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30 giugno 517
Venerdì 1 Gennaio 2016
Maledetti Scarafaggi
"Vai avanti tu, giacché a me vien da ridere!". Questa, secondo una nutrita compagine di storici, è la massima con cui Dagor si rivolse a uno dei suoi luogotenenti allorché quest'ultimo gli chiese come mai il condottiero avesse deciso, una volta oltrepassato il Valkner, di volgere le sue armate verso Est anziché prendere il Nord. La scelta di Dagor di rimandare la conquista di quei territori, come chi legge indubitamente sa, prolungò di oltre duecento anni la vita dei Khanast di Ledhar e di Feith, che sopravvissero a tutta la dominazione Turniana e vengono oggi ricordati come i due Khanast più longevi del continente.
Chiunque si domandi perché Dagor trovasse ilare il solo pensiero di rivolgere le sue attenzioni ai brulli territori di Feith non ha, con ogni evidenza, giammai calcato quelle terre con il suo stivale: se così non fosse egli non potrebbe far altro, nel vano tentativo di abbracciare con lo sguardo quella sconfinata distesa di lande et altipiani innevati, che risolversi a concordare con le ragioni del Grandissimo. Non si tratta infatti di terre meritevoli, né in alcun modo ricche, men che mai gradevoli da abitare o visitare. E di questo impietoso benché realistico affresco delle terre da me lungamente frequentate pochi, ahimé, possono ormai dire d'aver maggior contezza di me e della mia veneranda età.
Alcuni dicono che la mediocrità di una terra rifletta la pochezza delle persone, come uno specchio che nulla concede all'incedere impietoso dell'età. Altri, più semplicemente, sostengono che un terreno infecondo non potrà che dar vita a raccolti miseri e frutti sciupati. Per quale che sia il ragionamento corretto, nei riguardi di Feith trovo che abbiano ragione entrambi, trattandosi di una terra doppiamente funestata dall'ottusità degli indigeni e dalla meschina grettezza di chi periodicamente giunge a spodestarli. A volte sospetto che si tratti di una vera e propria malattia, presente sul territorio fin dai tempi del Khal-Valàn e mai del tutto eradicata, a dispetto del succedersi di piogge frequenti e generose: ipotesi che potrebbe spiegare le motivazioni che portarono il Sommo, nella sua infinita saggezza, a scegliere di tenersene alla larga. Fatto sta che, a fronte di una analisi empirica corroborata da evidenze raccolte in oltre mezzo secolo, possiamo ritenerci in grado di sostenere la tesi secondo cui il Ducato offre alcune tra le peggiori guise di soldato, guardia o combattente che si siano mai viste.
Il che ci porta inderogabilmente alla vexata quaestio: può forse la disamina esimersi dal prendere in considerazione tali latitudini? La risposta, per scontata che sia, va data con la forza e la convinzione tipica di chi ambisce ad avvicinarsi ai suoi misteri: giammai. Al contrario, sono proprio queste campagne selvatiche e arretrate i luoghi in cui è possibile apprendere gli insegnamenti più significativi.
E' il caso, volendo concedersi il lusso di giungere al punto, della situazione che si è presentata a cavallo tra il giugno e il luglio dell'anno cinquecentodiciassette, all'ombra di una notte senza luna, nei fetidi sotterranei dell'orinatoio di una parrocchia sconsacrata dagli uomini e maledetta agli occhi degli Dei.
"Vai avanti tu, giacché a me vien da ridere!", dunque. Tale potrebbe essere il degno sunto dell'indecente, benché opportunisticamente parlando redditizio, spettacolo cui mi è toccato assistere nei recessi di quel pestifero ritiro: costì la disamina parrebbe e dovrebbe arrestarsi, sic et simpliciter. Pur tuttavia, potrebbe agevolmente obiettarmisi che costringere la più nobile delle ermeneutiche entro i confini angusti di una citazione, per quanto ineffabile, sia come servire il più pregiato dei centerbe in un truogolo da maiali. Non resta quindi che risolvermi a tradurre i fatti, assegnando loro come di consueto il volto dei rispettivi perpetratori.
COLIN
Se l'universo mondo funzionasse alla rovescia, e avessero gli eserciti bisogno di tanti pensatori e pochi manovali, il Granducato e l'Impero non avrebbero problemi a imporre la loro supremazia su tutte le terre conosciute: sfortunatamente così non è, motivo per cui non vi sono quasi coste ove la prima orda di selvaggi non riesca a imperversare. Colin è un ottimo esempio di come questo assunto, lungi dall'essere un luogo comune, si applichi perfettamente persino quando gli avversari in questione sono talmente privi di materia grigia da essere - letteralmente - degli insetti. Poco, in tutta onestà, si può rimproverare a questo soldato semplice, tanto acuto nel ragionamento quanto scadente nell'uso dello spiedo: del resto, che il buon successo di una qualsivoglia missione richieda come prima cosa l'identificazione nonché il controllo certosino delle latrine è cosa nota ad ogni stratega degno di questo nome. Se non che, per l'appunto, persino la più grande delle intuizioni non ha modo di tradursi in un successo militare, laddove non sia suffragata anche da una congrua attitudine marziale. Se il cervello era indubbiamente presente, lo spiedo non lo ha accompagnato a dovere. Qualcuno a questo punto, sentendosi inopinatamente attraversato da un lampo di genio militare, potrebbe sostenere che la risoluzione di Colin a non snudare il ferro altro non fosse che una ingegnosa strategia volta a sfoltire i numeri dei nemici prossimi venturi. Meglio farebbe a starsi zitto, dico io: la scelta di auspicare il sacrificio di uomini - per quanto probabili avversari - a vantaggio dell'appetito di un'orda di insetti, non si presta a plausi né lodi, ergo non ne riceverà da parte nostra. Ci limiteremo a dire che vi sono casi in cui, a fronte di situazioni particolarmente ostiche, il fine può arrivare a giustificare i mezzi: e a ricordare, da questo non possiamo certo esimerci, la massima immortale di quell'impareggiabile stratega che fu Avilius Dagor: sconfiggere il nemico senza combattere è la massima abilità. Lasciamo a chi legge il compito di trarre le debite conclusioni, certi che saprà raccapezzarsi da solo. VASO DI PANDORA.
LEITH
Questo singolare figuro dall'occhio languido e la zazzera irrequieta è la dimostrazione di quanto sostengo ormai da molti anni, e cioé che Camlan è il posto più vivibile del Granducato: non tanto perché abbia dato i natali a una simile iattura, bensì perché non ha esitato a metterlo rapidamente alla porta bollandolo come "brigante". Per quanto lodarmi non sia nella mia natura, non posso esimermi dal ricordare che fui io stesso, in tempi non sospetti, a muovermi per favorire l'allontanamento di questo lestofante dai confini del feudo che ho l'onere e l'onore di sorvegliare. Non mi stupisce affatto incontrarlo in questa situazione, pronto a scendere lancia in resta in un budello maleodorante ignorando la quantità, la qualità e le caratteristiche dei suoi nemici. Non è un caso che gli imbelli che lo hanno accompagnato, di cui avrò modo di parlare brevemente tra poco, siano morti: né mi stupisce che egli sia invece sopravvissuto, lesto com'è stato ad abbandonare la nave lasciando i suoi compagni a crepare dietro di lui. La sua rocambolesca fuga mi ha ricordato quei pescatori che, nell'imbattersi nella pinna di uno squalo anziché nel branco di tonni che si aspettavano, rovesciano in mare il contenuto della loro imbarcazione nella speranza di distrarre l'inseguitore quel tanto che basta per raggiungere la riva. CONTUMACE.
LUCANO
Non c'è molto da dire per questo povero disgraziato, il cui epitaffio si è scritto da solo nel momento in cui ha scelto di mettere la sua spada, anzi mazza, sotto l'egida del compare Leith. A una prima analisi si potrebbe pensare che le ragioni della sua morte siano dovute al mancato aiuto ricevuto da Colin e/o da Bohemond, dai quali il Nostro si aspettava - grosso errore - una mano che non è arrivata: non date retta, in questi casi l'errore è sempre del comandante e della superficialità con cui ha schierato in campo compagni ed alleati. Del resto, con degli amici come Leith non si ha bisogno di nemici. NEGLETTO.
