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1 agosto 516
Martedì 16 Aprile 2013
Le buone e le cattive
La tentazione di arrischiarcela, e di fare il colpaccio, c'è.
Ho detto al Sergente Diamond che saremmo tornati con la ragazzina e mi rode troppo di tornare a mani vuote, riportandoci indietro la puttana nordra e il capo di questi predoni delle Ombre Nere.
Gente inutile, altre bocche da sfamare per le patrie galere.
Invece a mezza giornata di distanza c'è la baia dove il Poeta trascorre le sue ore felici a comporre poesie e a stuprare le nostre ragazzine. C'è il Poeta e altri 50 nordri bastardi par suo, certo, ma noi abbiamo qualcosa che gli interessa, forse possiamo provare uno scambio.
Gli diamo la donna, che evidentemente ha del valore se il clan rivale si è scomodato per venirsela a prendere, e gli diamo questo prigioniero.
Loro ci danno la ragazzina e tanti saluti, arrivederci e nemici come prima.
Si pongono alcuni ordini di problemi.
Comunicare non è facile: le poche bestemmie che conosco nella lingua dei Nordri non saranno di grande aiuto nell'intavolare una trattativa. Possiamo sfruttare la nostra prigioniera, che ha tutto l'interesse a collaborare, visto che da un lato ha la possibilità di tornare libera, dall'altra di essere la prima che sarà sgozzata se le cose si mettono male.
Anche arrivare indisturbati alla Baia del Poeta non è facile, non saranno tanto imbecilli da non aver piazzato qualche vedetta. L'ideale sarebbe prenderci una vedetta, rispedirla alla baia con il messaggio e aspettare una risposta. Se arrivano in pochi con la ragazzina bene, se arrivano in 50 ammazziamo la prigioniera e ci prepariamo a morire martiri, portandone il più possibile all'inferno con noi.
Ci sono anche dei lati positivi.
Portare a termine la missione, prima di tutto. I "Volontari" non lasciano le cose a metà, anche a costo di prendersi qualche rischio più del necessario. Dobbiamo liberare la ragazzina, e con una ragazzina voglio tornare alla Torre Due.
Non mi frega della ragazzina di per sè, ma non glie la possiamo lasciare, non va bene. E' proprio una questione di principio.
Un po' mi urta il fatto che loro ci daranno la ragazzina molto pesantemente "usata", mentre noi gli restiuiamo la puttana ancora nuova, senza che nessuno le abbia torto un capello. Ma che si può fare, questione di stile, mettiamola così.
L'altro lato positivo, che mi invoglia a tentare questa cazzata, è che noi dobbiamo ringraziare tutti gli Dei, a partire da Azatoth, per il fatto che i Clan Nordri si facciano la guerra tra di loro.
Dovessero mettersi d'accordo, per noi sarebbe un casino dieci volte peggio che adesso.
Quindi se portiamo in omaggio al Poeta il capo della spedizione delle Ombre Nere, stuzzicheremo la zizzania tra clan, magari causeremo qualche ritorsione, qualche spargimento di sangue tra cugini nordri.
Tocca tentare.
Questo è un incarico per veri Volontari. Chi non vuole partecipare potrà restare a distanza di sicurezza. Peccato per Aaron, senza braccia non sarà di grande aiuto, gli dispiacerà perdersi lo spettacolo.
Andiamo a trovare il Poeta. Mi è sempre piaciuta la poesia, che non si dica che sono un tipo prosaico.
Ho detto al Sergente Diamond che saremmo tornati con la ragazzina e mi rode troppo di tornare a mani vuote, riportandoci indietro la puttana nordra e il capo di questi predoni delle Ombre Nere.
Gente inutile, altre bocche da sfamare per le patrie galere.
Invece a mezza giornata di distanza c'è la baia dove il Poeta trascorre le sue ore felici a comporre poesie e a stuprare le nostre ragazzine. C'è il Poeta e altri 50 nordri bastardi par suo, certo, ma noi abbiamo qualcosa che gli interessa, forse possiamo provare uno scambio.
Gli diamo la donna, che evidentemente ha del valore se il clan rivale si è scomodato per venirsela a prendere, e gli diamo questo prigioniero.
Loro ci danno la ragazzina e tanti saluti, arrivederci e nemici come prima.
Si pongono alcuni ordini di problemi.
Comunicare non è facile: le poche bestemmie che conosco nella lingua dei Nordri non saranno di grande aiuto nell'intavolare una trattativa. Possiamo sfruttare la nostra prigioniera, che ha tutto l'interesse a collaborare, visto che da un lato ha la possibilità di tornare libera, dall'altra di essere la prima che sarà sgozzata se le cose si mettono male.
Anche arrivare indisturbati alla Baia del Poeta non è facile, non saranno tanto imbecilli da non aver piazzato qualche vedetta. L'ideale sarebbe prenderci una vedetta, rispedirla alla baia con il messaggio e aspettare una risposta. Se arrivano in pochi con la ragazzina bene, se arrivano in 50 ammazziamo la prigioniera e ci prepariamo a morire martiri, portandone il più possibile all'inferno con noi.
Ci sono anche dei lati positivi.
Portare a termine la missione, prima di tutto. I "Volontari" non lasciano le cose a metà, anche a costo di prendersi qualche rischio più del necessario. Dobbiamo liberare la ragazzina, e con una ragazzina voglio tornare alla Torre Due.
Non mi frega della ragazzina di per sè, ma non glie la possiamo lasciare, non va bene. E' proprio una questione di principio.
Un po' mi urta il fatto che loro ci daranno la ragazzina molto pesantemente "usata", mentre noi gli restiuiamo la puttana ancora nuova, senza che nessuno le abbia torto un capello. Ma che si può fare, questione di stile, mettiamola così.
L'altro lato positivo, che mi invoglia a tentare questa cazzata, è che noi dobbiamo ringraziare tutti gli Dei, a partire da Azatoth, per il fatto che i Clan Nordri si facciano la guerra tra di loro.
Dovessero mettersi d'accordo, per noi sarebbe un casino dieci volte peggio che adesso.
Quindi se portiamo in omaggio al Poeta il capo della spedizione delle Ombre Nere, stuzzicheremo la zizzania tra clan, magari causeremo qualche ritorsione, qualche spargimento di sangue tra cugini nordri.
Tocca tentare.
Questo è un incarico per veri Volontari. Chi non vuole partecipare potrà restare a distanza di sicurezza. Peccato per Aaron, senza braccia non sarà di grande aiuto, gli dispiacerà perdersi lo spettacolo.
Andiamo a trovare il Poeta. Mi è sempre piaciuta la poesia, che non si dica che sono un tipo prosaico.
14 giugno 516
Domenica 10 Febbraio 2013
La testimonianza del sopravvissuto
"Sì, Sergente, mi sento un po' meglio. Grazie Sergente".
"Molto bene, allora inizia a raccontarmi come sono andate le cose. E non tralasciare niente"
"Agli ordini Sergente. Dall'inizio?"
"Dall'inizio. Per prima cosa... che ci facevate lungo il gomito delle capre? Chi ha deciso di passare di lì?"
"E' stato... Lakeman, signore. Sin dalla partenza ho capito che c'era qualcosa di strano, era nervoso, si guardava continuamente alle spalle, intorno... come se si aspettasse problemi. Eric glie l'ha pure chiesto, a un certo punto, se c'era qualcosa che non andava, ma Lakeman ha negato. Però era strano, si capiva chiaramente che qualcosa lo preoccupava. Il piano era naturalmente di passare per il solito sentiero della roccia pendente, come sapevate. Tutti pensavamo che saremmo passati di lì"
"Infatti..."
"Siamo arrivati alla biforcazione, dove c'è il boschetto di betulle, ed abbiamo iniziato a scendere lungo il crinale. Tutto normale, apparentemente. D'improvviso Lakeman si è fermato di colpo, ci ha fatto segno di rimanere immobili. Avevamo percorso quanto? Duecento, trecento passi lungo il sentiero, non di più. Si andava abbastanza bene, nonostante il pesante carretto. Lakeman si è chinato, ha scrutato per terra, poi si è messo a controllare alcune rocce al lato del sentiero. Noi ci guardavamo intorno, chiaramente Lakeman era preoccupato di qualcosa, ma non ci diceva niente... eppure era tutto tranquillo, tutto normale"
"Continua"
"Lakeman raccoglie qualcosa, qualcosa di piccolo, se lo infila in tasca e torna verso di noi serissimo. 'Torniamo indietro', ci fa, 'prendiamo un'altra strada'. Non vi dico Sergente quanto è stato complicato girare il carretto con la gabbia. Il sentiero è stretto, il mulo faceva storie, alla fine ci siamo riusciti ma abbiamo perso un sacco di tempo. Io butto lì che se ci sono problemi possiamo tornare indietro alla torre, in un'ora di viaggio saremmo arrivati, ma Lakeman scuote il capo e insiste che dobbiamo andare a Uryen il prima possibile. E così torniamo indietro e prendiamo il gomito delle capre. Lakeman cammina un po' avanti a noi, guardandosi intorno e cercando tracce o segni strani a terra e in giro. Si avanza ancora più lenti, visto che è così stretto e a precipizio, ma tiriamo dritto per un'altra ora o due, piano piano. Finalmente Lakeman sembra rilassarsi, smette di controllare il sentiero avanti a noi, sembra soddisfatto. Poco dopo scoppia il casino".
