato, neppure durante il periodo trascorso nelle prigioni del laboratorio segreto di Gultch. Perché mi torna in mente quel luogo proprio adesso? Scuoto la testa. Non è il momento di perdersi nei ricordi di una vita fa: abbiamo un lavoro da fare e uno stregone da ammazzare. "Andiamo", esclamo alzandomi a mia volta. Un attimo dopo siamo a librarci nel vuoto, mentre il sole fa lentamente capolino alle nostre spalle.
A seguito della fortunata dipartita di Estov Ghaan siamo diventati entrambi ricercati: questo è il motivo per cui non abbiamo potuto accompagnare "i nostri" all'interno del Sanatorio... non passando dalle porte presidiate al piano terra, perlomeno. Entreremo in un altro modo, meno ortodosso ma di certo più spettacolare.
"... E tanti saluti al rosone".
Ci guardiamo a vicenda, per assicurarci di essere tutti interi. Uno dei tanti problemi della nostra condizione è che l'insensibilità al dolore a volte gioca brutti scherzi: se non stai attento a ciò che ti succede rischi di non accorgerti che ti sei rotto un braccio, una gamba, o che stai morendo. A quanto pare però stavolta i nostri mantelli hanno fatto il loro dovere, nessun frammento di vetro che spunta da organi più o meno vitali.
La sala di meditazione è grande e spoglia proprio come ricordavo, e soprattutto deserta come speravamo fosse. "Muoviamoci", mormoro guardando la pesante porta di legno rinforzato che ho aperto e varcato innumerevoli volte una, anzi due vite fa: "a breve avremo i Guardiani alle calcagna".
I Guardiani del Sanatorio sono dei soldati abbastanza scadenti, per la verità: un misto di nuove leve ancora troppo acerbe per il servizio attivo e anziani che, pur avendo ottenuto il congedo, scelgono di continuare a servire la Signoria con un incarico meno remunerativo, ma di certo più sicuro e riposante... Salvo quando ti capitano due innalzati durante il turno di guardia, ovviamente. In ogni caso, il corno a quanto pare lo sanno ancora usare.
"Senti che fanfara", esclama Kzar. Nel giro di pochi istanti altre pernacchie fanno eco da fuori, segnalando problemi da tutt'altra parte: a quanto pare anche la squadra esterna di Logan Treize ha cominciato ad alzare la sua parte di casino. Tutto secondo i piani: speriamo soltanto che la squadra interna sia in procinto di arrivare a destinazione. Quanto a noialtri, a breve avremo un bel pò di compagnia.
"Di qua", indico a Kzar. Qui dentro sono più esperta di lui. Mentre raggiungo le scale che portano verso il basso apro un paio di porte che danno sui dormitori degli alchimisti e sulla terrazza: non sanno dove stiamo andando, quindi saranno costretti a dividersi. Il nostro obiettivo numero uno è distrarne il più possibile, mentre "i nostri" scendono nei sotterranei.
"Stanno arrivando anche dalle scale", mi avverte Kzar.
"Li sento". Hanno reagito leggermente troppo presto rispetto a quanto avevamo previsto: il che non è il massimo, considerando che ci siamo ripromessi di evitare di fare una strage. Togliere di mezzo Estov Ghaan e Aghvan è una cosa, ammazzare guardie con cui abbiamo mangiato insieme solo perché si stanno dimostrando troppo zelanti è un'altra. Tocca tenerli qui senza versare troppo sangue.
L'occhio mi cade su una delle tante finestre centinate che danno verso l'esterno, dalla quale filtrano i primi raggi del sole. "Ti va di rompere un altro paio di vetri?" Chiedo a Kzar. Un altro schianto e siamo di nuovo fuori. Ricordavo bene, sotto di noi c'è un piccolo parapetto che dà su un'altra finestra posta sul gomito delle scale. Facciamo appena in tempo a vedere, da fuori, le guardie salire l'ultima rampa, quindi rompiamo la terza finestra della giornata e rientriamo nell'edificio alle loro spalle. I poveretti non fanno neanche in tempo a girarsi che siamo già arrivati alla base delle scale, dove troneggia la pesante porta rinforzata che chiude l'accesso al piano. Non abbiamo la chiave per chiuderla, ma la forza per rompere la serratura e incastrare i cardini si.
"Questo dovrebbe tenerli impegnati per un pò: adesso vediamo di trovare il nostro uomo".
L'obiettivo numero due del nostro piano è, non sorprendentemente, intercettare e uccidere Aghvan. In condizioni normali, quell'uomo non esiterebbe a difendere le filattiere affrontando la squadra di Uryen e Greyhaven anche da solo... e sarebbe una battaglia dall'esito tutt'altro che scontato. Per nostra fortuna, nonostante le risorse pressoché infinite che ha dimostrato di avere sul campo di battaglia, le sue capacità magiche dovrebbero ormai essere ridotte al minimo. E' dunque probabile che cercherà la fuga, consapevole della difficoltà dei "nostri" di inseguirlo in un posto che brulica di soldati... Ed è qui che entriamo in gioco io e Kzar.
La discesa verso i sotterranei procede senza intoppi: ci limitiamo a colpire e spintonare un pò energicamente un paio di soldati a testa, provocando al massimo qualche frattura. A ben vedere per questi attempati veterani incontrarci è una fortuna, un congedo assicurato dall'assedio prossimo venturo. Per non parlare del fatto che nessuno di loro verrà giustiziato, grazie all'accordo che abbiamo fatto: ci chiameranno traditori ma a ben vedere stiamo ANCHE salvando la vita dei nostri, dovrebbero farci una stat...
"Lo senti?" mormora Kzar a bassa voce, mentre osserva le grandi lastre di pietra levigata sotto di noi, come se fosse in grado di vedere ciò che gli fa ribollire il sangue attraverso il pavimento.
Annuisco. La stessa vampata di Yoki che ho già percepito altre volte: una impronta inconfondibile. Aghvan. "Non è nel laboratorio: sta scappando". A quanto pare farlo fuori spetterà a noi: non chiedo di meglio. "Andiamo a prenderlo", esclamo, stringendo forte la spada. In un modo nell'altro, tra poco sarà tutto finito.
Data: 14 febbraio, ore 07:21
Luogo: Città di Ghaan, Sanatorio - piano terra
POV: Ali Shark
Avanziamo in fila indiana lungo i corridoi, incrociando di tanto in tanto qualche soldato: la maggior parte sono feriti, ma c'è anche una nutrita sorveglianza in servizio attivo. Mi sembra incredibile che un piano così folle stia funzionando davvero: per fortuna l'esercito di Ghaan è composto in buona parte da esuli e mercenari provenienti da mezzo Granducato, altrimenti ci avrebbero già individuati.
Un lampo di terrore mi assale quando uno dei portantini - neanche una guardia, un cazzo di portantino! - si blocca per un attimo di fronte a Cope, guardandolo con aria interrogativa. Ma il tenente non gli dà il tempo di giungere a conclusioni avvedute, spintonandolo bruscamente contro il muro e passando oltre senza neanche rallentare. "Guarda dove metti i piedi, idiota!".
Il tenente Cope non è mai stato a Ghaan, men che meno dentro questo posto - come nessuno di noi, del resto - ma è molto bravo ad orientarsi, dentro e fuori dai centri abitati: per questo Logan lo ha messo alla guida di questa squadra. Lui, ovviamente, non sarebbe mai potuto entrare: a differenza della nostra, la sua faccia è fin troppo nota. Il loro compito, oltre ad averci portato qui, sarà quello di tirarci fuori non appena avremo compiuto il nostro dovere.
Il suono di vetri rotti che arriva dai piani superiori è musica per le nostre orecchie. In pochi istanti l'ordinata solerzia di questo luogo si sbriciola in un caotico viavai di gente che corre prendendo direzioni a caso, come quando getti un sasso dentro a un formicaio: è il casino che stavamo aspettando.
Acceleriamo il passo, gettandoci a testa bassa lungo il corridoio che, a quanto il tenente spera di aver capito dalle spiegazioni di Ayza Reich, dovrebbe portarci in un posto sufficientemente vicino al laboratorio da...
"La sento!" Esclama Annie all'improvviso, non appena Daron fa buon uso di uno degli ultimi regali che ci ha lasciato Luger per aprire la porta che conduce ai sotterranei. "Seguite me, adesso". Il tenente la fa passare in testa alla fila, per poi seguirla lungo una rinnovata ragnatela di corridoi notevolmente più stretti dei precedenti, ma senz'altro meno affollati. Era quello che speravamo: il laboratorio segreto di Aghvan non può che contenere una bella fornitura di Garmonbozia, e non c'è recipiente al mondo che possa tenerla nascosta al fiuto sopraffino della nostra Annie.
Dopo un paio svolte, un soldato con la pettorina nera e una torcia in mano fa inopinatamente capolino di fronte a noi: nell'altra mano stringe un corno che chiaramente non vede l'ora di suonare, ma non riesce neanche a portarselo alle labbra che Annie lo trafigge alla gola con la spada. "Beccati 'sti spicci, pifferaio!", mormora Garruk in segno di approvazione, prendendo al volo il malcapitato e adagiandolo silenziosamente al suolo. La corsa dietro ad Annie riprende: ormai non ce ne frega più molto neanche di essere silenziosi: gli echi della sinfonia di corni, passi e gente che urla arriva fino a qui. Abbiamo scommesso sui nervi a fior di pelle di questi soldati e, a quanto pare, abbiamo fatto centro: non ci resta che mettere a frutto la zizzania che abbiamo seminato.
La gita all'ospedale continua: altri corridoi, altra rampa di scale, altra porta rinforzata che si scioglie come neve al sole sotto le provvidenziali fialette di Luger, altri due soldati coi mantelli neri che vengono mandati in missione d'urgenza all'inferno ghiacciato: e poi, finalmente, Annie si ferma a sbavare proprio di fronte a una porta che ha tutto l'aspetto di essere l'antro di un laboratorio segreto.
Mi prendo un istante per guardare la mia amica di un tempo... Se posso permettermi di considerarla tale, visto quanto mi divertivo a prenderla per il culo perché ero più grande e più carina di lei. La sua espressione è irriconoscibile, non penso di averla mai vista così. Ho quasi paura di quello che potrebbe fare una volta varcata quella soglia, che poi è uno dei motivi per cui gli stessi "ragazzi" di Ghaan - benché disintossicati da tempo - hanno preferito non essere presenti qui: ma abbiamo bisogno di lei, oggi come ogni singolo giorno da quando abbiamo lasciato Angvard. E' per questo che l'ho portata. A conti fatti sono una stronza, oggi come allora.
"Annie", le chiedo: "Aghvan è lì dentro?"
Annuisce.
"E il sangue degli Antecessori?"
Annuisce.
Ci siamo, cazzo. Il tenente estrae velocemente dallo zaino l'ultimo lascito di Luger, sommariamente imbottigliato in un fiasco di Centerbe di Rastan che ci siamo scolati una vita fa. "Inauguriamo 'sto laboratorio, tenente!" Gli fa eco Garruk con voce solenne.
Nessuno di noi ha la benché minima idea del casino in cui si sta andando a cacciare.
Data: 14 febbraio, ore 07:34
Luogo: Città di Ghaan, dintorni del Sanatorio
POV: Ayza Reich
Né io né Kzar siamo mai stati messi ufficialmente al corrente del fatto che i laboratori sotterranei avessero una via d'uscita indipendente, ma Manuel lo sapeva eccome. E, sfortunatamente per Aghvan, prima di morire è riuscito a indicarci anche l'ubicazione del punto di uscita: una anonima costruzione che si affaccia su un piccolo slargo a qualche decina di metri dalla piazza del Sanatorio.
Nel pieno delle forze quello stregone è praticamente onnipotente, come ha ampiamente dimostrato sul campo di battaglia falcidiando gran parte dell'esercito di Yara... Ma, dopo tutto ciò che ha fatto, non posso credere che il suo potere non sia prossimo ad esaurirsi. Per questo abbiamo aspettato tanto a lungo prima di uscire allo scoperto e adesso non possiamo concedergli tregua, né consentirgli alcun riposo.
"Stanno arrivando", esclama Kzar, alzandosi in piedi. Li sento anch'io. Due contro due. "Ricorda cosa ci ha detto Manuel", mi dice guardandomi negli occhi: "qualsiasi cosa accada, non prendere parte allo scontro con lui: servirebbe solo a conferirgli più forza".
Annuisco. "Toglilo di mezzo una volta per tutte: io penserò ad Aghvan". Facciamo giusto in tempo a scambiarci un sorriso appena accennato e a separarci: poi la porta si apre lentamente, sprigionando un sinistro cigolìo nella piazza deserta.
Sir Wilson fa un singolo passo oltre la soglia, sfiorando con la punta dello stivale la striscia di luce disegnata dal sole che ormai splende nel cielo, quindi sguaina le sue due lame. "Ti aspetto, figlio mio", esclama, cercandoci con lo sguardo sui tetti che lo circondano. "Confido che oggi non mi deluderai".
Kzar gli piomba addosso in meno di un istante. I suoi movimenti sono così veloci che nessun essere umano potrebbe vederli, figuriamoci defletterli o schivarli. Ma sir Wilson non è un essere umano, come non lo siamo noi.
Secondo le voci che circolano tra i soldati di Ghaan, il segreto di sir Chad Wilson è la capacità di prevedere le mosse dell'avversario da impercettibili movimenti del corpo, cosa che gli consente di elaborare la migliore contromossa possibile in ogni circostanza. Ma Manuel ci ha spiegato che non è tutto qui: a rendere sir Wilson un combattente imbattibile non sono soltanto le capacità tattiche, ma anche e soprattutto l'addestramento che ha ricevuto e il codice che ha appreso da un misterioso Maestro di cui parla molto di rado. Lo Yog, così lo chiamò una volta.
Kzar continua a incalzare sir Wilson, che per non perdere il controllo della soglia entro cui ancora si nasconde Aghvan è costretto a prendere dei rischi: un colpo va a segno, poi due, poi tre. Il selciato della piazza si macchia di sangue. E' la prima volta che lo vedo sanguinare, ma è ancora presto per cantare vittoria. Resisto alla tentazione di gettarmi su di lui e piantargli la spada tra le scapole e continuo a restare appollaiata sul tetto, aspettando l'occasione propizia per far fuori Aghvan che, se il mio fiuto per lo Yoki non mi inganna, si trova proprio sotto di me.
"Sei deluso, dunque?"
"No", risponde sir Wilson. "Sei il mio capolavoro".
Dopo un altro furioso scambio di colpi, un violento affondo di Kzar riesce finalmente a costringerlo a scartare di lato, liberando il varco quel tanto che basta per consentirmi di passare. E subito sento lo Yoki alzarsi dall'interno della costruzione, come a voler correggere quell'errore prima che sia troppo tardi: maledetto stregone, ancora non t'è finita la voce eh? Ma questa è l'ultima canzone che ti facciamo cantare. Con un balzo sono alle spalle di Sir Wilson, che subito mi accoglie con un fendente all'altezza del collo: lo schivo con un rapido salto all'indietro e mi getto dentro la soglia, dove mi attende...
...
... Ma che cazz...
... dove sono finita? Un secondo fa stavo varcando la porta di quella costruzione, pronta a trovarmi faccia a faccia con Aghvan, mentre adesso mi trovo... Dove? Non ne ho idea. So soltanto che è un posto stretto, chiuso e completamente buio. Ma soprattutto prima ero in piedi, mentre adesso sono... distesa? Com'è possibile? Istintivamente provo ad alzarmi e sbatto immediatamente la testa contro qualcosa di durissimo.... pietra.
Dove cazzo mi trovo?
Non riesco a vedere nulla, il che significa che qui non entra la benché minima fonte di luce: ogni singolo spiraglio è stato chiuso, sigillato. Una prigione per innalzati?! No, peggio... una tomba. Non ho neanche lo spazio per distendere le braccia o piegare le gambe. Cazzo. Ma come è possibile? Come ha fatto a farmi finire qui dentro? Cerco a tentoni un'apertura, una fessura, qualcosa... niente. D'un tratto sento una strana pressione sotto la scapola destra, cerco di arrivarci con la mano e...
Uno specchio? Ma cos...
Oh, cazzo. Non è possibile. Vaffanculo, Aghvan, tu e i tuoi incantesimi di merda.
Pensa, Ayza, pensa. Pensa a come puoi uscire da qui, che Kzar e gli altri hanno ancora bisogno di te.
Chiudo gli occhi e mi concentro: questo sepolcro può togliermi la vista e (forse tra un pò) l'aria, ma non l'udito. Sento urla e rumore di passi: sono di nuovo nel Sanatorio... nei sotterranei, a giudicare dall'odore di muffa. Lo stronzo deve preparato questa trappola prima di darsela a gambe, collegando in qualche modo la porta di quella costruzione e questa... tomba... e io ci sono cascata dentro come una cogliona.
Pensa, Ayza, pensa. Se ci ha potuto infilare lo specchio, vuol dire che un'apertura deve esserci. Una di queste pietre deve essere stata messa da poco. C'è solo un modo per trovarla: scavare e picconare. Purtroppo mi manca l'attrezzo adatto... ma forse posso costruirmelo. Raggiungo la spada con la punta delle dita, quindi me la porto sul bacino. Da quanto ne so, è l'osso più duro e resistente che abbiamo: non resta che metterlo alla prova. Tre, due, uno...
Ok, adesso ho quello che mi serve. Forza e coraggio, Ayza: mettiti al lavoro e vedi di uscire da qui. Dimostra ad Aghvan che non è così semplice seppellire vivo un innalzato.
Scava. Piccona. Scava. Piccona. Scava. Piccona. Scava. Piccona. Scava. Piccona. Scava. Piccona. Scava. Piccona. Scava. Piccona. Scava. Piccona. Scava. Piccona. Scava. Piccona. Scava. Piccona. Scava. Piccona. Scava. Piccona.
Come se la starà cavando Kzar? Avrà ammazzato sir Wilson? Mi auguro almeno che Aghvan non avesse altro fiato per nuocere anche a lui.
Scava. Piccona. Scava. Piccona. Scava. Piccona. Scava. Piccona. Scava. Piccona. Scava. Piccona. Scava. Piccona. Scava. Piccona. Scava. Piccona. Scava. Piccona. Scava. Picc....
D'improvviso viene giù tutto.
"Stai bene?"
Questa voce... dove l'ho già sentita? Emergo con fatica dai frammenti di roccia che mi ricoprono e afferro la mano che mi viene tesa. E' la mano di un gigante alto oltre 2 metri. Non lo vedo da chissà quanti anni, ma...
"Mi ricordo di te... A Gultch..." L'Angelo Nero. Così lo chiamavano.
Mi guarda e annuisce. "A Gultch".
"Dove siamo?" Mi guardo intorno: si direbbe una camera funeraria. Ero dentro uno di questi sepolcri, dunque.
"Non ricordo il tuo nome..."
"Navèl". Poi indica la porta di questa strana stanza, che dà su uno dei tanti corridoi che compongono i sotterranei. "Se vuoi salvare i tuoi compagni devi andare ora, altrimenti sarà troppo tardi".
"Kzar?"
Navèl scuote la testa. "Per lui è già troppo tardi".
"Ma cosa dici..." La convinzione con cui lo dice non mi piace per niente. Non può essere, Kzar non può morire. Non può fisicamente morire... neppure per mano di sir Wilson. Eppure...
"Ascoltami bene: oggi abbiamo fallito, tutti noi. Ma tu puoi ancora limitare i danni. Tieni in vita la ragazza di nome Annie e distruggi quello che va distrutto, e un giorno non lontano avrai l'occasione di vendicarti".
Poi mi volta le spalle e raggiunge la porta. La sua armatura è squarciata in più punti, il mantello ridotto a brandelli, il corpo coperto di ferite. E' come se avesse combattuto una guerra da solo. Se non è morto, è solo perché è un innalzato come me. E forse io sarei morta comunque, nelle sue condizioni. Guardo il sarcofago di pietra dietro di me: come diavolo ha fatto a romperlo messo così? Ma soprattutto, come fa a muoversi ancora?
"Kzar è morto?"
"Si".
Cazzo.
"Fai in modo che non sia morto invano".
Non dice altro. Eppure, è come se riuscissi a leggergli dentro, proprio come a Gultch, e quello che capisco non mi lascia alcun dubbio: anche lui vuole uccidere Aghvan. Anche lui vuole che quelle fiale siano distrutte. Quando sarà il momento mi contatterà di nuovo. Se sopravviverà. Se sopravviveremo.
Un attimo dopo è sparito. Ed è in quel preciso istante, con la mente che ancora vaga nei meandri delle grotte di Gultch, che ricordo finalmente dove avevo già sentito quell'odore.
Data: 14 febbraio, ore 07:51
Luogo: Città di Ghaan, Sanatorio
POV: Ali Shark
Questa è la fine, dunque: questo squallido stanzone che odora di aceto è il luogo dove mi tocca crepare, dopo tutto quello che ho fatto. Infilzata dallo spiedo di un bastardo traditore che non ha avuto neanche le palle di guardarmi negli occhi.
Non sento dolore, per ora, ma a questa ferita non si sopravvive. Quanto mi resta? Molto meno che se mi avesse morso un Risvegliato, questo è poco ma sicuro. I disgraziati che cadono vittime di quella sventura hanno ancora una vita davanti, al mio confronto... mentre a me non resta che una manciata di minuti.
Quanto ci ha messo la situazione a precipitare in un modo così rovinoso? E' successo tutto così in fretta che quasi non me ne sono resa conto. Aghvan e la sua guardia del corpo sono scappati in un pertugio scavato nella roccia come due vermi non appena abbiamo fatto saltare la porta: il tenente ha provato a inseguirli, ma è stato travolto dai macigni che lo stronzo ha fatto franare dietro di sé e quindi finito a colpi di spada. Lo abbiamo sentito urlare, mentre moriva a un metro da noi. Per miracolo la frana non ha fatto secco anche Garruk, che se l'è cavata con un braccio, una gamba e forse un piede rotti. E il bello è che fino a lì ancora pensavo che ce l'avremmo fatta, che avremmo potuto uscirne vivi. In fondo eravamo ancora in cinque ed eravamo riusciti a impedire ad Aghvan di portare via il grosso della roba: dovevamo soltanto distruggere questo posto, rimettere in qualche modo in piedi Garruk e andarcene via.
Poi Van ha preso la Garmobozia e l'ha rovesciata in testa ad Annie, come se fosse la cosa più normale del mondo. E subito dopo, non contento, ci si è intinto le dita e gliele ha ficcate in gola, spegnendole gli occhi come una torcia che esaurisce la pece. Neanche il tempo di dire "ma che cazzo fai" e il suo compare, Arman, mi ha spinto il suo stocco dentro la schiena. Da dietro, dolcemente, appena sotto l'innesto dell'armatura. Il tutto sotto gli occhi increduli di Garruk: poveraccio, non ha potuto fare niente. Non l'ho mai visto così impotente, così disperato.
E la cosa peggiore è che a quel punto, con le gambe che mi abbandonavano e il respiro che si faceva denso e sempre più pesante, mi è persino toccato assistere al penoso siparietto tra i due compari. "Perché l'hai fatto, Arman? Ti avevo detto di non ucciderla!" "Non possiamo lasciare testimoni". "Ma mi avevi promesso che l'avremmo risparmiata!" Il tutto mentre lo stronzo continuava a infilare le sue dita lorde di Garmonbozia dentro la bocca di Annie come se fosse una cazzo di anatra da cucinare.
Dèi, che pena. Che vomito. Che merda. Che delusione immensa. Non ci posso credere. Quando ti presenti in battaglia con questi compagni al tuo fianco, a cosa servono gli avversari? Questa è Greyhaven, dunque: l'ordine per instaurare il quale abbiamo spazzato via il caos rappresentato dai Khanast. Non ce lo meritavamo di essere traditi così. E per cosa, poi? Per quattro fiale di merda.
"Mi dispiace, Ali".
"Sei uno stronzo", dico. Anzi, provo a dire. Mi aspetto di sentire la mia voce, invece mi esce una sorta di rantolo gutturale dal petto. Ma porca puttana, potevano essere le mie ultime parole e invece niente: guarda tu se gli Dèi, nella loro infinita balordaggine, devono negarmi persino la soddisfazione di insultare questo pezzente un'ultima volta prima di morire. E va beh, vorrà dire che lo insulterò col pensiero. Pezzo di merda infame che non sei altro, che siate maledetti tu e quella faccia di vomito del tuo compare.
"Togli di mezzo la bionda, io penso al gigante: poi prendiamo le fiale e leviamoci dal cazzo". A me neanche mi nomina, il vigliacco: mi dà già per morta. E ha ragione, purtroppo: quello stocco del cazzo l'ho sentito arrivare fin quasi al naso.
Garruk prova a vendere cara la pelle, ma persino lui non può fare molto con un braccio, una gamba e un piede fuori uso. Arman gli sferra uno, due, tre calci sulla frattura più dolorosa, quindi si avvicina per infilzarlo con il suo stocco del cazzo... E proprio in quel momento la sua testa si spacca in due come un melone maturo.
"Ecco dove cazzo avevo già sentito il tuo fetore: a Gultch!".
Un istante dopo Ayza rivolge la sua attenzione a Van, che non trova di meglio da fare che rivolgere la spada contro Annie: "getta l'arm..." e poi lei gli pianta la spada tra gli occhi sfondandogli il cranio, senza neppure fargli finire la frase.
Rettifico quello che ho detto prima: grazie, Dèi, per avermi regalato questo spettacolo glorioso prima di crepare.
"Aiutala!", grida Garruk, indicandomi. "Lascia perdere me, le fiale e tutto quanto il resto: portala via! Portala in salvo...".
Ayza si china su di me: le basta annusarmi per capire tutto. Mi sorride, e anche io le sorrido. E' davvero bellissima, specie adesso che al posto della maschera da teschio il suo viso è ricoperto del sangue di quei due scorreggioni. Grazie lo stesso, tesoro: mi hai appena fatto un regalo pazzesco, ma mi sa che i miracoli non puoi farli neanche te.
"Coraggio", mi dice. Ah, quello non mi manca di certo: guarda con che cazzo di capelli sto per uscire di scena. Poi si alza e va da Annie: fa del suo meglio per ripulirla dalla Garmobozia, quindi comincia a prenderla a schiaffi. Povera Annie! Eppure confesso che, per qualche assurdo motivo, guardando quella scena mi viene quasi da ridere. Il che è davvero pessimo, quando hai i polmoni bucati. Penso che gliene abbia dati almeno ottanta. Dopo ogni scarica le dice qualcosa: vorrei sentire cosa, ma purtroppo comincio ad avere qualche difficoltà uditiva. Starò forse diventando vecchia?
Poi perdo i sensi. Quando rinvengo sono seduta su un fianco e mi ritrovo i volti di Annie e Garruk in lacrime praticamente attaccati al mio, a momenti non riesco neppure a metterli a fuoco. Ammazza che lago rosso qua sotto: è tutta roba mia? Temo di si. Pensa se non provavano a stabilizzarmi...
"Anche meno, ragazzi... anche meno. Cosa sono questi musi lunghi... lasciamoci col sorriso, no?"
Incredibilmente, stavolta le parole mi escono: questa nuova posizione fa miracoli! Loro invece non sanno che dire, blaterano frasi senza senso, tipo che non è grave, devo solo tenere duro, ce la farò. Certamente.
Poi Garruk dice che c'è ancora una possibilità, mi mostra una fialetta con un liquido rosso. Dice che secondo Ayza potrei essere compatibile, se mi dice culo potrei persino diventare una di loro. Una innalzata, addirittura.
Apprezzo l'idea, ma per oggi passo. Non ho nessuna intenzione di innalzarmi: sono già alta di mio. Voglio vivere e morire così come sono nata, senza il sangue di un demone che mi violenta da dentro e minaccia di farmi impazzire non appena perdo la brocca. Lo sapete come sono fatta, cazzo: voglio ubriacarmi, divertirmi, bestemmiare, scopare. Voglio perdere la calma ogni volta che mi tolgo l'armatura e riacquistarla ogni volta che me la rimetto. Non prendetela sul personale, Annie e Ayza: voi due siete davvero eccezionali, ma io non mi ci vedo, prima o poi farei la fine di William Deed o di qualche altro coglione e francamente non potrei mai perdonarmelo: voglio uscire da questo palco sulle mie gambe, non con un paio di corna e le ali da pipistrello. Si fa per dire, ovviamente, visto che è un pezzo che non me le sento più, le gambe. E poi, diciamocelo... vi ruberei la scena. Quindi mi dispiace, Garruk, ma non se ne fa niente: come se avessi accettato. Grazie, ma no grazie. Questa è la mia fermata.
Del resto, il tenente Logan è stato chiaro: quelle fiale le dobbiamo distruggere, mica scolarcele noialtri. Il tenente Cope è morto, quindi fino a prova contraria comando ancora io, giusto? Bene, fatemi il piacere di portare a termine la missione: spaccate quella merda, pisciateci sopra e fate in modo che di questa stanza puzzolente non resti pietra su pietra. E poi levatevi dai coglioni, che avete una città da... coff... coff... assediare, domani. E' un ordine, capito? Razza di pelandroni del cazzo, se vi vedesse il tenente Ramsey vi prenderebbe a calci nel culo. Uscite da qui e cercate Logan, penserà lui a riportarvi al campo.
Prima che ve ne andiate, però, ho qualcosa da darvi. A te, Garruk, lascio questo. No, non fare quella faccia: sai bene che ti tocca, proprio come quando è toccato a me. E poi è l'unico che ti manca, no? Adesso mi sa che hai finito la collezione...