CADOR
Il secondo dei caduti per mano, benché indiretta, di Leith e del suo "si salvi chi può". In questo caso la manovra è particolarmente mendace, poiché il Nostro avrebbe potuto essere evacuato con qualche round di vantaggio - con tutta probabilità sufficiente a salvargli la vita - se Leith non gli avesse chiuso la via di fuga, raggiungendo le scale prima di lui e traendosi così in salvo a spese del compagno (cfr. SVEN e la manovra di gambetto da lui operata, di cui avremo modo di parlare a breve). A differenza di Lucano, che se non altro aveva avuto la decenza di scendere munito di scudo ed è stato sopraffatto dalla sfortuna prima ancora che dai Kreepar, non possiamo che spendere parole di biasimo per Cador e per il suo assetto da battaglia, grandemente inadeguato per quella tipologia di spedizione. Per non parlare dell'inguardabile prova atletica che - meritatamente, tocca dirlo - lo condanna. DAPPOCO.
ENGELHAFT
Dopo questo breve excursus con gli eroi locali, torniamo ai soldati di Uryen. Merita senza dubbio una menzione Engelhaft, colpevole "soltanto" di non esserci stato. Possiamo forse fargliene una colpa? Non se si fosse trattato di una mano di Granducato o del giuoco del Capitano. Ma poiché trattavasi di una operazione militare, l'unica giustificazione per l'assenza dovrebbe essere la morte, e talvolta neanche quella suffice. RENITENTE.
BOHEMOND
Sorprendentemente - per chi lo conosce - mantiene un daghiavellico assetto difensivo per la quasi totalità dello scontro, al punto che viene quasi il dubbio che sia intento a pascersi delle disgrazie altrui. Stupisce che un soldato di sani e solidi principi, come ci ha tante volte abituato in passato, sia così risoluto a delegare a una torma di insetti giganti il ruolo di boia dei propri avversari: una morte orribile e tutt'altro che misericordiosa, farcita di urla e altri rumori non meno che disumani. E' possibile che la sua scelta sia dovuta alla consapevolezza che questi individui si fossero macchiati di atroci delitti, tali da giustificare una simile ritorsione. Degno comunque di nota il tentativo di mitigare i danni ai compagni, nel momento in cui questi entrano in contatto con lo Scorpione Spadaccino. BUONO MA VENDICATIVO.
VODAN
Poco comprensibile e a tratti contraddittorio - almeno rispetto ai suoi compagni - l'operato del Nostro, che rischia per l'ennesima volta di fare una pessima fine per favorire la ritirata di Leith e quindi tentare, sia pur invano, di trarre in salvo l'ormai defunto Cador. Che si tratti di altruismo o spirito di corpo tenderemmo a escluderlo: è più probabile che sia un tentativo di accreditare maggiormente la storia raccontata ai soldati di Ghaan, della quale sembra andare molto fiero. La recita è riuscita così bene da mantenere Leith ancora in vita, evitandogli uno scontro potenzialmente mortale con lo Scorpione Spadaccino. Se questo risultato servirà a farsi amico il lestofante, a rimpiazzare lui e i suoi uomini come interlocutori favoriti dei soldati di Ghaan o ad aiutarlo nella difficile quanto evidente risoluzione di entrare nel letto solitario della Caporalessa, non è dato sapere. FACILITATORE.
SVEN
Il Nostro offre una prestazione inizialmente coerente rispetto all'obiettivo - sia pur spietato e, cavallerescamente parlando, inconsistente - di indebolire le fila degli eroi locali per aver gioco facile in vista di un possibile scontro futuro. Analizzando con attenzione le sue azioni si evince poi l'ottimo tempismo con il quale è andato a prestare aiuto al compagno in difficoltà (cfr. Vodan), finendo di fatto per favorire anche la sopravvivenza di Leith. Ma la cosa che più salta all'occhio, che ad ogni buon conto può definirsi la più emblematica dell'intero scontro, è la soluzione tattica che viene a compiersi verso la fine dell'operazione mediante la quale, con un poderoso colpo di reni a seguito di una schivata, riesce a posizionarsi dietro Leith chiudendogli di fatto la ritirata. Il gambetto, che di fatto dura soltanto pochi istanti e non provoca conseguenze significative di per sé, ha l'indubbio effetto di aumentare il senso di ansia di Leith e portare quest'ultimo ad anteporre la sua salvezza a quella di Cador (cfr. LEITH e CADOR). OSTRUZIONISTA.
Si eclissa qui la nostra disamina. Inutile dire che qualunque consiglio sarebbe di troppo, qualsivoglia soluzione inevitabilmente parziale, ogni possibile suggerimento niente di meno che ingiurioso per l'intelligenza del lettore. La disamina, giova sempre ripeterlo, è alla stregua di un diamante dalle mille sfaccettature riflesso nell'occhio di chi guarda: troppo prezioso per attribuirgli un valore, e pur talmente etereo da non poter mai essere realmente ghermito. Riteniamo invece utile ricordare, come sempre, l'immortale moto d'arguzia degli Arcieri di Lankbow: a chi volesse farci notare che ne abbiamo già fatta menzione più e più volte rispondiamo con orgoglio che si, lo abbiamo fatto spesso: invero, esimersi dal ribadirlo sarebbe per noi come smettere di respirare.
Don’t be an ass
ovvero: qualora l'unico modo per avere la meglio sui tuoi oppositori fosse quello di manovrare nell'ombra al fine di disporli l'uno contro l'altro, evita di compiacertene apertamente e magari fingi di tirare almeno qualche colpo.
Ma soprattutto, mi preme aggiungere, cerca di astenerti dal metterti davanti all'unica uscita.
In special modo se è quella della latrina.
19 marzo 517
Sabato 10 Gennaio 2015
Tempo di Valutazioni
Ah, la guerra! L'apogeo dell'improvvisazione e del dilettantismo, il luogo di romor o da giullare in cui qualsiasi contadino in forza d'agitare un battigrano ardisce a darsi le arie del guerriero. A chi spetta l'arduo compito di porre mente alla bonifica di cotesta palude, spartendo con la dovuta contezza il probo dal licenzioso, il parco dal millantatore, il disgraziato dal beato?
Non certo alla disamina, la quale rifugge per sua natura il ruolo di iudex né potrebbe surrogare in alcun modo il duro e complesso ufficio di ben altri magistrati. A riprova di questo è opportuno rammentare le parole che il grande stratega ebbe a pronunziare al cospetto dell'incomparabile Avilius Dagor: non potest arbiter, inter alios iudicando, alterius ius mutare. Tanto l'interpretazione della suddetta, quanto la poc'anzi menzionata opera di distinzione, lasceremo con piacere nelle capaci mani del diritto militare, limitando il nostro contributo alla dispensa di alcune specifiche riflessioni scaturite dall'osservazione degli ultimi accadimenti.
Spetterà alla storia proferir sentenza su tale nostro modesto contributo, addossandoci l'eventuale merito d'aver tratto in salvo vite, mutato frivoli entusiasti in saggi soldati ovvero inciso sul dipanarsi o meno di qualsivoglia evento futuro.
Baaz Hardin (Sergente Maggiore, Esercito di Feidelm)
Non ha certo bisogno di presentazioni. Al tempo stesso gli andrebbe senz'altro a genio, mi si grazi la metafora, che i dadi della sorte lo tenessero maggiormente in conto. Ma delle sventure del nostro avremo modo di discutere più avanti. Inizieremo bensì rendicontando di come egli abbia svolto compuntamente il pur banale compito di condurre i soldati di Uryen presso il magistrato di Feidelm, senza peraltro privarsi del gusto di dispensare qualche trovata. Degna di menzione la frase pronunciata ai danni del soldato semplice Colin: "Io prima ti faccio costruire la forca e poi ti ci faccio appendere da solo", scotto che egli non esiterebbe a comminare al soldato che mancasse al suo cospetto. Parimenti meritevole di nota è l'opportunismo mostrato nel breve scontro sulle colline sulla via che conduce al cariceto: ci riferiamo indubitamente a quel "cazzo se si arrendono adesso!", con cui il nostro accompagnava un colpo di spada nell'interiora d'un avversario mentre questi meditava il da farsi a seguito dell'anatema pronunziato da Engelhaft.
Maestro nelle rinomate arti dell'analisi dell'ovvio - "ho l'impressione che chiunque sia stato, qualunque cosa abbia fatto, ci sia venuto a cavallo: a venti metri da qui ci sono tracce di cavallo" - e della derisione dell'altrui avversario: "Avrà un mese per meditare sul fatto che è una sega", chiosando il duello tra un Kraighar di Uthun e il comandante del battaglione Talon. Accetteremmo a questo punto l'emendamento di chi volesse opporre che, trattandosi di un soldato, sarebbe impietoso giudicarlo altrove che sul campo di battaglia: se non fosse che è proprio quel contesto a ritorcerglisi maggiormente contro.