"Cosa hai visto, di preciso? Cerca di ricordare tutti i dettagli"
"Ci provo, Sergente. Ho visto poco... in quel tratto io stavo accanto al mulo, tenendolo per la briglia in modo da spronarlo ad avanzare. Camminavo veramente vicino al ciglio del sentiero, dall'altro lato c'era Eric. Avanziamo faticosamente, combattendo con quel cocciuto animale, quando mi rendo conto con la coda dell'occhio che c'è del movimento in alto, sul crinale dal versante opposto. E' un attimo, ed un grosso masso ci rotola addosso, seguito da altri due o tre. Non so dire bene come sia andata, io ho fatto un movimento d'istinto per non farmelo finire addosso, mi ha colpito ugualmente e mi ha sbilanciato... facendomi cadere di sotto. Sono riuscito a vedere un paio di sagome, una in alto e una sul sentiero davanti a noi... ma è stato un attimo"
"Solo due?"
"Due sono quelle che ho visto io, ma probabilmente ce n'erano altri. Non saprei dire, ma quei massi erano grossi, pesanti, e sono caduti più o meno contemporaneamente... Ci doveva essere altra gente, credo. Io però ne ho visti due".
"Erano Nordri?"
"No, non so... non penso. Non mi hanno dato l'impressione di essere Nordri. Avevano il volto coperto da qualcosa, forse un fazzolettone, e nell'insieme non mi sembravano Nordri. Li ho visti solo per un attimo, potrei sbagliare".
"E poi? Continua"
"E poi devo aver perso i sensi per qualche istante, mi sono ritrovato in basso tra le rocce, con una gamba che mi faceva un male cane. Da sopra arrivavano suoni di combattimento, grida, chiaramente i miei compagni stavano venendo sopraffatti. E infatti poco dopo sono stati spinti di sotto, uno dopo l'altro. Morti. Goben è finito non così lontano da me, riuscivo a scorgerlo... era chiaramente morto. Tempo qualche minuto, si è sentito un fracasso impossibile e il carretto è volato di sotto... per fortuna non addosso a me! E anche l'asino ha fatto la stessa fine".
"E Lakeman?"
"Lakeman era ancora sopra. Ci hanno perso del tempo, con Lakeman. Mentre gli altri, il carretto senza prigioniero e l'asino sono stati tirati giù praticamente subito, Lakeman è rimasto su a urlare di dolore per un sacco di tempo. Quel povero diavolo... lo stavano torturando. Non so perchè, se per semplice cattiveria, per farlo parlare, che ne so? Insomma è durato tantissimo. Minuti e minuti. Lui urlava, bestemmiava, implorava pietà... una cosa raccapricciante. Alla fine l'hanno tirato di sotto pure a lui, ancora vivo, ancora lucido. L'ho sentito lamentarsi per non so quanto tempo, prima che morisse dissanguato".
"E poi?"
"E poi niente, signore. Sono rimasto lì, un po' perdevo i sensi, un po' riprendevo coscienza. Le ore sono durate un'eternità... e la notte è stata dura. Guardavo il cielo e sentivo in alto i fruscii degli animali attratti dall'odore del sangue... ho pensato proprio che fosse arrivata la mia ora, che sarei morto sbranato da qualche Puma, o dai lupi... una notte interminabile. Ringraziando gli Dei, ero caduto in un punto forse troppo difficile persino per quegli animali, li sentivo intorno, ne percepivo la presenza... credo... ma non sono venuti a divorarmi. Quanto a ieri... ho ricordi molto confusi."
"Certo, per la febbre"
"Sì, penso di sì... la giornata di ieri è volata, devo aver dormito la gran parte del tempo, o comunque... non so, non mi ricordo".
"Hai sentito passare qualcuno sul sentiero, dopo l'agguato?"
"No."
"Grazie Nolan, per ora è tutto. Cerca di rimetterti in forze".
"Grazie signore, certo"
"Lo sapevo che quel Seth Lakeman portava solo guai, lui e il suo carretto portaiella... "
"Molto bene, allora inizia a raccontarmi come sono andate le cose. E non tralasciare niente"
"Agli ordini Sergente. Dall'inizio?"
"Dall'inizio. Per prima cosa... che ci facevate lungo il gomito delle capre? Chi ha deciso di passare di lì?"
"E' stato... Lakeman, signore. Sin dalla partenza ho capito che c'era qualcosa di strano, era nervoso, si guardava continuamente alle spalle, intorno... come se si aspettasse problemi. Eric glie l'ha pure chiesto, a un certo punto, se c'era qualcosa che non andava, ma Lakeman ha negato. Però era strano, si capiva chiaramente che qualcosa lo preoccupava. Il piano era naturalmente di passare per il solito sentiero della roccia pendente, come sapevate. Tutti pensavamo che saremmo passati di lì"
"Infatti..."
"Siamo arrivati alla biforcazione, dove c'è il boschetto di betulle, ed abbiamo iniziato a scendere lungo il crinale. Tutto normale, apparentemente. D'improvviso Lakeman si è fermato di colpo, ci ha fatto segno di rimanere immobili. Avevamo percorso quanto? Duecento, trecento passi lungo il sentiero, non di più. Si andava abbastanza bene, nonostante il pesante carretto. Lakeman si è chinato, ha scrutato per terra, poi si è messo a controllare alcune rocce al lato del sentiero. Noi ci guardavamo intorno, chiaramente Lakeman era preoccupato di qualcosa, ma non ci diceva niente... eppure era tutto tranquillo, tutto normale"
"Continua"
"Lakeman raccoglie qualcosa, qualcosa di piccolo, se lo infila in tasca e torna verso di noi serissimo. 'Torniamo indietro', ci fa, 'prendiamo un'altra strada'. Non vi dico Sergente quanto è stato complicato girare il carretto con la gabbia. Il sentiero è stretto, il mulo faceva storie, alla fine ci siamo riusciti ma abbiamo perso un sacco di tempo. Io butto lì che se ci sono problemi possiamo tornare indietro alla torre, in un'ora di viaggio saremmo arrivati, ma Lakeman scuote il capo e insiste che dobbiamo andare a Uryen il prima possibile. E così torniamo indietro e prendiamo il gomito delle capre. Lakeman cammina un po' avanti a noi, guardandosi intorno e cercando tracce o segni strani a terra e in giro. Si avanza ancora più lenti, visto che è così stretto e a precipizio, ma tiriamo dritto per un'altra ora o due, piano piano. Finalmente Lakeman sembra rilassarsi, smette di controllare il sentiero avanti a noi, sembra soddisfatto. Poco dopo scoppia il casino".
"Cosa hai visto, di preciso? Cerca di ricordare tutti i dettagli"
"Ci provo, Sergente. Ho visto poco... in quel tratto io stavo accanto al mulo, tenendolo per la briglia in modo da spronarlo ad avanzare. Camminavo veramente vicino al ciglio del sentiero, dall'altro lato c'era Eric. Avanziamo faticosamente, combattendo con quel cocciuto animale, quando mi rendo conto con la coda dell'occhio che c'è del movimento in alto, sul crinale dal versante opposto. E' un attimo, ed un grosso masso ci rotola addosso, seguito da altri due o tre. Non so dire bene come sia andata, io ho fatto un movimento d'istinto per non farmelo finire addosso, mi ha colpito ugualmente e mi ha sbilanciato... facendomi cadere di sotto. Sono riuscito a vedere un paio di sagome, una in alto e una sul sentiero davanti a noi... ma è stato un attimo"
"Solo due?"
"Due sono quelle che ho visto io, ma probabilmente ce n'erano altri. Non saprei dire, ma quei massi erano grossi, pesanti, e sono caduti più o meno contemporaneamente... Ci doveva essere altra gente, credo. Io però ne ho visti due".
"Erano Nordri?"
"No, non so... non penso. Non mi hanno dato l'impressione di essere Nordri. Avevano il volto coperto da qualcosa, forse un fazzolettone, e nell'insieme non mi sembravano Nordri. Li ho visti solo per un attimo, potrei sbagliare".
"E poi? Continua"
"E poi devo aver perso i sensi per qualche istante, mi sono ritrovato in basso tra le rocce, con una gamba che mi faceva un male cane. Da sopra arrivavano suoni di combattimento, grida, chiaramente i miei compagni stavano venendo sopraffatti. E infatti poco dopo sono stati spinti di sotto, uno dopo l'altro. Morti. Goben è finito non così lontano da me, riuscivo a scorgerlo... era chiaramente morto. Tempo qualche minuto, si è sentito un fracasso impossibile e il carretto è volato di sotto... per fortuna non addosso a me! E anche l'asino ha fatto la stessa fine".
"E Lakeman?"