A te, Annie, lascio questa: mi ha tenuto compagnia per tanto tempo, ma adesso è ora di farle cambiare mano. E ricorda che è una femmina, anzi una signora: trattala con rispetto.
A te, Ayza non lascio un regalo, ma la responsabilità di tenere in vita le due persone a cui hai salvato la vita oggi. E' un'inculata, lo so, ma il Kanun prescrive questo, quindi mi sa che... coff... coff... ti tocca. Me lo prometti, vero?
...
E' buffo, non riesco più a capire se sto ancora parlando con voi o sto solo immaginando di farlo. Non sento più la mia voce e sta diventando tutto... coff... coff... tutto buio.
A proposito.... Sapete qual è il colmo per un ferito?
... No, eh?
Morire... coff... coff.... Morire in un ospedale.
Ah, ah, ah!
Luogo: Città di Ghaan, contrada della Scure
POV: Garruk Jagger
La zona che percorriamo ora è decisamente più pulita della latrina a cielo aperto da cui siamo entrati. Le stamberghe di legno hanno lasciato il posto a imponenti edifici in pietra, i vicoletti storti e polverosi dove a momenti facevo fatica a passare sono diventati strade pavimentate con grandi pietre levigate. Apprezzo lo sforzo, cari Ghaanesi, ma con me non attacca: la vostra città resterebbe una cagata pazzesca anche con le strade lastricate d'oro.
Il pugno alzato di Logan ci intima di fermarci: due guardie a ore undici. Come avevamo previsto, hanno stretto le maglie a protezione del centro, dove si trovano i principali punti chiave... tra cui quello dove siamo diretti. Mi prudono le mani, ma quello che va fatto adesso non è un lavoro per me: e serve qualcuno che lo faccia a regola d'arte, altrimenti avremo addosso l'intero contingente cittadino in un batter d'occhio. I candidati ideali per questo lavoretto sarebbero probabilmente gli innalzati, ma Logan ha già chiarito che non avrebbe chiesto ai "ragazzi di Ghaan" di ammazzare i loro compaesani. Andranno lui e il tenente Cope. Se Vasq fosse qui, sono certo che avrebbe scelto lui... Guardaci le spalle dal cielo, amico mio: se oggi siamo qui è anche per merito tuo. Sputo per terra, mentre i nostri scompaiono in silenzio di fronte a noi. Tre minuti dopo sono già di ritorno, trascinando due carcasse che di lì a poco vengono delicatamente spinte dietro un muretto. Altri due in meno.
Proseguiamo senza ulteriori intoppi fino al punto in cui i "ragazzi di Ghaan" ci dicono che siamo arrivati: l'imponente figura del Sanatorio si staglia a una manciata di passi da noi. Mi chiedo come mai in questa ulcera di Ducato si sia diffusa la manìa di chiamare gli ospedali in modi così assurdi: Nosocomio, Sanatorio... E' proprio vero che più non conti un cazzo e più ti dai arie. In ogni caso, se quello che ci hanno raccontato è vero, quell'edificio è molto più di un semplice ospedale. Come previsto, inoltre, tutta la piazza che lo circonda brulica di soldati.
"Come la vedi, Garr?" Mi chiede Ali.
Come una condanna a morte, ecco come la vedo. Abbiamo un piano per entrare, per quanto balordo, ma le probabilità di uscire vivi da quel nido di vespe sono quantomai scarse. E' una missione di sola andata, salvo miracoli... almeno per la nostra squadra.
Logan si volta a guardarci, come a sincerarsi per l'ultima volta che ciascuno di noi abbia ben chiaro quello che deve fare. Il ruolo affidato alla mia squadra, se non altro, è semplice da ricordare: varcare l'ingresso secondario di quell'edificio, seguire le indicazioni dei "ragazzi di Ghaan" fino a raggiungere il laboratorio segreto di Aghvan, uccidere chiunque si trovi lì - Aghvan compreso, se ci farà la cortesia di non tentare la fuga - e distruggere tutto ciò che contiene. Cosa potrebbe andare storto? Tutto, ovviamente. A partire dalla pagliacciata che ci toccherà fare tra poco per entrare, che per molti aspetti è l'aspetto mi preoccupa di più.
"Ma lo sai che quell'ascia sul petto ti dona?" mi sussurra Ali, subito prima di metterci in marcia.
"Altroché", bofonchio di rimando. "Che idea del cazzo: e comunque non ci cascheranno mai, sono troppo bello per essere scambiato per un giannizzero di Ghaan".
"Poteva andare peggio, Garr... Potevano farti vestire da donna!"
"Guarda, a momenti avrei preferito!"
"... e farti arrivare in nave!"
Sputo per terra. "Hai ragione, c'è sempre un peggio: andiamo a spaccare i giocattoli allo Stregone, va...".
Un vero peccato che l'Angelo Nero abbia deciso di perdersi quest'ultimo giro di giostra: con tutto il culo che si è fatto per farci arrivare fin qui, avrebbe meritato di prendere parte alla fine della storia.
Data: 14 febbraio, ore 07:12
Luogo: Città di Ghaan, Piazza del Sanatorio
POV: Ayza Reich
"Sono entrati: qui finisce la parte facile", mormora Kzar, issandosi sul campanile della chiesa che si erge di fronte al Sanatorio fino a tornare di fianco a me.
"Già".
"A cosa pensi? Sembri turbata".
Annuisco. "C'è qualcosa che non va: e l'odore di quell'uomo... non riesco a ricordare dove l'ho già sentito".
"Capisco. Purtroppo però dobbiamo andare, altrimenti i nostri avranno problemi ben più grossi... e anche noi".
Sorrido. I nostri, addirittura: così li chiama adesso. Kzar è fatto così: semplice e diretto, esattamente come prima di diventare un innalzato. Lo conosco da una vita e non penso di averlo mai visto arrabbiato, neppure durante il periodo trascorso nelle prigioni del laboratorio segreto di Gultch. Perché mi torna in mente quel luogo proprio adesso? Scuoto la testa. Non è il momento di perdersi nei ricordi di una vita fa: abbiamo un lavoro da fare e uno stregone da ammazzare. "Andiamo", esclamo alzandomi a mia volta. Un attimo dopo siamo a librarci nel vuoto, mentre il sole fa lentamente capolino alle nostre spalle.
A seguito della fortunata dipartita di Estov Ghaan siamo diventati entrambi ricercati: questo è il motivo per cui non abbiamo potuto accompagnare "i nostri" all'interno del Sanatorio... non passando dalle porte presidiate al piano terra, perlomeno. Entreremo in un altro modo, meno ortodosso ma di certo più spettacolare.
"... E tanti saluti al rosone".
Ci guardiamo a vicenda, per assicurarci di essere tutti interi. Uno dei tanti problemi della nostra condizione è che l'insensibilità al dolore a volte gioca brutti scherzi: se non stai attento a ciò che ti succede rischi di non accorgerti che ti sei rotto un braccio, una gamba, o che stai morendo. A quanto pare però stavolta i nostri mantelli hanno fatto il loro dovere, nessun frammento di vetro che spunta da organi più o meno vitali.
La sala di meditazione è grande e spoglia proprio come ricordavo, e soprattutto deserta come speravamo fosse. "Muoviamoci", mormoro guardando la pesante porta di legno rinforzato che ho aperto e varcato innumerevoli volte una, anzi due vite fa: "a breve avremo i Guardiani alle calcagna".
I Guardiani del Sanatorio sono dei soldati abbastanza scadenti, per la verità: un misto di nuove leve ancora troppo acerbe per il servizio attivo e anziani che, pur avendo ottenuto il congedo, scelgono di continuare a servire la Signoria con un incarico meno remunerativo, ma di certo più sicuro e riposante... Salvo quando ti capitano due innalzati durante il turno di guardia, ovviamente. In ogni caso, il corno a quanto pare lo sanno ancora usare.
"Senti che fanfara", esclama Kzar. Nel giro di pochi istanti altre pernacchie fanno eco da fuori, segnalando problemi da tutt'altra parte: a quanto pare anche la squadra esterna di Logan Treize ha cominciato ad alzare la sua parte di casino. Tutto secondo i piani: speriamo soltanto che la squadra interna sia in procinto di arrivare a destinazione. Quanto a noialtri, a breve avremo un bel pò di compagnia.
"Di qua", indico a Kzar. Qui dentro sono più esperta di lui. Mentre raggiungo le scale che portano verso il basso apro un paio di porte che danno sui dormitori degli alchimisti e sulla terrazza: non sanno dove stiamo andando, quindi saranno costretti a dividersi. Il nostro obiettivo numero uno è distrarne il più possibile, mentre "i nostri" scendono nei sotterranei.
"Stanno arrivando anche dalle scale", mi avverte Kzar.
"Li sento". Hanno reagito leggermente troppo presto rispetto a quanto avevamo previsto: il che non è il massimo, considerando che ci siamo ripromessi di evitare di fare una strage. Togliere di mezzo Estov Ghaan e Aghvan è una cosa, ammazzare guardie con cui abbiamo mangiato insieme solo perché si stanno dimostrando troppo zelanti è un'altra. Tocca tenerli qui senza versare troppo sangue.
L'occhio mi cade su una delle tante finestre centinate che danno verso l'esterno, dalla quale filtrano i primi raggi del sole. "Ti va di rompere un altro paio di vetri?" Chiedo a Kzar. Un altro schianto e siamo di nuovo fuori. Ricordavo bene, sotto di noi c'è un piccolo parapetto che dà su un'altra finestra posta sul gomito delle scale. Facciamo appena in tempo a vedere, da fuori, le guardie salire l'ultima rampa, quindi rompiamo la terza finestra della giornata e rientriamo nell'edificio alle loro spalle. I poveretti non fanno neanche in tempo a girarsi che siamo già arrivati alla base delle scale, dove troneggia la pesante porta rinforzata che chiude l'accesso al piano. Non abbiamo la chiave per chiuderla, ma la forza per rompere la serratura e incastrare i cardini si.
"Questo dovrebbe tenerli impegnati per un pò: adesso vediamo di trovare il nostro uomo".
L'obiettivo numero due del nostro piano è, non sorprendentemente, intercettare e uccidere Aghvan. In condizioni normali, quell'uomo non esiterebbe a difendere le filattiere affrontando la squadra di Uryen e Greyhaven anche da solo... e sarebbe una battaglia dall'esito tutt'altro che scontato. Per nostra fortuna, nonostante le risorse pressoché infinite che ha dimostrato di avere sul campo di battaglia, le sue capacità magiche dovrebbero ormai essere ridotte al minimo. E' dunque probabile che cercherà la fuga, consapevole della difficoltà dei "nostri" di inseguirlo in un posto che brulica di soldati... Ed è qui che entriamo in gioco io e Kzar.
La discesa verso i sotterranei procede senza intoppi: ci limitiamo a colpire e spintonare un pò energicamente un paio di soldati a testa, provocando al massimo qualche frattura. A ben vedere per questi attempati veterani incontrarci è una fortuna, un congedo assicurato dall'assedio prossimo venturo. Per non parlare del fatto che nessuno di loro verrà giustiziato, grazie all'accordo che abbiamo fatto: ci chiameranno traditori ma a ben vedere stiamo ANCHE salvando la vita dei nostri, dovrebbero farci una stat...
"Lo senti?" mormora Kzar a bassa voce, mentre osserva le grandi lastre di pietra levigata sotto di noi, come se fosse in grado di vedere ciò che gli fa ribollire il sangue attraverso il pavimento.
Annuisco. La stessa vampata di Yoki che ho già percepito altre volte: una impronta inconfondibile. Aghvan. "Non è nel laboratorio: sta scappando". A quanto pare farlo fuori spetterà a noi: non chiedo di meglio. "Andiamo a prenderlo", esclamo, stringendo forte la spada. In un modo nell'altro, tra poco sarà tutto finito.
Data: 14 febbraio, ore 07:21
Luogo: Città di Ghaan, Sanatorio - piano terra
POV: Ali Shark
Avanziamo in fila indiana lungo i corridoi, incrociando di tanto in tanto qualche soldato: la maggior parte sono feriti, ma c'è anche una nutrita sorveglianza in servizio attivo. Mi sembra incredibile che un piano così folle stia funzionando davvero: per fortuna l'esercito di Ghaan è composto in buona parte da esuli e mercenari provenienti da mezzo Granducato, altrimenti ci avrebbero già individuati.
Un lampo di terrore mi assale quando uno dei portantini - neanche una guardia, un cazzo di portantino! - si blocca per un attimo di fronte a Cope, guardandolo con aria interrogativa. Ma il tenente non gli dà il tempo di giungere a conclusioni avvedute, spintonandolo bruscamente contro il muro e passando oltre senza neanche rallentare. "Guarda dove metti i piedi, idiota!".
Il tenente Cope non è mai stato a Ghaan, men che meno dentro questo posto - come nessuno di noi, del resto - ma è molto bravo ad orientarsi, dentro e fuori dai centri abitati: per questo Logan lo ha messo alla guida di questa squadra. Lui, ovviamente, non sarebbe mai potuto entrare: a differenza della nostra, la sua faccia è fin troppo nota. Il loro compito, oltre ad averci portato qui, sarà quello di tirarci fuori non appena avremo compiuto il nostro dovere.
Il suono di vetri rotti che arriva dai piani superiori è musica per le nostre orecchie. In pochi istanti l'ordinata solerzia di questo luogo si sbriciola in un caotico viavai di gente che corre prendendo direzioni a caso, come quando getti un sasso dentro a un formicaio: è il casino che stavamo aspettando.
Acceleriamo il passo, gettandoci a testa bassa lungo il corridoio che, a quanto il tenente spera di aver capito dalle spiegazioni di Ayza Reich, dovrebbe portarci in un posto sufficientemente vicino al laboratorio da...
"La sento!" Esclama Annie all'improvviso, non appena Daron fa buon uso di uno degli ultimi regali che ci ha lasciato Luger per aprire la porta che conduce ai sotterranei. "Seguite me, adesso". Il tenente la fa passare in testa alla fila, per poi seguirla lungo una rinnovata ragnatela di corridoi notevolmente più stretti dei precedenti, ma senz'altro meno affollati. Era quello che speravamo: il laboratorio segreto di Aghvan non può che contenere una bella fornitura di Garmonbozia, e non c'è recipiente al mondo che possa tenerla nascosta al fiuto sopraffino della nostra Annie.
Dopo un paio svolte, un soldato con la pettorina nera e una torcia in mano fa inopinatamente capolino di fronte a noi: nell'altra mano stringe un corno che chiaramente non vede l'ora di suonare, ma non riesce neanche a portarselo alle labbra che Annie lo trafigge alla gola con la spada. "Beccati 'sti spicci, pifferaio!", mormora Garruk in segno di approvazione, prendendo al volo il malcapitato e adagiandolo silenziosamente al suolo. La corsa dietro ad Annie riprende: ormai non ce ne frega più molto neanche di essere silenziosi: gli echi della sinfonia di corni, passi e gente che urla arriva fino a qui. Abbiamo scommesso sui nervi a fior di pelle di questi soldati e, a quanto pare, abbiamo fatto centro: non ci resta che mettere a frutto la zizzania che abbiamo seminato.
La gita all'ospedale continua: altri corridoi, altra rampa di scale, altra porta rinforzata che si scioglie come neve al sole sotto le provvidenziali fialette di Luger, altri due soldati coi mantelli neri che vengono mandati in missione d'urgenza all'inferno ghiacciato: e poi, finalmente, Annie si ferma a sbavare proprio di fronte a una porta che ha tutto l'aspetto di essere l'antro di un laboratorio segreto.
Mi prendo un istante per guardare la mia amica di un tempo... Se posso permettermi di considerarla tale, visto quanto mi divertivo a prenderla per il culo perché ero più grande e più carina di lei. La sua espressione è irriconoscibile, non penso di averla mai vista così. Ho quasi paura di quello che potrebbe fare una volta varcata quella soglia, che poi è uno dei motivi per cui gli stessi "ragazzi" di Ghaan - benché disintossicati da tempo - hanno preferito non essere presenti qui: ma abbiamo bisogno di lei, oggi come ogni singolo giorno da quando abbiamo lasciato Angvard. E' per questo che l'ho portata. A conti fatti sono una stronza, oggi come allora.
"Annie", le chiedo: "Aghvan è lì dentro?"
Annuisce.
"E il sangue degli Antecessori?"
Annuisce.
Ci siamo, cazzo. Il tenente estrae velocemente dallo zaino l'ultimo lascito di Luger, sommariamente imbottigliato in un fiasco di Centerbe di Rastan che ci siamo scolati una vita fa. "Inauguriamo 'sto laboratorio, tenente!" Gli fa eco Garruk con voce solenne.
Nessuno di noi ha la benché minima idea del casino in cui si sta andando a cacciare.
Data: 14 febbraio, ore 07:34
Luogo: Città di Ghaan, dintorni del Sanatorio
POV: Ayza Reich
Né io né Kzar siamo mai stati messi ufficialmente al corrente del fatto che i laboratori sotterranei avessero una via d'uscita indipendente, ma Manuel lo sapeva eccome. E, sfortunatamente per Aghvan, prima di morire è riuscito a indicarci anche l'ubicazione del punto di uscita: una anonima costruzione che si affaccia su un piccolo slargo a qualche decina di metri dalla piazza del Sanatorio.
Nel pieno delle forze quello stregone è praticamente onnipotente, come ha ampiamente dimostrato sul campo di battaglia falcidiando gran parte dell'esercito di Yara... Ma, dopo tutto ciò che ha fatto, non posso credere che il suo potere non sia prossimo ad esaurirsi. Per questo abbiamo aspettato tanto a lungo prima di uscire allo scoperto e adesso non possiamo concedergli tregua, né consentirgli alcun riposo.
"Stanno arrivando", esclama Kzar, alzandosi in piedi. Li sento anch'io. Due contro due. "Ricorda cosa ci ha detto Manuel", mi dice guardandomi negli occhi: "qualsiasi cosa accada, non prendere parte allo scontro con lui: servirebbe solo a conferirgli più forza".
Annuisco. "Toglilo di mezzo una volta per tutte: io penserò ad Aghvan". Facciamo giusto in tempo a scambiarci un sorriso appena accennato e a separarci: poi la porta si apre lentamente, sprigionando un sinistro cigolìo nella piazza deserta.
Sir Wilson fa un singolo passo oltre la soglia, sfiorando con la punta dello stivale la striscia di luce disegnata dal sole che ormai splende nel cielo, quindi sguaina le sue due lame. "Ti aspetto, figlio mio", esclama, cercandoci con lo sguardo sui tetti che lo circondano. "Confido che oggi non mi deluderai".
Kzar gli piomba addosso in meno di un istante. I suoi movimenti sono così veloci che nessun essere umano potrebbe vederli, figuriamoci defletterli o schivarli. Ma sir Wilson non è un essere umano, come non lo siamo noi.
Secondo le voci che circolano tra i soldati di Ghaan, il segreto di sir Chad Wilson è la capacità di prevedere le mosse dell'avversario da impercettibili movimenti del corpo, cosa che gli consente di elaborare la migliore contromossa possibile in ogni circostanza. Ma Manuel ci ha spiegato che non è tutto qui: a rendere sir Wilson un combattente imbattibile non sono soltanto le capacità tattiche, ma anche e soprattutto l'addestramento che ha ricevuto e il codice che ha appreso da un misterioso Maestro di cui parla molto di rado. Lo Yog, così lo chiamò una volta.
Kzar continua a incalzare sir Wilson, che per non perdere il controllo della soglia entro cui ancora si nasconde Aghvan è costretto a prendere dei rischi: un colpo va a segno, poi due, poi tre. Il selciato della piazza si macchia di sangue. E' la prima volta che lo vedo sanguinare, ma è ancora presto per cantare vittoria. Resisto alla tentazione di gettarmi su di lui e piantargli la spada tra le scapole e continuo a restare appollaiata sul tetto, aspettando l'occasione propizia per far fuori Aghvan che, se il mio fiuto per lo Yoki non mi inganna, si trova proprio sotto di me.
"Sei deluso, dunque?"
"No", risponde sir Wilson. "Sei il mio capolavoro".
Dopo un altro furioso scambio di colpi, un violento affondo di Kzar riesce finalmente a costringerlo a scartare di lato, liberando il varco quel tanto che basta per consentirmi di passare. E subito sento lo Yoki alzarsi dall'interno della costruzione, come a voler correggere quell'errore prima che sia troppo tardi: maledetto stregone, ancora non t'è finita la voce eh? Ma questa è l'ultima canzone che ti facciamo cantare. Con un balzo sono alle spalle di Sir Wilson, che subito mi accoglie con un fendente all'altezza del collo: lo schivo con un rapido salto all'indietro e mi getto dentro la soglia, dove mi attende...
...
... Ma che cazz...
... dove sono finita? Un secondo fa stavo varcando la porta di quella costruzione, pronta a trovarmi faccia a faccia con Aghvan, mentre adesso mi trovo... Dove? Non ne ho idea. So soltanto che è un posto stretto, chiuso e completamente buio. Ma soprattutto prima ero in piedi, mentre adesso sono... distesa? Com'è possibile? Istintivamente provo ad alzarmi e sbatto immediatamente la testa contro qualcosa di durissimo.... pietra.
Dove cazzo mi trovo?
Non riesco a vedere nulla, il che significa che qui non entra la benché minima fonte di luce: ogni singolo spiraglio è stato chiuso, sigillato. Una prigione per innalzati?! No, peggio... una tomba. Non ho neanche lo spazio per distendere le braccia o piegare le gambe. Cazzo. Ma come è possibile? Come ha fatto a farmi finire qui dentro? Cerco a tentoni un'apertura, una fessura, qualcosa... niente. D'un tratto sento una strana pressione sotto la scapola destra, cerco di arrivarci con la mano e...
Uno specchio? Ma cos...
Oh, cazzo. Non è possibile. Vaffanculo, Aghvan, tu e i tuoi incantesimi di merda.
Pensa, Ayza, pensa. Pensa a come puoi uscire da qui, che Kzar e gli altri hanno ancora bisogno di te.
Chiudo gli occhi e mi concentro: questo sepolcro può togliermi la vista e (forse tra un pò) l'aria, ma non l'udito. Sento urla e rumore di passi: sono di nuovo nel Sanatorio... nei sotterranei, a giudicare dall'odore di muffa. Lo stronzo deve preparato questa trappola prima di darsela a gambe, collegando in qualche modo la porta di quella costruzione e questa... tomba... e io ci sono cascata dentro come una cogliona.
Pensa, Ayza, pensa. Se ci ha potuto infilare lo specchio, vuol dire che un'apertura deve esserci. Una di queste pietre deve essere stata messa da poco. C'è solo un modo per trovarla: scavare e picconare. Purtroppo mi manca l'attrezzo adatto... ma forse posso costruirmelo. Raggiungo la spada con la punta delle dita, quindi me la porto sul bacino. Da quanto ne so, è l'osso più duro e resistente che abbiamo: non resta che metterlo alla prova. Tre, due, uno...
Ok, adesso ho quello che mi serve. Forza e coraggio, Ayza: mettiti al lavoro e vedi di uscire da qui. Dimostra ad Aghvan che non è così semplice seppellire vivo un innalzato.
Scava. Piccona. Scava. Piccona. Scava. Piccona. Scava. Piccona. Scava. Piccona. Scava. Piccona. Scava. Piccona. Scava. Piccona. Scava. Piccona. Scava. Piccona. Scava. Piccona. Scava. Piccona. Scava. Piccona. Scava. Piccona.
Come se la starà cavando Kzar? Avrà ammazzato sir Wilson? Mi auguro almeno che Aghvan non avesse altro fiato per nuocere anche a lui.
Scava. Piccona. Scava. Piccona. Scava. Piccona. Scava. Piccona. Scava. Piccona. Scava. Piccona. Scava. Piccona. Scava. Piccona. Scava. Piccona. Scava. Piccona. Scava. Picc....
D'improvviso viene giù tutto.
"Stai bene?"
Questa voce... dove l'ho già sentita? Emergo con fatica dai frammenti di roccia che mi ricoprono e afferro la mano che mi viene tesa. E' la mano di un gigante alto oltre 2 metri. Non lo vedo da chissà quanti anni, ma...
"Mi ricordo di te... A Gultch..." L'Angelo Nero. Così lo chiamavano.
Mi guarda e annuisce. "A Gultch".
"Dove siamo?" Mi guardo intorno: si direbbe una camera funeraria. Ero dentro uno di questi sepolcri, dunque.
"Non ricordo il tuo nome..."
"Navèl". Poi indica la porta di questa strana stanza, che dà su uno dei tanti corridoi che compongono i sotterranei. "Se vuoi salvare i tuoi compagni devi andare ora, altrimenti sarà troppo tardi".
"Kzar?"
Navèl scuote la testa. "Per lui è già troppo tardi".
"Ma cosa dici..." La convinzione con cui lo dice non mi piace per niente. Non può essere, Kzar non può morire. Non può fisicamente morire... neppure per mano di sir Wilson. Eppure...
"Ascoltami bene: oggi abbiamo fallito, tutti noi. Ma tu puoi ancora limitare i danni. Tieni in vita la ragazza di nome Annie e distruggi quello che va distrutto, e un giorno non lontano avrai l'occasione di vendicarti".
Poi mi volta le spalle e raggiunge la porta. La sua armatura è squarciata in più punti, il mantello ridotto a brandelli, il corpo coperto di ferite. E' come se avesse combattuto una guerra da solo. Se non è morto, è solo perché è un innalzato come me. E forse io sarei morta comunque, nelle sue condizioni. Guardo il sarcofago di pietra dietro di me: come diavolo ha fatto a romperlo messo così? Ma soprattutto, come fa a muoversi ancora?
"Kzar è morto?"
"Si".
Cazzo.
"Fai in modo che non sia morto invano".
Non dice altro. Eppure, è come se riuscissi a leggergli dentro, proprio come a Gultch, e quello che capisco non mi lascia alcun dubbio: anche lui vuole uccidere Aghvan. Anche lui vuole che quelle fiale siano distrutte. Quando sarà il momento mi contatterà di nuovo. Se sopravviverà. Se sopravviveremo.
Un attimo dopo è sparito. Ed è in quel preciso istante, con la mente che ancora vaga nei meandri delle grotte di Gultch, che ricordo finalmente dove avevo già sentito quell'odore.
Data: 14 febbraio, ore 07:51
Luogo: Città di Ghaan, Sanatorio
POV: Ali Shark
Questa è la fine, dunque: questo squallido stanzone che odora di aceto è il luogo dove mi tocca crepare, dopo tutto quello che ho fatto. Infilzata dallo spiedo di un bastardo traditore che non ha avuto neanche le palle di guardarmi negli occhi.
Non sento dolore, per ora, ma a questa ferita non si sopravvive. Quanto mi resta? Molto meno che se mi avesse morso un Risvegliato, questo è poco ma sicuro. I disgraziati che cadono vittime di quella sventura hanno ancora una vita davanti, al mio confronto... mentre a me non resta che una manciata di minuti.
Quanto ci ha messo la situazione a precipitare in un modo così rovinoso? E' successo tutto così in fretta che quasi non me ne sono resa conto. Aghvan e la sua guardia del corpo sono scappati in un pertugio scavato nella roccia come due vermi non appena abbiamo fatto saltare la porta: il tenente ha provato a inseguirli, ma è stato travolto dai macigni che lo stronzo ha fatto franare dietro di sé e quindi finito a colpi di spada. Lo abbiamo sentito urlare, mentre moriva a un metro da noi. Per miracolo la frana non ha fatto secco anche Garruk, che se l'è cavata con un braccio, una gamba e forse un piede rotti. E il bello è che fino a lì ancora pensavo che ce l'avremmo fatta, che avremmo potuto uscirne vivi. In fondo eravamo ancora in cinque ed eravamo riusciti a impedire ad Aghvan di portare via il grosso della roba: dovevamo soltanto distruggere questo posto, rimettere in qualche modo in piedi Garruk e andarcene via.
Poi Van ha preso la Garmobozia e l'ha rovesciata in testa ad Annie, come se fosse la cosa più normale del mondo. E subito dopo, non contento, ci si è intinto le dita e gliele ha ficcate in gola, spegnendole gli occhi come una torcia che esaurisce la pece. Neanche il tempo di dire "ma che cazzo fai" e il suo compare, Arman, mi ha spinto il suo stocco dentro la schiena. Da dietro, dolcemente, appena sotto l'innesto dell'armatura. Il tutto sotto gli occhi increduli di Garruk: poveraccio, non ha potuto fare niente. Non l'ho mai visto così impotente, così disperato.
E la cosa peggiore è che a quel punto, con le gambe che mi abbandonavano e il respiro che si faceva denso e sempre più pesante, mi è persino toccato assistere al penoso siparietto tra i due compari. "Perché l'hai fatto, Arman? Ti avevo detto di non ucciderla!" "Non possiamo lasciare testimoni". "Ma mi avevi promesso che l'avremmo risparmiata!" Il tutto mentre lo stronzo continuava a infilare le sue dita lorde di Garmonbozia dentro la bocca di Annie come se fosse una cazzo di anatra da cucinare.
Dèi, che pena. Che vomito. Che merda. Che delusione immensa. Non ci posso credere. Quando ti presenti in battaglia con questi compagni al tuo fianco, a cosa servono gli avversari? Questa è Greyhaven, dunque: l'ordine per instaurare il quale abbiamo spazzato via il caos rappresentato dai Khanast. Non ce lo meritavamo di essere traditi così. E per cosa, poi? Per quattro fiale di merda.