Grande è il nostro scoramento nell'osservarlo al Crach-Tor mentre distrugge l'arma d'ordinanza al primo contatto col nemico (2-2-2) per poi sfoderare la seconda e tosto cadere da cavallo (1-1-1). Tornato in piedi privo di avversario, ormai irrimediabilmente sciamato nelle retrovie, cerca facile preda affiancando il soldato Colin, sotto i cui occhi già spettatori del pregresso è lesto a consumare uno scempio ulteriore (5-5-5) impedendo a entrambi di aggredire un singolo avversario in difficoltà.
Di questi eventi apparentemente scollegati la disamina non può che discernerne l'evidente contrappasso, ammirando come la sorte abbia scelto di porre a testimone delle infauste gesta del nostro proprio colui che da questi venne redarguito sulle pratiche di malcostume in ambito marziale. Ben seppe guardarsi da queste grame figure Avilius Dagor quando ebbe a pronunciare una delle sue frasi immortali: Imperare sibi maximum imperium est. Ci auguriamo che il sergente possa farne tesoro. DELETERIO.
Momento topico: « E' stato un piacere comandarvi »: il piacere è tutto tuo.
Kurt Baecker (Soldato Scelto, Esercito di Feidelm)
Sovente appellato altresì ''zazzera'' o ''sorriso''. Nell'osservarlo si apprende con sollievo che le cattive acque in cui versa il sergente non hanno ancora avvelenato la sua truppa: il milite al cui cospetto ci troviamo ci sembra completo nell'equipaggiamento e versatile nel ruolo, generoso negli interventi e capace di incidere opportunamente sullo scontro.
Al tempo stesso sussistono talune imperfezioni, probabile retaggio del summenzionato ed imperìto addestratore: qualche mancanza degna di nota nella disposizione tattica lo porta talvolta a effettuare scelte non ottimali. La manifesta predilezione per il combattimento a cavallo lo spinge a cercare la sella anche a costo di demandare la prima linea a compagni feriti o altrimenti meno abbienti, come in occasione dello scontro al Crach-Tor. Equitem equus non facit, così soleva dire Avilius Dagor: difficilmente incontreremo rappresentazioni altrettanto vivide di tale sempiterna verità. CAVALLARO.
Momento topico: quando cambia tre avversari a Crach-Tor nel giro di pochi round, rischiando a lungo di non ucciderne nessuno.
Mary Genner (Soldato Scelto, Esercito di Feidelm)
Raramente sono a mio agio quando la disamina mi spinge a esprimermi nei riguardi delle componenti meno marziali dell'esercito. La storia è quantomai avara di nozioni sulle soldatesse al fianco di Avilius Dagor, ed è nostra opinione che non si tratti certo di un caso. Ma non siamo qui per condannare né per operare discriminazione alcuna, nel bene e nel male: oggetto di osservazione della disamina è la sostanza, non certo la forma (o le forme).
Curiosamente, anzi, la prima a violare tale assunto è la nostra soldatessa, fin dalle sue prime battute rivolte a Kailah: ''non sembri un soldato''. ''La sai usare la spada?'' ''Vogliamo parlare di fidanzati?''. Tale è, ahinoi, l'evidente paradosso della donna soldato: tanta è la sua foga di spogliarsi degli abiti femminili per marcare la differenza rispetto alle muliebri interlocutrici che finisce immancabilmente per mettere in mostra tutte le sue forme. Straripanti, invero, nel suo mostrarsi intransigente con la recluta Ian; isteriche, nelle successive conversazioni con Kailah. Sopra le righe, come il colpo di spada con cui incastra la sua arma nel corpo del suo disgraziato avversario nella battaglia al Crach-Tor; grossolane, quando in più d'un occasione si lascia sfuggire i suoi avversari salvo poi rincorrerli con l'ansia di una sposa abbandonata sull'altare; insicure e al tempo stesso puerili, come la compulsiva ricerca di trofei per sé e per gli altri, coltivando forse l'effimera speranza che possano il gingillo o la reliquia garantirle quel rispetto così ambito eppur così distante da quanto le sue azioni riescono a ghermire.
Non resta altro da ricordare se non la sentenza lapidaria con cui il grande stratega che accompagnò Dagor, del quale abbiamo ahimé perduto il nome ma non un briciolo della sapienza, rispondeva a chi chiedeva a gran voce una qualsiasi onorificenza: Arma ornata inutilia, ovvero: se pensi che la tua armatura serve soltanto a reggere medaglie, significa che è giunto il momento di toglierla. Siamo certi che siffatto epilogo farebbe la felicità di molti. SOVRABBONDANTE.
Momento topico: « Facciamo così, tu ora questo cavallo lo ammazzi e poi ammazzi anche te stesso... » (alla recluta Ian). Giusto per essere certi di non sbagliare.
Ian Fegelein (Soldato semplice, Esercito di Feidelm)
Concludiamo la disamina del reparto di compagnia Fangzahn facendo rapida menzione dell'ultimo arrivato, che poi é anche il primo che rischia di andarsene per qualsivoglia ragione: il già citato Ian Fegelein. Il nostro non deve andare a genio agli storiografi, non essendo noto che come degno bersaglio delle angherie di Mary o per la sua tendenza ad ubriacarsi durante le giocate a dadi, nonché per gli atavici problemi con il cavallo.
La sua inconsistenza è tale da tenerlo al riparo dagli onori delle cronache fino al momento della sua uscita di scena. Non ci sentiamo tuttavia di criticarlo in alcun modo, attribuendo la sua evidente imperizia al tutt'altro che encomiabile operato del summenzionato sergente. ATOPICO.
Momento topico: nessuno.
Kain Werber (Tenente, Esercito di Uryen)
Il grado di Tenente evoca inevitabilmente grandi aspettative, non di rado disattese quando dal luccichio delle mostrine si passa alla mera pratica dei fatti. Non pensiamo sia il caso di questo ufficiale, che ha saputo finora tenere fede alle aspettative mostrandosi sempre ragionevole nelle decisioni e risolutivo negli scontri. E' di certo palese la poca dimestichezza con certi argomenti da studiosi: ma la disamina, così come Kain Werber, non si occupa di filosofia né trova interesse nel perseguire altre teorie che quelle connesse all'uso della spada. Della quale il nostro ha indubbiamente grande contezza.
Null'altro ci spetta di fare se non di eccepire su una certa abitudine, propria del nostro, a dotarsi di eccessivo scrupolo nell'amministrazione dello scontro nel momento in cui questo si approssima alla sua vittoriosa conclusione. Si prendano ad esempio gli scontri con i risvegliati, dapprima nei dintorni di Muddan quindi in quel di Lamaynn, dove il tenente mostra un certo imbarazzo nel porre fine alla contesa, sottraendo così la propria lama alle azioni susseguenti. Imputiamo tale scrupolosità, opinabilmente eccessiva, alla ferma volontà di non lasciare quartiere ad avversari pericolosi anche quando vinti, menomati o altrimenti brancolanti.
Giunti a questo punto avrà certo di che stupirsi colui che pensasse di trovare in cotesta analisi una lettura critica nei riguardi della tendenza, certamente riscontrabile nel nostro, a mantenere vuoto il bicchiere. Rispondo a tale stupore con una massima dello stratega: meglio del buon vino dentro una brocca che un cattivo soldato dentro una corazza. Vi passi per la testa di diventare soldati decenti invece di perdere tempo a pensare a cosa scorre nel sangue degli altri. ALLAPPANTE.
Momento topico: « Cacciato dalle nenie del nostro beneamato inquisitore, che comunque ringraziamo. ». Non tutti i mali vengono per nuocere.
Stern Rock (Sergente, Esercito di Uryen)
Secondo in comando tra i soldati di Uryen di stanza in quel di Amedran: sulle sue spalle gravano i meriti e le responsabilità delle prestazioni dei soldati appartenenti al suo plotone.
Ha poche occasioni di mostrarsi, costretto dal fato ad operare nei luoghi più tranquilli del conflitto. Mostra comunque notevole tempra e una certa disposizione d'animo nel momento in cui si trova di fronte un Kraighar di Uthun, cui si rivolge nei modi consoni a un sottufficiale di origine rurale, nonché, pochi istanti dopo, nell'esortazione apotropaica con cui spinge alla preghiera i componenti della sua squadra. RUSPANTE.