"Lakeman era ancora sopra. Ci hanno perso del tempo, con Lakeman. Mentre gli altri, il carretto senza prigioniero e l'asino sono stati tirati giù praticamente subito, Lakeman è rimasto su a urlare di dolore per un sacco di tempo. Quel povero diavolo... lo stavano torturando. Non so perchè, se per semplice cattiveria, per farlo parlare, che ne so? Insomma è durato tantissimo. Minuti e minuti. Lui urlava, bestemmiava, implorava pietà... una cosa raccapricciante. Alla fine l'hanno tirato di sotto pure a lui, ancora vivo, ancora lucido. L'ho sentito lamentarsi per non so quanto tempo, prima che morisse dissanguato".
"E poi?"
"E poi niente, signore. Sono rimasto lì, un po' perdevo i sensi, un po' riprendevo coscienza. Le ore sono durate un'eternità... e la notte è stata dura. Guardavo il cielo e sentivo in alto i fruscii degli animali attratti dall'odore del sangue... ho pensato proprio che fosse arrivata la mia ora, che sarei morto sbranato da qualche Puma, o dai lupi... una notte interminabile. Ringraziando gli Dei, ero caduto in un punto forse troppo difficile persino per quegli animali, li sentivo intorno, ne percepivo la presenza... credo... ma non sono venuti a divorarmi. Quanto a ieri... ho ricordi molto confusi."
"Certo, per la febbre"
"Sì, penso di sì... la giornata di ieri è volata, devo aver dormito la gran parte del tempo, o comunque... non so, non mi ricordo".
"Hai sentito passare qualcuno sul sentiero, dopo l'agguato?"
"No."
"Grazie Nolan, per ora è tutto. Cerca di rimetterti in forze".
"Grazie signore, certo"
"Lo sapevo che quel Seth Lakeman portava solo guai, lui e il suo carretto portaiella... "
25 aprile 516
Giovedì 23 Agosto 2012
La giovinezza fantastica.
Ebbene sì, sono un uomo fortunato.
Da quando ho lasciato Vintemberg le cose non hanno fatto altro che girare per il verso giusto.
Ho una bella locanda, tutta mia, e nonostante la maretta degli ultimi anni alla fine me la sono cavata, bisogna ammetterlo, con un certo stile.
Ho lasciato Surok poco prima dei casini più grossi, affidando la gestione della "Pollastra Infarinata" al mio vecchio e ormai insopportabile socio Gebediah. Non so se ridere o sentirmi in colpa al ricordo di lui che mi saluta dalla soglia dicendomi "Te ne pentirai, Armando!", con la sua solita aria saccente.
Ma tant'è che mi è giunta voce che i Nordri hanno poche settimane dopo depredato la Pollastra, ne hanno svuotato la cantina, dato fuoco al pergolato e fatto chissà cosa di spiacevole a Gebediah e al personale che non aveva accettato la mia proposta di trasferirsi a Nord.
Al Nord, a Leduras.
Una piccola ma promettente cittadina fortificata, meno ambiziosa forse come sede, ma più protetta dalle scorrerie dei predoni marittimi.
Ed ecco la mia buona stella.
Arriviamo in città, iniziamo ad organizzarci, rileviamo una vecchia taverna ribattezzandola "La Locanda del Lupo", gli affari poco a poco ingranano. Ed ecco che a febbraio arriva la notizia più gradita e inaspettata. Leduras d'ora in avanti si chiamerà Leisburg... e sarà la capitale del Ducato di Feith.
Avevo abbandonato una capitale, sebbene con qualche vago rimpianto, ed ecco che mi ritrovo comunque in un'altra capitale, più giovane, centrale, stimolante.
Sono proprio un uomo fortunato, inutile negarlo.
Certo, a volte penso a tutte le strade a cui ho rinunciato, ai sentieri del destino che ho preferito non percorrere.
Ricordo i miei antichi e bizzarri padroni di Vintemberg, amici di quel Vecchio Frack che ormai sarà passato certamente a miglior vita. Ricordo le loro armi, le loro armature, la loro pelliccia di leone di montagna (eh, quella ce l'ho qui a Leisburg, una delle poche cose che mi sono portato dietro da Surok). Quei matti mi piacevano, in fondo. Mi piaceva la loro vita avventurosa, mi piacevano i loro racconti esagerati, i viaggi, gli incredibili tesori.
E' per questo che sto coltivando un piccolo sogno, in cantina. Non è per me, è per i miei figli, per Mark, Conrad e la piccola Alice.
L'armatura che, poco alla volta, mi sto comprando. Le armi, la bellissima balestra intarsiata, lo spadone a due mani. Lo scudo spaccato, che porta i segni di tante battaglie.
Ogni tanto, la sera, quando mi siedo nella stanza dei bambini per farli addormentare, gli racconto la mia giovinezza fantastica.
Prima di diventare un oste, qui a Leisburg, ho vissuto con la fantasia anni e anni di avventure, che per loro, per i miei figli, saranno realtà. Il padre che ricorderanno, il nonno che descriveranno a loro volta ai figli che gli Dei vorranno loro donare, sarà un uomo avventuroso, impavido, che ha girato tutto il mondo. Armando l'avventuriero, che ha visitato Benson, sconfitto adoratori delle Tenebre, penetrato gli oscuri segreti del Meistwode, raggiunto Delos e le terre del Mezzogiorno.
Quando li accompagno in cantina, dischiudo la porta che custodisce i miei tesori, vedo i loro occhi innocenti illuminarsi. Quella è l'armatura del babbo, il suo scudo, la spada terribile che ha versato il sangue di tanti nemici.
Sono solo menzogne?
In fondo che importanza ha? Il ricordo di avvenimenti lontani, il sogno e la fantasticheria, con il passare di tanti anni, tendono a sovrapporsi. E forse, chi può dirlo, è quella la verità.
Da quando ho lasciato Vintemberg le cose non hanno fatto altro che girare per il verso giusto.
Ho una bella locanda, tutta mia, e nonostante la maretta degli ultimi anni alla fine me la sono cavata, bisogna ammetterlo, con un certo stile.
Ho lasciato Surok poco prima dei casini più grossi, affidando la gestione della "Pollastra Infarinata" al mio vecchio e ormai insopportabile socio Gebediah. Non so se ridere o sentirmi in colpa al ricordo di lui che mi saluta dalla soglia dicendomi "Te ne pentirai, Armando!", con la sua solita aria saccente.
Ma tant'è che mi è giunta voce che i Nordri hanno poche settimane dopo depredato la Pollastra, ne hanno svuotato la cantina, dato fuoco al pergolato e fatto chissà cosa di spiacevole a Gebediah e al personale che non aveva accettato la mia proposta di trasferirsi a Nord.
Al Nord, a Leduras.
Una piccola ma promettente cittadina fortificata, meno ambiziosa forse come sede, ma più protetta dalle scorrerie dei predoni marittimi.
Ed ecco la mia buona stella.
Arriviamo in città, iniziamo ad organizzarci, rileviamo una vecchia taverna ribattezzandola "La Locanda del Lupo", gli affari poco a poco ingranano. Ed ecco che a febbraio arriva la notizia più gradita e inaspettata. Leduras d'ora in avanti si chiamerà Leisburg... e sarà la capitale del Ducato di Feith.
Avevo abbandonato una capitale, sebbene con qualche vago rimpianto, ed ecco che mi ritrovo comunque in un'altra capitale, più giovane, centrale, stimolante.
Sono proprio un uomo fortunato, inutile negarlo.
Certo, a volte penso a tutte le strade a cui ho rinunciato, ai sentieri del destino che ho preferito non percorrere.
Ricordo i miei antichi e bizzarri padroni di Vintemberg, amici di quel Vecchio Frack che ormai sarà passato certamente a miglior vita. Ricordo le loro armi, le loro armature, la loro pelliccia di leone di montagna (eh, quella ce l'ho qui a Leisburg, una delle poche cose che mi sono portato dietro da Surok). Quei matti mi piacevano, in fondo. Mi piaceva la loro vita avventurosa, mi piacevano i loro racconti esagerati, i viaggi, gli incredibili tesori.
E' per questo che sto coltivando un piccolo sogno, in cantina. Non è per me, è per i miei figli, per Mark, Conrad e la piccola Alice.
L'armatura che, poco alla volta, mi sto comprando. Le armi, la bellissima balestra intarsiata, lo spadone a due mani. Lo scudo spaccato, che porta i segni di tante battaglie.
Ogni tanto, la sera, quando mi siedo nella stanza dei bambini per farli addormentare, gli racconto la mia giovinezza fantastica.
Prima di diventare un oste, qui a Leisburg, ho vissuto con la fantasia anni e anni di avventure, che per loro, per i miei figli, saranno realtà. Il padre che ricorderanno, il nonno che descriveranno a loro volta ai figli che gli Dei vorranno loro donare, sarà un uomo avventuroso, impavido, che ha girato tutto il mondo. Armando l'avventuriero, che ha visitato Benson, sconfitto adoratori delle Tenebre, penetrato gli oscuri segreti del Meistwode, raggiunto Delos e le terre del Mezzogiorno.