"Mi dispiace, Ali".
"Sei uno stronzo", dico. Anzi, provo a dire. Mi aspetto di sentire la mia voce, invece mi esce una sorta di rantolo gutturale dal petto. Ma porca puttana, potevano essere le mie ultime parole e invece niente: guarda tu se gli Dèi, nella loro infinita balordaggine, devono negarmi persino la soddisfazione di insultare questo pezzente un'ultima volta prima di morire. E va beh, vorrà dire che lo insulterò col pensiero. Pezzo di merda infame che non sei altro, che siate maledetti tu e quella faccia di vomito del tuo compare.
"Togli di mezzo la bionda, io penso al gigante: poi prendiamo le fiale e leviamoci dal cazzo". A me neanche mi nomina, il vigliacco: mi dà già per morta. E ha ragione, purtroppo: quello stocco del cazzo l'ho sentito arrivare fin quasi al naso.
Garruk prova a vendere cara la pelle, ma persino lui non può fare molto con un braccio, una gamba e un piede fuori uso. Arman gli sferra uno, due, tre calci sulla frattura più dolorosa, quindi si avvicina per infilzarlo con il suo stocco del cazzo... E proprio in quel momento la sua testa si spacca in due come un melone maturo.
"Ecco dove cazzo avevo già sentito il tuo fetore: a Gultch!".
Un istante dopo Ayza rivolge la sua attenzione a Van, che non trova di meglio da fare che rivolgere la spada contro Annie: "getta l'arm..." e poi lei gli pianta la spada tra gli occhi sfondandogli il cranio, senza neppure fargli finire la frase.
Rettifico quello che ho detto prima: grazie, Dèi, per avermi regalato questo spettacolo glorioso prima di crepare.
"Aiutala!", grida Garruk, indicandomi. "Lascia perdere me, le fiale e tutto quanto il resto: portala via! Portala in salvo...".
Ayza si china su di me: le basta annusarmi per capire tutto. Mi sorride, e anche io le sorrido. E' davvero bellissima, specie adesso che al posto della maschera da teschio il suo viso è ricoperto del sangue di quei due scorreggioni. Grazie lo stesso, tesoro: mi hai appena fatto un regalo pazzesco, ma mi sa che i miracoli non puoi farli neanche te.
"Coraggio", mi dice. Ah, quello non mi manca di certo: guarda con che cazzo di capelli sto per uscire di scena. Poi si alza e va da Annie: fa del suo meglio per ripulirla dalla Garmobozia, quindi comincia a prenderla a schiaffi. Povera Annie! Eppure confesso che, per qualche assurdo motivo, guardando quella scena mi viene quasi da ridere. Il che è davvero pessimo, quando hai i polmoni bucati. Penso che gliene abbia dati almeno ottanta. Dopo ogni scarica le dice qualcosa: vorrei sentire cosa, ma purtroppo comincio ad avere qualche difficoltà uditiva. Starò forse diventando vecchia?
Poi perdo i sensi. Quando rinvengo sono seduta su un fianco e mi ritrovo i volti di Annie e Garruk in lacrime praticamente attaccati al mio, a momenti non riesco neppure a metterli a fuoco. Ammazza che lago rosso qua sotto: è tutta roba mia? Temo di si. Pensa se non provavano a stabilizzarmi...
"Anche meno, ragazzi... anche meno. Cosa sono questi musi lunghi... lasciamoci col sorriso, no?"
Incredibilmente, stavolta le parole mi escono: questa nuova posizione fa miracoli! Loro invece non sanno che dire, blaterano frasi senza senso, tipo che non è grave, devo solo tenere duro, ce la farò. Certamente.
Poi Garruk dice che c'è ancora una possibilità, mi mostra una fialetta con un liquido rosso. Dice che secondo Ayza potrei essere compatibile, se mi dice culo potrei persino diventare una di loro. Una innalzata, addirittura.
Apprezzo l'idea, ma per oggi passo. Non ho nessuna intenzione di innalzarmi: sono già alta di mio. Voglio vivere e morire così come sono nata, senza il sangue di un demone che mi violenta da dentro e minaccia di farmi impazzire non appena perdo la brocca. Lo sapete come sono fatta, cazzo: voglio ubriacarmi, divertirmi, bestemmiare, scopare. Voglio perdere la calma ogni volta che mi tolgo l'armatura e riacquistarla ogni volta che me la rimetto. Non prendetela sul personale, Annie e Ayza: voi due siete davvero eccezionali, ma io non mi ci vedo, prima o poi farei la fine di William Deed o di qualche altro coglione e francamente non potrei mai perdonarmelo: voglio uscire da questo palco sulle mie gambe, non con un paio di corna e le ali da pipistrello. Si fa per dire, ovviamente, visto che è un pezzo che non me le sento più, le gambe. E poi, diciamocelo... vi ruberei la scena. Quindi mi dispiace, Garruk, ma non se ne fa niente: come se avessi accettato. Grazie, ma no grazie. Questa è la mia fermata.
Del resto, il tenente Logan è stato chiaro: quelle fiale le dobbiamo distruggere, mica scolarcele noialtri. Il tenente Cope è morto, quindi fino a prova contraria comando ancora io, giusto? Bene, fatemi il piacere di portare a termine la missione: spaccate quella merda, pisciateci sopra e fate in modo che di questa stanza puzzolente non resti pietra su pietra. E poi levatevi dai coglioni, che avete una città da... coff... coff... assediare, domani. E' un ordine, capito? Razza di pelandroni del cazzo, se vi vedesse il tenente Ramsey vi prenderebbe a calci nel culo. Uscite da qui e cercate Logan, penserà lui a riportarvi al campo.
Prima che ve ne andiate, però, ho qualcosa da darvi. A te, Garruk, lascio questo. No, non fare quella faccia: sai bene che ti tocca, proprio come quando è toccato a me. E poi è l'unico che ti manca, no? Adesso mi sa che hai finito la collezione...
A te, Annie, lascio questa: mi ha tenuto compagnia per tanto tempo, ma adesso è ora di farle cambiare mano. E ricorda che è una femmina, anzi una signora: trattala con rispetto.
A te, Ayza non lascio un regalo, ma la responsabilità di tenere in vita le due persone a cui hai salvato la vita oggi. E' un'inculata, lo so, ma il Kanun prescrive questo, quindi mi sa che... coff... coff... ti tocca. Me lo prometti, vero?
...
E' buffo, non riesco più a capire se sto ancora parlando con voi o sto solo immaginando di farlo. Non sento più la mia voce e sta diventando tutto... coff... coff... tutto buio.
A proposito.... Sapete qual è il colmo per un ferito?
... No, eh?
Morire... coff... coff.... Morire in un ospedale.
Ah, ah, ah!
14 febbraio 518
Domenica 11 Settembre 2022
Tempi duri e piani sicuri
Data: 14 febbraio, ore 06:43
Luogo: Città di Ghaan, contrada delle Cave
POV: Ali Shark
Siamo dentro.
Non sento più le dita dei piedi, ho più sangue incrostato sull'armatura e tra i capelli di quanto me ne sia rimasto in corpo, non ricordo l'ultima volta che ho mangiato e la neve che mi disseta da giorni ha lo stesso odore di Pecorino, il mulo di Jebediah. Ci siamo giocati tutto quello che avevamo e anche molto di più, come quei balordi alla Capasanta che si ostinano a chiamare il piatto anche quando non hanno niente, né in mano né in tasca. E non c'è stata volta in cui queste lande maledette non siano venute a vedere, costringendoci a pagare e indebitarci ancora.
Eppure, nonostante tutto, malgrado questo vento gelido che ci soffia in faccia nell'estremo tentativo di spingerci via da qui, siamo riusciti a entrare. I miei piedi, o ciò che di loro è rimasto dentro agli stivali, stanno calpestando il suolo della città di Ghaan. Manca più di mezz'ora all'alba, ma sono certa che gli edifici silenziosi che fanno da cornice alla nostra sortita sono pieni di gente che non sta dormendo: io di certo non riuscirei a chiudere occhio, se sapessi che la mia città sta per essere cinta d'assedio. Spero solo che a nessuno venga la malsana idea di uscire per strada e incrociare il nostro percorso: stanotte vorrei limitarmi a togliere di mezzo guardie, soldati e stregoni figli di puttana.
In tutta onestà, ammetto che avevo in mente di fare un ingresso diverso: magari non il corteo solenne circondato dalla folla festante e ansiosa di essere liberata auspicato da Yara, ma una bella marcia fatta come si deve lungo la strada principale, cantando a squarciagola e sventolando i nostri stendardi in faccia a questi coglioni, non mi sarebbe spiaciuta affatto. E invece eccoci qua, pochi e privi di insegne, a correre tra i vicoli senza vedere un accidenti, con il sangue delle guardie all'ingresso ancora caldo sulla spada: due innalzati ribelli di Ghaan alla guida dei migliori elementi di Uryen e Greyhaven, nonché gli unici talmente idioti da essersi offerti volontari per questo ultimo, ennesimo, folle piano di merda.
Data: 13 febbraio, ore 20:17
Luogo: Piana di Avener, tenda del quartier generale di Uryen
POV: Garruk Jagger
«Stanotte, domattina al massimo.»
«Non lo so, Marv... Non vedo molte possibilità.»
Barun sbuffa e incrocia le braccia, scuotendo la testa: la risposta di Logan non sembra andargli a genio. Ma se il comandante dell'Operazione Vurdalach ti dice che una sortita all'interno di una città fortificata non si può fare, vuol dire che non si può fare... A meno che tu non abbia una testa dura come quella di Marvin Barun.
«Se non lo prendiamo nelle prossime ore non lo prendiamo più. I ragazzi di Ghaan ci hanno detto che gli serve un pò di tempo per sbaraccare, poi prenderà il largo con tutta la sua merda: non possiamo permetterlo.»
Logan sospira, poi si volta verso di noi. In altri tempi questa riunione l'avrebbero fatta a porte chiuse ma stavolta è diverso, il comandante vuole guardarci in faccia prima di prendere la decisione: ha bisogno di leggere che la voglia di mettere le mani su quel pezzo di merda di Aghvan è più forte del freddo, della fame, della stanchezza che pervade le nostre membra da settimane. E cazzo, che mi venga uno stramaledetto colpo se non lo è.
Logan studia con attenzione i nostri occhi iniettati di sangue e vendetta, quindi torna a rivolgersi a Barun. «Va bene, Marv: facciamo 'sta stronzata. Ma voglio solo volontari, e scelgo io chi viene.»
Barun annuisce: «D'accordo, ma prendi solo da Greyhaven e da Uryen. Degli altri non mi fido, meglio non correre rischi.»
«Neanche della Brigata del Tramonto? Almeno Acab mi farebbe comodo. O quell'altro coglione, Greg Lorne...»
«No.»
Ben detto, Barun: quelli è già tanto che non li abbiamo ammazzati noi.
Logan fa per replicare, poi sospira: «D'accordo.»
Nei minuti successivi il piano prende forma. A ben vedere si tratta di una mossa quasi obbligata, se vogliamo capitalizzare il risultato dei nostri sforzi: l'esercito di Ghaan è stato sconfitto, sia pure a caro prezzo e malgrado le diavolerie di Aghvan. Il signore di Ghaan è stato ucciso dai suoi "ragazzi", come li chiama Barun... i ragazzi di Ghaan: perché non chiamarli innalzati, poi? Non sarà mica diventato un insulto? Vabbè, fatto sta che quei due stronzi ce ne hanno messo di tempo, prima di palesarsi: io e Ali stavamo quasi cominciando a pensare che fosse l'ennesima inculata: amici amici, amici ar cazzo! E invece alla fine sono arrivati, e in men che non si dica ci hanno persino tolto metà del lavoro. Adesso però sta a noi risolvere l'altra metà: quel fottuto stregone non deve vedere la luce della prossima aurora. I "ragazzi di Ghaan" ci aiuteranno a entrare in città, quindi ci accompagneranno nel posto dove Aghvan tiene le sue scorte di piscio demoniaco: ammazzare lui e dare fuoco alla sua merda, questo è quello che dobbiamo fare.
Ma ci sono almeno due problemi, entrambi belli grossi, che rischiano di metterci i bastoni tra le ruote.
Il primo è ciò che rimane dell'esercito di Ghaan, che in questo momento si è presumibilmente rintanato dentro le mura, preparandosi a subire il nostro assedio. Il piano di Barun e Logan punta tutto sul fatto che, considerando la sconfitta che hanno subito, la morte del Signore di Ghaan e il rischio di trovarsi i soldati e le catapulte davanti alle mura nel giro di poche ore, non avranno il tempo di pensare a difendersi dall'incursione di un manipolo di manigoldi. Ed è una scommessa rischiosa, considerando che se invece ci hanno pensato saremo tutti morti in un batter d'occhio.
Il secondo è il cavaliere che ha salvato il culo ad Aghvan l'Invitto.
«Sir Wilson. Così ho sentito chiamarlo da uno dei suoi.» Logan ci spiega per filo e per segno quello che ha visto: quando i "ragazzi di Ghaan" sono spuntati dal nulla per sferrare il loro attacco, Ayza (la femmina) s'è gettata su Lord Estov Ghaan, mentre Kzar (il maschio) ha puntato Aghvan... Ma è stato anticipato da questo sir Wilson, che è riuscito a tenerlo a bada quel tanto che è servito ai suoi compari per mettere in sicurezza lo stregone.
«Non è un combattente come gli altri», continua Logan: «ha una tecnica e una velocità fuori dal comune. Quando lo incontreremo, se saremo noi ad affrontarlo, lasciatelo a me.»
E sia, comandante: mi accontenterò volentieri di spaccare la testa allo stregone.
Data: 14 febbraio, ore 06:32
Luogo: Città di Ghaan, porta Malabranca
POV: Ayza Reich
«Tra poco dovrebbero essere qui: teniamoci pronti.»
Kzar annuisce. «Manca meno di un'ora all'alba», aggiunge osservando il manto di stelle che comincia pian piano a diradarsi. Poi mi guarda: «Come ci si sente ad aver ammazzato un Signore della Guerra?»
Alzo le spalle. «Signori, soldati, preti, contadini... non cambia nulla: è uguale.»
«Uguale nel senso che ti dispiace allo stesso modo?»
«Uguale nel senso che non me ne frega un cazzo.»
In realtà non è vero: immergere la spada nel cuore di quel citrullo, colpevole d'essersi fatto abbindolare da uno stregone al punto di sacrificare un intero popolo, mi ha restituito un'emozione che non provavo da tempo. Mi sono sentita felice. O forse era soltanto soddisfazione, a fronte della consapevolezza che la morte di Manuel è stata provocata dalle insulse velleità di quello stronzo traditore.
Kzar continua a osservarmi, poi torna a guardare le stelle morenti. «Io ho fallito, invece: non è da me.»
«Non hai nulla da rimproverarti: sir Wilson è un osso duro...»
Nessuna risposta.
«Ti ha detto qualcosa, per caso? So che eravate... piuttosto legati.»
Kzar è sempre stato "il preferito" di sir Wilson. Come pure di Manuel, se è per questo. Il migliore della sua generazione, forse - dicono - il migliore dai tempi di Bondred; di sicuro migliore di me. Manuel ci ha spiegato che, come regola generale, i maschi diventano generalmente più forti, ma sono anche molto più instabili e hanno bisogno di cure e attenzioni particolari: le femmine hanno meno potenziale, ma sviluppano sensi migliori, perdono meno il controllo e sopravvivono molto di più. Kzar è un'eccezione, di quelle che capitano una volta ogni cento tentativi: e che forse sarebbe meglio non si verificassero proprio, così da non spingere il fortunato ricercatore a reiterare l'esperimento ancora e ancora.
«Mi ha detto soltanto una cosa.»
«Cosa?»
«Mi ha detto: "che delusione, Kzar".»
«Sfido che lo ha detto: lo stavi per ammazzare...»
Kzar annuisce.
«Non ti sarai mica... trattenuto, vero?»
Kzar scuote la testa.
«A me lo diresti, giusto?»
«Non mi sono trattenuto: è solo che... è molto più forte di quanto pensassi.»
Alzo le spalle. «Ma non è un innalzato. Lo farai fuori la prossima volta.»
«Già.»
«...O preferisci che lo faccia io? A me non è mai stato simp...»
Kzar mi interrompe: «No, me ne occupo io. Tu pensa a togliere di mezzo Aghvan.»
«D'accordo», rispondo alzando le mani: non sia mai che mi intrometta in un duello d'onore tra maschietti.
Uno strascico di stivali proveniente dalla valle, accompagnato da un frastuono metallico e un pungente odore di vestiti lordi di sudore, mi riporta bruscamente alla realtà. «Ci siamo», avviso alzandomi in piedi: «i nostri casinisti sono arrivati».
Kzar si alza a sua volta: «Chi hanno deciso di portare, poi?»
Annuso l'aria: «Logan Treize, Ali Shark, Garruk, e altri tre che non conosc...» E poi, improvvisamente, lo sento.
«Che succede?»
«Non sono sicura. Uno di loro... Ho come l'impressione di... averlo già sentito prima, ma non ricordo chi è».
«Maschio o femmina?».
«Maschio».
Kzar alza le spalle: «Magari sul campo di battaglia... In fondo oggi stavano tutti là».
Scuoto la testa: «No, è una cosa più vecchia». Molto più vecchia. Eppure sono certa di averlo già sentito prima, da qualche parte. Se soltanto la mia memoria funzionasse bene come i miei sensi...
«Va bè dai, chi se ne frega. E invece la pristina della Mantide? Non l'hanno portata?»
«Eh, quella da qui non la sento». Mi sporgo a guardare giù, verso il crinale, finché non la scorgo. «Si, ci sta pure lei».
«Meglio così. Coraggio, Ayza: andiamo a scrivere quest'ultimo atto. Per Manuel».
Lo guardo e annuisco: «Per Manuel».
Luogo: Città di Ghaan, contrada delle Cave
POV: Ali Shark
Siamo dentro.
Non sento più le dita dei piedi, ho più sangue incrostato sull'armatura e tra i capelli di quanto me ne sia rimasto in corpo, non ricordo l'ultima volta che ho mangiato e la neve che mi disseta da giorni ha lo stesso odore di Pecorino, il mulo di Jebediah. Ci siamo giocati tutto quello che avevamo e anche molto di più, come quei balordi alla Capasanta che si ostinano a chiamare il piatto anche quando non hanno niente, né in mano né in tasca. E non c'è stata volta in cui queste lande maledette non siano venute a vedere, costringendoci a pagare e indebitarci ancora.
Eppure, nonostante tutto, malgrado questo vento gelido che ci soffia in faccia nell'estremo tentativo di spingerci via da qui, siamo riusciti a entrare. I miei piedi, o ciò che di loro è rimasto dentro agli stivali, stanno calpestando il suolo della città di Ghaan. Manca più di mezz'ora all'alba, ma sono certa che gli edifici silenziosi che fanno da cornice alla nostra sortita sono pieni di gente che non sta dormendo: io di certo non riuscirei a chiudere occhio, se sapessi che la mia città sta per essere cinta d'assedio. Spero solo che a nessuno venga la malsana idea di uscire per strada e incrociare il nostro percorso: stanotte vorrei limitarmi a togliere di mezzo guardie, soldati e stregoni figli di puttana.
In tutta onestà, ammetto che avevo in mente di fare un ingresso diverso: magari non il corteo solenne circondato dalla folla festante e ansiosa di essere liberata auspicato da Yara, ma una bella marcia fatta come si deve lungo la strada principale, cantando a squarciagola e sventolando i nostri stendardi in faccia a questi coglioni, non mi sarebbe spiaciuta affatto. E invece eccoci qua, pochi e privi di insegne, a correre tra i vicoli senza vedere un accidenti, con il sangue delle guardie all'ingresso ancora caldo sulla spada: due innalzati ribelli di Ghaan alla guida dei migliori elementi di Uryen e Greyhaven, nonché gli unici talmente idioti da essersi offerti volontari per questo ultimo, ennesimo, folle piano di merda.
Data: 13 febbraio, ore 20:17
Luogo: Piana di Avener, tenda del quartier generale di Uryen
POV: Garruk Jagger
«Stanotte, domattina al massimo.»
«Non lo so, Marv... Non vedo molte possibilità.»
Barun sbuffa e incrocia le braccia, scuotendo la testa: la risposta di Logan non sembra andargli a genio. Ma se il comandante dell'Operazione Vurdalach ti dice che una sortita all'interno di una città fortificata non si può fare, vuol dire che non si può fare... A meno che tu non abbia una testa dura come quella di Marvin Barun.
«Se non lo prendiamo nelle prossime ore non lo prendiamo più. I ragazzi di Ghaan ci hanno detto che gli serve un pò di tempo per sbaraccare, poi prenderà il largo con tutta la sua merda: non possiamo permetterlo.»
Logan sospira, poi si volta verso di noi. In altri tempi questa riunione l'avrebbero fatta a porte chiuse ma stavolta è diverso, il comandante vuole guardarci in faccia prima di prendere la decisione: ha bisogno di leggere che la voglia di mettere le mani su quel pezzo di merda di Aghvan è più forte del freddo, della fame, della stanchezza che pervade le nostre membra da settimane. E cazzo, che mi venga uno stramaledetto colpo se non lo è.
Logan studia con attenzione i nostri occhi iniettati di sangue e vendetta, quindi torna a rivolgersi a Barun. «Va bene, Marv: facciamo 'sta stronzata. Ma voglio solo volontari, e scelgo io chi viene.»
Barun annuisce: «D'accordo, ma prendi solo da Greyhaven e da Uryen. Degli altri non mi fido, meglio non correre rischi.»
«Neanche della Brigata del Tramonto? Almeno Acab mi farebbe comodo. O quell'altro coglione, Greg Lorne...»
«No.»
Ben detto, Barun: quelli è già tanto che non li abbiamo ammazzati noi.
Logan fa per replicare, poi sospira: «D'accordo.»
Nei minuti successivi il piano prende forma. A ben vedere si tratta di una mossa quasi obbligata, se vogliamo capitalizzare il risultato dei nostri sforzi: l'esercito di Ghaan è stato sconfitto, sia pure a caro prezzo e malgrado le diavolerie di Aghvan. Il signore di Ghaan è stato ucciso dai suoi "ragazzi", come li chiama Barun... i ragazzi di Ghaan: perché non chiamarli innalzati, poi? Non sarà mica diventato un insulto? Vabbè, fatto sta che quei due stronzi ce ne hanno messo di tempo, prima di palesarsi: io e Ali stavamo quasi cominciando a pensare che fosse l'ennesima inculata: amici amici, amici ar cazzo! E invece alla fine sono arrivati, e in men che non si dica ci hanno persino tolto metà del lavoro. Adesso però sta a noi risolvere l'altra metà: quel fottuto stregone non deve vedere la luce della prossima aurora. I "ragazzi di Ghaan" ci aiuteranno a entrare in città, quindi ci accompagneranno nel posto dove Aghvan tiene le sue scorte di piscio demoniaco: ammazzare lui e dare fuoco alla sua merda, questo è quello che dobbiamo fare.
Ma ci sono almeno due problemi, entrambi belli grossi, che rischiano di metterci i bastoni tra le ruote.
Il primo è ciò che rimane dell'esercito di Ghaan, che in questo momento si è presumibilmente rintanato dentro le mura, preparandosi a subire il nostro assedio. Il piano di Barun e Logan punta tutto sul fatto che, considerando la sconfitta che hanno subito, la morte del Signore di Ghaan e il rischio di trovarsi i soldati e le catapulte davanti alle mura nel giro di poche ore, non avranno il tempo di pensare a difendersi dall'incursione di un manipolo di manigoldi. Ed è una scommessa rischiosa, considerando che se invece ci hanno pensato saremo tutti morti in un batter d'occhio.
Il secondo è il cavaliere che ha salvato il culo ad Aghvan l'Invitto.
«Sir Wilson. Così ho sentito chiamarlo da uno dei suoi.» Logan ci spiega per filo e per segno quello che ha visto: quando i "ragazzi di Ghaan" sono spuntati dal nulla per sferrare il loro attacco, Ayza (la femmina) s'è gettata su Lord Estov Ghaan, mentre Kzar (il maschio) ha puntato Aghvan... Ma è stato anticipato da questo sir Wilson, che è riuscito a tenerlo a bada quel tanto che è servito ai suoi compari per mettere in sicurezza lo stregone.
«Non è un combattente come gli altri», continua Logan: «ha una tecnica e una velocità fuori dal comune. Quando lo incontreremo, se saremo noi ad affrontarlo, lasciatelo a me.»
E sia, comandante: mi accontenterò volentieri di spaccare la testa allo stregone.
Data: 14 febbraio, ore 06:32
Luogo: Città di Ghaan, porta Malabranca
POV: Ayza Reich
«Tra poco dovrebbero essere qui: teniamoci pronti.»
Kzar annuisce. «Manca meno di un'ora all'alba», aggiunge osservando il manto di stelle che comincia pian piano a diradarsi. Poi mi guarda: «Come ci si sente ad aver ammazzato un Signore della Guerra?»
Alzo le spalle. «Signori, soldati, preti, contadini... non cambia nulla: è uguale.»
«Uguale nel senso che ti dispiace allo stesso modo?»
«Uguale nel senso che non me ne frega un cazzo.»
In realtà non è vero: immergere la spada nel cuore di quel citrullo, colpevole d'essersi fatto abbindolare da uno stregone al punto di sacrificare un intero popolo, mi ha restituito un'emozione che non provavo da tempo. Mi sono sentita felice. O forse era soltanto soddisfazione, a fronte della consapevolezza che la morte di Manuel è stata provocata dalle insulse velleità di quello stronzo traditore.
Kzar continua a osservarmi, poi torna a guardare le stelle morenti. «Io ho fallito, invece: non è da me.»
«Non hai nulla da rimproverarti: sir Wilson è un osso duro...»
Nessuna risposta.
«Ti ha detto qualcosa, per caso? So che eravate... piuttosto legati.»
Kzar è sempre stato "il preferito" di sir Wilson. Come pure di Manuel, se è per questo. Il migliore della sua generazione, forse - dicono - il migliore dai tempi di Bondred; di sicuro migliore di me. Manuel ci ha spiegato che, come regola generale, i maschi diventano generalmente più forti, ma sono anche molto più instabili e hanno bisogno di cure e attenzioni particolari: le femmine hanno meno potenziale, ma sviluppano sensi migliori, perdono meno il controllo e sopravvivono molto di più. Kzar è un'eccezione, di quelle che capitano una volta ogni cento tentativi: e che forse sarebbe meglio non si verificassero proprio, così da non spingere il fortunato ricercatore a reiterare l'esperimento ancora e ancora.
«Mi ha detto soltanto una cosa.»
«Cosa?»
«Mi ha detto: "che delusione, Kzar".»
«Sfido che lo ha detto: lo stavi per ammazzare...»
Kzar annuisce.
«Non ti sarai mica... trattenuto, vero?»
Kzar scuote la testa.
«A me lo diresti, giusto?»
«Non mi sono trattenuto: è solo che... è molto più forte di quanto pensassi.»
Alzo le spalle. «Ma non è un innalzato. Lo farai fuori la prossima volta.»
«Già.»
«...O preferisci che lo faccia io? A me non è mai stato simp...»
Kzar mi interrompe: «No, me ne occupo io. Tu pensa a togliere di mezzo Aghvan.»
«D'accordo», rispondo alzando le mani: non sia mai che mi intrometta in un duello d'onore tra maschietti.
Uno strascico di stivali proveniente dalla valle, accompagnato da un frastuono metallico e un pungente odore di vestiti lordi di sudore, mi riporta bruscamente alla realtà. «Ci siamo», avviso alzandomi in piedi: «i nostri casinisti sono arrivati».
Kzar si alza a sua volta: «Chi hanno deciso di portare, poi?»
Annuso l'aria: «Logan Treize, Ali Shark, Garruk, e altri tre che non conosc...» E poi, improvvisamente, lo sento.
«Che succede?»
«Non sono sicura. Uno di loro... Ho come l'impressione di... averlo già sentito prima, ma non ricordo chi è».
«Maschio o femmina?».
«Maschio».
Kzar alza le spalle: «Magari sul campo di battaglia... In fondo oggi stavano tutti là».
Scuoto la testa: «No, è una cosa più vecchia». Molto più vecchia. Eppure sono certa di averlo già sentito prima, da qualche parte. Se soltanto la mia memoria funzionasse bene come i miei sensi...
«Va bè dai, chi se ne frega. E invece la pristina della Mantide? Non l'hanno portata?»
«Eh, quella da qui non la sento». Mi sporgo a guardare giù, verso il crinale, finché non la scorgo. «Si, ci sta pure lei».
«Meglio così. Coraggio, Ayza: andiamo a scrivere quest'ultimo atto. Per Manuel».
Lo guardo e annuisco: «Per Manuel».
23 gennaio 518
Lunedì 23 Agosto 2021
Rotture di Ghiaccio
Neve, neve, neve a perdita d'occhio: un manto bianco striato di nero che ogni tanto si increspa per lasciar emergere qualche cespuglio o si innalza a disegnare il profilo di un'altura. L'unica eccezione è data da qualche rovina che, in un paio di occasioni, ci ha generosamente offerto un riparo dal vento.
Sembra incredibile che qualcuno vivesse da queste parti, eppure Logan ci ha detto che questa un tempo era una zona di pascoli e fattorie. Poi è arrivata la Guerra delle Lande, la quale ha lasciato in piedi soltanto una manciata di edifici: la Locanda del Puma e la Rocca di Horen, oltre a qualche torre diroccata non più in grado di assolvere alla sua funzione principale.