Momento topico: « Se avete domande, tenetevele ». Tanto per fugare ogni dubbio.
Sven Herzog (Soldato scelto, Esercito di Uryen)
Soldato dalle caratteristiche interessanti. Parla poco e mena tanto, qualità di certo rare in un esercito di contadini. Degno interprete di un duello contro un avversario più capace di lui nei pressi del Porto di Uryen (a tal proposito: a chi attribuisce l'esito dello scontro all'operato delle prostitute locali rispondo: non date retta. Le scuse servono solo a rendere più ridicola la sconfitta). Meritevoli anche le prestazioni al Crach-Tor, dove ha la meglio su due avversari in rapida successione, e nelle molte spedizioni ai danni dei risvegliati nei dintorni di Muddan.
Volendo cercare il pelo nell'uovo può ravvisarsi una certa distrazione nei riguardi di fatti comunque accessori e una aperta idiosincrasia nei confronti di talune questioni legate all'ambito onirico, filosofico, occultistico, religioso, superstizioso o altrimenti mistico: ma, come detto, ciò che molti vedono come un difetto è salutato da altri come un indubbio pregio. Confessiamo senza tema di trovarci a buon partito in compagnia dei secondi. GRANITICO.
Momento topico: « Vedo un tumulo! » (in vista dei Kairn di Grauth). Casa dolce casa.
Kailah Morstan (Soldato scelto, Esercito di Uryen)
Soldato complesso e dalle molte sfaccettature. Vi è chi, pur apprezzandone il viso e le forme, scuote la testa nel non vederle calzare i parametri con cui è abitualmente d'uopo giudicare un soldato. Di contro si dà il caso di chi si compiace nel vedere incarnate in una così graziosa figura tali e tante virtù militari: arciera, spadaccina, esperta di arti magiche nonché provetto falegname. Infine giunge chi si costringe a superare ciascuna di queste apparenze, giungendo così per primo a vedere la realtà dei fatti. La quale è anch'essa complessa e contraddittoria.
Mi si perdoni una necessaria premessa: la pratica militare è spesso crudele nei confronti del soldato ibrido, in quanto tende a naturalmente ad esaltare le sue qualità migliori deprimendo nel contempo le peggiori. La versatilità e la diversità sono malviste dalla coscrizione e dalla disciplina e la ragione è presto detta: chi di voi affiderebbe la sua gamba nelle mani d'un dottore non ottuagenario, sapendo ch'egli è anche maestro d'armi nonché esperto di mercati e mercanzie? E chi avrebbe l'ardire di salire sulla nave di un marinaio nel momento in cui questi si rivelasse come un assiduo praticante di mille e una ulteriori discipline? Non certo l'esercito. Il quale non è abituato a porre più che un'unica domanda, aspettandosi nel contempo una singola risposta efficace.
Nel caso di questa soldatessa di belle speranze possiamo dire che le risposte realmente efficaci sono essenzialmente due: l'arco e i trucchi di magia, stendendo sul resto un più che pietoso velo. Non che ci sia nulla da vergognarsi, specialmente se si è in grado di colpire la testa di un nemico da venti metri e di accendere un fuoco senza pietra e truciolare. Azioni compiute più volte nelle numerosi escursioni intorno a Muddan e poi in quel di Lamaynn. Ebbe dunque stranamente ragione Baaz Hardin - e non è cosa che ripeterò spesso - nell'esclamare: « con soldati come questi di guerre ne vinciamo due ». Facendo ben attenzione a non includere se stesso.
Ma può forse la disamina descrivere una rosa senza curarsi di vederne le spine? Solo un folle o uno sprovveduto potrebbe pensarlo. Ed è per questo che non possiamo non sanzionare l'eccessivo zelo con cui questa promettente soldatessa ha preso a perseguire stolidamente la via del sogno e delle creature immonde e inverosimili, cedendo alle lusinghe delle loro adulazioni - il proverbiale "buon profumo", puerile blandimento da vezzeggiatore - e accarezzandone l'appetito con lo sfoggio di riconoscenti manifestazioni di potere. Di fronte a questo florilegio di debolezze prettamente femminili non possiamo far altro che scuotere la testa, ricordando nel contempo un'altra massima immortale del profeta che sembra fatta su misura: mulier recte olet ubi nihil olet, ovvero: la donna degna di questo nome ha un buon profumo quando non ha alcun profumo. E' evidente che il monstrum non è di questo avviso, essendo il suo complimento unicamente buono per una donnaccia: ci auguriamo che Kailah possa palesarglisi in ben altro modo. ESIZIALE.
Momento topico: « Sai se ora dò fuoco al fantoccione così, per scherzo... » Scherza coi fanti, ma lascia stare gli ierofanti.
Engelhaft Todenehmer (Soldato scelto, Esercito di Uryen)
Giungiamo infine all'ultimo, solo per capriccio del caso, componente del plotone il cui stendardo guarda ad Uryen. Di parlare di cotesto milite ebbi già modo in passato e i più ricorderanno che non si trattò d'una menzione lusinghiera. Che si dica subito, senza inutili patemi: il coraggio è come una donna, o si possiede o è d'altrui appannaggio: allegoria entro cui Engelhaft, invero, giammai dismette le vestigia da presbitero. Altro non può fare la disamina che prenderne atto, costipando la sua valutazione entro i modesti ambiti del contributo che giunge dal suo bastone. Arma con la quale il nostro non manca comunque di manovrare con cospicuo mestiere, come mostrano gli scontri nelle vicinanze di Muddan.
Duole quindi in particolar modo quando all'ordine marziale si vede opporre la scappatoia, quando innanzi al dovere viene levato il pretesto, quando la strategia è messa in imbarazzo da una cronica mancanza di puntualità. Non smarrisca il lettore il senso della nostra analisi: non può darsi esercito senza retroguardia, come non v'è spedizione dotata di senno che si dia marcia anteponendo i muli ai cavalli, le salmerie ai fromboli, gli speziali ai guerrieri: qualcuno deve restare indietro, specie che sia medico o sacerdote. Ma che sia il vitello magro a far cenno al macellante di non adoperargli la lama, volgendo speranzoso lo sguardo verso il di lui pingue fratello, è questo che ci fa scuotere il capo. Non s'adoperi il soldato nello svolgere il mestiere del comandante!
Ciò detto, il capitolo potrebbe dirsi concluso: eppure, nel rispetto l'obiettività che contraddistingue la mia analisi, faremo menzione dell'ottimo impulso che prese al nostro nei riguardi del Kraighar di Uthun nel momento in cui questi ebbe a presentarsi a Muddan: una frase così poderosa da costringere il mostro a rotolarsi giù dalla scarpata, a riprova che la lingua ferisce più della spada. RITARDATARIO.
Momento topico: « Kayah, Signora della Notte, poni fine a questo incubo! » . Mai visti tanti sogni dopo questa frase.
Colin Tarr (Soldato semplice, Esercito di Uryen)
Che dire di questo giovane virgulto proveniente dalla lontana Greyhaven? Prometteva bene ma si è smarrito presto, perso nei meandri della scienza morbosa. La guerra invero è spesso teatro di oscene e grottesche pulsioni: taluni vengono ossessionati dal suo splendore, talaltri dall'ineluttabilità delle sue macabre danze. Scivoloni che abbondano tra la milizia, quasi vi fosse una malsana convinzione che il miope abbia diritto a una ricompensa in luogo del vedente. Non staremo adesso a tentar di discernere ove Colin abbia posto mente, assodato che sia non sia certo nell'elsa del suo stocco. La vexata quaestio sia, piuttosto, se la disamina abbia o meno a tener conto di certi sordastri, più che soldati. La risposta è, di rimando: certo che si. Tanto più che il nostro non è sprovveduto nel maneggiamento dello stocco, avendolo manovrato con rara perizia fin dal primo scontro e reiterando quindi la medesima nell'ampio novero dei susseguenti. Il che ci fornisce appieno il diritto di essere sinceramente dispiaciuti, giacché non v'è peggior sordo di chi rifugge per sua scelta di udire il suono del corno in favore del canto della prima sirena che passa.
Ascolti dunque Colin il nostro modesto ammonimento, rifiutando ogni goffa profferta di fidanzamento impartita dal di lui medesimo onirico vagare e declinandone testé il relativo anello, tornando piuttosto a brandire lo stocco. Cerchi inoltre il consiglio di qualche soldato capace e smaliziato sulle opportune modalità di approccio, ché fiutare una donna al primo appuntamento è come rompere a testate il guscio di una noce: poche speranze di mirarne il corpo nudo, assai di fare o farsi male. INDISCRETO.