Quando li accompagno in cantina, dischiudo la porta che custodisce i miei tesori, vedo i loro occhi innocenti illuminarsi. Quella è l'armatura del babbo, il suo scudo, la spada terribile che ha versato il sangue di tanti nemici.
Sono solo menzogne?
In fondo che importanza ha? Il ricordo di avvenimenti lontani, il sogno e la fantasticheria, con il passare di tanti anni, tendono a sovrapporsi. E forse, chi può dirlo, è quella la verità.
30 dicembre 519
Venerdì 30 Dicembre 2011
la Rinascita.
Lunga notte. Notte buia, tra le cui ombre si nascondono i ricordi più preziosi e irripetibili.
Non c'è neve ad Annecy. Nessun diamante grezzo scende dal cielo per me, quest'anno.
Eppure bisogna indossare la maschera. Bisogna indossarla sempre, ma adesso un po' più a fondo. Questa seconda pelle di porcellana si aggrappa a quella vera, di carne, e vi si conficca con le sue radici invisibili.
A volte mi stupisco di non sentire in bocca il sapore del sangue.
Ho tutto quello che un uomo potrebbe desiderare, e molto di più. Ma quando le notti si fanno interminabili e l'inverno copre col suo silenzio tanto le case e i castelli dei vivi, tanto i prati sotto cui riposano i morti, mi ritrovo sottoposto alle stesse dure leggi di ogni creatura mortale.
Una maschera che ci nasconda a noi stessi, ecco cosa vorrei. Una maschera che mi inganni, che mi regali l'illusione che certe emozioni non siano relegate soltanto al passato.
Un labirinto innevato con al centro una fontana.
Non si può catturare il volo delle farfalle.
Non c'è neve ad Annecy. Nessun diamante grezzo scende dal cielo per me, quest'anno.
Eppure bisogna indossare la maschera. Bisogna indossarla sempre, ma adesso un po' più a fondo. Questa seconda pelle di porcellana si aggrappa a quella vera, di carne, e vi si conficca con le sue radici invisibili.
A volte mi stupisco di non sentire in bocca il sapore del sangue.
Ho tutto quello che un uomo potrebbe desiderare, e molto di più. Ma quando le notti si fanno interminabili e l'inverno copre col suo silenzio tanto le case e i castelli dei vivi, tanto i prati sotto cui riposano i morti, mi ritrovo sottoposto alle stesse dure leggi di ogni creatura mortale.
Una maschera che ci nasconda a noi stessi, ecco cosa vorrei. Una maschera che mi inganni, che mi regali l'illusione che certe emozioni non siano relegate soltanto al passato.
Un labirinto innevato con al centro una fontana.
Non si può catturare il volo delle farfalle.
5 giugno 519
Martedì 22 Novembre 2011
tra amiche
"Questo proprio non me l'aspettavo da te". Arden mi guarda offesa. "Ti ho visto che lo baciavi, e poi tutti quei discorsi sul matrimonio... che significano? Veramente hai intenzione di andartene?"
La osservo. La rabbia sembra risvegliare in lei un'energia che generalmente non le appartiene. Piccola Arden.
Gesticola, cammina avanti e indietro per la stanza. Le faccio segno di abbassare il tono della voce.
"E invece parlo forte quanto mi pare!" è la sua prevedibile risposta. "E non mi frega niente se di là c'è la Paladina che riposa, mi hanno stancato! Tutti quanti. La Paladina, i cavalieri musoni, quegli energumeni che ti piacciono tanto..."
Brava Arden, tira fuori la grinta.
Sorrido.
"Ho capito che si metteva male appena ho visto il tipo con gli occhi differenti. Chiudere la locanda per riservarla a quella gente? Siamo mica matti?" Arden continua con la sua inaspettata filippica senza badare a me. "Ma ti pare possibile? E poi... questi altri. Che prima spaccano la porta e poi..." sospira.
"Questi sono i buoni, Arden. Sono quelli che hanno vinto, che hanno..."
"Sono degli assassini anche loro! Veramente vuoi sposarti con un uomo che ha le mani tanto sporche di sangue? Non ci posso credere..."
"Veramente... veramente..." prendo tempo facendole eco. "Questi sono gente speciale, che viaggia, che vive una vita fuori dalla mediocrità. Hanno prospettive, loro. Che senso ha invecchiare qui in locanda? Adesso che sei giovane e carina il massimo della soddisfazione è qualche complimento di un ubriacone. Il massimo della soddisfazione è se ti danno una mancia per un sorriso o per un po' di zucchero in più sul dolce. Ma poi? Siamo qui forse per invecchiare e perdere anche quel poco di potere che abbiamo adesso?"
Arden scuote il capo, mi guarda e sospira. "E mi lasceresti qui da sola, insomma? Ti proteggo io, ci penso io a te... e alla prima buona occasione te ne vai e mi abbandoni?"
"Ma no! No che non ti abbandono! Ma devi farti furba, restare coi piedi per terra. Cosa pensavi, che potesse durare per sempre? Bisogna guardarsi intorno. Devi fare come me, Arden"
"E sposarmi con il primo venuto? Solo perchè è grande, grosso, ricco e...."
"Loic non è il primo venuto. E' un tipo... davvero particolare"
Arden sbuffa. "Non potrei mai farmi sfiorare da uno così".
"E' un uomo. Arden, prima o poi dovrai accettare la realtà, troverai un uomo anche tu e lo sposerai. Avrai dei figli e poi..."
"No!" adesso la mia amica sembra sul punto di piangere. "No, non voglio, non mi voglio sposare con nessuno! Non voglio figli, non voglio.... mi... mi fa schifo!"
Povera Arden, la guardo negli occhi, le prendo la mano. "Calmati, su. Ne abbiamo già... parlato tante volte... quello che ti è successo non ha niente a che vedere.... con...."
"E tu che ne sai! L'hai provato, forse?" Ride istericamente mentre le lacrime le solcano il viso. "Nessun uomo mi toccherà mai più. Te lo garantisco, nè ora nè mai"
Cerco di calmarla. Arden si fa un piantarello sulla mia spalla, aspetto che prenda fiato.
"Ascoltami, Arden... se... se vuoi... c'è un'altra possibilità."
Alza gli occhi a guardarmi, riconosco la sua fiducia incondizionata, l'affetto che mi porta. Sento il peso della responsabilità che ho nei suoi confronti. Non posso lasciarla.
"Cosa... che..."
"Fidati di me. Quando sarò sposata con Loic... ti porterò a casa nostra. Starai con noi, glie lo dirò, non posso lasciarti".
"Non vorrai dirgli..."
"No, che sei matta?" sorrido, anche Arden ride. "No, certo. Ma lo convincerò a farti venire da noi, e staremo sempre insieme. Credimi, è la cosa migliore"
"..."
"..."
"... promesso?"
"Promesso. Tieni duro Arden, aiutami in questa cosa. E poi... manterrò la mia promessa e ti porterò via con me".
"Oh, Mysia! Sei... sei..."
"Schhh... non dire niente adesso".
La osservo. La rabbia sembra risvegliare in lei un'energia che generalmente non le appartiene. Piccola Arden.
Gesticola, cammina avanti e indietro per la stanza. Le faccio segno di abbassare il tono della voce.
"E invece parlo forte quanto mi pare!" è la sua prevedibile risposta. "E non mi frega niente se di là c'è la Paladina che riposa, mi hanno stancato! Tutti quanti. La Paladina, i cavalieri musoni, quegli energumeni che ti piacciono tanto..."
Brava Arden, tira fuori la grinta.
Sorrido.
"Ho capito che si metteva male appena ho visto il tipo con gli occhi differenti. Chiudere la locanda per riservarla a quella gente? Siamo mica matti?" Arden continua con la sua inaspettata filippica senza badare a me. "Ma ti pare possibile? E poi... questi altri. Che prima spaccano la porta e poi..." sospira.
"Questi sono i buoni, Arden. Sono quelli che hanno vinto, che hanno..."
"Sono degli assassini anche loro! Veramente vuoi sposarti con un uomo che ha le mani tanto sporche di sangue? Non ci posso credere..."
"Veramente... veramente..." prendo tempo facendole eco. "Questi sono gente speciale, che viaggia, che vive una vita fuori dalla mediocrità. Hanno prospettive, loro. Che senso ha invecchiare qui in locanda? Adesso che sei giovane e carina il massimo della soddisfazione è qualche complimento di un ubriacone. Il massimo della soddisfazione è se ti danno una mancia per un sorriso o per un po' di zucchero in più sul dolce. Ma poi? Siamo qui forse per invecchiare e perdere anche quel poco di potere che abbiamo adesso?"
Arden scuote il capo, mi guarda e sospira. "E mi lasceresti qui da sola, insomma? Ti proteggo io, ci penso io a te... e alla prima buona occasione te ne vai e mi abbandoni?"
"Ma no! No che non ti abbandono! Ma devi farti furba, restare coi piedi per terra. Cosa pensavi, che potesse durare per sempre? Bisogna guardarsi intorno. Devi fare come me, Arden"
"E sposarmi con il primo venuto? Solo perchè è grande, grosso, ricco e...."