Il che ci porta al motivo per cui siamo qui: tenere questa zona sgombra dai Nordri e proteggere i rifornimenti che arrivano da Angvard. Per farlo ci siamo divisi in due gruppi: al mio è toccato il percorso tra la Sacra dei Difensori e la Locanda, mentre la via che prosegue verso la Rocca di Horen è presidiata da quello di Barun. Lo squadrone di Greyhaven si occupa invece di presidiare i dintorni della Locanda del Puma, onde impedire che i guastafeste di Norsyd vengano a privarci del piatto di minestra che ci aspetta quando smontiamo. La Locanda è un punto strategico molto importante, non possiamo permetterci di perderla... Ed è anche l'unico posto dove si riesce a tenere a bada il freddo quel tanto che basta per chiudere occhio qualche ora.
Mi volto a guardare i "miei" uomini. Eh già... con Barun nell'altro squadrone e Logan che sta cercando di stanare Ymir insieme a Yara nei dintorni della Sacra, la patata bollente del comando è toccata a me.
"Avanti, pelandroni! Cerchiamo di non ritrovarci con le tinozze luride anche oggi". Alla Locanda del Puma preparano il bagno scaldando l'acqua all'interno di enormi catini di metallo, ma chi arriva dopo si trova lo sporco di chi è arrivato prima: il che, diciamolo pure, rende tutta l'esperienza un pò meno piacevole.
Un tempo Garruk non avrebbe esitato a farmi eco: Allora, chiappe mosce? Non avete sentito il comandante? Così avrebbe detto, o qualcosa del genere. Invece si limita ad alzare il pugno, dal fondo della fila, per farmi vedere che ha capito e che va tutto bene. Ma sappiamo entrambi che non va bene per niente, e non ci serve parlare - o non parlare, come ci ostiniamo a fare da settimane - per capire la scena che continua a tormentarci.
Forse stasera, davanti a quel piatto di minestra, potrei provare ad affrontare nuovamente la questione. Potrei dirgli che Ram non vorrebbe vederci così ridotti: che se ci avesse permesso di reagire in questo modo quando Dunc ha deciso di tirare le cuoia sul Picco di Ayles, portandosi dietro i soldati di Ghaan che ci seguivano per farci la pelle, saremmo già tutti morti da tempo; Garr risponderebbe che ci sarebbe dovuto essere lui, su quella torre, dandomi l'occasione di ricordargli che infatti ci stava, anzi che c'eravamo tutti; a quel punto andrebbe a precisare che intendeva dire un'altra cosa, ovvero che sarebbe voluto essere lui a crepare in braccio a Custode, e io potrei ribattere le solite ovvietà sul fatto che Ram ha scelto di fare così, di donare la propria vita per noi, e che il modo migliore per onorare il suo sacrificio è restare vivi; e così via, fino a spararsi tutte le frecce della faretra di banalità che si dicono in questi casi, fino a far diventare quella minestra più fredda di questa neve del cazzo.
O forse no: magari è meglio se anche oggi restiamo in silenzio, limitandoci a camminare, mangiare, cacare e dormire finché non riusciremo a trovare un modo per riempire questo vuoto.
"Tutto bene?" Mi chiede Annie, vedendomi pensosa.
Scuoto la testa. "Ogni volta che apro bocca penso al fatto che mi tocca farlo perché lui non c'è più".
Annie si limita ad annuire. "Mi dispiace", aggiunge dopo un pò. E' evidente che non sa che dire: con questi discorsi era una frana già prima di innalzarsi, figuriamoci ora. Ma c'è mai stato qualcuno davvero capace di farli, questi discorsi? Si. Ram era bravo. E lui aveva imparato da Logan, che è ancora più bravo. Chissà perché noi invece non abbiamo imparato un cazzo.
"Ripenso spesso a quel discorso che mi hai fatto, sai?"
La guardo storta: e che diamine, adesso legge anche nel pensiero?
"Quello che mi hai fatto a Uryen, quando mi hai liberata: prima di portarmi qui". Poi alza una mano verso di me, come a imitare non so quale spettacolo teatrale di quart'ordine, ed esclama: "Non siamo morti tutti: tanti soldati sono ancora qui. Io sono ancora qui... e ti assicuro che per me questa guerra è appena cominciata".
E poi si avvicina verso di me, e quella mano me la ritrovo sul cuore. No, non sul cuore... Su un punto preciso del corpetto dell'armatura, dove campeggia il più raro, stupido e ipocrita dei miei trofei. Lo guarda, lo sfiora, lo prende tra le dita.
"Lo odio, questo scudo del cazzo". Le parole mi escono da sole. "Non c'è giorno che non vorrei strapparmelo dal petto".
"Lo so", mi dice. Poi mi abbraccia. Così, davanti a tutti: proprio a dare spettacolo. "Grazie", mi dice. "Grazie per avermi dato f..."
E subito si stacca, senza neanche finire la frase. Già gli abbracci non mi piacciono granché, se poi durano due secondi e mezzo sono davvero una presa per il culo. Poi però mi accorgo che sta annusando l'aria intorno a sé e capisco che non è stato l'imbarazzo a interromperla. In un attimo di Annie non c'è più traccia, la creatura che mi sta di fronte ricorda piuttosto un Gran Bovaro delle Lande a caccia di salsicce. Adesso spetterebbe a me chiederle se va tutto bene, se non fosse fin troppo evidente il contrario.
"Guai in vista, vero?" Annie fa cenno di sì con la testa, quindi indica l'altura sopra di noi. La sua espressione non lascia dubbi: c'è gente sopra di noi. A occhio e croce saranno almeno trecento metri, quindi non rischiamo che ci piovano in testa frecce o asce da lancio, ma è comunque il caso di stare in campana.
"Tenetevi pronti!" urlo a squarciagola: "abbiamo compagnia a ore tre".
Per mia fortuna non serve impartire ordini troppo precisi: siamo tutti soldati veterani, ciascuno di noi sa già che tipo di minaccia sta arrivando e cosa bisogna fare per prepararsi al meglio.
Per mia, anzi per nostra sfortuna, nessuno di noi è minimamente preparato a ciò che sta letteralmente per piombarci addosso.
Un oggetto volante non identificato spunta roteando dal crinale sopra di noi, dirigendosi al centro del nostro gruppo. La velocità e l'inclinazione sono quelle di un rapace in picchiata, ma è subito evidente che si tratta di qualcosa di ben più pericoloso.
"Attento, Jimbo!" grido appena sono in grado di individuare il probabile bersaglio di quell'arnese: ma non riesco neanche a terminare la frase. Jimbo fa giusto in tempo a sollevare lo sguardo verso l'alto prima che il suo elmo venga distrutto dall'oggetto rotante insieme a tutto ciò che contiene. Il rumore è devastante tanto quanto lo spettacolo cruento che ci si para di fronte: il corpo di Jimbo crolla riverso sul suolo coperto di neve in una macchia di sangue e materia cerebrale, mentre l'attrezzo che lo ha ucciso - qualsiasi cosa sia - schizza su per il crinale, veloce come è sceso, fino a quando una mano non si sporge ad afferrarlo. La mano di un Nordro. Che ha appena dato prova di essere vissuto troppo a lungo, per quanto mi riguarda.
Ma prima di prenderci la sua pelle è il caso di conservare la nostra.
"Siamo sotto tiro! Arretriamo lungo il vallone!", urlo mentre alzo lo scudo. In realtà non è vero: a questa distanza non dovremmo essere a tiro di niente, ma quell'arnese rotante mi ha appena dimostrato che non si finisce mai di imparare. Il vallone alle nostre spalle è in buona parte occupato da un lago ghiacciato, cosa che non lo rende certo il campo di battaglia ideale, ma finché non comprendo la gittata di quell'affare non posso fare di meglio. "Garr, hai visto per caso di che si tratta?"
"Negativo: sembrava un'ascia o un martello, ma..." Non serve che finisca la frase: nessun'arma del genere può essere scagliata a quel modo, men che meno tornare su per il crinale. Poi torno a guardare verso l'alto e mi accorgo che il Nordro non vede l'ora di smentirmi: evidentemente ha capito che comando io, o forse gli dà noia che parlo troppo, fatto sta che il secondo lancio è per me.
Abbiamo messo una ventina di metri in più tra noi e loro: sarà abbastanza? A quanto pare, assolutamente no. Faccio appena in tempo a sollevare lo scudo: lo schianto è talmente forte da buttarmi a terra, mentre il frastuono mi riempie le orecchie. Quando riemergo dalla neve non ho più lo scudo e sono coperta di sangue. Troppo sangue per stare bene, penso preoccupata. Poi, con orrore, mi accorgo che non è il mio.
"No. No, no no. No, cazzo! No!"
Mi chino su di lei, cercando di capire quanto è ferita. Anche lei ha frapposto lo scudo, che evidentemente deve aver attutito l'impatto che ha avuto il mio. Per questo io ho ancora un braccio, mentre lei...
"Cosa hai fatto, Annie? Cosa hai fatto... Sono IO che devo salvarti il culo, non tu a me!"
"Tranquilla", mi dice. "Non è grave". La cosa peggiore è che, osservandola, mi viene da tirare un sospiro di sollievo. Le ha solo maciullato il braccio, dopo tutto: nulla che non le sia già successo. Qualche giorno di riposo e sarà come nuova. Quello che più mi fa schifo della trasformazione che ti hanno imposto, Ani, è che mi sto abituando a vederti così, a non inorridire quando invece dovrei. E' una cosa che non sopporto e che mi fa odiare in modo indescrivibile quella stronza di Holov che ti ha ridotta in questo modo, nonché le merde di Ghaan che ti hanno portato da lei. Te lo giuro, Ani, li ammazzerò tutti quei porci, e quando lo farò mi assicurerò che soffrano almeno quanto te.
"Ma prima", mormoro alzando gli occhi verso il crinale, "devo sbarazzarmi di un certo Nordro".
Ovviamente il coglione non è solo: una dozzina di uomini (e donne, se non vedo male) lo sta seguendo giù dall'altura, precipitandosi a rotta di collo verso di noi. Qualcuno dei nostri sta suonando il corno, il che è un'ottima cosa: la Locanda del Puma non è lontana, probabilmente possono sentirci e anche i nostri avversari dovrebbero saperlo. Allo stesso tempo, tanto quell'arma infernale quanto il lago ghiacciato alle nostre spalle non ci consentono un'agevole ritirata in attesa dei rinforzi: dobbiamo prima sfoltirli un pò qui, nella vallata.
"Continuate ad arretrare!", esclamo mentre aiuto Annie a rialzarsi: come sempre non sembra sentire dolore e può ancora muoversi, ma con il braccio messo a quel modo è fuori combattimento. Meglio così, con quello stronzo voglio vedermela io.
"E' un martello", mi dice. "Un martello che gira velocissimo". Annuisco. E ovviamente, come se non bastasse, gli è tornato in mano anche questa volta. Chissà se è uno stregone o un cazzo di saltimbanco: lo scoprirò quando sarà morto.
Prima che i nordri arrivino giù dall'altura il dannato martello viene scagliato ancora una volta: il bersaglio stavolta è Joden, il quale riesce a salvarsi gettandosi tempestivamente dietro una roccia che va in frantumi al posto della sua armatura: meno male. "Cercatevi un riparo!", grido, trascinando nel contempo Annie dietro a un cespuglio: non ci offrirà molta protezione, ma forse potrebbe fargli sbagliare mira.
Adesso che sono scesi nel vallone non resta che attendere che ci vengano sotto: poi, quando i suoi uomini saranno ingaggiati, potrò farmi strada verso di lui e...
... E proprio in quel momento il comandante Nordro si ferma e solleva il martello verso il cielo: un boato fragoroso squarcia l'aria intorno a noi, mentre un fulmine si stacca da una nube e colpisce in pieno quell'arma diabolica. Se fosse una situazione normale sarebbe un bel colpo di fortuna (per noi)... di solito quando un fulmine colpisce un pezzo di ferro le cose non vanno bene a chi lo brandisce: ovviamente, viste le circostanze, nessuno si aspetta che il Nordro crolli al suolo carbonizzato, cosa che - guarda caso - non accade.
Quello che accade invece è che il martello viene rivolto verso di noi, sprigionando l'energia del fulmine sotto forma di scariche elettriche. Bob, Chad e Vindel vengono colpiti: il primo resta paralizzato, gli altri tre cadono a terra in preda alle convulsioni. Maledetto bastardo! Ma questo è l'ultimo trucchetto che ti faccio fare. Con un balzo salto fuori dal cespuglio e...
... E ricevo una spallata poderosa che mi butta nuovamente con la faccia nella neve. Ma come è possibile?, penso mentre cado. Non c'erano ancora nemici vicino a noi...
E poi, con la coda dell'occhio vedo quello stronzo di Garr che corre verso il capo Nordro brandendo la sua ascia del cazzo. "Mi dispiace Ali, ma quello è mio!" Che bastardo: lo ha fatto apposta!
"Se sopravviviamo entrambi ti degrado di nuovo!", gli urlo mentre sguaino Ametista e mi accingo ad affrontare un altro Nordro. "Quindi vedi di non crepare!"
Il mio avversario si rivela molto più ostico del previsto: e meno male che i guerrieri di Jarl Borg dovevano essere quelli scarsi! Quando finalmente riesco a rimandarlo al cospetto dei suoi Dèi mi accorgo che Garruk è in difficoltà: il capo dei Nordri ci sa certamente fare, ma a giudicare dalle imprecazioni del mio compagno credo il problema grosso siano i fulmini e le saette che continuano a uscire da quel martello diabolico. "A volte mi sembra di essere l'unico stronzo su questo Continente a non avere uno di questi marchingegni magici del cazzo!", urla Garruk in preda alla frustrazione: ha ragione da vendere. Com'era quella filastrocca che ripeteva sempre Ram? Uomini cani e gatti stregati, meglio uccisi appena nati!
La cosa positiva è che finché riusciamo a tenere il saltimbanco del Tuono ingaggiato quell'arnese maledetto non rischia di finire nuovamente in faccia ai nostri: faccio del mio meglio per avvicinarmi, ma un altro Nordro mi sbarra la strada. Anche questo non vuole saperne di togliersi di mezzo a stretto giro, costringendomi nuovamente a un lungo giro di scambi.
"Garr, dammi ancora un minuto che ho trovato un pò di fila", urlo nella sua direzione, ansiosa di ricevere una battuta che mi avrebbe tranquillizzata sulle sue condizioni; di sentire il suo solito tono di voce, quello che mi fa capire subito che in fondo sta andando tutto bene, che la stiamo portando a casa come al solito. E invece no.
"Ali, ascoltami: devi portare via i ragazzi. Con questo stronzo mi ci vorrà un pò".
In tanti anni che lo conoscevo, quella voce non l'avevo mai sentita. O forse si, quella volta sulla collina di Holov, quando King stava per farci la pelle e non ci restavano più carte da giocare. Ma ne siamo usciti, alla fine... Quindi ne saremmo usciti anche questa volta. Vero?
"Che cazzo dici", gli rispondo nervosamente. "Fai a pezzi quell'idiota, recupera il martello e togliamoci di qui".
"Ali... Andate via."
"No, Garr, col cazzo. Te lo puoi scordare. Non..."
"Ali".
Eh no. EH NO. Non puoi farmi questo. Non tu, Garr. Neanche gli altri potevano, ma soprattutto non tu. Non potete farmi questo. Non di nuovo. Porca puttana. E' per questo che non volevo il comando: lo sapevo che c'era la fregatura. Ma stavolta non ci casco, eh? Stavolta non mi fregate: non vi lascio andare via di nuovo tutti quanti, ve lo potete scordare.
"Ali".
"Vaffanculo!" Impugno Ametista a due mani e la spacco letteralmente in testa al Nordro che mi sta facendo perdere tempo. La parte superiore della lama salta via, così come il corno di bisonte, yak, bue muschiato o quello che cazzo è che spunta da quell'elmo di merda: quella inferiore si ferma all'altezza dell'occhio, giusto in tempo per essere spinta dentro dalla più grossa martellata di polso che io abbia mai sferrato in tutta la mia vita. Continuo a colpire il pomolo due, tre, quattro volte, finché quel maiale di Norsyd non sanguina più di Annie, quindi prendo la sua arma - una spada! una volta tanto mi ha detto bene - e mi avvento sul suo comandante, affiancando Garruk.
Il Nordro, vedendoci in due, comincia ad arretrare: se pensa che gli farò guadagnare terreno si sbaglia di grosso. Ti rode il culo che ti ho rovinato il duello, eh stronzo? Sai quanto me ne frega! La prossima volta che sfidi qualcuno a singolar tenzone vedi di lasciare il martello sputafulmini a casa.
Ma Garruk mi trattiene, impedendomi di avanzare. I lampi fanno nuovamente la loro comparsa intorno alla testa del martello e d'un tratto mi sento pervasa da scariche elettriche. "Stai lontana più che puoi da quell'arma", mi dice con il filo di voce che ancora gli resta. Capisco che deve averne prese parecchie, di quelle scariche: è un miracolo che si regga ancora in piedi.
Il nostro avversario approfitta di quella pausa per guardarsi intorno: i nostri si stanno battendo valorosamente, ma adesso i Nordri sono di più. Tutta colpa dei danni provocati da quell'attrezzo maledetto. L'unica speranza che ci resta è togliere rapidamente di mezzo il capo.
"Sei pronto, Garr?" esclamo, quindi scatto in avanti senza neanche aspettare la sua risposta. Aspetto le scariche da un momento all'altro, ma non arriva nulla: il Nordro si limita a parare i nostri colpi e ad arretrare. Evidentemente persino lui ha difficoltà a gestire due avversari che lo incalzano: o forse punta solo a tenerci occupati lontano dalla mischia che vede i suoi uomini in netta superiorità numerica. Il tempo passa: riesco ad andare a segno un paio di volte, ma il grosso dei danni è assorbito dall'armatura. Intorno a me sento le urla di Joden, di Manu, di Annie... Stupida Ani, ti avevo detto di restare dietro a quel cazzo di cespuglio! Garruk ha preso troppe scariche, riesce a malapena a tenersi in piedi. Come ne usciamo? Pensa, Ali, pensa finché ti resta ancora un pò di terra ti sotto ai p...
D'un tratto mi rendo conto di dove siamo e la speranza, per quanto flebile, si presenta di fronte ai miei occhi. In condizioni normali sarebbe un lavoro perfetto per Garruk, ma per come sta messo adesso non potrebbe mai farcela: non mi resta che farmi aiutare dal mio amico Nordro, sperando che ci caschi... in tutti i sensi: altrimenti siamo morti.
Se c'è un momento nella mia vita in cui vale la pena pregare è certamente questo: divina Ilmatar, infondi un pò della tua infinita misericordia nella stronzata che sto per fare. Prendo una bella rincorsa, impugno la spada con entrambe le mani e sferro un poderoso fendente all'altezza della testa del mio imponente avversario, che lo schiva senza difficoltà: i miei stivali affondano nella neve, raggiungono il ghiaccio sottostante e mi fanno scivolare in terra proprio di fronte a lui. Osservo il suo martello sollevarsi sopra di me, quindi calare a velocità inaudita verso la mia faccia. Mentre chiamo a raccolta tutte le forze che mi restano per schivare quel colpo mi torna in mente il frastuono dell'elmo di Jimbo, l'immagine della sua testa in frantumi sulla neve... E' quella la fine che sto per fare?
CRACK!
Il martello malefico colpisce con violenza inaudita. Lo spostamento d'aria mi schiaffeggia la guancia, facendomi presente che sono ancora viva. Fino a qui tutto bene, adesso non resta che vedere se io e questo Nordro abbiamo rotto il ghiacc...
CRAAAAAACKK!
Ok, a quanto pare il lago era MOLTO più esteso di quanto non...
CRAAAAAACKK!
Oddio che freddo.
ODDIO CHE FREDDO.
Addio.
[...]
"Zia, mi senti?"
Un freddo boia. Ecco cosa sento.
[...]
Quando riprendo conoscenza sono avvolta in una specie di bozzolo di lana caldissimo: forse sono morta, penso, e il paradiso altro non è che il ventre bollente di una gigantesca pecora; considerando il freddo che ancora sento nelle ossa, forse non potrei desiderare di meglio.
Poi apro gli occhi e metto lentamente a fuoco la faccia di Van china su di me. Dietro di lui mi sembra di sentire lo scoppiettare di un fuoco: la stanza è pervasa da un odore di legno, resina e minestra calda.
"Allora? Hai finito di fingerti morta?"
"Dove... dove sono?"
"Alla Locanda del Puma: nella mia stanza, per la precisione: la tua era un casino...".
"Lo stronzo... lo stronzo col martello..."
"Si, lo so: è Garzone che sta riparando una gabbia. Non farci caso."
"No... dico... il Nordro..."
Ci pensa un pò, poi scuote la testa. "Non abbiamo trovato nessun Nordro con un martello: probabilmente s'è dato insieme ai sopravvissuti, a meno che non sia finito sul fondo del lago".
Già, il lago. Mi guardo intorno: i vestiti sono piegati su una sedia poco distante. Nessuna traccia della mia armatura. Il bozzolo di lana che sentivo altro non è che una coperta pesantissima che mi avvolge completamente. Improvvisamente mi viene un sospetto atroce. "Ma... sono nuda?"
"Ci puoi scommettere! L'alternativa era farti morire congelata. E poi chi l'avrebbe sentito Barun?"
Scuoto la testa. Grosso errore: mi fa un male cane. "Gli altri... come stanno?" Nel pronunciare queste parole mi rendo conto che sto - anzi stiamo - rivivendo quel terribile giorno di agosto in cui è morto King e l'ansia torna prepotentemente ad assalirmi.
"Una cosa alla volta, zia... Anche stavolta sei viva per miracolo".
Oh Dèi, quanto detesto quella sua espressione: l'ultima volta che l'ho vista Roy era disperso, un sacco di compagni erano morti e la mia faccia era andata a fuoco. Sento le forze che iniziano a mancarmi. Non voglio rivivere quel momento... non di nuovo.
"Annie... Garruk..." balbetto. Almeno loro, per favore: almeno loro, Ilmatar. Me lo devi, troia: lo sai che me lo devi.
Van annuisce. Sento la sua mano calda contro la mia guancia. "Stanno bene, Sergente: li hai salvati. Li hai salvati quasi tutti. Ora riposati, però".
Anche volendo, non potrei fare altro: sento che il ventre di pecora torna ad avvolgermi le membra, trascinandomi nuovamente nella soffice coltre del sonno.
Speriamo solo che non sia una cazzata.
28 febbraio 518
Giovedì 1 Aprile 2021
Resistenza
"Avanti, troia... fatti un favore e dicci dove stanno".
La sua rabbia mi colpisce in testa e al ventre, con la prima falange aperta per non lasciare segni. Il "metodo militare", così lo chiamava Varchmann quando riteneva che gli avessimo disubbidito: la tecnica ideale per punirci senza rovinare la merce. "Sei così piccola", mi disse una volta: "se perdo il controllo rischia che ti faccio fuori". Poi mi accarezzava i capelli, come per scusarsi: scuotendo la testa, dicendo che non avrebbe mai voluto farlo ma che l'avevo costretto. Che ero la sua bambina.
Fai del tuo peggio, Matt: se ripenso a quelle nocche conficcate sotto al mio diaframma, al terrore che incutevano quelle carezze, i tuoi colpi scoordinati mi sembrano poca cosa. Quanti anni avevo, allora? Diciannove, forse venti. Io e Giada eravamo le bambine, Mira e Zyra le più grandi. E poi arrivò lei. In pochi mesi riuscì a negoziare un accordo impossibile, riscattando gran parte della dignità che sembravamo aver perduto per sempre: nessuno avrebbe più potuto toccarci, se noi non lo avessimo voluto... neanche Varchmann. Fu lei a convincerlo che saremmo potute diventare anche noi dei buoni soldati: così fu. Un plotone scelto, con un sergente capace e un compito preciso: resistere e far resistere, a qualsiasi costo e con ogni mezzo necessario.
Adesso capisci perché non hai speranze, Matt?
"Allora, zoccola? Dove cazzo si nascondono quel verme e la sua puttana?"
"Fà attenzione a non ammazzarla, Matt: se muore è un casino..."
"Sai quanto mi sposta se muore questa stronza? Tre minuti: quelli che ci metto a trascinarla da qui al molo prima di buttarla in pasto ai pesci."
Li osservo sghignazzare e provo pena per l'esercito di Uryen, un tempo fiero protagonista delle lande di Feith e oggi ridotto a queste squallide manifestazioni di virilità strozzata ai margini di un ducato che lo disprezza. Se dobbiamo resistere è anche per il bene di chi verrà dopo questa miseria. Il mio sguardo si alza a incrociare quello di Zyra, che mi osserva con le lacrime agli occhi: i colpi che questo derelitto sferra al mio corpo sono diretti anche a lei. Non diamogli soddisfazione, sorella: lasciamolo sbracciare come un naufrago nel mezzo dell'oceano ignoto.
"Pensi di essere furba, vero? Non lo sei affatto. Il vostro pappone e la vostra divina protettrice vi hanno lasciate indietro per salvarsi il culo... ma tu, stupida troia idiota, sei talmente imbecille da non riuscire neanche a vendicarti!"
Nello sferrare il colpo successivo la sua frustrazione ha la meglio sull'autocontrollo: il pugno mi colpisce alla bocca dello stomaco, facendomi annaspare e lasciandomi in bocca il sapore del sangue. La mente è allenata ma il corpo, ahimé, è rimasto quello che uscì dal Monastero delle Supplici una veste bianca e una vita fa: se non mi invento qualcosa questo povero inetto rischia di ammazzarmi.
"Questo l'hai sentito, eh zoccola? E ancora non è niente..."
Aspetto che la sua mano si sollevi ad annunciare il prossimo manrovescio in testa, quindi alzo il mento di scatto per accogliere quel dorso nodoso sullo zigomo destro. Il risultato va oltre le mie più dolorose aspettative: un centro quasi perfetto, cui fanno letteralmente eco lacrime e sangue. Zyra lancia un urlo, subito seguito da un apprezzamento assai poco felice sulle capacità amatorie dell'autore del capolavoro. Matt neanche la sente, intento com'è a cercare di capacitarsi di quanto appena accaduto.
"Ma che... ma che cazzo fai? Stupida puttana, neanche di startene ferma sei capace..."
Quando vedono il sangue si impressionano sempre. Non certo per noi, sia chiaro, ma perché quell'esito imprevisto rappresenta la prova della loro imperizia. Lo sguardo attonito di Matt è quello del bambino che rompe le uova che gli hanno chiesto di ripulire: si guarda intorno, cercando qualcuno a cui addossare la responsabilità prima che la mamma arrivi ad accorgersene. Chi sarà la mamma di Matt? Non certo il suo compagno, che si limita ad alzare le spalle come un cuginetto dispettoso.
"Eccallà, lo sapevo: hai fatto la cazzata. Milady si era raccomandata di non esagerare..."
Milady, dunque: buono a sapersi.
"E' che questa troia s'è mossa! Non l'hai visto?"
"Ah, no, io non ho visto niente: affari tuoi". Il compare di Matt si alza in piedi, facendo segno che è meglio finirla qui. Meno male: ho un gran bisogno di mettere dell'acqua freddissima sull'occhio.
Mentre i due screanzati corrono giù per le scale a litigarsi la porta Zyra mi guarda, scuotendo la testa: "tu sei matta", mi sussurra un pò a gesti e un pò sottovoce. Le rispondo con una linguaccia: "ben addestrata, semmai!" Aspetta pazientemente che la benda bagnata sia pronta, poi viene a stringermi forte.
"Non voglio più vedere una scena simile: promettimi che non lo rifarai mai... mai!"
"Beata te che ci vedi ancora!", le rispondo schiacciandomi il fagotto bagnato sulla tempia. Ridiamo di gusto, abbracciate strette, mentre le ombre della sera scendono a inghiottire il porto deserto. Un ululato riecheggia in lontananza: a giudicare dal vento, penso che venga da un luogo al di là del fiume. Là fuori, da qualche parte, c'è chi è ancora più solo di noi. Resisti, Giada: presto verremo a prenderti.
"Sai una cosa, Lalla?"
"Cosa?"
"Mi sa che abbiamo finito i soldi..."
"Pure?"
"Già..."
"Non è la prima volta... eppure ce l'abbiamo sempre fatta, no?"
"Si."
"E allora non ci pensare: domani è un'altro giorno...".
"...di merda..."
"Naah, per me invece uscirà il sole."
24 dicembre 517
Lunedì 18 Gennaio 2021
Doppio cieco
«Resisti, Brian! Sto arrivando!»
La voce di Yara mi arriva da tutte le direzioni. Sto forse sognando? No, il suono è reale, tanto quanto il senso di vertigine che avverto... e la nebbia che circonda i denti del crepaccio che si apre sotto di me e che si avvicina a rotta di collo, sempre di più. Tra pochi istanti Dytros mi chiamerà al suo cospetto, così come ha già fatto per molti dei miei compagni. Ma va bene così. Spero soltanto di essere l'ultimo. Prendi me, ma non lei. Non oggi. Non ancora.