Momento topico: « Credo sia importante che io sappia come mai è per te così importante lavarti » (a Annie). Sempre meglio fugare ogni dubbio.
Vodan Thorn (Soldato semplice, Esercito di Uryen)
Tanto abile quanto fortunato, questo soldato svolge con mirabile naturalezza tutto il contrario di quel che deve fare chiunque ambisca a portare a casa la pelle. Desiderio che gli è evidentemente precluso, stante la foga con cui supplica guerrieri e risvegliati di togliergli la vita, speranza che non tarderà a palesarsi in ogni caso.
Alla disamina non resta che osservare con lo stupore di chi, trovandosi in un cimitero, s'imbatte in quelle azzurre fiammelle che talvolta adornano le fosse dei morti: tanto grande è la meraviglia nel vederle brillare, quanto assoluta è la certezza che svaniranno entro l'alba. Nell'attesa dell'inevitabile ci sentiamo comunque in dovere di battere le mani. SCAVEZZACOLLO.
Momento topico: « C'è una notizia buona e dodici cattive. » E il bello è che quella buona neanche c'era.
Annie Volvert (Soldato semplice, Esercito di Uryen)
Graziosa contadinella dal fiero cipiglio e di modeste, seppur non insulse, doti militari. Degna di menzione con lo schioppafrecce, seppur messa in ombra dagli altrui risultati. Irrilevante con il gladio, come la massima parte delle sue muliebri compagne. Oggetto di attenzioni morbose da parte del soldato Colin. La disamina tende ad essere impietosa con le donne, quindi non stupiremo alcuno nel considerarla un elemento di distrazione più che una risorsa: abbiamo già reso noto di come lo stratega fosse restìo a fidarsi di quei soldati che si feriscono da sé una volta per mese, figuriamoci cosa avrebbe detto di questa pastorella che sanguina ogni giorno. Se davvero i Risvegliati non mostrano interesse ad attaccarla, la si mandi piuttosto a raccogliere legna e provviste nel bosco. FRAGRANTE.
Momento topico: « mi hanno visitata in tanti, ormai non ci faccio più caso. » La soldatessa alla visita militare.
Inga Stern (Soldato semplice di Grauth)
Niente male davvero. Se gli anni non avessero avuto così facile gioco ad accumularsi sulle mie spalle sono certo che anch'io, come molti soldati di Uryen, resterei colpito da un soldato così particolare. Al tempo stesso non sarei comunque stolto come quei fagiani che, pur di non smuoversi dal loro nido d'amore, giungono a farsi trafiggere in coppia dalla medesima freccia. Tenga a freno il soldato la fibbia della sua cintura, ché non v'è disposizione d'animo peggiore con cui recarsi in battaglia di quella dell'amante ansioso per l'incolumità della sua dama. Ma nel mentre che le pronunzio, so bene che coteste parole sono sprecate: miglior uso ne farei a gettarle in un cespo d'ortiche.
Poco altro ci tocca dire d'un milite ancora per lo più ignoto: ma che quella spada snudata contro il Risvegliato dal volto di gesso non ci abbia convinto affatto, questo lo esclameremo senza tema d'essere smentiti: e con altrettanta fermezza condanneremo le poche ma tignose affermazioni cui peraltro è stata tosto volta la gabbana, giacché di quelle creature mitologiche che di giorno si annoiano e di notte si nascondono dietro lo scudo non sappiamo che farcene. O forse si, ma non riguarda certo la nobile arte della disamina. FATUA.
Momento topico: « Preferisco fare io i morti, non che i morti vengano a farmisi. » Chi la fa la necrospettri.
Ingmar Brudde (milite di Muddan)
Ah, la guerra... Mestiere amaro per chi d'altri mestieri sia maestro. Né di certo è imputabile leggerezza alcuna nei compagni dello sventurato, giacché forte e chiaro, ancorché vano, suonò nell'aere quel tremendo avviso. Amaro ufficio è quello della disamina quando, nell'inseguire il dolo, non può che reperirlo nelle mancanze del questuato. E' storia che il nostro mancò non una, ma due occasioni di strapparsi di dosso il fardello della morte. Seppelliamolo dunque senza rimpianto alcuno e che la sua dipartita possa muovere a maggior prudenza chi non teme d'avventurarsi per selve infestate. INFAUSTO.
Momento topico: « Occhio a destra! ». E più non dimandare.
Elmo Mardin (milite di Muddan)
Successore di Ingmar alla guida del gruppo, si mostra financo nel nome risoluto a non voler calcare le orme del suo sventurato predecessore. Più facile a dirsi che a farsi, giacché viene miracolato dall'armatura durante la sua prima sortita. A Muddan ha modo di mostrarsi un valido manovratore di carriole, appiccando il fuoco che sarà d'impaccio ai brancolanti. Si intravede quindi sullo sfondo di qualche scaramuccia, ove però non marca impronte degne di nota. Per la rimanenza, svolge con decoro le sue mansioni di guida. Sospendiamo il giudizio, ma nel contempo avvertiamo: può brillare. In tutti i sensi. MIRACOLATO.
Momento topico: « Sto bene, l'armatura ha retto! ». Non offenderti qualora volessimo controllare.
Tico Pock (milite di Muddan)
Trattasi del sacripante fratello di Elmo, protagonista carismatico della difesa sulle barricate di Muddan in virtù dell'assetto solo apparentemente anomalo: due asce e un arco. Ammoniamo senza indugio colui che si stranisca, mostrando egli di razzolare nella medesima ignoranza del contadino che si pasce d'ignorare quanto buono sia il formaggio con le pere: non giudichi il citrullo quel che non gli compete e colga piuttosto l'occasione di imparare dal nostro. Dal canto nostro si comprende la scelta e si plaudono i risultati, degni di nota tanto a Muddan quanto nelle schermaglie in quel di Lamaynn. Poiché altro non è dato sapere non resta che dar contezza ai quanti abbiano avuto a dire sull'inopinato cognome del nostro, che risulta agli atti fratello del suddetto Elmo. Trattasi forse d'una svista dei biografi? O va piuttosto cercata una diversa genetliaca spiegazione? La risposta è la medesima: Quisquilie. Che tali insulse diatribe siano lasciate all'appannaggio degli storici, senza sottrarre alla disamina la dovuta attenzione. Ché il cognome di Tico certo non avvince quanto il mulinare delle sue asce. CONTROINTUITIVO.
Momento topico: « abbiamo un problema, dobbiamo sfruttare più possibile le ore di luce ma dobbiamo anche capire se ci stiamo infilando in un casino o no. Se procediamo lentamente e cerchiamo tracce di eventuali mostri morti, perdiamo tempo. Se andiamo sparati rischiamo di... » Dillo con parole tue.
Kraighar Tharkun (Guerriero di Uthun)
Last but not least, come solgono cantilenare gli Elfi. A fronte d'un siffatto giannizzero non v'è alquanto da proferire, se non che è saggia mossa evitare le sue pesti muovendo il proprio passo su più battuti sentieri. Che in tale monito non abbia però a trovar discolpa chi è già trito alla pratica dell'indugio - già mi sembra di veder l'asta d'un prete volgersi al saluto - poiché certe tenzoni alfine toccano, quantunque sia opportuno esimersi dal cercarle. E fortemente dubitiamo che cotesto masnadiero, prendendosi tal briga di venire, rinunzi spontaneamente al villaneggiamento rovinoso di cui s'è fieramente reso autore.
In soccorso dello sventurato oppositore venga pertanto, ancora una volta, l'istanza imperitura dello stratega: cui contigit, nullum rictum: a chi tocca non si dispiaccia, giacché grande è l'onore che troverà nello sconfiggere un grande nemico. O quantomeno nel tentare. FUNESTO.
Momento topico: « Lascia che io ti dimostri che non sono disarmato. » Non serve, ci fidiamo.
Qui s'interrompe il novero delle nostre valutazioni. Non siano gli elogi principio d'ozio, né abbiano le censure ad esser cagion d'ira. La disamina è cieca alla faziosità, sorda al rancore e onnisciente in tutti gli altri casi. In rafforzo alle nostre parole ci preme ripetere ancora una volta l'ineffabile insegnamento degli Arcieri di Lankbow:
Don’t be an ass
ovvero: evita di accanirti contro il giudizio altrui, giacché è nelle tue mancanze che troverai il vero nemico.
E ora che ho detto e fatto non resta che ritirarmi in buon ordine, lasciandovi a meditare sulle molte lezioni apprese: quando ci rivedremo sarete soldati migliori, o non vi sarete affatto.