"Loic non è il primo venuto. E' un tipo... davvero particolare"
Arden sbuffa. "Non potrei mai farmi sfiorare da uno così".
"E' un uomo. Arden, prima o poi dovrai accettare la realtà, troverai un uomo anche tu e lo sposerai. Avrai dei figli e poi..."
"No!" adesso la mia amica sembra sul punto di piangere. "No, non voglio, non mi voglio sposare con nessuno! Non voglio figli, non voglio.... mi... mi fa schifo!"
Povera Arden, la guardo negli occhi, le prendo la mano. "Calmati, su. Ne abbiamo già... parlato tante volte... quello che ti è successo non ha niente a che vedere.... con...."
"E tu che ne sai! L'hai provato, forse?" Ride istericamente mentre le lacrime le solcano il viso. "Nessun uomo mi toccherà mai più. Te lo garantisco, nè ora nè mai"
Cerco di calmarla. Arden si fa un piantarello sulla mia spalla, aspetto che prenda fiato.
"Ascoltami, Arden... se... se vuoi... c'è un'altra possibilità."
Alza gli occhi a guardarmi, riconosco la sua fiducia incondizionata, l'affetto che mi porta. Sento il peso della responsabilità che ho nei suoi confronti. Non posso lasciarla.
"Cosa... che..."
"Fidati di me. Quando sarò sposata con Loic... ti porterò a casa nostra. Starai con noi, glie lo dirò, non posso lasciarti".
"Non vorrai dirgli..."
"No, che sei matta?" sorrido, anche Arden ride. "No, certo. Ma lo convincerò a farti venire da noi, e staremo sempre insieme. Credimi, è la cosa migliore"
"..."
"..."
"... promesso?"
"Promesso. Tieni duro Arden, aiutami in questa cosa. E poi... manterrò la mia promessa e ti porterò via con me".
"Oh, Mysia! Sei... sei..."
"Schhh... non dire niente adesso".
30 maggio 519
Martedì 8 Novembre 2011
Ali oscure
Le porte di Forrarossa si aprono davanti a noi. Avanziamo nella Corte del castello increduli.
Piume nere ovunque, macchie di sangue sul selciato, pochi servitori dall'aria spaventata che spostano corpi senza vita per farne un unico mucchio e liberare il passaggio.
Quanti saranno i morti? Almeno una trentina. Trenta morti e forse di più.
Le parole del ragazzo che ci ha convocati stamattina erano vaghe, ma gli occhi apparivano eloquenti: il suo terrore era palpabile.
Mi trovavo con Steven a casa di Sir Bastian, per l'abituale turno di guardia che abbiamo stabilito dopo l'ultimo attentato che l'anziano Cavaliere ha subito qualche settimana fa, quando abbiamo sentito bussare alla porta. E' stata Dundee ad aprire, e a far entrare il poveretto, trafelato e bianco come un lenzuolo fresco di bucato.
"Hanno attaccato Forrarossa", ci ha detto dopo aver bevuto un bicchiere d'acqua. "Lady Solice Foucault mi ha inviato da voi a chiedere soccorsi".
... Lady Solice.
Udendo il suo nome ho istintivamente rivolto lo sguardo al volto del mio amico. Steven ha aggrottato la fronte.
"Lei sta bene?" ha chiesto.
Il ragazzo ha annuito. "Credo... credo di sì, la Paladina sta bene... mi ha detto di correre da voi, l'attacco è stato respinto ma il castello adesso è del tutto privo di difese."
Dundee guarda il ragazzo. "Ma il Barone? Come sta, è in salvo?"
"Non posso dirvi altro, vi prego solo di seguirmi appena possibile.... sarà la Paladina a spiegarvi ogni cosa".
Non poteva dare una risposta più eloquente di così.
Steven si è alzato. "Andiamo", ha detto. Subito Dundee è scattata in piedi. "Vado ad avvertire mio padre". "Fa' in fretta".
Mentre aspettavamo che Dundee uscisse dalla stanza di Sir Bastian, Steven ed io abbiamo scambiato qualche parola.
"Cosa ci fa Lady Solice a Forrarossa?" mi sono detto, dubbioso.
"Non lo so". Steven si è irrigidito subito. "Sarà lì con i suoi compagni, avranno avuto notizia dell'attacco imminente e sono corsi a difendere il castello".
"Eppure non capisco..." ho insistito, "se davvero, come ha detto quel ragazzo, l'attacco è stato respinto... perchè quella faccia? E poi perchè non chiamarci subito? Prima dell'attacco, intendo, e non dopo"
Steven ha esitato prima di rispondere, studiandomi cupamente. "Forse non ha fatto in tempo", ha detto poi, "forse non è stato possibile".
Dundee è tornata proprio allora, ha sceso le scale in fretta per raggiungerci nell'atrio.
"Andiamo!" ha detto mentre finiva di agganciarsi il fodero della spada alla cintura.
Che ragazza, Dundee. Povero chi se la sposerà. Ammesso che ci sia qualcuno tanto pazzo da chiedere la sua mano al vecchio Sir Bastian...
Ci siamo messi in marcia, Dundee mi si è affiancata subito.
"Chi è questa gente di cui ha parlato il servitore? La Paladina che ha citato... la conoscete?"
Ho annuito. "Lei e i suoi compagni sono dei nostri, persone fidate. Steven e io già in passato abbiamo svolto degli incarichi con loro, sempre per proteggere Lord Anthony. Ci sono le loro azioni dietro la messa al bando di Lord Albert".
"Che tipi sono?"
"Lei è... una Paladina di Pyros". Scorgo con la coda dell'occhio Steven, accanto a me, che sprona il cavallo e si distanzia di qualche metro, velocizzando il passo. "Poi ci sono due guerrieri formidabili, Eric e Loic, che sono fratelli, e in combattimento valgono per quattro. Insieme a loro siamo riusciti a sconfiggere i Maestri del Vento..."
"Caspita... e sono cavalieri?"
"No, non che io sappia. Ma non è nei titoli che si racchiude la bravura di un soldato. E poi so che ci sono almeno altre due o tre persone, anche se non li ho mai conosciuti..."
Dundee, curiosa, mi ha chiesto di raccontarle dello scontro coi Maestri del Vento, ma sono riuscito a farlo solo frammentariamente. Steven teneva un passo talmente svelto che era difficile stargli dietro, e quasi impossibile parlare, nel frattempo.
Ed eccoci a Forrarossa.
Le porte si aprono davanti a noi.
Ci viene incontro proprio Lady Solice.
La ricordavo a Beid, incantevole con l'abito scarlatto che indossava nell'occasione del matrimonio di suo fratello Lord Ryan. Ma la giovane che avanza stancamente tra le tracce del recente combattimento è irriconoscibile. Pallida, spettinata, con i grandi occhi cerchiati dalla mancanza di riposo. Indossa la fratina di Pyros, sporca, stropicciata, eppure carica di un'autorevolezza toccante.
Accanto a me, Steven è il primo a smontare da cavallo.
Percepisco la sua tensione, la curiosità di Dundee, gli sguardi troppo carichi per poterli sostenere.
"Lady Solice...", dice Steven, e la guarda. Non aggiunge altro, lei sembra trattenere a fatica le lacrime.
La situazione è peggio delle nostre peggiori previsioni. Lord Benedict è morto, Lord Anthony è morto, suo figlio Benedict è morto... la sorella di Kyle è morta, sono morti tutti. Anche Lord Albert è morto, e questa è un po' l'unica buona notizia della giornata.
E adesso?
I compagni di Solice, che poco a poco ci vengono a conoscere e salutare, appaiono anche loro stanchi e amareggiati. Nessuno sa dire cosa ci riservi il futuro.
Padre Maxim Keitel è la vera incognita di questo momento. Rivendicherà i suoi diritti dinastici, rinuncerà ai voti assunti di fronte a Kayah e si farà proclamare Barone di Anthien? Oppure farà un passo indietro, rimettendo nelle mani del Conte la decisione sul futuro di questo sfortunato feudo?
Può Padre Maxim essere complice di questo massacro, o rischia di diventarne soltanto un inconsapevole beneficiario? E magari una marionetta in mani più consapevoli e maligne?
Ho prestato giuramento nelle mani del Barone.
Ma potrei forse essere fedele a chi sospetto possa avere avuto una qualche responsabilità in tanto scempio? Guardo Steven, e leggo nel suo sguardo i miei stessi dilemmi.
Dundee, indomita come sempre, sembra avere le idee più chiare: mai con Maxim, mai con qualcuno anche soltanto vagamente sfiorato dall'ombra di un sospetto. Lei non ha le nostre stesse responsabilità... ma forse nella sua innocente irruenza si rivela la strada giusta da percorrere.
C'è tanto lavoro da fare, poco tempo per pensare.
Steven già si rimbocca le maniche, manda Dundee a Victoire a prelevare la moglie dell'unico prigioniero in grado di parlare, organizza le povere vedette al castello tra i superstiti e fa un elenco di persone fidate in grado di darci una mano. Dobbiamo darci da fare, e in fretta.