[un'ora prima]
Dormire, mangiare, marciare, combattere: la sequenza originaria doveva essere questa. Ma dormire è impossibile, almeno per me. Il vento gelido che sferza le cime ostili e i passi desolati delle montagne della follia ha qualcosa di innaturale. Da quanti giorni vaghiamo in questo inferno ghiacciato? La coltre biancastra che ricopre il cielo mi ha fatto perdere il conto. Due torri dovevamo prendere e due torri abbiamo preso, senza che il nemico opponesse resistenza: ci ha colpiti a distanza, per poi dileguarsi nell'entroterra appena ha avuto modo di contarci. Non ci ha fatto trovare neanche le baliste con cui ha crivellato i nostri muli: Acab ci ha detto che le portano avanti e indietro con delle ruote. Ma alle ruote servono strade, o perlomeno sentieri: dove sono? Qui non c'è altro che neve e pietra a perdita d'occhio. Questa è la domanda che gli farei adesso, se fosse con noi: se non fosse andato ad ovest a imbarcarsi sulla ''Disperata'', l'ultima nave di Uryen, con tutta l'armata del corno. «Ci vediamo a Ghaan, mia regina». Così le ha detto, prima di partire. Dopo mesi in cui non si faceva scrupolo di descriverla come una capricciosa guerrafondaia a tutti i suoi uomini e a mezza città.
Ha senso riporre il destino di tutte queste persone nelle mani di quell'uomo? Soltanto due anni fa era un prezioso alleato dei nostri avversari, oggi partecipa ai nostri consigli di guerra. Il suo luogotenente ha preso in moglie Lady Yara, sua figlia è prossima a diventare Lady Raleigh al fianco di Lord David. Possiamo davvero fidarci di lui? Questo pensiero maledetto non mi abbandona e mi fa tremare più di qualsiasi tormenta. Vorrei non avere dubbi. Come Crystal... come Lady Yara. Forse ciò che davvero mi manca non è il sonno, ma la fede.
"Guardate... ci siamo".
I possenti bastioni della Sacra dei Difensori emergono dalla cresta delle montagne e si stagliano innanzi a noi, avvolti da una nebbia diafana: da questa posizione possiamo scorgere il massiccio ponte di pietra che conduce ai bastioni, un tempo percorso da sacerdoti e pellegrini e oggi trasformato in una trappola mortale. Tra meno di un'ora il grosso del nostro esercito si troverà schierato di fronte a quella strettoia, pronto a fare irruzione.
Ma non è da lì che entreremo noi: non se le informazioni rivelateci da Acab e ulteriormente dettagliate dal Guardiano del Tempio Lachdan Jung si riveleranno corrette. In pochi sappiamo che tra le molte ragioni per cui Yara ha voluto riscattare a tutti costi quell'uomo vi era anche quella di mettere alla prova la veridicità delle affermazioni del nostro più potente alleato: la prova del ''doppio cieco'', così l'ha chiamata il tenente Athos Alman. Pare che suo padre ci abbia vinto una guerra, con questa trovata: speriamo vada così anche per noi.
«Avanti, ragazzi: andiamoci a riprendere quella baracca!»
La voce di Aidrich Ramsey si leva stentorea sopra le nostre teste, dissipando momentaneamente dubbi e paure: è il momento di correre verso la meta che agognamo da giorni. Un pugno di Paladini di Dytros, un battaglione di soldati di Angvard capitanato da Ceyen che veste i panni di Lady Yara e lo ''squadrone dei predatori'' di Uryen... ovvero quel che resta dei membri di ciò che un tempo chiamavamo terzo e dodicesimo plotone. Hanno ancora senso questi nomi, con tutto quello che è successo? Probabilmente no. L'unica cosa che ha senso ora è entrare in quella fortezza e liberarla dell'orrore che da troppo tempo la opprime.
Dopo poche centinaia di metri raggiungiamo il costone roccioso. Ramsey e i suoi si mettono alla ricerca del punto esatto che andremo a demolire per assicurarci l'ingresso: gli altri comandanti di questa spedizione si guardano intorno, scrutando la nebbia bianca che ci circonda. Silenzio.
«Senti qualcosa, Garr?» Chiede Ali: il freddo le blocca il fiato di fronte al viso, incastonando la domanda in una nuvoletta bianca che si dissolve dopo qualche istante.
«E' troppo facile», mormora Garruk, scuotendo la testa. «Sento puzza di fregatura».
«Non portare sfiga, però».
La sinistra profezia di Garruk non tarda a compiersi: dalla nebbia esce una imponente figura, presto seguita da altre due. La foggia e i colori delle vestigia che portano non lasciano adito a dubbi: sono i corpi corrotti di coloro che un tempo erano i servitori di questa Sacra, rianimati dalla sinistra entità che ora la possiede. La vista di quelle sagome oscure atterrisce i nostri soldati: molti di loro hanno già avuto modo di vedere queste aberrazioni ad Angvard e sono consapevoli di ciò che tra pochi istanti saremo chiamati ad affrontare.
«Lo sapevo», esclama Garruk brandendo la sua ascia. «Ali, ricordami cosa avevo detto di questo piano?»
Ma Ali non fa in tempo a rispondergli: una delle tre figure alza la spada e spalanca la bocca in un rantolo profondo e agghiacciante. Immediatamente dopo la nebbia si riempie di rumori di passi e grida spettrali, rivelando la presenza di un gran numero di ombre sinistre. Di male in peggio.
«Soldati di Angvard, proteggete i lavoratori!» Urla Ali, sovrastando il frastuono di quell'orda infernale. «La nostra priorità resta entrare! Annie, aiuta Garruk e Ramsey a proteggere Lady Yara!».
Già, "Lady Yara": mentre la maggior parte dei nostri uomini è impegnato a sostenere il repentino attacco dei risvegliati, uno dei tre abominevoli luogotenenti della tenebra sembra voler puntare proprio verso quella povera ragazzina paralizzata dal terrore. Ma non spetta a me aiutarla, a quanto pare: ubbidisco agli ordini di Ali e mi affianco a lei e a Crystal, pronto a dar battaglia al secondo spettro. Al terzo ci penseranno Rak Jim e i suoi... Sperando che non ne arrivino altri.
[...]
Siamo dentro. Abbiamo vinto la prima battaglia, ma il prezzo che abbiamo pagato è molto alto. Non riesco a togliermi dalla testa il pensiero che tutti i soldati che sono caduti si risveglieranno entro poche ore. Dobbiamo farcela anche per loro, così da poter garantire la pace eterna a chiunque finirà qui i suoi giorni prima che scenda il sole.
«Sei con noi, Brian?». Crystal mi guarda, coperta del sangue dei risvegliati: prego con tutto il cuore che non sia stata ferita. Annuisco, mentre continuiamo ad avanzare per il lungo corridoio. Al momento non stiamo incontrando resistenza: forse i nostri sono arrivati ai bastioni e lo scontro è cominciato? O magari stiamo cadendo in una trappola? Penso a quanto sarebbe complicato combattere con uno di quegli spettri in questi spazi angusti... magari da solo: quanti secondi ci metterebbe a sopraffarmi? La verità è che come combattente ormai valgo poco... Ma finché le mie condizioni non mi impediranno di essere d'aiuto a Yara questo è il posto dove devo e voglio stare.
Continuiamo ad avanzare, disposti in fila indiana. Orientarsi in questo labirinto di cunicoli sotterranei sarebbe stato impossibile senza le indicazioni che ci sono state fornite. Se tutto va bene tra non molto dovremmo raggiungere le segrete: una volta lì dovremmo riuscire ad accedere al cortile centrale, così da poter aprire le porte al grosso delle nostre forze.
[...]
«Maledizione, è bloccata anche questa!»
Uscire dalle segrete si sta rivelando più complicato del previsto: la maggior parte degli strumenti e dei "regali" di Luger sono andati perduti nel duro scontro che ci ha consentito di arrivare qui. Il dodicesimo plotone - quel che ne resta - è riuscito a divellere soltanto una piccola grata che dà verso un corridoio di servizio che porta a una delle torri: un'apertura non soltanto estranea al percorso che dovremmo fare, ma troppo piccola e troppo stretta per consentire l'accesso a chiunque di noi.
O forse no.
«Annie, te la senti?» Chiede Ali, alla disperata ricerca di una soluzione.
La ragazza annuisce: dal suo volto emaciato non traspare nessuna paura, nessun dubbio, nessuna emozione. Stento a credere che si tratti della stessa bambina timida e impressionabile che ricordavo dai tempi di Uryen.
«Sei sicura, Ali? Non abbiamo informazioni su quella parte di mappa: per quanto ne sappiamo ci potrebbe stare qualsiasi cosa... persino Custode». Le preoccupazioni di Garruk sono legittime: Annie non sente il freddo e il sonno ma non è immortale, ed è anche l'unica innalzata che abbiamo.
Ali annuisce convinta. «E' la soluzione più sicura: del resto se restiamo qui siamo morti comunque: Annie, vedi se riesci a tirarci fuori, noi continuiamo a cercare di venirne a capo da dentro».
«Annie, mi raccomando:», aggiunge Ramsey: «non provare ad aprire il portone della Sacra da sola. E' un ordine. Intesi?».
Annie fa cenno di si. La osserviamo in silenzio mentre si arrampica dentro l'angusto pertugio con un'agilità inumana, le articolazioni flessibili come quelle di un gatto. Scuoto la testa. Quanta umanità abbiamo perduto? Quante vittime innocenti dovranno ancora essere sacrificate sull'altare di questa guerra? Stiamo veramente facilitandone la fine, o stiamo perpetrando un ciclo che si ripete dall'alba dei tempi? Cerco conforto nella preghiera per impedire al dubbio di attanagliarmi oltre. Anche Crystal sta pregando, cercando di calmare l'agitazione di Ceyen: quella ragazza ha avuto fegato, è un miracolo che non sia morta.
Dopo pochi minuti, dalla fessura si ode un poderoso frastuono.
«Tutto bene, bimba?» Urla Garruk in direzione della fessura.
«Ce n'è uno», è la risposta.
«Uno chi? Chi ci sta?» Garruk si volta a guardare Ali, poi nuovamente verso la feritoia. Rumore di passi, stivali di armatura. Passi che corrono. Passi pesanti.
«Oh cazzo», mormora Ali.
«Torna qui, Annie!» urla Garruk, tirando selvaggiamente pugni sul muro. Ancora rumore di passi: poi uno, due, tre colpi poderosi, al confronto dei quali i pugni di Garruk sembrano gli starnuti di uno scoiattolo. Sempre più vicini.
Poi un quarto colpo fa crollare il muro e Garruk collassa sotto un cumulo di detriti, che precedono il corpo di Annie e quello di uno spettro gigantesco che brandisce una mazza ferrata. La ragazza è l'unica che riesce ad atterrare in modo decente, spingendosi in avanti e a rialzandosi con una capriola qualche istante prima di Garruk e dello spettro.
«Non sapevo che fare, quindi ho provato a...»
«Bravissima!», esclama Ali, preparandosi a dar man forte a Garruk. Poi Annie si volta, e in quel momento ci accorgiamo delle condizioni del suo braccio sinistro.
«Sto bene», dice lei. «Non... non fa poi così male. Per ora».
[...]
Ali, Garruk e Ramsey sono riusciti ad avere la meglio del gigante con la mazza, ma non possono ragionevolmente affrontare altri scontri. Con la via più breve verso il cortile centrale bloccata, non abbiamo potuto far altro che risalire la torre e raggiungere il bastione. Lì, secondo le nostre informazioni, dovrebbe esserci una scala che consente di scendere direttamente dietro al portone. La torre era deserta, ma sfortunatamente il bastione è presidiato: questi spettri combattono in modo coordinato e adottano tattiche militari, quindi ci aspettavamo di trovarne qualcuno lì. Il problema è che siamo rimasti in pochi, e i due che ci si parano innanzi rischiano di essere troppi... specie in uno spazio così angusto e pericoloso.
«Ovviamente piove», sbuffa Garruk guardandosi intorno; un eufemismo a dir poco, considerando il torrente d'acqua che sta venendo giù. Con questo frastuono non abbiamo neanche modo di segnalare la nostra posizione ai nostri: dobbiamo cavarcela da soli.
«Attenti a dove mettete i piedi», esclama Ramsey, indicando il predellino merlato che a breve separerà ognuno di noi da una caduta di almeno trecento metri. E il maledetto vento non aiuta per niente.
Avanziamo con cautela, nella speranza che i nostri avversari si limitino a presidiare la zona della scala... E invece no: uno di loro si posiziona in modo da aspettarci lungo gli spalti, pronto a scaraventarci di sotto con la sua ascia.
«State indietro», esclama Ramsey. «Quello è mio». E così dicendo gli corre addosso, nascondendosi dietro lo scudo. Tratteniamo il fiato.
Per un attimo l'attacco frontale di Ram sembra riuscire nel suo intento: lo spettro vacilla, sopraffatto dalla carica del tenente... poi però mette un ginocchio a terra e comincia a mulinare l'ascia. Troppo presto, troppo veloce.
Ramsey riesce a schivare il primo colpo, ma il secondo lo colpisce alla gamba: l'armatura si spacca, costringendolo ad arretrare. Impossibilitato a schivare, non può far altro che bloccare il terzo colpo con il suo martello da guerra. Una parata disperata, impossibile, che riesce nel miracolo di deflettere un colpo mortale ma a caro prezzo: il martello gli viene strappato dalle mani e finisce giù, nell'abisso di nebbia che si staglia sotto i nostri piedi.
Con la forza della disperazione Ramsey riesce a schivare un altro colpo, ma la gamba ferita non gli consente di restare in piedi: non può far altro che aggrapparsi con le mani a uno dei merli, in balia del prossimo colpo mortale.
Ma proprio in quel momento, mentre la tragedia sta per consumarsi sotto i nostri occhi impotenti, gli spalti vengono sferzati dalla sagoma imponente di Zio Giovanni, con Yara sopra di lui.
La punta di Yrakavin attraversa la pioggia con la velocità di un fulmine e si conficca nell'armatura dello spettro, sollevandolo in aria e squarciandolo fino alla testa per poi precipitarne i resti nel vuoto. Il secondo abominio si muove con velocità inaudita, cercando di intercettare il Wyrm prima che possa riprendere quota: la sua alabarda costringe Yara a una manovra impegnativa per evitare un colpo devastante, chiudendole la via di fuga. Ancora una volta non possiamo far altro che guardare con il fiato sospeso. Lo spettro assesta un altro colpo, che stavolta si infrange sullo Scudo dell'Eroe. Il Wyrm riesce così a spiccare nuovamente il volo, roteando di fronte alla Sacra e poi scagliandosi nuovamente contro gli spalti. L'alabarda si prepara a colpire per la terza volta ma stavolta viene anticipata da Yrakavin, che si conficca nell'orbita del paladino decaduto impalandolo al suolo.
Ed è in quel preciso istante, nel momento peggiore possibile, che il piano più alto della seconda torre del bastione esplode, rivelando l'imponente sagoma di Custode. Per un crudele scherzo del destino, o forse perché aveva previsto ogni nostra mossa, quel maledetto demone viene così a trovarsi proprio alle spalle di Yara.
Da quel momento in poi tutto accade in modo estremamente rapido.
L'enorme spadone brandito da Custode che si leva in aria, pronto ad abbattersi su tutte le nostre speranze. Ramsey che urla verso Yara, precipitandosi verso di lei. Il rumore dell'impatto e dello schianto, che resterà impresso per sempre nella memoria di tutti. L'artiglio di Treize che va in frantumi sotto i nostri occhi quando lo scudo di Ramsey viene fatto a pezzi. L'urlo atroce del Tenente, l'uomo che rende possibile l'impossibile, mentre la lama di acciaio nero gli attraversa il ventre... Ma non è un lamento di dolore, il suo: è un grido di rabbia mista a soddisfazione, mentre con le possenti braccia cinge il demone in un abbraccio mortale. L'espressione atterrita di Garruk e Ali. La mia corsa disperata lungo gli spalti. La mia gamba malandata che, per la prima volta dopo tanto tempo, riesce ad essere più veloce di quella di chiunque altro. Custode che tenta invano di scrollarsi di dosso Ramsey, che mantiene salda la stretta ogni oltre umana possibilità; quella morsa poderosa, quella leva impossibile che sovverte ogni rapporto di forza e che costringe Custode sul ciglio del baratro, è il nostro bicchiere mezzo pieno. Il mio salto disperato per dargli man forte con tutto il mio peso, per impedire alle leggi della fisica di compiere il loro inevitabile corso liberando quella spada e consentendole di levarsi un'altra volta verso il cielo.
E poi la caduta, il vuoto, il baratro, l'abisso.
E la tempesta di Ilmatar che imperversa intorno a noi.
E' finita? Credo di si. Tra pochi istanti Dytros mi chiamerà al suo cospetto, così come ha già fatto per molti dei miei compagni. Ma va bene così. Spero soltanto di essere l'ultimo. Prendi me, ma non lei. Non oggi. Non ancora. Ti porto due doni, in fondo: il demone che ha profanato il tuo tempio e il soldato valoroso che ha reso possibile la sua caduta. Li vedo entrambi precipitare insieme a me, ancora avvinti in quell'ultimo fatale amplesso, sempre più prossimi alla fine.
«Resisti, Brian! Sto arrivando!»
La voce di Yara mi arriva da tutte le direzioni. Sto forse sognando? No, il suono è reale. Non farlo, Yara: non rischiare la tua vita per me. Pensa piuttosto a sincerarti della morte di questo demone: ci manca solo che, dopo tutta questa fatica, si faccia spuntare le ali. Quanto a me e al tenente, non preoccuparti: sappiamo entrambi come porre fine alla nostra caduta. Faremo in modo di onorare questa Rinascita senza rinascere.
Promettici soltanto che riuscirai a porre fine a questa guerra, ora che la Sacra è nelle tue mani. Lo devi a chi è ancora vivo, a chi è già morto e a chi morirà ancora. Ma non oggi: oggi vinciamo.
La voce di Yara mi arriva da tutte le direzioni. Sto forse sognando? No, il suono è reale, tanto quanto il senso di vertigine che avverto... e la nebbia che circonda i denti del crepaccio che si apre sotto di me e che si avvicina a rotta di collo, sempre di più. Tra pochi istanti Dytros mi chiamerà al suo cospetto, così come ha già fatto per molti dei miei compagni. Ma va bene così. Spero soltanto di essere l'ultimo. Prendi me, ma non lei. Non oggi. Non ancora.
[un'ora prima]
Dormire, mangiare, marciare, combattere: la sequenza originaria doveva essere questa. Ma dormire è impossibile, almeno per me. Il vento gelido che sferza le cime ostili e i passi desolati delle montagne della follia ha qualcosa di innaturale. Da quanti giorni vaghiamo in questo inferno ghiacciato? La coltre biancastra che ricopre il cielo mi ha fatto perdere il conto. Due torri dovevamo prendere e due torri abbiamo preso, senza che il nemico opponesse resistenza: ci ha colpiti a distanza, per poi dileguarsi nell'entroterra appena ha avuto modo di contarci. Non ci ha fatto trovare neanche le baliste con cui ha crivellato i nostri muli: Acab ci ha detto che le portano avanti e indietro con delle ruote. Ma alle ruote servono strade, o perlomeno sentieri: dove sono? Qui non c'è altro che neve e pietra a perdita d'occhio. Questa è la domanda che gli farei adesso, se fosse con noi: se non fosse andato ad ovest a imbarcarsi sulla ''Disperata'', l'ultima nave di Uryen, con tutta l'armata del corno. «Ci vediamo a Ghaan, mia regina». Così le ha detto, prima di partire. Dopo mesi in cui non si faceva scrupolo di descriverla come una capricciosa guerrafondaia a tutti i suoi uomini e a mezza città.
Ha senso riporre il destino di tutte queste persone nelle mani di quell'uomo? Soltanto due anni fa era un prezioso alleato dei nostri avversari, oggi partecipa ai nostri consigli di guerra. Il suo luogotenente ha preso in moglie Lady Yara, sua figlia è prossima a diventare Lady Raleigh al fianco di Lord David. Possiamo davvero fidarci di lui? Questo pensiero maledetto non mi abbandona e mi fa tremare più di qualsiasi tormenta. Vorrei non avere dubbi. Come Crystal... come Lady Yara. Forse ciò che davvero mi manca non è il sonno, ma la fede.
"Guardate... ci siamo".
I possenti bastioni della Sacra dei Difensori emergono dalla cresta delle montagne e si stagliano innanzi a noi, avvolti da una nebbia diafana: da questa posizione possiamo scorgere il massiccio ponte di pietra che conduce ai bastioni, un tempo percorso da sacerdoti e pellegrini e oggi trasformato in una trappola mortale. Tra meno di un'ora il grosso del nostro esercito si troverà schierato di fronte a quella strettoia, pronto a fare irruzione.
Ma non è da lì che entreremo noi: non se le informazioni rivelateci da Acab e ulteriormente dettagliate dal Guardiano del Tempio Lachdan Jung si riveleranno corrette. In pochi sappiamo che tra le molte ragioni per cui Yara ha voluto riscattare a tutti costi quell'uomo vi era anche quella di mettere alla prova la veridicità delle affermazioni del nostro più potente alleato: la prova del ''doppio cieco'', così l'ha chiamata il tenente Athos Alman. Pare che suo padre ci abbia vinto una guerra, con questa trovata: speriamo vada così anche per noi.
«Avanti, ragazzi: andiamoci a riprendere quella baracca!»
La voce di Aidrich Ramsey si leva stentorea sopra le nostre teste, dissipando momentaneamente dubbi e paure: è il momento di correre verso la meta che agognamo da giorni. Un pugno di Paladini di Dytros, un battaglione di soldati di Angvard capitanato da Ceyen che veste i panni di Lady Yara e lo ''squadrone dei predatori'' di Uryen... ovvero quel che resta dei membri di ciò che un tempo chiamavamo terzo e dodicesimo plotone. Hanno ancora senso questi nomi, con tutto quello che è successo? Probabilmente no. L'unica cosa che ha senso ora è entrare in quella fortezza e liberarla dell'orrore che da troppo tempo la opprime.
Dopo poche centinaia di metri raggiungiamo il costone roccioso. Ramsey e i suoi si mettono alla ricerca del punto esatto che andremo a demolire per assicurarci l'ingresso: gli altri comandanti di questa spedizione si guardano intorno, scrutando la nebbia bianca che ci circonda. Silenzio.
«Senti qualcosa, Garr?» Chiede Ali: il freddo le blocca il fiato di fronte al viso, incastonando la domanda in una nuvoletta bianca che si dissolve dopo qualche istante.
«E' troppo facile», mormora Garruk, scuotendo la testa. «Sento puzza di fregatura».
«Non portare sfiga, però».
La sinistra profezia di Garruk non tarda a compiersi: dalla nebbia esce una imponente figura, presto seguita da altre due. La foggia e i colori delle vestigia che portano non lasciano adito a dubbi: sono i corpi corrotti di coloro che un tempo erano i servitori di questa Sacra, rianimati dalla sinistra entità che ora la possiede. La vista di quelle sagome oscure atterrisce i nostri soldati: molti di loro hanno già avuto modo di vedere queste aberrazioni ad Angvard e sono consapevoli di ciò che tra pochi istanti saremo chiamati ad affrontare.
«Lo sapevo», esclama Garruk brandendo la sua ascia. «Ali, ricordami cosa avevo detto di questo piano?»
Ma Ali non fa in tempo a rispondergli: una delle tre figure alza la spada e spalanca la bocca in un rantolo profondo e agghiacciante. Immediatamente dopo la nebbia si riempie di rumori di passi e grida spettrali, rivelando la presenza di un gran numero di ombre sinistre. Di male in peggio.
«Soldati di Angvard, proteggete i lavoratori!» Urla Ali, sovrastando il frastuono di quell'orda infernale. «La nostra priorità resta entrare! Annie, aiuta Garruk e Ramsey a proteggere Lady Yara!».
Già, "Lady Yara": mentre la maggior parte dei nostri uomini è impegnato a sostenere il repentino attacco dei risvegliati, uno dei tre abominevoli luogotenenti della tenebra sembra voler puntare proprio verso quella povera ragazzina paralizzata dal terrore. Ma non spetta a me aiutarla, a quanto pare: ubbidisco agli ordini di Ali e mi affianco a lei e a Crystal, pronto a dar battaglia al secondo spettro. Al terzo ci penseranno Rak Jim e i suoi... Sperando che non ne arrivino altri.
[...]
Siamo dentro. Abbiamo vinto la prima battaglia, ma il prezzo che abbiamo pagato è molto alto. Non riesco a togliermi dalla testa il pensiero che tutti i soldati che sono caduti si risveglieranno entro poche ore. Dobbiamo farcela anche per loro, così da poter garantire la pace eterna a chiunque finirà qui i suoi giorni prima che scenda il sole.
«Sei con noi, Brian?». Crystal mi guarda, coperta del sangue dei risvegliati: prego con tutto il cuore che non sia stata ferita. Annuisco, mentre continuiamo ad avanzare per il lungo corridoio. Al momento non stiamo incontrando resistenza: forse i nostri sono arrivati ai bastioni e lo scontro è cominciato? O magari stiamo cadendo in una trappola? Penso a quanto sarebbe complicato combattere con uno di quegli spettri in questi spazi angusti... magari da solo: quanti secondi ci metterebbe a sopraffarmi? La verità è che come combattente ormai valgo poco... Ma finché le mie condizioni non mi impediranno di essere d'aiuto a Yara questo è il posto dove devo e voglio stare.
Continuiamo ad avanzare, disposti in fila indiana. Orientarsi in questo labirinto di cunicoli sotterranei sarebbe stato impossibile senza le indicazioni che ci sono state fornite. Se tutto va bene tra non molto dovremmo raggiungere le segrete: una volta lì dovremmo riuscire ad accedere al cortile centrale, così da poter aprire le porte al grosso delle nostre forze.
[...]
«Maledizione, è bloccata anche questa!»
Uscire dalle segrete si sta rivelando più complicato del previsto: la maggior parte degli strumenti e dei "regali" di Luger sono andati perduti nel duro scontro che ci ha consentito di arrivare qui. Il dodicesimo plotone - quel che ne resta - è riuscito a divellere soltanto una piccola grata che dà verso un corridoio di servizio che porta a una delle torri: un'apertura non soltanto estranea al percorso che dovremmo fare, ma troppo piccola e troppo stretta per consentire l'accesso a chiunque di noi.
O forse no.
«Annie, te la senti?» Chiede Ali, alla disperata ricerca di una soluzione.
La ragazza annuisce: dal suo volto emaciato non traspare nessuna paura, nessun dubbio, nessuna emozione. Stento a credere che si tratti della stessa bambina timida e impressionabile che ricordavo dai tempi di Uryen.
«Sei sicura, Ali? Non abbiamo informazioni su quella parte di mappa: per quanto ne sappiamo ci potrebbe stare qualsiasi cosa... persino Custode». Le preoccupazioni di Garruk sono legittime: Annie non sente il freddo e il sonno ma non è immortale, ed è anche l'unica innalzata che abbiamo.
Ali annuisce convinta. «E' la soluzione più sicura: del resto se restiamo qui siamo morti comunque: Annie, vedi se riesci a tirarci fuori, noi continuiamo a cercare di venirne a capo da dentro».
«Annie, mi raccomando:», aggiunge Ramsey: «non provare ad aprire il portone della Sacra da sola. E' un ordine. Intesi?».
Annie fa cenno di si. La osserviamo in silenzio mentre si arrampica dentro l'angusto pertugio con un'agilità inumana, le articolazioni flessibili come quelle di un gatto. Scuoto la testa. Quanta umanità abbiamo perduto? Quante vittime innocenti dovranno ancora essere sacrificate sull'altare di questa guerra? Stiamo veramente facilitandone la fine, o stiamo perpetrando un ciclo che si ripete dall'alba dei tempi? Cerco conforto nella preghiera per impedire al dubbio di attanagliarmi oltre. Anche Crystal sta pregando, cercando di calmare l'agitazione di Ceyen: quella ragazza ha avuto fegato, è un miracolo che non sia morta.
Dopo pochi minuti, dalla fessura si ode un poderoso frastuono.
«Tutto bene, bimba?» Urla Garruk in direzione della fessura.
«Ce n'è uno», è la risposta.
«Uno chi? Chi ci sta?» Garruk si volta a guardare Ali, poi nuovamente verso la feritoia. Rumore di passi, stivali di armatura. Passi che corrono. Passi pesanti.
«Oh cazzo», mormora Ali.
«Torna qui, Annie!» urla Garruk, tirando selvaggiamente pugni sul muro. Ancora rumore di passi: poi uno, due, tre colpi poderosi, al confronto dei quali i pugni di Garruk sembrano gli starnuti di uno scoiattolo. Sempre più vicini.
Poi un quarto colpo fa crollare il muro e Garruk collassa sotto un cumulo di detriti, che precedono il corpo di Annie e quello di uno spettro gigantesco che brandisce una mazza ferrata. La ragazza è l'unica che riesce ad atterrare in modo decente, spingendosi in avanti e a rialzandosi con una capriola qualche istante prima di Garruk e dello spettro.
«Non sapevo che fare, quindi ho provato a...»
«Bravissima!», esclama Ali, preparandosi a dar man forte a Garruk. Poi Annie si volta, e in quel momento ci accorgiamo delle condizioni del suo braccio sinistro.
«Sto bene», dice lei. «Non... non fa poi così male. Per ora».
[...]