1 novembre 516
Lunedì 10 Marzo 2014
l'Importanza della Finzione
La strategia è la via del paradosso. Così, chi è abile, si mostri maldestro; chi è utile, si mostri inutile. Chi è affabile, si mostri scostante; chi è scostante, si mostri affabile.
Così soleva dire un grande stratega e condottiero che accompagnò Avilius Dagor sul Passo e con lui trionfò sui fieri Khanast a Nord delle Allston. Talvolta fa piacere osservare come gli insegnamenti del glorioso passato vengano messi a frutto dal combattente odierno spingendolo, pur nei modesti ambiti delle sue capacità, verso una apprezzabile vittoria.
Non è questo il caso.
E non perché si possa eccepire sul mero risultato, che poi è ciò di cui si riempiranno la bocca gli storici e le cui cifre, ricopiate da mano malferma, accompagneranno le cronache di quanto si è testé consumato: possiamo forse togliere i boccali di mano a quanti brinderanno su un’altra sconfitta del popolo invasore? No, non possiamo. Eppure la nostra esperienza ci impone di astenerci da questo simposio, onde mantenere la lucidità necessaria per volgere lo sguardo verso quanto è realmente accaduto. E l’occhio dell’analisi, si sa, tende per sua natura a risultare impietoso.
Non me ne vogliano dunque i protagonisti di questo ennesimo dispendio di energie. A ciascuno di loro non posso che ricordare il monito che gli Arcieri di Lankbow sono soliti ripetere dopo ogni grande battaglia:
Don’t be an ass
ovvero: osserva con temperanza il tuo errore, giacché rendersi invincibili significa conoscere se stessi.
Caso numero 2 – Un carro, uno zoppo e una gamba di meno.
La disposizione iniziale dei nostri (fig.1) è corretta al punto da risultare irrilevante: l’agguato, al contrario, non è certo dei migliori. Non mi riferisco soltanto alla pur minima inferiorità numerica, facilmente risolvibile da un giavellotto ispirato – ma è saggio colui che, sapendo quanto dovrà confidare sul fato, ad esso si affida ancor prima di iniziare? – ma alla scelta del terreno e alle modalità di attacco. Quel masso e quegli arbusti, amici miei, sono regali costosi da elargire a un avversario. Una battaglia non è una donna dai facili costumi: non serve una collana per farla vostra, bensì un’impeccabile prestazione.
I Nordri avanzano, in linea con il loro atteggiamento temerario e forti di un potenziale da lancio sulla carta superiore. Ci si aspetterebbe dai nostri una pronta reazione che però giunge solo in parte: Kailah è la più veloce, raggiungendo un agevole riparo e pescando a più riprese l’ala sinistra degli avversari, peraltro priva di scudi. Vodan manovra per opporre il suo arco alla propulsione centrale, ottenendo un discreto riscontro su Gunner ancorché mitigato dall’armatura. Bohemond si accinge a contenere l’impatto, confidando che l’ala opposta faccia lo stesso. Ma le pedine dello scacchiere centrale assumono un atteggiamento interlocutorio, che getta le basi per quanto accadrà dopo. Stefen, forse impaurito dalla freccia che il Nordro Lasse proietta senza esito sulla sua armatura, mostra una certa rigidità nei movimenti che lo trattengono di fatto sul carro.
Kain recupera le armi, evidenziando fin dalle prime battute un’indolenza giustificata solo in parte dal fatto di aver rinunciato al comando. Ma è soprattutto Engelhaft a sorprendere, nella sua scelta di cercare sotto al carro il riparo da un giavellotto che il fato deposita innocuo ai suoi piedi. Meglio avrebbe fatto il sacerdote a confidare in esso e nei suoi Dei muovendo in avanti anziché indietro. Vi sia da monito, miei cari amici, un altro insegnamento del grande stratega:
Una volta colte, le opportunità si moltiplicano.
Ebbene, io vi dico che sotto a un carro non ne troverete alcuna.
L’avanzata dei Nordri continua, scandita da un mutuo scambio di proiettili. Il grande stratega soleva dire:
Il leone usa tutta la sua forza anche per uccidere un coniglio.
Un pensiero simile a questo dev’essere balenato nella testa del Nordro Stevard per spiegare la sua decisione di trascurare Kailah e rivolgere il primo dei suoi giavellotti all’indirizzo di Engelhaft. Una decisione che si rivela doppiamente errata: la freccia penetra l’armatura come un coltello caldo nel burro, lasciandogli ben poco scampo. Anche il secondo giavellotto è frenato dal fato ma il suo bersaglio si ostina a non mutare la sorte in opportunità, abbandonando i dintorni del carro soltanto per nascondersi dietro al vicino masso.
Diverso atteggiamento, ma analogo risultato, è quello tenuto e ottenuto da Stefen e Kain che si mostrano restii ad abbandonare il carro. Con un’opposizione tanto lasca non c’è da stupirsi che il centro Nordro riesca ad avanzare indisturbato, tollerando le frecce di Vodan e cercando con forza la superiorità numerica al centro. L’assenza di avversari consente ad Har lo Zoppo di coprire la spinta con un’ascia da lancio, che lambisce la testa di Vodan e finisce tra i rami.
Il centro giunge a contatto. Bohemond viene ingaggiato da Gunnar e rischia di trovarsi solo: Vodan è costretto ad abbandonare l’arco e a raggiungerlo, incrociando le armi con Kalli; Har raggiunge il carro provocando l’entrata in azione di Engelhaft; Kailah pesca ancora l’arciere Lasse, spingendolo verso una ritirata che non potrà definirsi strategica. Assente ben poco giustificato Stefen, che preferisce muovere verso l’ormai cadaverico Stevard; ma se l’inesperienza può aiutare a comprendere i movimenti della recluta, né la ragion militare né la stessa ragione forniscono risposte volte a spiegare il vagabondare sconnesso di Kain. Con tutto il rispetto che mi preme tributare al glorioso eroe della Rocca di Aranheim dubito che il già pluricitato stratega, quando soleva ripetere che:
Sconfiggere il nemico senza combattere è la massima abilità
avesse in mente qualcosa del genere.
Kailah abbandona il suo riparo per chiudere la distanza che la separa da Lasse. Bohemond e Vodan hanno la meglio sui loro avversari: il primo si dirige in aiuto del prete, che è messo in seria difficoltà da Har e subisce un colpo d’ascia al torace. Il secondo, certo che Stefen seguirà l’esempio di Bohemond e che Kain sopraggiungerà di lì a poco, si getta a sua volta sull’arciere in ricarica.
Ed è in quel momento, amici miei, che accade l’imponderabile.
Non è facile, per chi non c’era, comprendere ciò che è accaduto. Ed è tanto meno agevole, persino per chi ne ha viste tante, determinare il peso e attribuire le responsabilità dei molteplici eventi che si sono susseguiti in quei pochi secondi cruciali, e che hanno rischiato di trasformare un trionfo già scritto in una pagina di storia da non ricordare.
Si potrebbe porre l’accento sull’ordine di spostare il carro impartito da Kain a Stefen, che ha avuto l’effetto – di certo involontario, ma non per questo meno grave - di distogliere la spada della giovane recluta dal fianco vulnerabile di Har lo Zoppo. Si potrebbe sottolineare come l’atteggiamento di Engelhaft, che definiremo senza tema di smentita pusillanime, non abbia consentito a Bohemond e quindi a Kain di assestare al Nordro dei colpi decisivi in tempo utile. E sento già lo starnazzare di quanti sarebbero qui disposti a mettere la testa sotto la sabbia e a dare la colpa al fato, all’incidenza funesta di un singolo colpo fortuito.
Ma chi mi conosce sa che non sono propenso ad accettare risposte tanto dozzinali. La disamina non è il passatempo del cialtrone frettoloso, bensì l’arte dell’osservatore consapevole. E’ per questo che siamo qui, e non in taverna di fronte a un boccale pieno.
Preferisco dunque lasciarvi con un ultimo contributo del grande stratega che accompagnò Dagor nella sua impresa, nella speranza che possa guidarvi da soli nell’analisi di quanto accaduto e mettervi in guardia da conclusioni affrettate.
Se sei capace, fingi incapacità; se sei attivo, fingi inattività.
Ma ricordatevi sempre di smettere di fingere, prima che sia troppo tardi.