E soprattutto... urge vendetta.
Il prigioniero ci dirà dove andare, con le buone o con le cattive. Dove trovare il responsabile di questo massacro. Questo Daeron Vypern di cui tutti sussurrano il nome con timore e rabbia.
Lo troveremo e glie la faremo pagare per tutto questo sangue versato. Lo faremo per tutte le persone che sono morte questa notte, lo faremo per il nostro amico e compagno Kyle, per Solice e i suoi compagni che tanto hanno lottato e pagato, lo faremo per Anthien.
Gli Dei ci aiuteranno in questa impresa.
Piume nere ovunque, macchie di sangue sul selciato, pochi servitori dall'aria spaventata che spostano corpi senza vita per farne un unico mucchio e liberare il passaggio.
Quanti saranno i morti? Almeno una trentina. Trenta morti e forse di più.
Le parole del ragazzo che ci ha convocati stamattina erano vaghe, ma gli occhi apparivano eloquenti: il suo terrore era palpabile.
Mi trovavo con Steven a casa di Sir Bastian, per l'abituale turno di guardia che abbiamo stabilito dopo l'ultimo attentato che l'anziano Cavaliere ha subito qualche settimana fa, quando abbiamo sentito bussare alla porta. E' stata Dundee ad aprire, e a far entrare il poveretto, trafelato e bianco come un lenzuolo fresco di bucato.
"Hanno attaccato Forrarossa", ci ha detto dopo aver bevuto un bicchiere d'acqua. "Lady Solice Foucault mi ha inviato da voi a chiedere soccorsi".
... Lady Solice.
Udendo il suo nome ho istintivamente rivolto lo sguardo al volto del mio amico. Steven ha aggrottato la fronte.
"Lei sta bene?" ha chiesto.
Il ragazzo ha annuito. "Credo... credo di sì, la Paladina sta bene... mi ha detto di correre da voi, l'attacco è stato respinto ma il castello adesso è del tutto privo di difese."
Dundee guarda il ragazzo. "Ma il Barone? Come sta, è in salvo?"
"Non posso dirvi altro, vi prego solo di seguirmi appena possibile.... sarà la Paladina a spiegarvi ogni cosa".
Non poteva dare una risposta più eloquente di così.
Steven si è alzato. "Andiamo", ha detto. Subito Dundee è scattata in piedi. "Vado ad avvertire mio padre". "Fa' in fretta".
Mentre aspettavamo che Dundee uscisse dalla stanza di Sir Bastian, Steven ed io abbiamo scambiato qualche parola.
"Cosa ci fa Lady Solice a Forrarossa?" mi sono detto, dubbioso.
"Non lo so". Steven si è irrigidito subito. "Sarà lì con i suoi compagni, avranno avuto notizia dell'attacco imminente e sono corsi a difendere il castello".
"Eppure non capisco..." ho insistito, "se davvero, come ha detto quel ragazzo, l'attacco è stato respinto... perchè quella faccia? E poi perchè non chiamarci subito? Prima dell'attacco, intendo, e non dopo"
Steven ha esitato prima di rispondere, studiandomi cupamente. "Forse non ha fatto in tempo", ha detto poi, "forse non è stato possibile".
Dundee è tornata proprio allora, ha sceso le scale in fretta per raggiungerci nell'atrio.
"Andiamo!" ha detto mentre finiva di agganciarsi il fodero della spada alla cintura.
Che ragazza, Dundee. Povero chi se la sposerà. Ammesso che ci sia qualcuno tanto pazzo da chiedere la sua mano al vecchio Sir Bastian...
Ci siamo messi in marcia, Dundee mi si è affiancata subito.
"Chi è questa gente di cui ha parlato il servitore? La Paladina che ha citato... la conoscete?"
Ho annuito. "Lei e i suoi compagni sono dei nostri, persone fidate. Steven e io già in passato abbiamo svolto degli incarichi con loro, sempre per proteggere Lord Anthony. Ci sono le loro azioni dietro la messa al bando di Lord Albert".
"Che tipi sono?"
"Lei è... una Paladina di Pyros". Scorgo con la coda dell'occhio Steven, accanto a me, che sprona il cavallo e si distanzia di qualche metro, velocizzando il passo. "Poi ci sono due guerrieri formidabili, Eric e Loic, che sono fratelli, e in combattimento valgono per quattro. Insieme a loro siamo riusciti a sconfiggere i Maestri del Vento..."
"Caspita... e sono cavalieri?"
"No, non che io sappia. Ma non è nei titoli che si racchiude la bravura di un soldato. E poi so che ci sono almeno altre due o tre persone, anche se non li ho mai conosciuti..."
Dundee, curiosa, mi ha chiesto di raccontarle dello scontro coi Maestri del Vento, ma sono riuscito a farlo solo frammentariamente. Steven teneva un passo talmente svelto che era difficile stargli dietro, e quasi impossibile parlare, nel frattempo.
Ed eccoci a Forrarossa.
Le porte si aprono davanti a noi.
Ci viene incontro proprio Lady Solice.
La ricordavo a Beid, incantevole con l'abito scarlatto che indossava nell'occasione del matrimonio di suo fratello Lord Ryan. Ma la giovane che avanza stancamente tra le tracce del recente combattimento è irriconoscibile. Pallida, spettinata, con i grandi occhi cerchiati dalla mancanza di riposo. Indossa la fratina di Pyros, sporca, stropicciata, eppure carica di un'autorevolezza toccante.
Accanto a me, Steven è il primo a smontare da cavallo.
Percepisco la sua tensione, la curiosità di Dundee, gli sguardi troppo carichi per poterli sostenere.
"Lady Solice...", dice Steven, e la guarda. Non aggiunge altro, lei sembra trattenere a fatica le lacrime.
La situazione è peggio delle nostre peggiori previsioni. Lord Benedict è morto, Lord Anthony è morto, suo figlio Benedict è morto... la sorella di Kyle è morta, sono morti tutti. Anche Lord Albert è morto, e questa è un po' l'unica buona notizia della giornata.
E adesso?
I compagni di Solice, che poco a poco ci vengono a conoscere e salutare, appaiono anche loro stanchi e amareggiati. Nessuno sa dire cosa ci riservi il futuro.
Padre Maxim Keitel è la vera incognita di questo momento. Rivendicherà i suoi diritti dinastici, rinuncerà ai voti assunti di fronte a Kayah e si farà proclamare Barone di Anthien? Oppure farà un passo indietro, rimettendo nelle mani del Conte la decisione sul futuro di questo sfortunato feudo?
Può Padre Maxim essere complice di questo massacro, o rischia di diventarne soltanto un inconsapevole beneficiario? E magari una marionetta in mani più consapevoli e maligne?
Ho prestato giuramento nelle mani del Barone.
Ma potrei forse essere fedele a chi sospetto possa avere avuto una qualche responsabilità in tanto scempio? Guardo Steven, e leggo nel suo sguardo i miei stessi dilemmi.
Dundee, indomita come sempre, sembra avere le idee più chiare: mai con Maxim, mai con qualcuno anche soltanto vagamente sfiorato dall'ombra di un sospetto. Lei non ha le nostre stesse responsabilità... ma forse nella sua innocente irruenza si rivela la strada giusta da percorrere.
C'è tanto lavoro da fare, poco tempo per pensare.
Steven già si rimbocca le maniche, manda Dundee a Victoire a prelevare la moglie dell'unico prigioniero in grado di parlare, organizza le povere vedette al castello tra i superstiti e fa un elenco di persone fidate in grado di darci una mano. Dobbiamo darci da fare, e in fretta.
E soprattutto... urge vendetta.
Il prigioniero ci dirà dove andare, con le buone o con le cattive. Dove trovare il responsabile di questo massacro. Questo Daeron Vypern di cui tutti sussurrano il nome con timore e rabbia.
Lo troveremo e glie la faremo pagare per tutto questo sangue versato. Lo faremo per tutte le persone che sono morte questa notte, lo faremo per il nostro amico e compagno Kyle, per Solice e i suoi compagni che tanto hanno lottato e pagato, lo faremo per Anthien.
Gli Dei ci aiuteranno in questa impresa.
30 maggio 519
Sabato 5 Novembre 2011
tanto dolore per nulla
Che fallimento.
Non sono riuscito ad ammazzarlo e, se non fosse stato per mio "fratello" Guelfo e i suoi amici, ci sarei finito io morto stecchito in pasto ai corvi.
Inutile, non ce l'ho proprio la stoffa dell'eroe, sono buono solo a cacciarmi nei guai... e a coinvolgere poveracci che non c'entrano niente e non hanno neanche un po' della mia fortuna. Il mio gesto impulsivo è costato la vita al cugino di Martine e al mio vecchio amico Trevor, e invece Vypern è riuscito a fuggire, per quanto mal ridotto.
Le cose sono andate così.