Ali, Garruk e Ramsey sono riusciti ad avere la meglio del gigante con la mazza, ma non possono ragionevolmente affrontare altri scontri. Con la via più breve verso il cortile centrale bloccata, non abbiamo potuto far altro che risalire la torre e raggiungere il bastione. Lì, secondo le nostre informazioni, dovrebbe esserci una scala che consente di scendere direttamente dietro al portone. La torre era deserta, ma sfortunatamente il bastione è presidiato: questi spettri combattono in modo coordinato e adottano tattiche militari, quindi ci aspettavamo di trovarne qualcuno lì. Il problema è che siamo rimasti in pochi, e i due che ci si parano innanzi rischiano di essere troppi... specie in uno spazio così angusto e pericoloso.
«Ovviamente piove», sbuffa Garruk guardandosi intorno; un eufemismo a dir poco, considerando il torrente d'acqua che sta venendo giù. Con questo frastuono non abbiamo neanche modo di segnalare la nostra posizione ai nostri: dobbiamo cavarcela da soli.
«Attenti a dove mettete i piedi», esclama Ramsey, indicando il predellino merlato che a breve separerà ognuno di noi da una caduta di almeno trecento metri. E il maledetto vento non aiuta per niente.
Avanziamo con cautela, nella speranza che i nostri avversari si limitino a presidiare la zona della scala... E invece no: uno di loro si posiziona in modo da aspettarci lungo gli spalti, pronto a scaraventarci di sotto con la sua ascia.
«State indietro», esclama Ramsey. «Quello è mio». E così dicendo gli corre addosso, nascondendosi dietro lo scudo. Tratteniamo il fiato.
Per un attimo l'attacco frontale di Ram sembra riuscire nel suo intento: lo spettro vacilla, sopraffatto dalla carica del tenente... poi però mette un ginocchio a terra e comincia a mulinare l'ascia. Troppo presto, troppo veloce.
Ramsey riesce a schivare il primo colpo, ma il secondo lo colpisce alla gamba: l'armatura si spacca, costringendolo ad arretrare. Impossibilitato a schivare, non può far altro che bloccare il terzo colpo con il suo martello da guerra. Una parata disperata, impossibile, che riesce nel miracolo di deflettere un colpo mortale ma a caro prezzo: il martello gli viene strappato dalle mani e finisce giù, nell'abisso di nebbia che si staglia sotto i nostri piedi.
Con la forza della disperazione Ramsey riesce a schivare un altro colpo, ma la gamba ferita non gli consente di restare in piedi: non può far altro che aggrapparsi con le mani a uno dei merli, in balia del prossimo colpo mortale.
Ma proprio in quel momento, mentre la tragedia sta per consumarsi sotto i nostri occhi impotenti, gli spalti vengono sferzati dalla sagoma imponente di Zio Giovanni, con Yara sopra di lui.
La punta di Yrakavin attraversa la pioggia con la velocità di un fulmine e si conficca nell'armatura dello spettro, sollevandolo in aria e squarciandolo fino alla testa per poi precipitarne i resti nel vuoto. Il secondo abominio si muove con velocità inaudita, cercando di intercettare il Wyrm prima che possa riprendere quota: la sua alabarda costringe Yara a una manovra impegnativa per evitare un colpo devastante, chiudendole la via di fuga. Ancora una volta non possiamo far altro che guardare con il fiato sospeso. Lo spettro assesta un altro colpo, che stavolta si infrange sullo Scudo dell'Eroe. Il Wyrm riesce così a spiccare nuovamente il volo, roteando di fronte alla Sacra e poi scagliandosi nuovamente contro gli spalti. L'alabarda si prepara a colpire per la terza volta ma stavolta viene anticipata da Yrakavin, che si conficca nell'orbita del paladino decaduto impalandolo al suolo.
Ed è in quel preciso istante, nel momento peggiore possibile, che il piano più alto della seconda torre del bastione esplode, rivelando l'imponente sagoma di Custode. Per un crudele scherzo del destino, o forse perché aveva previsto ogni nostra mossa, quel maledetto demone viene così a trovarsi proprio alle spalle di Yara.
Da quel momento in poi tutto accade in modo estremamente rapido.
L'enorme spadone brandito da Custode che si leva in aria, pronto ad abbattersi su tutte le nostre speranze. Ramsey che urla verso Yara, precipitandosi verso di lei. Il rumore dell'impatto e dello schianto, che resterà impresso per sempre nella memoria di tutti. L'artiglio di Treize che va in frantumi sotto i nostri occhi quando lo scudo di Ramsey viene fatto a pezzi. L'urlo atroce del Tenente, l'uomo che rende possibile l'impossibile, mentre la lama di acciaio nero gli attraversa il ventre... Ma non è un lamento di dolore, il suo: è un grido di rabbia mista a soddisfazione, mentre con le possenti braccia cinge il demone in un abbraccio mortale. L'espressione atterrita di Garruk e Ali. La mia corsa disperata lungo gli spalti. La mia gamba malandata che, per la prima volta dopo tanto tempo, riesce ad essere più veloce di quella di chiunque altro. Custode che tenta invano di scrollarsi di dosso Ramsey, che mantiene salda la stretta ogni oltre umana possibilità; quella morsa poderosa, quella leva impossibile che sovverte ogni rapporto di forza e che costringe Custode sul ciglio del baratro, è il nostro bicchiere mezzo pieno. Il mio salto disperato per dargli man forte con tutto il mio peso, per impedire alle leggi della fisica di compiere il loro inevitabile corso liberando quella spada e consentendole di levarsi un'altra volta verso il cielo.
E poi la caduta, il vuoto, il baratro, l'abisso.
E la tempesta di Ilmatar che imperversa intorno a noi.
E' finita? Credo di si. Tra pochi istanti Dytros mi chiamerà al suo cospetto, così come ha già fatto per molti dei miei compagni. Ma va bene così. Spero soltanto di essere l'ultimo. Prendi me, ma non lei. Non oggi. Non ancora. Ti porto due doni, in fondo: il demone che ha profanato il tuo tempio e il soldato valoroso che ha reso possibile la sua caduta. Li vedo entrambi precipitare insieme a me, ancora avvinti in quell'ultimo fatale amplesso, sempre più prossimi alla fine.
«Resisti, Brian! Sto arrivando!»
La voce di Yara mi arriva da tutte le direzioni. Sto forse sognando? No, il suono è reale. Non farlo, Yara: non rischiare la tua vita per me. Pensa piuttosto a sincerarti della morte di questo demone: ci manca solo che, dopo tutta questa fatica, si faccia spuntare le ali. Quanto a me e al tenente, non preoccuparti: sappiamo entrambi come porre fine alla nostra caduta. Faremo in modo di onorare questa Rinascita senza rinascere.
Promettici soltanto che riuscirai a porre fine a questa guerra, ora che la Sacra è nelle tue mani. Lo devi a chi è ancora vivo, a chi è già morto e a chi morirà ancora. Ma non oggi: oggi vinciamo.
8 dicembre 517
Domenica 15 Marzo 2020
Mecojoni
8 Dicembre 517
"A parlare di tattiche sono i dilettanti: le guerre le vinci con la logistica".
Vorrei vederlo adesso, il fulmine di guerra che s'è tirato fuori dal culo quella frase del cazzo, mentre arranca nella neve come un coglione insieme a noi alla volta di Angvard: chissà se la penserebbe ancora così. Vogliano gli dei che sia morto, stroncato dalla gotta dopo una vita trascorsa a ingozzarsi di birra e carne di capriolo mentre faceva sgroppare i suoi uomini su e giù per gli altopiani.
Eppure lo stronzo aveva ragione: se c'è una cosa che a Ghaan non si aspettano di certo è che riusciremo a portare una marea di truppe sotto al loro culo a ridosso del giorno cazzo nel momento più freddo dell'anno. Non se lo aspettano per un buon motivo, ovviamente: perché è impossibile. Ed è qui che entrano in gioco Barun, Logan e Ramsey: gli unici tre figli di puttana, tra i tanti che conosco, che riescono a rendere possibile l'impossibile.
Il piano diabolico che hanno congegnato è diviso in tre fasi, una più pazza dell'altra.
La prima: una linea di rifornimenti che collegherà prima Dossler e Angvard, e poi Angvard con la Sacra degli Angeli Protettori... un posto di merda dove nessuno riesce a entrare da anni: nessuno dei nostri, perlomeno. La dimora di Custode, come l'hanno soprannominato i Greyhavenesi. Un posto dove neanche l'aria è più respirabile che loro sperano di ripulire dagli attuali occupanti così da farlo diventare il nostro granaio per l'inverno. Cosa potrebbe mai andare storto?
La seconda: un attacco sferrato tra la Rinascita e l'anno nuovo, nella speranza che per allora la Sacra sarà già nelle nostre mani. Un attacco sferrato su più fronti contemporaneamente: da terra, portato da quelli che prenderanno la Sacra; dal mare, sferrato da un pugno di uomini scelti che cercheranno di sbarcare dietro le linee nemiche con l'unica nave che abbiamo; e poi... e poi Barun solo sa da dove, visto che non ce l'ha ancora detto: presumo che arriverà dall'interno, visto in cosa consiste la fase successiva.
La terza: la rivolta. A quanto pare all'interno di Ghaan si è creata una fazione che ha intenzione di rompere il culo ad Aghvan l'Invitto e sbarazzarsi dell'attuale Signore di Ghaan una volta per tutte. Una prospettiva che a Barun piace parecchio, tanto da essersi spinto fino a disertare pur di tenere in piedi gli accordi presi e il lavoro svolto in questi ultimi mesi. Una possibilità che sembra essersi concretizzata anche grazie al lavoro svolto da Giada Novak a Skogen e a quei ragazzi che hanno dato l'anima per portarla lì, nelle grinfie di quel porco di Zodd e dei suoi scagnozzi. Di questa parte del piano si sa ancora poco, ho idea che i dettagli saranno decisi strada facendo a seconda di come andrà e di chi tra noi riuscirà a sopravvivere fino a quel punto.
La prima fase è quella su cui ci stiamo concentrando in questi giorni: ciascuna squadra ha un ruolo, un piano d'azione ben preciso che viene ripetuto ogni sera, quasi ossessivamente, così da essere preparati agli eventi che ci attendono. Mai come questa volta dovremo muoverci in modo perfettamente coordinato. "Le dita della stessa mano", come dice Barun: nessuno meglio di noi, che lo conosciamo da anni, può comprendere l'efficacia di questo paragone. Se ce la fa lui, non vedo perché non potremmo farcela anche noi: troveremo il modo di brandire la lancia che ci porterà alla vittoria, per tutto il tempo che servirà tenerla alta nel cielo.
A dispetto del freddo, dell'assurdità della missione e delle accuse che penderanno sulla testa di chi è così pazzo da volerci seguire, i nostri ranghi si arricchiscono ogni giorno che passa.
Lo squadrone Vachter di Greyhaven ha disertato in blocco, contravvenendo agli ordini del Granduca; chi pensa che lo abbiano fatto perché Ali si scopa il loro comandante è un coglione: nessuno sarebbe disposto a mettersi contro il suo stesso esercito per una donna, neppure se quella donna è Ali: men che meno i suoi uomini... per non parlare dell'Angelo Nero: quello non lo convince nessuno, se non vuole venire. Tra i soldati che conosco è quello che ha incrociato la spada con il maggior numero di mostri: King, Chief, e Jormungand: magari ha voglia di misurarsi anche con Custode. Meglio così, se c'è uno che voglio avere di fianco quando il boss della Sacra ci piomberà addosso è lui. Ancora ho i brividi se ripenso a quando ho staccato la testa a King con quel cazzo di spadone enorme che si porta dietro... penso che in tutto l'esercito quel tronco d'albero riusciamo a brandirlo giusto io e lui.
Possiamo poi contare sull'aiuto del paladino Ruben Block e delle sue due giovani allieve May e June. A quest'ultima sarò per sempre grato per via del tempo che ha speso con Ali: non solo per i giorni trascorsi a curarle e medicarle la ferita, ma per l'effetto positivo che è riuscita ad avere su di lei. Non so se esiste un modo per sdebitarmi, ma di certo farò di tutto per far tornare a casa sane e salve sia lei che la sua compagna.
Al ponte di Dalian abbiamo trovato un piccolo squadrone ad attenderci, al comando del Capitano Seth Vigil: tra loro c'era addirittura Lady Juliet Dossler, una delle più belle donne che io abbia mai visto in vita mia. Ora capisco perché la votano in così tanti alla Rocca, anche se non è di Uryen! Un autentico schianto che non sfigurerebbe neppure alle Case della Gioia... con rispetto parlando, ovviamente.
Ali mi ha spiegato che questa bellezza è una parente della Sorella Custode e che un giorno potrebbe diventarlo lei stessa: il fatto che abbia voluto accompagnarci ad Angvard significa che anche Dossler ha deciso di non rispettare la tregua e partecipare a questa impresa: mi auguro che ci abbia mandato i loro soldati migliori e non un semplice contentino per ingraziarsi i favori degli eredi della dinastia Raleigh in caso di vittoria.
Beh, tempo di rimettersi in marcia: non vedo l'ora di arrivare ad Angvard!
9 Dicembre 517
Angvard è davvero un posto di merda, non mi stancherò mai di ripeterlo. Mi spiace per i piccoli Raleigh, che davvero non hanno colpe, ma questo brufolo sul culo dell'altopiano del lampo non ha davvero nessuna attrattiva. Neanche il tempo di entrare in città e veniamo accolti, per così dire, dai volti patibolari di quei pendagli da forca dell'Armata del Corno.
Tra loro, immancabile come una mosca che svolazza sulla merda, scorgo quel coglione di Greg, un personaggio ridicolo che per qualche motivo che ignoro, nonostante il cervello di gallina e i modi da spaccone, riesce sempre a raggirare qualche poveretta; stavolta la sventurata è nientemeno che Ceyen, una ragazza orfana che potrebbe avere qualsiasi uomo del Granducato e invece s'è fatta irretire da questo farabutto. Tu guarda come se la stringe senza alcun riguardo, mentre i suoi scagnozzi ridacchiano tutto intorno a loro: roba da non crederci!
"Hey, Garruk!" Mi apostrofa sollevando quella che mi pare una caraffa, mentre si stringe addosso quella povera disgraziata come fosse una copertaccia. "Come te la passi, vecchio mio?"
"Ho bisogno di farmi una doccia e una cagata", gli urlo in risposta: "se apri di nuovo la bocca capace che mi risolvi un problema!".
"Anche io sono contento di vederti! Ma quindi riesci ancora a cagare da solo? Perché l'ultima volta che ci siamo visti mi sembrava di averti rotto il culo..."
"Davvero ricordi così? Eppure non mi sembrava di averti colpito così forte".
"Caga tranquillo, Garr: quando vorrai fare un'altra figura di merda davanti ai tuoi soldati sai dove trovarmi".
"Hai detto bene, davanti ai miei soldati: perché è lì che mi troverai, a differenza di quelli come te che si squagliano alla prima carica con la scusa di tirare quei fromboli da froci che non fanno mai un cazzo. Che fai, cerchi una scusa per non venire con noi? Ti accontento subito!"
Faccio un passo verso di lui, ma Ramsey alza un braccio. Capisco immediatamente cosa mi vuole dire: abbiamo Logan Treize con noi, è meglio non dare troppo spettacolo con questi finché non ci saremo sistemati a dovere. In fondo ha ragione, non abbiamo tempo da perdere con questi idioti: dopotutto, vedere la faccia che farà Greg quando si troverà a dover combattere fianco a fianco con Logan sarà persino più divertente di prenderlo a schiaffoni.
Scuoto la testa. "Stronzo di un Elsenorita".
"Elsenorita?" mi domanda Ali, divertita: "pensavo fosse di Feith".
"Elsenor, Feith... che differenza fa? Sempre posti del cazzo sono".
"Ah, quello è poco ma sicuro!"
"Spiegami cosa ci trova Ceyen in un fantacoglione come quello: l'ultima volta che l'ho vista stava con Goron..."
"Con Goron, già... e prima di lui con Marko, con Rico, con Teddy, con Lucien..."
"Appunto! Tutta brava gente: perché rovinarsi la reputazione con quello scopatore di rane, dico io?".
Ali mi lancia un'occhiataccia: "Non dire cazzate, Garr: Ceyen è libera di andare con chi vuole. Gli scorreggioni che si lagnano delle scelte di una donna sono ancora peggio dei palloni gonfiati come Greg".
Scuoto la testa. "Zaveer non avrebbe mai approvato".
"Zaveer è morto: e se fosse vivo avrebbe approvato eccome, altrimenti Ceyen non si sarebbe scopata tutta Bonneberg e gran parte di Angvard. E sai che ti dico? Beata lei! Ha fatto bene, visto che non facciamo altro che rischiare la pelle! E adesso piantala, o ti nomino mio sergente in seconda!"
Ah, già: ancora non mi sono abituato alla promozione di Ali. Del tutto inutile ovviamente, visto che adesso siamo tutti disertori. Un vero peccato: non potrei immaginare un sergente migliore di lei.
L'odore nauseabondo delle canaglie dell'Armata del Corno, dei Kreepar fatti arrosto con le patate da quello spostato di Nestor e delle mille altre porcherie che infestano Angvard non ci impedisce di raggiungere il nostro campo base: l'adunata generale delle truppe al cospetto di Lord David Raleigh è prevista per domani, ma Barun ha fretta di incontrare Yara. Con lui saliamo io, Ali, Ramsey e Logan Treize.
Al terzo livello ci accolgono il tenente Vonner e il nipote del Comandante Athor Alman, che se non ricordo male si chiama Amos o giù di lì: più che il braccio destro di Yara sembra un attendente denutrito, ma suppongo che qui ad Angvard si mangi ancora peggio che alla Rocca di Tramontana. I convenevoli durano poco, Barun ha fretta di togliersi gli stivali ma non intende farlo prima di aver portato i suoi omaggi a quello che da domani sarà il nostro Comandante.
"Yara? Si sta ancora allenando: venite, andiamo da lei". Così dicendo, Atom ci conduce all'interno di un sontuoso mausoleo ornato da bassorilievi scolpiti una vita fa: poco dopo l'ingresso il rimbombo dei nostri passi è coperto da un susseguirsi di lamenti femminili interrotti a più riprese da una voce maschile che riconosco subito e che non preannuncia nulla di buono.
"In piedi".
"Aaaaahhhh-" (rumore di caduta)
"Ancora".
"Kyaaahhhh-" (rumore di caduta)
"Sposta il peso, o cadrai in eterno!"
"Anf..."
"In piedi".
"Anf... anf..."
"In piedi, ho detto. Se sei stanca vattene a dormire, altrimenti tirati su. Sei stanca, principessa?".
"Non sono stanca".
"E allora impegnati. Più forti, più precisi, più rapidi e più efficaci: così devono diventare i tuoi colpi, altrimenti sul campo sarai carne morta".
La scena che si palesa di fronte ai nostri occhi grida vendetta: Lady Yara, con una picca in mano, affronta da sola due avversari che la attaccano in contemporanea. Il che, intendiamoci, potrebbe anche avere un briciolo di senso, se non fosse che gli avversari che la fronteggiano sono Acab e Montaine, due tra i due soldati più forti che l'esercito di Feith abbia mai avuto la fortuna di poter schierare.
Mentre i tre lancieri continuano a darsele di santa ragione raggiungiamo un angolo della sala da cui si vede bene lo scontro, dove ci attende un altro gruppetto: tra loro riconosco Brian Sturm, ex-soldato di Uryen poi diventato paladino di Angvard, e Rak Jim, uno dei pochi soldati di Angvard che so per certo valere qualcosa... non a caso, viene da Ammerung; con loro ci sono un anziano vestito di bianco e a una ragazza magra e aggraziata che sembra pure lei una paladina; dal rapido giro di saluti capisco che il nano è un soldato di nome Rak Jim, l'anziano è un consigliere di nome Minar il Bianco e la ragazza si chiama Crystal: a quanto pare, ha un braccio di legno. Scommetto che gliel'ha fabbricato quel conciaossa pervertito di Montaine.
I minuti successivi li passiamo lì in silenzio, rapiti dallo scontro impari che si consuma davanti ai nostri occhi.
"Migliora a vista d'occhio", esclama Brian dopo un pò. "Fino alla settimana scorsa non riusciva neanche a reagire, invece adesso...".
Invece adesso?, penso tra me e me. Intendiamoci, la ragazza è forte e molto combattiva, ma quei due insieme avrebbero la meglio su qualsiasi soldato, persino sull'Angelo Nero di Greyhaven.
"Da quant'è che va avanti questa cosa?" Chiede Barun.
"Circa tre settimane", risponde Amon: "con la lancia se la cava, ma sente il bisogno di perfezionare lo stile".
"Perfezionare lo stile? Da sola contro due dei combattenti più forti del Ducato? Ha scelto un percorso impegnativo".
Amor annuisce: "E' fatta così".
"Posso vederla? La lancia, dico".
Il consigliere guarda Atmos, quindi fa cenno di sì col capo e ci invita a seguirlo fino a un tavolo di legno poco distante: là sopra, adagiata su un drappo di colore blu intenso, abbiamo modo di osservare quella che forse è l'arma più potente dai tempi dell'età ancestrale.
"Vi piace?" Esclama Rak Jim con gli occhi che brillano di soddisfazione: "l'ho finita pochi giorni fa".
La storia più o meno la sapevo, ma il racconto di Barun non rende giustizia allo spettacolo che mi si para davanti: il "pugnale" indistruttibile che i nostri soldati hanno recuperato a Skogen è stato incastonato all'interno di un solido anello borchiato e quindi inastato sulla cima di un bastone di legno e metallo finemente lavorati. Un lavoro assolutamente perfetto, che restituisce a quell'arma leggendaria l'aspetto semplice e allo stesso tempo solenne che emerge dalle accurate descrizioni del Khal-Valàn.
Cerco di provare a immaginare quanto possa essere emozionato questo nano, chiamato dalla sorte a ripercorrere le orme del leggendario Vainar quando forgiò la lancia di Ilmatar. Cavoli, mi sento emozionato io per lui! Non riesco a trattenermi e glielo chiedo, ricevendo una risposta che mi lascia a bocca aperta.
"In realtà Vainar non ha forgiato Yrakàvin: Il Khal-Valàn dice chiaramente che Ilmatar la porta con sé sin dall'alba dei tempi..."
"Azz, che sfiga" mi sussurra Ali, battendomi la mano sulla spalla: "hai beccato l'unica cosa che quel tipo non ha forgiato in tutti e 90 i runi!". Ben ti sta, Garruk: così impari a parlare dei libri che non hai letto.
Di lì a poco lo scontro impari termina: mentre Montaine aiuta la sua sposa a rialzarsi, dopo averla bastonata per ore, Acab viene a portarci i suoi saluti. Non c'è uno tra noi che non conosce e con cui non abbia incrociato le armi almeno una volta: il mio fianco destro ancora ricorda con dolore l'infausto giorno in cui toccò a me.
"Come va, Marv?"
"Che ti sia ben chiaro", risponde Barun raccogliendo l'invito, "per me resti un figlio di puttana".
"Un figlio di puttana che ti fa comodo, visti gli uomini che ti restano: e poi", aggiunge lanciando un'occhiata sprezzante a Logan, "non sono io il più stronzo degli invitati, a quanto vedo".
"Ma sei l'ultimo arrivato, visto che cavalcavi a fianco del signore di Ghaan fino all'altro ieri".
Acab scoppia a ridere: "la mano te la sei giocata, ma la lingua t'è rimasta tale e quale".
"Anche la mano avrebbe ancora molto da dirti, credimi: ci vuoi parlare? Magari scopriamo che Yara potrebbe avere un maestro migliore".
"Magari un'altra volta. Adesso piantiamola con le vecchie storie e pensiamo a vincere questa guerra".
Le vecchie storie. Acab ha un bel coraggio a chiamarle così: forse le sue ferite si sono richiuse, ma le nostre no: i nostri soldati non combatteranno mai volentieri mai a fianco di quei pendagli da forca della Brigata del Tramonto. Per questo motivo noi andremo da terra, mentre Acab e i suoi si imbarcheranno sulla Disperata per sbarcare direttamente dentro la tana del lupo. Un'impresa grazie alla quale si risparmieranno la riconquista della Sacra, ma che rischia di essere altrettanto suicida: il loro sarà un viaggio di sola andata, ammesso che la Disperata riesca ad attraversare indenne le correnti invernali del Mare del Nord; inoltre, non abbiamo aggiornamenti sui numeri e sulle difese di Ghaan in quella zona. Giada è riuscita a fornirci una quantità incredibile di informazioni, ma non abbiamo sue notizie da tempo: troppo tempo. Spero che sia soltanto la cautela a tenerla silente, altrimenti...
"Garr, noi qui abbiamo finito", mi dice Ramsey: "il capitano e Logan ci raggiungeranno dopo".
Percorriamo a ritroso la strada che abbiamo fatto poco prima: Ram non dice una parola.
"Siamo sicuri che Logan non corra rischi? Quelli lo odiano più di quanto noi disprezziamo loro".
"Sono teste calde, ma non al punto da far saltare il banco per una vendetta: non ad Angvard, non davanti a Yara".
"Magari non qui: ma quando saremo a Ghaan?"
Ramsey mi guarda serio: "ci penseremo quando sia Logan che Acab e i suoi riusciranno ad arrivare a Ghaan".
Annuisco: finalmente una buona notizia.
10 dicembre 517
La grande piazza d'armi di Angvard è probabilmente il luogo più suggestivo della città: una lunga distesa irregolare posta sul punto più alto della collina, che domina i tre livelli della fortezza e si affaccia sull'altopiano. A dispetto del nome, è tutto fuorché uno spiazzo: spianate, terrapieni e piccole colline si alternano lungo tutta la sua superficie, a cui fa da cornice una vista mozzafiato. E' qui che oggi si raduneranno tutte le armate che prenderanno parte alla fase finale di questa guerra. Noi siamo i primi ad arrivare, insieme agli squadroni di Greyhaven e Dossler: ci schieriamo tutti insieme ai piedi di una delle alture, a poca distanza dall'esercito di Angvard.
Qui intorno sono state combattute alcune delle battaglie più importanti della Guerra delle Lande. In una delle ultime c'ero anch'io: quella dove Logan Treize ferì a morte Tyron Raleigh, disarcionandolo dal suo enorme cavallo nero e volgendo la guerra a favore del Duca Bianco.
"Niente male la vista, eh?" esclama Rak Jim, venendo verso di me. "Una vita fa, prima della morte che cammina, l'esercito saliva fin qui ad allenarsi, attraversando a passo di marcia tutta la città. A quei tempi i soldati erano temuti e rispettati: adesso vengono fatti vivere a ridosso del primo livello, per paura che possano portare il morbo dentro le mura.. La gente li evita, come degli appestati. Questa maledizione ha messo tutto sotto sopra: letteralmente".
Annuisco, continuando a guardarmi intorno. Le baracche che oggi ospitano i soldati di Angvard sono a un migliaio di passi sotto di noi, nei pressi delle porte della città. Ricordo lo scontro che combattemmo lì nel marzo dell'anno scorso, quando impedimmo al signore di Ghaan di prendere il potere. Quel giorno capimmo tutti che gli eredi di Tankenborst erano venuti su meglio del padre. In particolare Yara: quella ragazza ha la stessa grinta, testardaggine e convinzione di essere immortale di quel pazzo scatenato del suo vecchio, ma con una libbra di cervello in più. Se Uryen non avesse combattuto quella battaglia adesso non saremmo qui, e non ci sarebbero neppure Acab e gli altri pezzi di merda della Brigata del Tramonto. Eccoli là, intenti a radunarsi di fronte a noi: addirittura salgono insieme a Yara e al suo primo ufficiale, come se questo posto fosse roba lor...
No, un momento: quella non è Yara! Cosa diavolo... Resto interdetto, mentre la donna si avvicina al nostro gruppo, seguita dal fido Amos.
"Allora, che ve ne pare?" Esclama la ragazza, brandendo una lancia identica a quella che ho visto ieri. Anche l'armatura e il mantello sono identici, per non parlare dello scudo: pure la spaccatura uguale, gli hanno fatto.
"Sei perfetta!", esclama Ali: "meglio dell'originale!"
Che mi venga un colpo: è Ceyen! Sapevo che il piano prevedeva di schierare una finta Yara alla testa dell'esercito di Angvard, ma non mi aspettavo che avessero scelto lei.
"Non è troppo rischioso?" Chiedo ad Atom, mentre la ragazza riceve i complimenti - meritati - di Logan e Barun.
"Si è offerta lei volontaria, appena ha saputo che stavamo cercando: dice che è nata per questo".
Aggrotto la fronte: "E' nata per morire? No, perché se si presenta così al centro dell'esercito le tireranno addosso pure le picche rompighiaccio. E non penso che quella replica di Scudo dell'Eroe che le vedo al braccio funzioni come quello vero".
"Per quello ci saremo noi a difenderla, no? Noi, e il resto del battaglione che attaccherà da terra".
Ma che cazzo dice questo biondino? L'ha mai visto un campo di battaglia o c'è stato solo nelle storie che gli raccontava lo zio? E poi, devo ancora capire perché dovremmo combattere al fianco di una falsa Yara: dove cazzo deve andare quella vera?
Proprio mentre sono in procinto di palesargli questi miei dubbi, ecco che i miei occhi subiscono ancora una volta l'onta di doversi posare sulla faccia di cazzo di Greg Lorne, sbucato da chissà dove a un metro da noi.
"Garruk, è proprio te che cercavo!".
"Ah si? E dire che sono bello grosso: fatti meno pippe, o finirai per diventare cieco".
Attendo la risposta, ma non arriva.
"Che c'è, Greg? Sei rimasto a secco di stronzate? Perché mi guardi in quel modo?"
Greg fa un cenno verso Ceyen, poi torna a guardare me: "Posso contare su di te?"