EDIT: Intervengo per sedare sul nascere alcune osservazioni che ho ricevuto in merito a quanto scritto: non è nella mia natura indulgere nella polemica ma ritengo opportuno chiarire alcuni aspetti, fermo restando che il particolare non va confuso con il dettaglio: la disamina si propone di cogliere il grande disegno, non di contare le pennellate.
Mi dicono che Kain dormiva al momento dell'attacco, ebbene io rispondo con le parole dello stratega: bisogna essere preparati ad ogni imprevisto. Sentitevi liberi di ignorarle, magari il vostro compagno ha ancora entrambe le gambe nel sogno di qualcuno di voi.
Mi dicono che avrei attribuito ad Engelhaft un giavellotto scagliato a Kailah e a quest'ultima una freccia rivolta ad Engelhaft: quisquilie che lascio dirimere a storiografi e romanzieri. Preoccupatevi di ciò che vi buca i polmoni, non di quello che rimbalza sulle armature.
Così soleva dire un grande stratega e condottiero che accompagnò Avilius Dagor sul Passo e con lui trionfò sui fieri Khanast a Nord delle Allston. Talvolta fa piacere osservare come gli insegnamenti del glorioso passato vengano messi a frutto dal combattente odierno spingendolo, pur nei modesti ambiti delle sue capacità, verso una apprezzabile vittoria.
Non è questo il caso.
E non perché si possa eccepire sul mero risultato, che poi è ciò di cui si riempiranno la bocca gli storici e le cui cifre, ricopiate da mano malferma, accompagneranno le cronache di quanto si è testé consumato: possiamo forse togliere i boccali di mano a quanti brinderanno su un’altra sconfitta del popolo invasore? No, non possiamo. Eppure la nostra esperienza ci impone di astenerci da questo simposio, onde mantenere la lucidità necessaria per volgere lo sguardo verso quanto è realmente accaduto. E l’occhio dell’analisi, si sa, tende per sua natura a risultare impietoso.
Non me ne vogliano dunque i protagonisti di questo ennesimo dispendio di energie. A ciascuno di loro non posso che ricordare il monito che gli Arcieri di Lankbow sono soliti ripetere dopo ogni grande battaglia:
Don’t be an ass
ovvero: osserva con temperanza il tuo errore, giacché rendersi invincibili significa conoscere se stessi.
Caso numero 2 – Un carro, uno zoppo e una gamba di meno.
La disposizione iniziale dei nostri (fig.1) è corretta al punto da risultare irrilevante: l’agguato, al contrario, non è certo dei migliori. Non mi riferisco soltanto alla pur minima inferiorità numerica, facilmente risolvibile da un giavellotto ispirato – ma è saggio colui che, sapendo quanto dovrà confidare sul fato, ad esso si affida ancor prima di iniziare? – ma alla scelta del terreno e alle modalità di attacco. Quel masso e quegli arbusti, amici miei, sono regali costosi da elargire a un avversario. Una battaglia non è una donna dai facili costumi: non serve una collana per farla vostra, bensì un’impeccabile prestazione.
I Nordri avanzano, in linea con il loro atteggiamento temerario e forti di un potenziale da lancio sulla carta superiore. Ci si aspetterebbe dai nostri una pronta reazione che però giunge solo in parte: Kailah è la più veloce, raggiungendo un agevole riparo e pescando a più riprese l’ala sinistra degli avversari, peraltro priva di scudi. Vodan manovra per opporre il suo arco alla propulsione centrale, ottenendo un discreto riscontro su Gunner ancorché mitigato dall’armatura. Bohemond si accinge a contenere l’impatto, confidando che l’ala opposta faccia lo stesso. Ma le pedine dello scacchiere centrale assumono un atteggiamento interlocutorio, che getta le basi per quanto accadrà dopo. Stefen, forse impaurito dalla freccia che il Nordro Lasse proietta senza esito sulla sua armatura, mostra una certa rigidità nei movimenti che lo trattengono di fatto sul carro.
Kain recupera le armi, evidenziando fin dalle prime battute un’indolenza giustificata solo in parte dal fatto di aver rinunciato al comando. Ma è soprattutto Engelhaft a sorprendere, nella sua scelta di cercare sotto al carro il riparo da un giavellotto che il fato deposita innocuo ai suoi piedi. Meglio avrebbe fatto il sacerdote a confidare in esso e nei suoi Dei muovendo in avanti anziché indietro. Vi sia da monito, miei cari amici, un altro insegnamento del grande stratega:
Una volta colte, le opportunità si moltiplicano.
Ebbene, io vi dico che sotto a un carro non ne troverete alcuna.
L’avanzata dei Nordri continua, scandita da un mutuo scambio di proiettili. Il grande stratega soleva dire:
Il leone usa tutta la sua forza anche per uccidere un coniglio.
Un pensiero simile a questo dev’essere balenato nella testa del Nordro Stevard per spiegare la sua decisione di trascurare Kailah e rivolgere il primo dei suoi giavellotti all’indirizzo di Engelhaft. Una decisione che si rivela doppiamente errata: la freccia penetra l’armatura come un coltello caldo nel burro, lasciandogli ben poco scampo. Anche il secondo giavellotto è frenato dal fato ma il suo bersaglio si ostina a non mutare la sorte in opportunità, abbandonando i dintorni del carro soltanto per nascondersi dietro al vicino masso.
Diverso atteggiamento, ma analogo risultato, è quello tenuto e ottenuto da Stefen e Kain che si mostrano restii ad abbandonare il carro. Con un’opposizione tanto lasca non c’è da stupirsi che il centro Nordro riesca ad avanzare indisturbato, tollerando le frecce di Vodan e cercando con forza la superiorità numerica al centro. L’assenza di avversari consente ad Har lo Zoppo di coprire la spinta con un’ascia da lancio, che lambisce la testa di Vodan e finisce tra i rami.
Il centro giunge a contatto. Bohemond viene ingaggiato da Gunnar e rischia di trovarsi solo: Vodan è costretto ad abbandonare l’arco e a raggiungerlo, incrociando le armi con Kalli; Har raggiunge il carro provocando l’entrata in azione di Engelhaft; Kailah pesca ancora l’arciere Lasse, spingendolo verso una ritirata che non potrà definirsi strategica. Assente ben poco giustificato Stefen, che preferisce muovere verso l’ormai cadaverico Stevard; ma se l’inesperienza può aiutare a comprendere i movimenti della recluta, né la ragion militare né la stessa ragione forniscono risposte volte a spiegare il vagabondare sconnesso di Kain. Con tutto il rispetto che mi preme tributare al glorioso eroe della Rocca di Aranheim dubito che il già pluricitato stratega, quando soleva ripetere che:
Sconfiggere il nemico senza combattere è la massima abilità
avesse in mente qualcosa del genere.
Kailah abbandona il suo riparo per chiudere la distanza che la separa da Lasse. Bohemond e Vodan hanno la meglio sui loro avversari: il primo si dirige in aiuto del prete, che è messo in seria difficoltà da Har e subisce un colpo d’ascia al torace. Il secondo, certo che Stefen seguirà l’esempio di Bohemond e che Kain sopraggiungerà di lì a poco, si getta a sua volta sull’arciere in ricarica.
Ed è in quel momento, amici miei, che accade l’imponderabile.
Non è facile, per chi non c’era, comprendere ciò che è accaduto. Ed è tanto meno agevole, persino per chi ne ha viste tante, determinare il peso e attribuire le responsabilità dei molteplici eventi che si sono susseguiti in quei pochi secondi cruciali, e che hanno rischiato di trasformare un trionfo già scritto in una pagina di storia da non ricordare.
Si potrebbe porre l’accento sull’ordine di spostare il carro impartito da Kain a Stefen, che ha avuto l’effetto – di certo involontario, ma non per questo meno grave - di distogliere la spada della giovane recluta dal fianco vulnerabile di Har lo Zoppo. Si potrebbe sottolineare come l’atteggiamento di Engelhaft, che definiremo senza tema di smentita pusillanime, non abbia consentito a Bohemond e quindi a Kain di assestare al Nordro dei colpi decisivi in tempo utile. E sento già lo starnazzare di quanti sarebbero qui disposti a mettere la testa sotto la sabbia e a dare la colpa al fato, all’incidenza funesta di un singolo colpo fortuito.
Ma chi mi conosce sa che non sono propenso ad accettare risposte tanto dozzinali. La disamina non è il passatempo del cialtrone frettoloso, bensì l’arte dell’osservatore consapevole. E’ per questo che siamo qui, e non in taverna di fronte a un boccale pieno.