Ieri sera, quando siamo stati divisi da Guelfo e gli altri, delle guardie ci hanno accompagnato ad un alloggio molto spartano a ridosso delle mura, al piano inferiore della loro camerata. Benchè formalmente non fossimo agli arresti, l'ambiente in cui ci hanno rinchiusi era piuttosto simile ad una cella, senza finestre e con una porta rinforzata, di metallo. Ci hanno augurato buona notte, non senza un po' di ironia, e non ci è rimasto altro da fare che metterci a riposare.
Non so dire che ora fosse quando Trevor mi ha svegliato. "Sta succedendo qualcosa, Dorian!"
In effetti sopra di noi c'era movimento, agitazione tra le guardie, rumore di gente che si armava in fretta.
"Siamo sotto attacco?"
"Non capisco.... temo ci sia già qualcuno dentro"
Nel frattempo anche Bron si era svegliato. Il cugino di Martine era un animo semplice, ma grande e grosso e coraggioso.
Mentre stiamo ancora decidendo sul dafarsi, ecco che si sente un tonfo, poi un altro, qualche grido. L'aria sembra farsi innaturalmente fredda e anche la luce della nostra torcia si affievolisce senza una ragione apparente.
Trevor e Bron non erano al corrente del mio pur lilmitato talento come mago, e finchè è stato possibile ho cercato di tenerli all'oscuro di questo dettaglio. Ho tuttavia allertato i miei sensi alla ricerca di qualche presenza ostile di natura magica. Ma niente, solo un innaturale silenzio.
"Dobbiamo uscire da qui", ho detto.
Trevor si è persino messo a ridere. "Sopravvaluti le mie capacità, amico... senza gli strumenti giusti una serratura così non posso aprirla nemmeno io"
Ho scosso il capo e mi sono avvicinato a mani nude alla serratura. Ho pronunciato le rune e ho chiuso gli occhi mentre il calore fluiva da me ed arroventava il metallo.
"Ma che diavolo stai..." ha mormorato Bron. Mi sono voltato verso di lui e, quasi scusandomi, gli ho chiesto se poteva dare un calcio alla porta. Incredulo, il brav'uomo ha ubbidito e la porta si è aperta senza difficoltà.
Scale da salire, tanto silenzio. Troppo silenzio, a dirla tutta.
Siamo arrivati al piano del dormitorio delle guardie. Da una finestra spalancata entrava un vento gelido e la nera sagoma di una cornacchia sul davanzale ha iniziato a gracchiare appena ci ha visti. A terra per poco non siamo inciampati nel corpo di due guardie.
"Aspettate qui", ho detto a Trevor e Bron, e mi sono avvicinato alla finestra, che dava sulla corte del Castello.
Il corvo è svolazzato via e seguendolo con lo sguardo ne ho visti molti altri: centinaia, migliaia di corvacci neri che volavano in cerchio su tutta Forrarossa. Pur senza essere mai stato tanto ferrato negli studi teologici, un simile stormo di uccellacci del malaugurio ha fatto suonare tutti i miei campanelli d'allarme, soprattutto sapendo chi, a breve, avrebbe sferrato un attacco al Castello: Daeron Vypern.
Prudenza, Dorian, mi sono detto. Ricordati di chi stiamo parlando, ricorda cosa ha fatto a te, cosa ha fatto a Martine...
In quel momento ho visto un gruppo di armati vestiti di nero che si muoveva attraverso la corte. Hanno affondato la spada in alcuni corpi stesi a terra, forse svenuti. Di certo dopo erano morti.
Poi si sono divisi, alcuni sono andati verso la vecchia Corte, altri verso l'edificio della guardia, proprio dove eravamo noi.
"Prendete delle armi", ho detto ai miei compagni. Ma era buio, un buio eccessivo. A malincuore ho pronunciato alcune rune ed un fascio di luce magica si è sprigionata dalle mie mani. Grazie ad essa abbiamo raccattato qualche arma e ci siamo appostati.
"Li dobbiamo ingaggiare?" ha chiesto Bron.
"Cerchiamo di non farci trovare, ma se dovessero vederci... mettiamocela tutta per farli secchi".
I quattro cavalieri neri non ci hanno trovato, per fortuna. Li abbiamo visti sfilare vicino a noi, ma sono andati oltre.
"Che facciamo adesso?" ha detto Trevor una volta allontanatisi i quattro. "Proviamo a uscire dal Castello?"
"Cerchiamo di capire cosa stanno facendo", ho risposto, io stesso indeciso sul dafarsi. Mi chiedevo dove fossero stati portati Guelfo e gli altri, e cosa stesse combinando Daeron Vypern.
Le risposte ai miei dubbi dovevano arrivare nel giro di pochi istanti.
Ho visto le porte del palazzo del Barone aprirsi, ed uscirne Daeron in persona, affiancato da una donna e un altro paio di uomini in nero.
Un brivido mi ha attravesato la schiena, e il primo istinto è stato quello di ritrarmi. Ma gli occhi imploranti di Martine mi sono balenati davanti, e non ci ho visto più dalla collera. Maledetto Vypern...
Come un segno del destino, proprio allora dalla vecchia corte si è levata una colossale fiammata di natura sovrannaturale, e nel bagliore di quel fuoco ho riconosciuto immediatamente l'opera di mio fratello Guelfo. Mai l'ho sentito tanto vicino a me come in quell'istante. Nostro padre sarebbe stato orgoglioso di noi.
Mi sono frugato nelle tasche, mentre dicevo ai miei compagni di seguirmi, e sono corso verso la porta.
Bes-Ak-Vas! ho gridato appena l'ho sentito a tiro, e tre boomerang di luce si sono scagliati su Vypern, che ha gridato di dolore.
Subito i suoi uomini sono corsi verso di noi, è stato tutto molto concitato. Abbiamo provato ad allontanarci per non restare intrappolati nel Corpo di Guardia, e siamo finiti circondati nella Corte, coi corvi che ci svolazzavano gracchiando sulla testa e decisamente troppi avversari intorno.
Trevor è caduto per primo, anche per Bron non c'è stata speranza. Io non sono uno spadaccino particolarmente capace, tutt'altro, ma evidentemente ho avuto fortuna, e gli anni spesi a far disperare i maestri d'armi e a sentirmi dire che ero negato sono serviti a qualcosa. Mi hanno ferito ripetutamente, ma sono rimasto in piedi, pur vedendomela bruttissima.
Guelfo e i suoi amici sono corsi in mio aiuto, tanto da permettermi un ultimo tentativo disperato di scagliare le mie lame di luce contro Vypern. L'ho preso in pieno, ma non è bastato. Quel maledetto adoratore delle Tenebre se l'è cavata, è riuscito a fuggire. Malridotto, zoppicante, i suoi complici l'hanno aiutato a raggiungere i portoni di Forrarossa. E così Daeron Vypern è svanito nella notte.
Tutto qui, il resto sembra una brutta storia di paura, di quelle che le vecchiette raccontano nelle notti di temporale.
Mentre Guelfo e i suoi amici tentavano di raggiungere i fuggiaschi, Clark, uno dei suoi che non conoscevo mi ha trascinato in un edificio ben chiuso e riparato e si è dato da fare, nonostante avesse un braccio al collo, a rattoppare le mie ferite. Mentre fuori, nel buio, era tutto un fruscio spaventoso di ali di corvi, di sinistri gracidii. Il banchetto di quegli orrendi uccellacci è durato fino all'alba, tra corpi smembrati e moribondi lasciati sul campo in balìa dei loro becchi affilati.
"Fammi portare al riparo i corpi di Bron e Trevor..." ho chiesto a Clark. Lui ha scosso il capo. "Non puoi più far nulla per loro. Se esci da queste mura adesso sei morto".
E così abbiamo aspettato in silenzio i primi raggi del sole e il ritorno di Guelfo e dei suoi.
Non sono riuscito ad ammazzarlo e, se non fosse stato per mio "fratello" Guelfo e i suoi amici, ci sarei finito io morto stecchito in pasto ai corvi.
Inutile, non ce l'ho proprio la stoffa dell'eroe, sono buono solo a cacciarmi nei guai... e a coinvolgere poveracci che non c'entrano niente e non hanno neanche un po' della mia fortuna. Il mio gesto impulsivo è costato la vita al cugino di Martine e al mio vecchio amico Trevor, e invece Vypern è riuscito a fuggire, per quanto mal ridotto.
Le cose sono andate così.
Ieri sera, quando siamo stati divisi da Guelfo e gli altri, delle guardie ci hanno accompagnato ad un alloggio molto spartano a ridosso delle mura, al piano inferiore della loro camerata. Benchè formalmente non fossimo agli arresti, l'ambiente in cui ci hanno rinchiusi era piuttosto simile ad una cella, senza finestre e con una porta rinforzata, di metallo. Ci hanno augurato buona notte, non senza un po' di ironia, e non ci è rimasto altro da fare che metterci a riposare.
Non so dire che ora fosse quando Trevor mi ha svegliato. "Sta succedendo qualcosa, Dorian!"
In effetti sopra di noi c'era movimento, agitazione tra le guardie, rumore di gente che si armava in fretta.
"Siamo sotto attacco?"