Mi gratto la testa: questa è davvero buona! "Cioè, tu vuoi che... io... la tenga d'occhio?"
Annuisce. "Se so che ci pensi tu a lei, mi fai stare più tranquillo".
Eh no, cazzo. Ma come... tra tutti, proprio io?
Faccio per dirgli che no, non è così che si fa, che se ci tiene alla sua donna deve togliersi le mani dal culo e venire pure lui con noi alla Sacra... poi però ricordo il piano: Greg è tra quelli che andrà via mare, nella pancia della ''Disperata'', in un viaggio assurdo che mi fa torcere le budella al solo pensiero. Noi per terra, loro per mare. In questo tripudio di logistica che fa vincere le guerre non è lui a comandare, non è lui a scegliere dove stare: lui è un dilettante della tattica, proprio come me. E adesso che sta per imbarcarsi in quello che potrebbe essere il suo ultimo viaggio, questa testa di cazzo, questo scoparane da strapazzo che non sfigurerebbe appeso all'albero del cimitero di Uryen, è preoccupato per la sorte della sua ragazza, e sta chiedendo a me... A ME... di tenerla d'occhio, di badare a lei. Roba da matti.
Annuisco. "Ci penso io: hai la mia parola".
Greg sorride. "A buon rendere", dice. Poi torna da lei e la prende sotto braccio, il tutto a due metri scarsi da Barun e Logan Treize. Così, come se fosse tutto normale. Aveva ragione Rak Jim: è tutto sotto sopra, ormai.
Non faccio neanche in tempo a riprendermi dalla sorpresa, che l'aria si riempie di un suono gracchiante di uccelli spennati. "Cos'è questo rumore assordante? Hanno finito i Kreepar e stanno cominciando a mangiarsi i corvi vivi?" chiedo ad Ali, che scoppia a ridere. "Si direbbe una cornamusa".
E poi li vediamo: i cazzoni di Elsenor, gli stessi che si presentarono al porto di Uryen la scorsa estate, guidati da quello smargiasso tatuato che chiamano il Principe. Sono in cinque, ma fanno più casino loro di un battaglione di Feidelm. Uno di loro suona un tamburo, la donna soffia dentro a una specie di cornamusa rimediata chissà dove; il Principe ha un braccio legato al collo e trascina un sacco enorme, mentre i due che chiudono il corteo portano a fatica una specie di gigantesca porta. A giudicare dalle ferite che hanno dovrebbbero essere morti, e invece camminano e cantano a squarciagola come se avessero compiuto chissà che impresa.
La parata incede zoppicando fino a giungere al cospetto della falsa Yara, che ovviamente si guarda bene dallo smentire l'equivoco. Il Principe si inginocchia ai suoi piedi, quindi esclama a gran voce: "Sibh Céile, Muid Cèile!" E così dicendo spalanca il sacco, svuotando a terra il suo contenuto.
Improvvisamente, l'altopiano si ammutolisce: tra lo stupore generale, tutti osserviamo la testa di Chief rotolare ai piedi di Ceyen. Un istante dopo, l'aria esplode in un fragoroso suono di applausi, fischi e urla di giubilo. Il Principe si alza in piedi, sollevando il braccio in segno di vittoria, mentre i suoi uomini depongono lentamente l'immenso scudo di pietra a terra: chissà come cacchio hanno fatto a portarlo fino a qui. Il gruppetto attira in un attimo l'attenzione di tutti: da Barun ad Acab, da Logan a Montaine, dal paladino di Pyros all'Angelo Nero, non c'è un soldato su questo altopiano a cui non sia salita una voglia matta di abbracciare quel grandissimo figlio di puttana tatuato che è andato a prendere a calci in culo il servo di Mirai sotto casa sua.
Me compreso, ovviamente.
"Ma non pensavi che gli Elsenoriti fossero tutti stronzi?" Mi dice Ali, mentre sgomitiamo per farci largo.
"Stai scherzando? Quel Principe è il mio nuovo migliore amico: se non fosse così malconcio avrei voglia di abbracciarlo!" Le parole mi escono da sole, dettate da un entusiasmo che non sento dai tempi della Guerra delle Lande.
Ali scoppia a ridere: "ecco una scena che mi piacerebbe vedere prima di morire!"
La sua risata finisce per contagiare anche me. Questo altopiano, ancora una volta, sta facendo il miracolo: tante spade diverse, che tanti anni di scontri locali avevano reso senza filo, sono pronte per fondersi in una singola arma, puntata verso un nemico comune. Barun lo sapeva, per questo siamo qui: è stato lui a suggerire al giovane Dominus questa adunata. Ma il ragazzo di suggerimenti ne riceverà tanti, e all'inizio sembrano tutti buoni: il merito di riuscire ascoltare sempre quello giusto è interamente suo.
Ed eccolo che arriva, David Raleigh, insieme alla sua scorta personale e ai paladini: anche a lui vengono tributati i doverosi applausi. Le sue imprese non sono spettacolari come quelle dei mattatori Elsenoriti, ma se oggi questa cosa sta avendo luogo lo dobbiamo soprattutto a lui. E lui lo deve a noi.
Il drappello si dirige verso di noi: al centro, protetta dai paladini di Dytros, c'è Madre Magdalene, con il bambino in braccio.
"Pensavo che sarebbe nato il giorno della Rinascita", mormoro ad Ali: "sarebbe stata una bella data simbolica, no?"
Ali annuisce: "oppure il 25 marzo, il giorno consacrato ad Harkel".
"Già. E invece è nato due giorni fa: che razza di data è l'8 dicembre? Non significa niente! Bah, tanto a queste coincidenze non ci ho mai creduto. Piuttosto, ma è sicuro portarlo qui appena nato? Non prenderà freddo con questo vento?"
Ali ridacchia: "Ehm... Mi sa che lo scoprirai presto..."
Poi succede l'impensabile. Il drappello si ferma davanti a noi... davanti a ME. E madre Magdalene mi porge il marmocchio, come se niente fosse.
"Avanti, prendilo!"
Scuoto la testa: "no guardate... madamig... sacerdotessa... Io non... Ali, puoi prenderlo tu?" Mi giro verso Ali. Ma dov'è andata? sparita. Volatilizzata. Maledetta!
Magdalene mi sorride. "Mi ha detto che vuole stare insieme a un soldato veramente forte".
... E così me lo ritrovo in braccio, mentre Barun e Acab aiutano la mamma e Lord David ad arrampicarsi sull'altura.
"Accidenti, che scena... Come siete carini!"
La voce di Ali: per un attimo penso che si riferisca a Barun e Acab e mi viene da sghignazzare, poi capisco che sta parlando di me e di Magdalino e la fulmino con lo sguardo.
"...Ma dove ti eri squagliata? sei peggio di Greg!"
Ali mi fa una linguaccia: "Non sono abbastanza forte per tenere un fardello del genere: e poi guardatevi... sembrate fatti apposta! Sicuro di non essere tu il padre?".
"Ma se non so neanche com'è fatto, un bambino... E se lo stringo troppo? Se comincia a piangere?" Il pargolo mi guarda con espressione curiosa: poi, senza nessun motivo, scoppia in lacrime. "Lo sapevo! Che vuoi adesso? Eddai... non fare così: non c'entro niente io! Ammazza quanto sei brutto quando piangi!"
"Ehm... E' una bimba, Garruk!"
"... una bimba? Davvero?"
Ali sorride. "Eh già: te lo ricordi chi dovrebbe essere, no?".
Porca troia... è vero: sto tenendo in braccio Harkel. Cioè... non proprio Harkel: una specie.
Mecojoni.
Mentre il figlio - anzi, la figlia - intona il suo pianto della creazione, la madre viene issata sull'altura. Ma non ha partorito appena 2 giorni fa? Dovrebbe stare a letto. E invece, eccola che apre le braccia e inizia a cantare. Una melodia dolce, ma al tempo stesso intensa e solenne. In un attimo l'altopiano si ammutolisce.
Lord David inizia il suo discorso, mentre tutti gli sguardi si posano su di lui. Si rivolge a Uryen, a Dossler, a Greyhaven, alla Brigata del Corno, ai figli di Ilsanora e a tutti quelli che hanno scelto di essere qui; che si sono rifiutati di ascoltare le trombe di una pace falsa e beffarda, preferendo le note armoniose del canto di Harkel; che hanno battuto in lungo e in largo il Corno del Tramonto e gli Altopiani delle Tempeste per far luce sulla tenebra che ha oppresso questi territori e affrontare i demòni che in essa si nascondono; che hanno recuperato, forgiato e impugnato le armi per combattere il Cataclisma, come i loro antenati del Khal-Valàn; e che, a partire da domani, muoveranno compatte alla volta di Ghaan, attaccando da terra, da mare e da...
In che senso? Non capisco: nessuno capisce. Poi Madre Magdalene solleva le braccia e si protende verso il cielo, continuando a intonare il suo canto rigoglioso. E poi, come in risposta, un'ombra gigantesca ricopre l'altopiano. Gli sguardi di tutti si levano verso l'alto, rivolti verso la sagoma scura che proprio in quel momento si staglia contro il sole. E finalmente lo vediamo.
Maestoso e sublime, tremendo e formidabile. Le ali spalancate, coperte da scaglie di un blu scintillante; gli artigli protesi e affilati come lance, pronti a trafiggere e a ghermire; la bocca irta di zanne, che non tarda a schiudersi in un profondo e spaventoso ruggito.
E sul suo dorso, splendida nella sua scintillante armatura di Dytros, Yara Raleigh, con lo Scudo dell'Eroe sul braccio sinistro e Yrakavin, la lancia sacra di Ilmatar, stretta nel pugno destro.
Tutto l'altopiano resta a bocca aperta mentre il Wyrm sfreccia veloce sopra le nostre teste, come danzando intorno alle note del canto di Madre Magdalene. Poi, di colpo, parte un'apoteosi di applausi e grida.
"Ma come... come... come cazzo..." Chiedo ad Atmos.
"Non male, eh? Le prime uscite erano disastrose, ma adesso comincia a prenderci la mano".
Guardo Ali: anche lei non riesce a staccare gli occhi di dosso al prodigio che svolazza sopra di noi. "Ali, ma tu lo sapevi?"
Lei scuote la testa: "Non ne avevo idea. Cazzo, che storia!". Se anche questa è logistica, il coglionastro che ha coniato quella frase aveva ragione: mezza guerra l'abbiamo vinta prima ancora di partire.
La creatura inizia a volteggiare sopra di noi, disegnando cerchi concentrici e facendosi più vicina ad ogni giro: anche vederla scendere è uno spettacolo. Guardo preoccupato Madre Magdalene, pericolosamente vicina all'apertura alare.
"Sa anche atterrare, vero Amos? Non vorrei che questa frugoletta restasse orfana anzitempo".
Sator annuisce: "devi avere fede".
"Si, questo credo di averlo capito".
Dopo un altro paio di volteggi, Yara riesce infine a portare giù la creatura: al momento dell'atterraggio rischia di perdere l'equilibrio. La punta della lancia oscilla pericolosamente, arrivando fin quasi a sfiorare lo scudo dell'Eroe.
"Attenta", le grida Acab: "Non vogliamo farli toccare, ricordi? E' già successo duemila anni fa e il risultato non ci è piaciuto".
Yara annuisce al suo istruttore: appena tocca terra, l'intero altopiano applaude, urla e inneggia al suo nome. La scena è clamorosa, memorabile, indescrivibile a parole: se qualcuno tra i soldati qui presenti non era ancora sufficientemente motivato, adesso non ha più scuse. E' davvero impressionante vedere cosa sta riuscendo a fare questa ragazza: il suo vecchio sarebbe davvero fiero di lei. Che dico, persino Ilmatar sarebbe fiera di lei. E un pò in fondo pure di noialtri, visto che le armi che impugna non le ha certo recuperate Acab.
"Non vorrei proprio essere nei panni di Ghaan", dice Ali, "quando vedranno Yara e Zio Giovanni piombare in testa ai loro innalzati".
Scoppio a ridere: "quella sì che è una scena che mi piacerebbe vedere prima di morire! Pensa quanto si cagheranno sotto..."
"A proposito, Garr: sento uno strano odore. Sbaglio o..."
"Effettivamente... dici che è il Wyrm?"
Ali scuote la testa. "Temo che sia quell'altra creatura miracolosa", aggiunge poi, indicandomi il grembo.
"Oh, merda".
Ali scoppia a ridere: "Già, proprio lei!"
Vabbè... speriamo almeno che porti fortuna.
26 novembre 517
Sabato 11 Gennaio 2020
Piccoli passi
"Non manca molto all'accampamento".
Con un cavallo, forse: o un carro. O una nave. A piedi, con questo freddo e la neve ovunque, è praticamente all'altro capo del mondo.
Abbiamo camminato tutta la notte e il giorno successivo. I pochi raggi di sole che hanno fatto capolino dalle nuvole non sono serviti a molto: com'è che faceva quella canzone?
"L'inferno di ghiaccio arriva strisciando, congela la vita che incontra soffiando"...
Niente, non me la ricordo più: la mia testa funziona sempre peggio e così la mia memoria. Comunque il succo è quello: l'inverno è arrivato col suo mantello bianco di neve e non vuole saperne nulla di chi è così scemo da mettersi a camminare in queste condizioni.
L'inferno di ghiaccio arriva strisciando,
congela la vita che incontra soffiando,
né fuoco né sangue lo posson placare
ma a noi non importa, siam qui per restare
Ali non vuole darlo a vedere, ma è esausta. Lo sento dal respiro, dal battito del cuore. Dal rumore con cui il sangue scorre dentro le sue vene. Da quanto tempo sono in grado di percepire queste cose? Sembra incredibile, eppure è così: in compenso i ricordi vacillano di più ogni giorno che passa. Un'esistenza senza passato e senza futuro, un eterno presente fatto di suoni, odori e paesaggi lontani che mi si parano innanzi di giorno e di notte, a volte persino attraverso le palpebre che mi ostino a sbattere... anche se ormai non serve più.
E io, servo ancora a qualcosa?
"Certo che sì", sembra dirmi la schiena di Ali che dovrebbe essere in procinto di spaccarsi e invece no, sta dritta di fronte a me da chissà quante ore sforzandosi di precedermi ad ogni costo. "A lagnarti in continuazione: a cos'altro, se no?"
Stupida schiena, continua a spolverare il nevischio da terra con quel mantello nero e fatti gli affari tuoi.
"Ali, ma quel mantello ce l'hai sempre avuto?"
"No... è di Roy".
Annuisco. "E l'armatura? Non è quella tua solita..."
"E' quella di Vasq: la mia ce l'ho sotto".
"..."
Roy e Vasq, le ultime due vittime di William. A quanto pare ha scelto di portarseli addosso, accettando l'abbraccio di un ricordo che riscalda e fa male allo stesso tempo. Io detesto farmi abbracciare, eppure una parte di me brama ancora quel calore. E quel dolore.
Di punto in bianco finiamo di girare attorno a una collina e ci troviamo di fronte a un grappolo di luci, disordinatamente disposte intorno alla torre sei.
"Siamo arrivate!" esclama Ali, dosando attentamente gli ultimi scampoli di fiato che le restano.
L'inferno di ghiaccio arriva domani
congela le orecchie, i piedi e le mani
le foglie morenti recide dal ramo
ma a noi non importa, uniti marciamo
Quella che ci attende mentre i nostri passi affamati divorano lo spazio che ci separa da quelle tende è una vista che scalda il cuore: cinquanta, forse cento uomini si preparano a passare la notte all'addiaccio, sulle rive del Traunne; a ridosso del Bulvark, a un urlo di distanza da quel ponte maledetto che non siamo mai riusciti a costruire. Il nostro esercito... o quel che ne resta. La parte che non è riuscita a restarsene coi piedi al caldo nella Rocca di Tramontana, che non ha voluto voltare le spalle al Capitano Barun.
Il mio sguardo rimbalza da una tenda all'altra, felice di poter distinguere dozzine di volti familiari: quel gigante intento ad accendere il fuoco è il tenente Ramsey; intorno a lui riconosco i volti dei compagni del plotone 12. A un tiro di fionda da loro, il tenente Mikhal Savant sta discutendo animatamente con Ayker Madsen, dominus della Chela. Poco più in là il sergente maggiore Radom Ruud, che non penso di aver mai visto fuori dalla Rocca, sta facendo vedere a un paio di soldati come si monta una tenda con questo vento: con loro ci sono anche delle donne e dei bambini... Possibile? E che mi prenda un colpo se quello non è Rodney Balson, lo zio di Gannor... E dietro a lui i plotoni 10 e 11 di Ivan Reiner, e poi ancora il sergente del 18 con Jude Lincoln e Teddy Spaccalegna, e...
"Guardali bene", mi dice Ali. "Tutti quelli che vedi qui sono qui per loro scelta: perché credono in Barun... e in te. Sono pronti a fare una cosa che hanno già fatto tante altre volte, ma che domani assumerà un significato molto diverso".
"Cosa?"
"Un ultimo passo al di là del Traunne".
Annuisco.
Ali starnutisce, poi indica con il volto quella moltitudine operosa di fronte a noi e mi lancia un'occhiata di sfida. "Avanti, Ani: guardali adesso, questi pazzi scatenati, e dimmi se davvero riesci a non provare niente dentro quel muscoletto mezzo risvegliato che ti batte in petto". Ha la voce roca, come quella del sergente Rock.
Guardo quella manciata di tende e soldati e per l'ennesima volta mi viene voglia di prendermi a schiaffi: stavolta di gioia, però, per sincerarmi che non sto sognando. Perché finalmente, dopo tanti giorni di niente, guardando queste persone che si preparano a marciare tutte insieme al di là del Traunne, riesco a sentire qualcosa: sento che...
"Li amo tutti", esclama Ali. Sono le ultime parole che le sentirò pronunciare fino a domani. Non ne servono altre. Amen.
L'inferno di ghiaccio arriva tra poco
col bianco mantello di gelido fuoco
ricopre di neve le spighe di grano
ma a noi non importa, noi non ci pieghiamo
Ali mi indica una direzione e mi fa cenno di andare, poi si allontana: la seguo con lo sguardo, oltre la torre, finché non la vedo raggiungere un gruppo di altre tende sulle quali sventola lo stemma di Greyhaven. Un uomo la accoglie tra le braccia: lei li ama tutti, ma forse ce n'è uno che ricambia più degli altri. E' uno dei soldati dello squadrone Wachter, credo si chiami Van: non provare a farla soffrire, smargiasso d'un Greyhavenese, altrimenti...
"Annie! Ce l'hai fatta, allora!"
Questa voce me la ricordo: è quella di Ash, il ragazzino pestifero a cui i miei compagni hanno impedito di suicidarsi giocando con i suoi parenti risvegliati. Mi guarda sorridendo, strattonandomi fastidiosamente il mantello. Perché é così contento? Magari perché una volta tanto si trova al cospetto di una creatura più bizzarra di lui.
"Avanti, seguimi: ti porto dai pezzi grossi!"
Il Capitano Barun dev'essere ridotto davvero male se questo marmocchietto è diventato il suo attendente, penso mentre lo seguo all'interno delle tende. Mi chiedo come mai qui vi siano anche donne e bambini: evidentemente c'è chi ha deciso di portarsi la famiglia, o per meglio dire quei pochi affetti che è riuscito in qualche modo a stringere durante questo periodo infernale. Forse temono rappresaglie, visto che in fondo stanno disertando. Chissà...
Anziché portarmi da Barun, il pestifero monello mi fa entrare in una tenda e mi conduce al cospetto di altre vecchie conoscenze: il paladino Ruben Block e le sue due giovani allieve.
"Era tanto che volevo conoscerti, Annie. Voglio che tu sappia che apprezziamo molto lo sforzo che stai facendo: se hai bisogno di qualcosa, forse May e June possono aiutarti".
Ho capito: è il mio nuovo cane da guardia, quello che dovrà tenermi d'occhio per assicurarsi che non perda il controllo e cerchi di fare fuori tutti come ha fatto William. Lo ringrazio, ma gli dico che non ho bisogno di nulla: sto bene così. Come se avessi accettato. Mi faccio viva io, eh? Eppure, c'è qualcosa in quest'uomo che ispira fiducia. Ha lo sguardo di uno che ne ha viste tante, di cose strane: forse persino più strane di me. E anche le due tipe, in fondo, mi sembrano a posto. Una di loro mi porge una cosa odorosa, una specie di foglia: provo a dare un morso e sento sprigionarsi in bocca un sapore buonissimo che mi ricorda Colin. Quasi non riesco a fermarmi, la divoro nel giro di pochi secondi. Ma cosa diavolo...
"Sono contenta che ti piaccia: ne posso preparare ancora, se ne vuoi".
Oh sì che la voglio: è la prima cosa che mi va di mangiare dai tempi di Trost. Non so neppure cosa sia ma ho un gran bisogno di mangiarne ancora, fino a dimenticare anche il ricordo di quell'orribile notte. Scambio ancora qualche parola con Ruben Bloch: a quanto pare è la persona che, insieme alle sue due allieve e ai loro tortini, avrà il compito di "nutrirmi" e tenermi in vita quel tanto che basta per compiere la mia missione. Già, la mia missione. Che missione?
"Devi parlare con Barun".
L'inferno di ghiaccio arriva stasera
con spada tagliente di vento e bufera
con frecce di pioggia, grandine e neve
ma a noi non importa, la terra ci è lieve
La notizia del ritorno di Ali e del mio arrivo dev'essersi diffusa, quando esco dalla tenda di Ruben Bloch mi osservano in molti. Alcuni vengono timidamente a salutarmi: uno particolarmente scaltro azzarda persino una pacca sulla spalla, neanche avesse fatto una scommessa con gli amici. Anche meno, compagno: anche meno. Non sono William, ma i cinque minuti potrebbero prendere pure a me, quando meno te l'aspett...
"Eccola qua, la nostra innalzata!"
Garruk Jagger, il soldato più forte dell'esercito di Uryen. La sua armatura è una collezione di tutte le onorificenze che è possibile ottenere militando nel nostro esercito: croce del caos, scudo dell'ultimo, artigliere, juggernaut, artiglio di Treize e altre che non ho mai visto prima. Una specie di collana tribale che pende da un lato, fissata chissà come, cattura la mia attenzione.
"Ti piace? E' di Dunc: a lui ha sempre fatto schifo, non l'ha mai messa. Avresti dovuto conoscerlo, piccola: gli saresti piaciuta un sacco".
"..."
"Sai che ti dico, piccola? Vieni con me. Ti faccio vedere una cosa!"
In 2 anni mi avrà rivolto la parola tre volte: ora mi chiama "piccola" e mi vuole far vedere cose. Dove diavolo vorrà portarmi? Ovunque lui voglia, considerando la forza impressionante con cui mi trascina per il braccio: se io sono innalzata, lui che cos'è?
Poi la vedo, e resto a bocca aperta: in effetti ne valeva la pena. "Ma... ma come..."
"Che spettacolo, eh? E per dirlo io, che queste bagnarole non le amo di certo..."
Non è certo la prima volta che vedo la Disperata, ma non pensavo che potesse risalire il Traunne, non fino a qui: occupa praticamente tutto il letto del fiume. Mio padre mi raccontava spesso di come i Nordri riuscissero a navigare in questo modo, ma non pensavo si potesse fare anche in questi mesi dell'anno, con l'acqua già praticamente ghiacciata.
Garruk stende in alto il tronco di quercia che ha al posto del braccio per salutare l'autore di questo prodigio: il tenente di vascello Quorton Kraven ricambia il saluto dal ponte. Di fianco a lui riesco a vedere le figlie, Astor e Meera Wake: altre due ragazze brave con le erbe che sono riuscite a sopravvivere alla furia assassina di Ghaan.
"In un primo tempo Barun aveva deciso di farti andare con loro, sai? Nella squadra di mare", mi spiega Garruk. "Ma poi ha preferito inserirti nella squadra di terra, con me, Ali e gli altri. E la sai una cosa? Sono contento che abbia cambiato idea".
Lo guardo. Penso ai due amici che ha perduto per colpa di William: due eroi del nostro esercito morti per colpa di quel maledetto idiota. Chissà se, facendo qualcosa di diverso, avrei potuto evitarlo. "Mi dispiace", balbetto: due parole inutili che non significano niente e che riescono solo a farmi vergognare ancora di più.
"Non preoccuparti, piccola: tu non sei mica come quel cazzone di Will. Si capisce guardandoti negli occhi. Per il momento, pensa soltanto a stare bene... e se qualcuno ti rompe i coglioni lascia fare a me. La sai una cosa? Non vedo l'ora di vederti in azione!".
Che mi venga un colpo se questi maledetti non si sono messi tutti d'accordo per farmi commuovere, accidenti a loro.
L'inferno di ghiaccio è qui tra un istante
gli occhi crudeli di un blu scintillante
chiunque li guardi non può che avvizzire
ma a noi non importa, siam pronti a morire
Finalmente ho modo di parlare con il Capitano Barun, che mi spiega cosa sta succedendo. A quanto pare, il Duca di Feith ha imposto la fine delle ostilità ai feudi del Corno del Tramonto che si erano alleati con Angvard nella guerra contro Ghaan: in conseguenza di questo trattato Angvard resterà completamente isolata, unica forza di opposizione a Ghaan al di là del Traunne. Per questo motivo Barun, insieme a un pugno di fedelissimi, ha deciso di abbandonare il comando della Rocca di Tramontana e disertare dall'esercito di Uryen. Inizialmente intendeva semplicemente oltrepassare il Traunne e andare a combattere ad Angvard, ma nonostante i suoi tentativi di non rovinare la carriera a tanti compagni d'armi il pugno è diventato una raffica di cazzotti; non tantissimi, ma sufficienti per poter abbozzare un piano d'azione.
E che piano.
"Questa, se va bene, sarà l'ultima cazzata che faccio", mi dice a un certo punto.
"... E se non dovesse andare bene?"
Scuote la testa. "Ci sono cose che devono andare bene per forza, Annie. Lo capirai meglio quando avrai la mia età..." poi s'interrompe, mi guarda e solleva un sopracciglio: "...beh, forse non lo saprai mai." e sospira.
Scoppio a ridere: ha ragione Kailah, Barun è il miglior Capitano che potesse capitarci. Gli chiedo di spiegarmi meglio la storia delle squadre di terra e di mare di cui parlava Garruk: "E insomma, quindi colpiremo Ghaan da due punti?"
Barun mi guarda, sorridendo sotto i baffi: "Due? Beh... vedrai".
L'inferno di ghiaccio è alfine arrivato
Le lande deserte e silenti ha lasciato
Dal cielo ruggisce vibrando i suoi strali
Ma a noi non importa, noi siamo immortali
La notte passa in fretta, tra vecchie storie, ricordi e canzoni di guerra. Il freddo si combatte con l'alcol, il cibo e cantando a squarciagola. C'è anche qualcuno che si mette a fare l'amore, forse convinto che sarà l'ultima occasione che avrà in questa vita. A tratti, mio malgrado, i miei sensi innaturalmente aumentati finiscono per portarmi lì, grandemente oltre gli affari miei, a condividere quell'esperienza, immersa nei suoni e negli odori di qualcosa che non ho mai fatto... non quando lo volevo io, almeno. E penso che, dopotutto, non mi mancherà: perché adesso, in queste poche ore che ci separano dall'alba, sto vivendo tutto quello che ho sempre cercato, tutto ciò di cui ho bisogno.
No... non tutto. Mi mancano da morire Colin, Kailah, Bohemond, Engelhaft e Sven, che hanno saputo volermi bene quando non era umanamente possibile farlo. Un amore disumano, il loro, che posso ricambiare solo in un modo altrettanto disumano: assicurandomi che questa missione non fallisca, così che non siano mai costretti o spinti a ripetere ciò che andiamo a fare. Così che possano continuare a vivere per noi. E sì, mi mancano anche Boar e Gannor, che a loro volta hanno dato la vita per consentire a noi di poter fare questo piccolo, grande passo.
E finalmente piango, piango la loro morte, e più lacrime scendono a rigarmi il viso più riesco finalmente a sentirmi viva. Sono viva, Colin! Sono viva.
Poi, improvvisamente, l'alba ci sorprende: e pochi alla volta finiamo per ritrovarci lì: tutti in fila, le mani strette gli uni agli altri. Soldati, donne e bambini, e un pò anche tutte e tre le cose insieme: il sole alle spalle che ci riscalda la schiena, lo sguardo puntato dritto verso ovest, in direzione del Corno del Tramonto che si stende a perdita d'occhio di fronte a noi.
In direzione della Rocca di Tramontana.
"Quella lì non è casa vostra".
La voce rimbomba forte, vibrando nella fresca aria del mattino. Nessuno si volta, neppure i pochissimi che non l'hanno riconosciuta: restano tutti immobili, sull'attenti, lo sguardo fisso di fronte a loro.
"La Rocca di Tramontana, dico. Quella lì non è casa vostra: è solo un mucchio di pietre. Sapete a cosa servono le pietre?"
La domanda cade nel vuoto: nessuno di quelli che sta qui in fila ha la benché minima intenzione di rispondere a Logan di Treize. E di certo nessuno sente il bisogno di insegnargli alcunché su cosa è possibile chiamare casa e cosa no.
"Servono a tenere in vita chi ci sta dentro. Quella rocca, questa torre... Sono soltanto pietre. Le abitiamo, ci fanno comodo, ci riparano dal vento, ma non sono la nostra casa. Lo sapete dov'è, la nostra casa?"