Preferisco dunque lasciarvi con un ultimo contributo del grande stratega che accompagnò Dagor nella sua impresa, nella speranza che possa guidarvi da soli nell’analisi di quanto accaduto e mettervi in guardia da conclusioni affrettate.
Se sei capace, fingi incapacità; se sei attivo, fingi inattività.
Ma ricordatevi sempre di smettere di fingere, prima che sia troppo tardi.
EDIT: Intervengo per sedare sul nascere alcune osservazioni che ho ricevuto in merito a quanto scritto: non è nella mia natura indulgere nella polemica ma ritengo opportuno chiarire alcuni aspetti, fermo restando che il particolare non va confuso con il dettaglio: la disamina si propone di cogliere il grande disegno, non di contare le pennellate.
Mi dicono che Kain dormiva al momento dell'attacco, ebbene io rispondo con le parole dello stratega: bisogna essere preparati ad ogni imprevisto. Sentitevi liberi di ignorarle, magari il vostro compagno ha ancora entrambe le gambe nel sogno di qualcuno di voi.
Mi dicono che avrei attribuito ad Engelhaft un giavellotto scagliato a Kailah e a quest'ultima una freccia rivolta ad Engelhaft: quisquilie che lascio dirimere a storiografi e romanzieri. Preoccupatevi di ciò che vi buca i polmoni, non di quello che rimbalza sulle armature.
23 settembre 516
Domenica 1 Dicembre 2013
E' il momento della disamina
Non sempre una carica frontale è la tattica migliore.
Ho deciso di mettere la mia immensa esperienza al vostro servizio, esaminando per bene i vostri scontri, nella speranza di migliorare il vostro approccio tattico. Approccio, spero perdonerete la mia franchezza, un po' troppo nordico, per non dire un po' troppo rozzo.
Potete intervenire tutti liberamente, non temete. Ma mi raccomando, non vi fate prendere la mano e moderate i toni.
(per favorire la massima interazione ho abilitato come autori del diario Annika, DarkAngel, Elmer's pupil e Starless, che quindi non sono limitati ai commenti, ma possono postare autonomamente)
Caso numero 1 - Assalto alla banda di Osvald.
Nello scontro con la cricca di Osvald il gruppo dei nostri è stato senza dubbio sfortunato, bisogna concederglielo, soprattutto all'inizio, quando ha subito pesanti perdite da cui sembrava difficile risollevarsi.
Ma tutto sommato non così tanto sfortunato come potrebbe sembrare di primo acchitto, visto che in altri momenti cruciali dello scontro il fato gli ha arriso.
Penso al triplo 000 che ha permesso a Sven di disarmare un avversario e negare ai nemici, per ben 3 round e nel momento decisivo dello scontro, una superiorità numerica che sarebbe risultata fatale.
Penso al colpo da knock-out che subito dopo ha inferto Boris con perfetto tempismo, proprio al momento giusto per negare di nuovo quella stessa superiorità, proprio quando finalmente l'avversario aveva raccolto l'arma.
E penso al 777 di Kailah che di nuovo ha sottratto al centro del combattimento, dove si decidevano le sorti dello scontro, un avversario, esattamente nel momento di maggior bisogno.
La scelta di Boehomond di posizionarsi alla sinistra di Sven, invece che alla destra, sebbene molto coraggiosa e generosa, non può non essere definita come un errore tattico (tav. 1).
Sulla sinistra avrebbe dovuto incassare un malus dato dalla pendenza, ma probabilmente non sarebbe stato superiore allo scarto di abilità, evidente, tra Osvald ed il suo tirapiedi; e poi era un malus non definitivo, ma tutto sommato pur sempre azzerabile.
Eppure quello nato come un errore tattico si è rivelato essere la chiave di volta del combattimento, e quindi, dobbiamo ammetterlo, la scelta più giusta. La fortuna dei principianti?
Un imprevedibile 000 ed il conseguente disarmo di un avversario hanno infatti permesso a Sven di azzerare l'inferiorità numerica e a dedicarsi ad una serie di cinici tatticismi ai limiti del regolamento (tav. 2).
Il caso, cinico anch'esso, ha voluto che Bohemond evitasse grossi danni nel momento di maggiore rischio, e li subisse invece quando lo scontro sembrava ormai finito.
Esemplificativo dell'andamento paradossale dello scontro è quanto successo a Kailah.
Una serie obiettivamente sfortunata di frecce finite sugli scudi, persino la corda dell'arco saltata via, eppure uno dei suoi tiri ha dato la svolta finale allo scontro attirando via dal centro una pedina che poteva risultare fondamentale (tav. 3).
Qualcuno potrebeb dire che così è la guerra, una serie di accadimenti casuali che rendono inutile ogni piano e ogni pianificazione tattica o strategica.
Ma io vi dico: non date retta. E ricordate sempre questo insegnamento: la configurazione tattica eccellente, dal punto di vista strategico, consiste nell’essere privi di configurazione tattica.
Come primi spunti, direi che possono bastare.
Non voglio confondervi con troppe indicazioni al di sopra delle vostre capacità attuali.
Ho deciso di mettere la mia immensa esperienza al vostro servizio, esaminando per bene i vostri scontri, nella speranza di migliorare il vostro approccio tattico. Approccio, spero perdonerete la mia franchezza, un po' troppo nordico, per non dire un po' troppo rozzo.
Potete intervenire tutti liberamente, non temete. Ma mi raccomando, non vi fate prendere la mano e moderate i toni.
(per favorire la massima interazione ho abilitato come autori del diario Annika, DarkAngel, Elmer's pupil e Starless, che quindi non sono limitati ai commenti, ma possono postare autonomamente)
Caso numero 1 - Assalto alla banda di Osvald.
Nello scontro con la cricca di Osvald il gruppo dei nostri è stato senza dubbio sfortunato, bisogna concederglielo, soprattutto all'inizio, quando ha subito pesanti perdite da cui sembrava difficile risollevarsi.
Ma tutto sommato non così tanto sfortunato come potrebbe sembrare di primo acchitto, visto che in altri momenti cruciali dello scontro il fato gli ha arriso.
Penso al triplo 000 che ha permesso a Sven di disarmare un avversario e negare ai nemici, per ben 3 round e nel momento decisivo dello scontro, una superiorità numerica che sarebbe risultata fatale.
Penso al colpo da knock-out che subito dopo ha inferto Boris con perfetto tempismo, proprio al momento giusto per negare di nuovo quella stessa superiorità, proprio quando finalmente l'avversario aveva raccolto l'arma.
E penso al 777 di Kailah che di nuovo ha sottratto al centro del combattimento, dove si decidevano le sorti dello scontro, un avversario, esattamente nel momento di maggior bisogno.
La scelta di Boehomond di posizionarsi alla sinistra di Sven, invece che alla destra, sebbene molto coraggiosa e generosa, non può non essere definita come un errore tattico (tav. 1).
Sulla sinistra avrebbe dovuto incassare un malus dato dalla pendenza, ma probabilmente non sarebbe stato superiore allo scarto di abilità, evidente, tra Osvald ed il suo tirapiedi; e poi era un malus non definitivo, ma tutto sommato pur sempre azzerabile.
Eppure quello nato come un errore tattico si è rivelato essere la chiave di volta del combattimento, e quindi, dobbiamo ammetterlo, la scelta più giusta. La fortuna dei principianti?
Un imprevedibile 000 ed il conseguente disarmo di un avversario hanno infatti permesso a Sven di azzerare l'inferiorità numerica e a dedicarsi ad una serie di cinici tatticismi ai limiti del regolamento (tav. 2).
Il caso, cinico anch'esso, ha voluto che Bohemond evitasse grossi danni nel momento di maggiore rischio, e li subisse invece quando lo scontro sembrava ormai finito.
Esemplificativo dell'andamento paradossale dello scontro è quanto successo a Kailah.
Una serie obiettivamente sfortunata di frecce finite sugli scudi, persino la corda dell'arco saltata via, eppure uno dei suoi tiri ha dato la svolta finale allo scontro attirando via dal centro una pedina che poteva risultare fondamentale (tav. 3).
Qualcuno potrebeb dire che così è la guerra, una serie di accadimenti casuali che rendono inutile ogni piano e ogni pianificazione tattica o strategica.
Ma io vi dico: non date retta. E ricordate sempre questo insegnamento: la configurazione tattica eccellente, dal punto di vista strategico, consiste nell’essere privi di configurazione tattica.
Come primi spunti, direi che possono bastare.
Non voglio confondervi con troppe indicazioni al di sopra delle vostre capacità attuali.