Logan cammina lentamente davanti a noi, mostrando qualcosa che ha in mano: qualcosa di grosso. Quando capisco cos'è, un fulmine mi attraversa il corpo, lasciandomi senza fiato.
"Dentro di noi", dice, battendosi il petto.
"Nell'aria che condividiamo", dice poi, indicando le tende e le braci dei falò.
"E nel ricordo di chi non c'è più", dice infine, posando a terra quello che ha in mano, con una cura e una delicatezza che non gli ho mai visto adoperare.
"Tenetelo bene a mente. E adesso mettetevi al lavoro, che abbiamo una guerra da fare".
La fila si scioglie tra applausi e grida di giubilo: c'è persino chi riesce a trovare ancora un pò di voce per intonare qualche canto di battaglia. Mi avvicino in silenzio a Logan, osservando con commozione l'oggetto deposto ai suoi piedi.
"Sono felice di vederti, Annie".
Pianto gli occhi a terra, balbettando. "E'... è...". Oh Dei, non riesco neppure a dirlo: non da così vicino, non quando riesco persino a sentirne l'odore.
"Si, è lei".
"Ma... ma come..."
"Sono tornato a cercarla: mi ci è voluto un pò, ma proprio non mi andava giù di lasciarla lì".
Mi chino a toccarla: sfioro con la mano le cuciture, le piccole modifiche che si era fatto da solo per renderla più efficace contro i risvegliati. Gannor non era un sarto né un armaiolo, ma a forza di veder riparare armature aveva imparato a fare qualcosa anche lui.
"A quanto pare i Risvegliati non l'hanno praticamente toccata: in ogni caso, prima di portarla qui, mi sono sincerato di rimetterla a nuovo e fargli fare qualche piccola modifica: se accetti un consiglio, direi che è migliore di quella che indossi ora".
Annuisco. Sento il bisogno di indossarla, di sentirmi nuovamente avvolta da quell'odore e da quel calore che non è mai stato, e mai sarebbe potuto essere, e in fondo meno male che non è mai stato perché quello che invece è stato vale molto di più. Ma proprio per questo... proprio per questo... proprio per questo. La indosso, e finalmente sento il calore tornare con prepotenza a scorrermi nelle vene: una sensazione meravigliosa, che riscalda al punto da far male.
Alla fine sembra proprio che verrai con noi, Gannor: ce la faremo anche grazie a te.
L'inferno di ghiaccio ha fatto il suo corso
Tra valli e montagne ha sferrato il suo morso
Avanza la notte, che luce non teme
Ma a noi non importa, perché siamo insieme
25 novembre 517
Venerdì 26 Luglio 2019
Storia di una lunga guerra
Dicono che il Dio dei Nordri sia cieco da un occhio: a quanto pare i nostri non hanno neanche quello, visto come stanno andando le cose ultimamente. Io per fortuna ne ho ancora due, anche se la sorte ce l'ha messa tutta per fare altrimenti. La fortuna nella sfortuna; la parte di mela senza il verme; il bicchiere mezzo p...
Fanculo. Ne ho abbastanza di bicchieri mezzi pieni, ho voglia di farmi una bevuta come si deve. Come quella notte in cui Roy crollò ubriaco sulle assi sgangherate della capasanta e si svegliò in mezzo al Traunne, con un cartello al collo con su scritto... Cosa c'era scritto? Non me lo ricordo più. Vasq se lo ricorderebbe, visto che l'aveva scritto lui; e anche Duncan, visto che fu lui a caricare Roy sulla barchetta di Jebediah e poi a spingerla nel fiume. Sembra una roba di secoli fa, invece è successa solo... secoli fa.
Prima di prendere la torcia dal muro mi fermo un momento a contemplare il fuoco: il riflesso delle fiamme guizza tra le spille e spillette che ricoprono la mia armatura: stelloni, scudetti, croci, e poi lui, lo scudo dell'ultimo, eroica celebrazione del mio fallimento: non mi riesce di tenere un plotone mezzo pieno, figuriamoci un bicchiere.
Queste scale le avrò percorse mille volte: quasi sempre da guardia, in un paio di occasioni da prigioniera. Mai per fare quello che sto per fare oggi. Raggiungo la porta e busso: nessuna risposta. Il tempo di individuare la chiave giusta, girarla nella toppa e muovere un passo, e sono dentro.
La torcia non illumina granché, era lì da troppo tempo e in questo momento non siamo abbastanza per cambiarle quando è ora. Saremo nuovamente abbastanza, prima o poi? Chi lo sa. Tra poco non sarà più un mio problema.
Non distrarti, scema: la cella sembra vuota, ma non sei sola. Tu sei praticamente cieca, lei no.
Mi cade addosso dal soffitto, come un ragno. La torcia mi viene strappata dalla mano sinistra e rotola a terra; la destra scatta istintivamente sull'elsa di Ametista, ma morde il vuoto. Poco dopo la sento sulla schiena, la punta che mi viene spinta contro e penso che tutto sommato potrei pure starci, che in fondo forse è l'ultima occasione di poter morire qui, a casa mia: e invece no, resta lì, incagliata tra una vertebra e l'altra.
"Cosa vuoi?"
"Ciao Ani", esclamo. "Come va?".
"Ti ho sentita fin da quando eri sulle scale". Il fiato delle sue parole che mi arriva sul collo, freddo come il Vento del Nord.
"Mi hai sentita? Dai passi?"
"Dall'odore".
"Ma se mi sono appena lavata...".
"Per il tuo naso, forse: per il mio puzzi come una scrofa".
"Non mi sembra una cosa carina da dire".
"Neanche rinchiudermi qua dentro è stato carino".
"Hai ragione. Ma bisognava farlo, dopo quello che è successo".
Silenzio.
"Così penseranno che sono uguale a lui".
"... o magari lo abbiamo fatto per darti modo di provare che non è cosi".
"... o magari pensate tutti che sia così".
"Ti sbagli".
"... Magari lo pensi pure tu".
"Ti sbagli".
"Magari lo dici solo perché hai una spada tra le scapole".
"Se tu fossi come lui mi avresti già sbranata. E poi, da quando in qua te ne frega qualcosa di quello che pensano gli altri?".
Silenzio. Aspetto che sia lei a parlare: ha tutte le ragioni per volersi sfogare.
"...Ti hanno mandata a uccidermi, Ali?"
"Sciocchezze. Se avessi voluto ucciderti, non avrei bussato: e saresti già morta".
"Forse un tempo: ora non più".
Eh no: quando è troppo è troppo. Mi getto in avanti di scatto, poi mi giro e le sferro un calcio sulle mani, tra le dita e l'elsa: la spada sfugge alla sua presa e sbatte sul muro della cella, quindi ricade in terra, in mezzo a noi. Restiamo entrambe a guardarla, in silenzio, per un pò.
"Visto? Sei più forte di prima, ma devi ancora mangiarne di panini prima di...". Mi interrompo: non ricordo se può ancora mangiarli, i panini.
"Come hai..."
"E' un trucchetto che mi ha insegnato Ramsey: arriverà il giorno in cui saprai farlo anche tu".
Annie guarda me, poi la spada, quindi volge lo sguardo verso la porta aperta. "Ma hai abbandonato l'ingresso: se ne avessi voglia, ora potrei scappare".
Annuisco. "E' quello che spero: sono venuta apposta".
Annie mi osserva. Nel buio pressoché totale che ci circonda l'unica cosa che riesco a distinguere sono i suoi occhi, rossi come braci: lei invece ci vede benissimo. Al punto da capire che sto dicendo la verità.
"Vuoi che io venga con te...".
"Si".
"Vi serve un innalzato e sono l'unico che avete".
"Mi servi tu".
"Perché sono innalzata: altrimenti non saresti neppure qui".
"Oh, quanti cazzi, Ani. Sei in prigione perché sei un'innalzata, ti voglio con me perché sei un'innalzata, penseranno che sei come lui perché sei un'innalzata... Lo sai che ti dico? Hai rotto i coglioni. Il mondo non gira attorno a te e al tuo innalzamento. Sei un soldato, o l'hai dimenticato?".
"Sono stata sospesa".
"Ti sto reintegrando adesso".
"Perché ti servo".
"Sai com'è, funziona così: quando un soldato serve, lo chiamano; quando non serve, non lo chiamano".
"Vi faccio schifo. Vi faccio paura".
Scuoto la testa. "Né l'uno né l'altra".
"Barun non..."
"Barun ha puntato su di te dal primo momento. Ti ha mandata in missione appena ha capito che non eri contagiosa, sfidando il parere contrario di molti. Era convinto che ce l'avresti fatta quando non ci credevi neppure tu, quando stracciavi i coglioni a tutti ogni giorno dicendo che saresti morta l'indomani".
"Barun neanche sapeva che esistevo, a momenti".
"Ti ha reinserita nell'esercito due settimane dopo il tuo ritorno da Ghaan".
"Voleva togliermi dal servizio attivo".
"Ti ha mandato contro la bestia del ponte".
"Mi ha messa in quarantena...".
"Ti ha dato una casa a dieci metri dalla Rocca! Sono stata più in quarantena io quando avevo i pidocchi".
"... Perché vi servivo!"
"... Esatto! E ci servi ancora! Per questo sono qui. E non per i poteri, ma per il fatto che li controlli. Cosa vuoi, Ani? Che ti apprezzino per quello che eri e non per il fatto che ora sei così? Se la pensi in questo modo sei tu che ti fai schifo, sei tu a metterti in quarantena da sola. A me non frega nulla del colore dei tuoi occhi, che non hai fame, o che i risvegliati non ti mordono: il mio compito è far sì che quelle schifezze non mordano nessuno, e se ti importa ancora qualcosa dello stendardo che porti e all'armatura che indossi dovrebbe importare anche a te, e dovresti agire di conseguenza".
I due puntini rossi cominciano ad assumere una forma più naturale: piano piano, comincio a distinguere il suo volto. E' sempre lei, è sempre Annie. In barba alla prigione, a Ghaan, a Mirai, e all'anima de li mortacci loro.
"... Anche a lui hai detto le stesse cose?"
Mi mordo il labbro. Devo restare calma. "Ci abbiamo provato". La voce mi esce rotta, uno spezzatino di sillabe. "Abbiamo fatto del nostro meglio: non ci siamo riusciti".
"Cosa ti fa pensare che con me sarà diverso?"
"Perché ti conosco da una vita, e so che ce la metterai tutta".
"Stronzate, Ali: non mi conosci, non sai niente di me. non mi hai mai considerata: per te ero la figlia incapace di un cliente di tuo padre, il capo della locanda".
"Abbiamo giocato insieme per anni".
"Tu decidevi tutto, io seguivo: anzi, eseguivo".
"Ero più grande! Che diamine, volevi comandare tu?"
"Sono entrata nell'esercito perché c'eri tu".
Scuoto la testa. "Non è così: sei entrata perché ti piaceva quello che facevo, quello che si faceva qui, e volevi farlo anche tu".
Silenzio. C'è ancora qualcosa che vuole dirmi, ma le serve tempo.
"Tutte le volte che mi hanno messa in mezzo... tu non mi hai mai difesa".
"Se lo avessi fatto sarebbe stato molto peggio. Lo sai come si dice qui, no? Ciascuno deve imparare a pulirsi il culo con le mani sue".
"Quando Varchmann mi ha presa di mira, tu non hai alzato un dito".
"Sei uscita da quella cella dopo tre giorni".
"Non mi hai difesa".
"Sei uscita dopo tre giorni!".
Mi guarda: "Adesso mi dirai che è stato grazie a te...".
Sorrido. "No, testona: è stato grazie a te. E' così che funziona, è così che deve funzionare: hai fatto tutto da sola e non devi ringraziare proprio nessuno, perché ti sei pulita il culo con le mani tue. Quella spada, quell'armatura, te le sei meritate. La verità è che sei un bravo soldato, Annie: lo sei sempre stata. Quindi vanne fiera, smettila di piangerti addosso, e...".
"..."
"... e vieni con me. Adesso".
"Dove?"
"Al di là del Traunne. Alla Fortezza dei Difensori. A Ghaan".
"A Ghaan? Ma è inverno! E' un viaggio suicida, adesso..."
"Ma non sei tu quella che non sente il freddo?"
"Io si, ma tu..."
"Non preoccuparti per noi: è proprio perché non se lo aspettano che andiamo adesso!" Ok, detta così è una mezza cazzata, ma tanto tra poco le dirò tutto. Indico la porta aperta: "allora, ci stai?"
Resta ferma, fissandomi con quelle due torce rosse che ha al posto degli occhi. "... Mi vuoi soltanto perché i tuoi compagni sono morti quasi tutti".
"..." Respiro. Mi mordo le labbra.
"Scusami. Non volevo".
"Anche io sono entrata nel terzo plotone perché erano morti tutti. Per la precisione, erano morti tutti i fratelli del mio plotone precedente. Hai visto le loro tombe, no?".
"Scusami".
Annuisco. "Scuse accettate. E comunque... non siamo morti tutti: tanti soldati sono ancora qui. Io sono ancora qui, e ti assicuro che per me questa guerra è appena cominciata".
"..."
"E tu, Ani? Sei viva o sei morta, sotto quelle occhiaie e quelle vene viola? Perché se ti senti morta io non ho problemi a lasciarti qua, o a farti uscire da quella porta e lasciarti libera di andare dove ti pare. Per me te la sei guadagnata, la libertà. Ma se invece ti senti viva, per me dovresti smettere di frignare e venire via con me finché ancora possiamo, perché io sto andando a prendere a calci nel culo tutti, ma proprio tutti... anche quelli che ti hanno fatto quello che ti hanno fatto."
Annie mi guarda, poi guarda la porta, quindi torna a guardarmi: "in che senso, finché ancora possiamo? Non è Barun a mandarti?"
Scuoto la testa. "Sai cosa ho fatto, prima di venire qui? Ho svuotato un secchio che stava da giorni sotto al culo del messo Ducale che è venuto a consegnare a Barun il testo dell'armistizio con Ghaan. In questo momento stanno parlando..."
"... Vuol dire che tra poche ore non ci sarà più la guerra?"
"Vuol dire che tra poche ore non ci sarà più Barun al comando della Rocca".
"...che dici..."
"E' così: fidati di me. Adesso non ho tempo di spiegarti, lo capirai da sola quando saremo fuori di qui".
"Quindi... mi stai facendo fuggire..."
"Si. E' la prima evasione che organizzo qui dentro. Come sto andando? Pensavo che sarebbe stato semplice, ma il prigioniero non collabora".
"Ma cosi daranno la colpa a me..."
"... A entrambe, direi".
"Quando torneremo, sarò degradata. Mi butteranno fuori".
"Ti hanno già buttata fuori, no? Semmai sono io che mi sto fottendo la carriera!"
"Penseranno che sono come lui..."
"No. Perché non ammazzerai nessuno. Uhm... Non al di quà del Traunne, almeno".
"Non appena sapranno che sono scappata, non mi perdoneranno mai: non potrò tornare piu".
Alzo le spalle. "Ammesso che qualcuno di noi torni. Hai capito cosa andiamo a fare, no?".
[...]
L'aria della notte è fredda da morire. Almeno per la mia faccia, visto che Annie non sembra curarsene. Non dice una parola da quando abbiamo lasciato la Rocca. A cosa starà pensando? E' appena tornata da un viaggio in cui ha vissuto le pene dell'inferno e io la sto riportando lì. Sono una pessima amica, oltre che un pessimo sergente... Del resto, se l'avessi lasciata in quella cella, non so proprio cosa sir Gadman Scherer avrebbe potuto fare di lei. E' da quando sta nell'esercito che entra ed esce da una prigione, adesso basta.
"Ali?"
Mi fermo e mi giro a guardarla: "dimmi".
"Tu sarai con me? Quando morirò?"
"Sempre".
"... se non muori prima..."
Sorrido. "Impossibile".
Annie ricambia il sorriso: il primo che le vedo fare da non so quanto tempo.
Ci rimettiamo in marcia, non manca molto all'accampamento: con un pò di fortuna, tra poco la neve coprirà le nostre tracce.
"Senti, Ani, ma..."
"Si?"
"Davvero puzzo come una scrofa?"
"Beh... un pò si...".
"Ma anche adesso? Con questo vento freddo e la mantella pesante addosso?"
"Beh..."
"Va bene, ho capito: come non detto".
"Ma comun-"
"Basta, d'accordo? Non voglio saperlo. Non parliamone più".
Abbiamo rotto il ghiaccio, proprio ora che sta per nevicare.
23 ottobre 517
Domenica 29 Aprile 2018
Inutilmente freddo
Ci siamo.
Ricambio il segnale accendendo la lanterna, poi guardo Annie: dobbiamo andare, le dico, mettendole la chiave nel palmo della mano. La prima cosa da fare è aprire quella porta al primo piano. Il cuore mi batte forte: ho percorso questi corridoi ad ogni ora del giorno e della notte, ma mai come adesso sento gli occhi di tutti puntati addosso a me. Matt mi saluta con un cenno, senza sollevare gli occhi dalla sua scrivania. "La porto a prendere un pò d'aria", dico con un filo di voce. Un istante dopo mi viene da chiedermi perché l'ho fatto: lavoro qui, non ho bisogno di giustificare ogni mio passo. Sono tesa, troppo tesa. Per mia fortuna Matt si limita ad annuire distrattamente. Subito dopo di lui incrociamo Judith, intenta a trascinare una botte piena d'acqua nella stanza dell'Innalzato di Ghaan: la aiutiamo a fare gli ultimi metri, guadagnandoci un sorriso di gratitudine.
Passiamo per la piccola stanza che conduce all'aperto, quindi percorriamo il porticato tenendoci per mano: nessuno in vista. In lontananza si sentono dei corni e un eco di voci concitate. Guardo Annie, che mi annuisce: sembra che i suoi compagni siano riusciti a creare il diversivo. Potrebbe essere il motivo per cui non c'è il soldato che solitamente monta di guardia qui... meno male: una persona in meno che rischierà di non vedere l'alba. Raggiungo la porta e la apro: è andata. Adesso non ci resta che tornare sui nostri passi e spegnere la lanterna prima di andare.
Le frasi trafelate pronunciate a poche centinaia di metri da noi mi raggiungono a stento, rese incolori e inodori dal forte vento che spira in senso contrario. C'è una rissa... no, un incendio. Anzi, forse ci sono entrambe le cose. Sembra che gli Elsenoriti ci si siano messi d'impegno. In compenso, sento benissimo la porta che si apre di fronte a noi, la stessa da cui siamo uscite qualche minuto fa. "Abbiamo visite", dico sottovoce.
"Chi va là?"
Ireena si blocca come una statua di ghiaccio. Non è abituata a queste situazioni... i battiti del suo cuore rimbombano nelle mie orecchie come un tamburo. Le stringo la mano, ma lei non risponde. La luce di una lanterna illumina le nostre sagome. Sento le ginocchia che si flettono, pronte a scattare. Non sono armata, quindi dovrò usare le mani... O i piedi. O i denti. Fai un altro passo... uno solo.
"Ireena? Piccola, che ci fai qui fuori con questo freddo?"
"Thedor... sto... stiamo... prendendo un pò d'aria..."
Thedor si avvicina cordiale, come se fosse il nostro migliore amico. Come se fosse nostro padre. Non è così. Percepisco come la vede da come il suo sangue scorre nelle sue vene, dall'odore che prende ad emanare quando è davanti a noi, che sovrasta persino il freddo pungente. Impulsi da bestia tenuti a freno da un cervello pensante e rispetto per le regole. Niente di nuovo: è una condizione comune a molti, compresa me.
Alza la lanterna e mi guarda: lascio che mi veda bene, del resto ce l'ho scritto in faccia che sono malata.
"Dovreste rientrare, a quanto sembra non sarà una notte tranquilla".
Ireena mormora un'altra mezza frase, quindi annuisce. E' proprio quello che intendiamo fare. Ovviamente Thedor non ha idea di dove ci toccherà andare poco dopo, in questa parte dell'edificio lo sappiamo soltanto io, Ireena e il soldato del Camerlengo che ci sta aspettando all'ingresso.
"Avvisa i nostri che c'è un soldato", le dico sottovoce non appena siamo di nuovo in stanza. Da togliere di mezzo, penso tra me e me. Poi prendo la spada e mi preparo per andare.
I gradini di legno che portano al seminterrato scricchiolano sotto i nostri passi. Il soldato del Camerlengo ci precede, tenendo la lanterna sollevata sopra la sua testa: lo conosco bene, si chiama Renstor: un tempo era di guardia all'ingresso, ma da qualche tempo lo incontro soltanto nelle rare occasioni in cui mi trovo a percorrere le segrete.
Scendiamo ancora, accompagnate soltanto dalle nostre gigantesche ombre che si stagliano sulle pannellature alla nostra destra.
Un secondo soldato ci aspetta in cima alle scale di pietra: questo non lo conosco affatto, ma non sembra un Innalzato... anche dalla reazione di Annie.
"Benvenute". Si inchina rispettosamente, quindi ci indica le scale: noi scenderemo per prime, lui ci seguirà.
L'ambiente intorno a noi cambia rapidamente: sotto i nostri piedi, sulle pareti e sul soffitto, i rivestimenti in legno cedono il passo alla nuda pietra. L'aria si riempie di odori molto diversi da quelli dell'ospedale: muffa, umido, escrementi, topi, sudore. La mia mente si fissa per un istante su un pianto sommesso e disperato che si consuma all'interno di una delle celle, coperto da più intensi lamenti di dolore: Ireena non può sentirlo, ma di certo è ben consapevole dell'atmosfera sinistra che permea questi corridoi.
"Non fate caso alle urla", esclama il soldato ostentando noncuranza. Passo dopo passo, diventano sempre più assordanti. Ireena mi si affianca, stringendomi il braccio. Non è la prima volta che mette piede qui dentro, ma non si tratta di una cosa a cui una come lei si può abituare. Le prendo la mano e la stringo tra le mie: è caldissima... No. è fredda, invece. Sono io ad essere gelida. Il freddo dell'inverno si attacca alla mia pelle senza che nulla vada a scacciarlo, proprio come accade ai cadaveri o ai Risvegliati. Volevo far forza a Ireena, ma è invece il suo calore a confortare me.
Alcuni dei prigionieri che giacciono in queste segrete esaleranno presto l'ultimo respiro, lasciati all'addiaccio e a nutrirsi di topi, ragni e scarafaggi fino alla fine. Altri vengono tenuti in vita con acqua e pane raffermo per chissà quale immonda crudeltà. I miei sensi raccolgono pazientemente tutte queste informazioni, scavando nei recessi delle loro celle mentre ci avviciniamo a colui che ci porterà alla nostra meta. Di colpo, lo avverto. E' al termine di questo lunghissimo corridoio, al di là di questa cappa di disperazione.
"Lady Ireena, è sempre un piacere ricevervi". L'inchino che le rivolge non è minimamente sentito: eccone un altro che si crede una divinità e che ha preso a trattare tutti come insetti. Peccato che l'insetto sia lui. Il pensiero mi balena in testa all'improvviso e per poco non mi scappa una risata. Ma quando si rivolge a me, capisco subito che c'è poco da ridere.
"Metti queste".
Osservo in silenzio quegli strani lucchetti che mi porge: uno per mano, uniti da una catena che non potrei spezzare neppure facendo ricorso a tutte le mie energie da bacarozzone parlante. Scuoto la testa. Non esiste. A quel punto è lui a scoppiare a ridere. "Pensi davvero che farei avvicinare una come te al Maestro della Curia senza prendere le dovute precauzioni?"
Affronto il suo sguardo, poi indico Ireena: "lei mi ha parlato di un incontro, non di catene: se il Camerlengo vuole parlare con me, dovrà correre il rischio".
E poi ci sei tu apposta, no?
"Questa ragazza è venuta qui di sua spontanea volontà, e io le ho promesso che avrei garantito per la sua incolumità. Le catene sono per i prigionieri, noi siamo state invitate". Il suono della mia voce rimbomba tra le mura di pietra. Faccio un passo in avanti, mettendomi tra Annie e Gant. Coraggio, Ireena: i suoi occhi rossi non devono farti paura: è una vittima come tutti gli altri, anche se fa di tutto per non pensarci, anche se si rifiuta di accettarlo. Non è facile: non con lui. Ma so... sento che Padre Mansell è qui, da qualche parte. Posso sentire la sua forza, il coraggio che vuole infondere al mio cuore.
"Tu sei stata invitata. Di lei non sappiamo niente". Il suo braccio scaraventa con forza le catene ai piedi di Annie. "Ti dò dieci secondi, poi te le metto io".
Annie resta immobile. Questa cosa non l'avevamo prevista. Devo pensare: devo farmi venire in mente qualcosa, altrimenti...
"Gant, che modi sono questi? Non vedi che le stai spaventando?"
La voce, accompagnata da un suono di passi, è quella di Hans Vale. Il Camerlengo emerge dall'oscurità con la tranquillità di chi sa di non correre alcun pericolo.
"E così, tu sei Annie: non hai idea di quanto io abbia sentito parlare di te".
E così, questo è il Camerlengo. Non so perché, ma mi ricorda il mio compagno Engelhaft: tuttavia, sono certa che l'aspetto cordiale e i modi affabili nascondano in realtà una indole viscida e meschina. Avrà almeno 50 anni. I suoi occhi sgranati brillano, compiaciuti e minacciosi, alla luce delle torce.
Si avvicina me, osservandomi con apparente ammirazione e curiosità. I suoi occhi mi infastidiscono quasi quanto le manette, brillano come se stessero guardando un cavallo.
"Sei un capolavoro: sei perfetta", sentenzia alla fine. Ne dubito. Si china a raccogliere le catene. "Queste non servono, suvvia: non vedi che sono brave ragazze?". Poi si gira, dandomi le spalle... Ho ancora la spada alla cintura. Il pensiero mi balena forte: devo farlo adesso. Poi me la vedrò con il cane da guardia, dando a Ireena la possibilità di scappare. Avrò bisogno di abbandonarmi un bel pò, ma ne vale la pena.
Proprio nell'istante in cui inizio a lasciare il braccio di Gant mi circonda la vita, stringendomi a lui. "Da questa parte". Le dita della sua mano si chiudono sull'elsa della mia spada. "Questa non te la tolgo", aggiunge poi, con un sussurro molto vicino al mio orecchio, "ma tu non la toccare". Le parole scandite dalla sua voce profonda mi entrano nell'orecchio come macigni e mi arrivano dritte nel cervello provocandomi un fastidio senza pari. Il Camerlengo sfugge al tiro della mia lama e ci precede lungo le scale da cui è venuto, che conducono a una porta aperta: Ireena è al suo fianco, tenuta rispettosamente per il braccio.
L'ambiente in cui entriamo è molto più caldo: le pareti sono in gran parte coperte di stoffa, così come la porta che viene chiusa alle nostre spalle. L'odore di sterco e topi svanisce, coperto da un effluvio di incenso che mi impedisce di sentire altro.
Gant torna a parlarmi all'orecchio. "Benvenuta", mi sussurra. Il tono della sua voce non mi piace per niente. Sento il suo fiato sul collo, freddo come il mio, e sento che...
... Freddo come il mio.
Inutilmente freddo.
E poi, improvvisamente, capisco. Capisco tutto. Capisco perché Giada, perché il Castello di Seta, perché... perché siamo qui. Ireena.
E'... è peggio di quanto pensassimo. Ed è doppiamente mostruoso se penso che a Uryen lo sapevamo fin dall'inizio. Barun, poi Logan, magari, oppure il gruppo di Greyhaven... O forse... forse noi tutti avremmo potuto saperlo fin dall'inizio, e abbiamo semplicemente preferito non pensarci, chiudere la mente, nascondere l'evidenza dietro un castello di sassi... di seta.
Soprattutto io, più di chiunque altro.
Devo giocarmela bene. Devo scegliere il momento giusto e non sarà facile: non devo farmi mettere quelle catene. Ma soprattutto non devo fargli capire che ho capito, sono certa che non aspetta altro. Come faccio? Come faccio? Non sono capace...
Mi porto le mani alla vita e slaccio la cintura che regge la spada. "Questa non mi serve, giusto?" Gant annuisce soddisfatto. Forse non sono in grado di non fargli capire che ho capito, ma posso fargli credere che ne ho bisogno. Che questa empietà che hanno architettato serve anche a me, proprio come a lui. In fondo... In fondo è quasi vero. E poi, un istante prima... o nel peggiore dei casi, durante... potrò cogliere il momento giusto per agire.
"Scommetto che hai un'altra arma", mi dice.
Annuisco: mi chino ad estrarre il pugnale dallo stivale, quindi glielo porgo. Quando sarà il momento, lo farò a mani nude.
Il Camerlengo e Ireena raggiungono una porta, che lui apre con un corposo e pesante mazzo di chiavi che porta appeso alla cintura: chissà se una di quelle apre la porta della cella di Padre Mansell. Ireena mi guarda interrogativa: non ha ancora capito. Lui ci fa cenno di entrare, quindi mi guarda con occhi da pazzo... Perché solo un pazzo potrebbe avere una brama del genere. Un pazzo, o una persona che sa molte cose... ad esempio, di non correre alcun rischio.
"Sono venuta per parlare della Mantide", esclamo un attimo prima di entrare. "Ci sono delle cose che devo sapere".
"Oh, ne parleremo", risponde lui con un sorriso. "Eccome, se ne parleremo".
Poi entro, e improvvisamente vengo avvolta da un odore che ero appena riuscita a dimenticare, un odore che neppure il muro di incenso che questo figlio di puttana ha eretto riesce più a nascondere alle mie narici. Al mio cervello.
E capisco che siamo fottute.