"Non capisco.... temo ci sia già qualcuno dentro"
Nel frattempo anche Bron si era svegliato. Il cugino di Martine era un animo semplice, ma grande e grosso e coraggioso.
Mentre stiamo ancora decidendo sul dafarsi, ecco che si sente un tonfo, poi un altro, qualche grido. L'aria sembra farsi innaturalmente fredda e anche la luce della nostra torcia si affievolisce senza una ragione apparente.
Trevor e Bron non erano al corrente del mio pur lilmitato talento come mago, e finchè è stato possibile ho cercato di tenerli all'oscuro di questo dettaglio. Ho tuttavia allertato i miei sensi alla ricerca di qualche presenza ostile di natura magica. Ma niente, solo un innaturale silenzio.
"Dobbiamo uscire da qui", ho detto.
Trevor si è persino messo a ridere. "Sopravvaluti le mie capacità, amico... senza gli strumenti giusti una serratura così non posso aprirla nemmeno io"
Ho scosso il capo e mi sono avvicinato a mani nude alla serratura. Ho pronunciato le rune e ho chiuso gli occhi mentre il calore fluiva da me ed arroventava il metallo.
"Ma che diavolo stai..." ha mormorato Bron. Mi sono voltato verso di lui e, quasi scusandomi, gli ho chiesto se poteva dare un calcio alla porta. Incredulo, il brav'uomo ha ubbidito e la porta si è aperta senza difficoltà.
Scale da salire, tanto silenzio. Troppo silenzio, a dirla tutta.
Siamo arrivati al piano del dormitorio delle guardie. Da una finestra spalancata entrava un vento gelido e la nera sagoma di una cornacchia sul davanzale ha iniziato a gracchiare appena ci ha visti. A terra per poco non siamo inciampati nel corpo di due guardie.
"Aspettate qui", ho detto a Trevor e Bron, e mi sono avvicinato alla finestra, che dava sulla corte del Castello.
Il corvo è svolazzato via e seguendolo con lo sguardo ne ho visti molti altri: centinaia, migliaia di corvacci neri che volavano in cerchio su tutta Forrarossa. Pur senza essere mai stato tanto ferrato negli studi teologici, un simile stormo di uccellacci del malaugurio ha fatto suonare tutti i miei campanelli d'allarme, soprattutto sapendo chi, a breve, avrebbe sferrato un attacco al Castello: Daeron Vypern.
Prudenza, Dorian, mi sono detto. Ricordati di chi stiamo parlando, ricorda cosa ha fatto a te, cosa ha fatto a Martine...
In quel momento ho visto un gruppo di armati vestiti di nero che si muoveva attraverso la corte. Hanno affondato la spada in alcuni corpi stesi a terra, forse svenuti. Di certo dopo erano morti.
Poi si sono divisi, alcuni sono andati verso la vecchia Corte, altri verso l'edificio della guardia, proprio dove eravamo noi.
"Prendete delle armi", ho detto ai miei compagni. Ma era buio, un buio eccessivo. A malincuore ho pronunciato alcune rune ed un fascio di luce magica si è sprigionata dalle mie mani. Grazie ad essa abbiamo raccattato qualche arma e ci siamo appostati.
"Li dobbiamo ingaggiare?" ha chiesto Bron.
"Cerchiamo di non farci trovare, ma se dovessero vederci... mettiamocela tutta per farli secchi".
I quattro cavalieri neri non ci hanno trovato, per fortuna. Li abbiamo visti sfilare vicino a noi, ma sono andati oltre.
"Che facciamo adesso?" ha detto Trevor una volta allontanatisi i quattro. "Proviamo a uscire dal Castello?"
"Cerchiamo di capire cosa stanno facendo", ho risposto, io stesso indeciso sul dafarsi. Mi chiedevo dove fossero stati portati Guelfo e gli altri, e cosa stesse combinando Daeron Vypern.
Le risposte ai miei dubbi dovevano arrivare nel giro di pochi istanti.
Ho visto le porte del palazzo del Barone aprirsi, ed uscirne Daeron in persona, affiancato da una donna e un altro paio di uomini in nero.
Un brivido mi ha attravesato la schiena, e il primo istinto è stato quello di ritrarmi. Ma gli occhi imploranti di Martine mi sono balenati davanti, e non ci ho visto più dalla collera. Maledetto Vypern...
Come un segno del destino, proprio allora dalla vecchia corte si è levata una colossale fiammata di natura sovrannaturale, e nel bagliore di quel fuoco ho riconosciuto immediatamente l'opera di mio fratello Guelfo. Mai l'ho sentito tanto vicino a me come in quell'istante. Nostro padre sarebbe stato orgoglioso di noi.
Mi sono frugato nelle tasche, mentre dicevo ai miei compagni di seguirmi, e sono corso verso la porta.
Bes-Ak-Vas! ho gridato appena l'ho sentito a tiro, e tre boomerang di luce si sono scagliati su Vypern, che ha gridato di dolore.
Subito i suoi uomini sono corsi verso di noi, è stato tutto molto concitato. Abbiamo provato ad allontanarci per non restare intrappolati nel Corpo di Guardia, e siamo finiti circondati nella Corte, coi corvi che ci svolazzavano gracchiando sulla testa e decisamente troppi avversari intorno.
Trevor è caduto per primo, anche per Bron non c'è stata speranza. Io non sono uno spadaccino particolarmente capace, tutt'altro, ma evidentemente ho avuto fortuna, e gli anni spesi a far disperare i maestri d'armi e a sentirmi dire che ero negato sono serviti a qualcosa. Mi hanno ferito ripetutamente, ma sono rimasto in piedi, pur vedendomela bruttissima.
Guelfo e i suoi amici sono corsi in mio aiuto, tanto da permettermi un ultimo tentativo disperato di scagliare le mie lame di luce contro Vypern. L'ho preso in pieno, ma non è bastato. Quel maledetto adoratore delle Tenebre se l'è cavata, è riuscito a fuggire. Malridotto, zoppicante, i suoi complici l'hanno aiutato a raggiungere i portoni di Forrarossa. E così Daeron Vypern è svanito nella notte.
Tutto qui, il resto sembra una brutta storia di paura, di quelle che le vecchiette raccontano nelle notti di temporale.
Mentre Guelfo e i suoi amici tentavano di raggiungere i fuggiaschi, Clark, uno dei suoi che non conoscevo mi ha trascinato in un edificio ben chiuso e riparato e si è dato da fare, nonostante avesse un braccio al collo, a rattoppare le mie ferite. Mentre fuori, nel buio, era tutto un fruscio spaventoso di ali di corvi, di sinistri gracidii. Il banchetto di quegli orrendi uccellacci è durato fino all'alba, tra corpi smembrati e moribondi lasciati sul campo in balìa dei loro becchi affilati.
"Fammi portare al riparo i corpi di Bron e Trevor..." ho chiesto a Clark. Lui ha scosso il capo. "Non puoi più far nulla per loro. Se esci da queste mura adesso sei morto".
E così abbiamo aspettato in silenzio i primi raggi del sole e il ritorno di Guelfo e dei suoi.
30 gennaio 519
Venerdì 1 Luglio 2011
Notte senza luna
Stasera la locanda è davvero piena. Il vento freddo che spazzola le strade di Chalard ha spinto tutti dentro, viandanti e cittadini. I primi a entrare, più fortunati, hanno trovato posto vicino al caminetto: il resto spinge contro il bancone, battendo con impazienza il suo boccale vuoto in attesa che qualche anima pia si decida a riempirlo di sidro caldo.
"Versa, versa!" Il coro di avventori infreddoliti inneggia alla botte che si erge a fatica oltre la soglia del bancone, sorretta dalle mie braccia e da quelle di Flan. "Sei pronta?" Mi chiede lui, preparandosi a correre: il frastuono è tale che lo sento a malapena. "Sempre!", gli urlo di rimando: al suo segnale iniziamo a correre, inseguiti dal copioso tracimare del sidro bollente e da una fila indistinta di boccali assetati.
Un lavoro come un altro. A dirla tutta, forse preferivo la pasticceria: ma è stato un autunno impegnativo, e Mastro Peron doveva fare qualcosa. "O te o Greta", mi ha detto. "Io penso che tu sia più brava, ma..."
"Tenete Greta, per carità. Sarà mamma prima dell'estate..."
"E la retta di Jacob?"
"Non preoccupatevi per me, davvero: so già dove andare".
E' quasi un mese che lavoro qui. Jules è stato gentile a convincere zia Brigida. "Guarda che non è una passeggiata lavorare qui, per una secca secca come te!" Aveva ragione da vendere: ci sono volute settimane per abituarmi al mal di schiena. Ne è valsa la pena, però: Jacob si è ambientato, a Noyes, e ha una nuova amica. Sta crescendo in fretta! Tra poco vorrà essere lui a badare a me. Quanto a Guelfo... chissà se sta bene. Speravo che tornasse per la Rinascita, mi sarebbe piaciuto poterla festeggiare insieme a lui. Non per altro, ma...
...
"Al diavolo! Chi vuoi prendere in giro, Nailah? La verità è che ti piace, ti piace un sacco. Vedi di dirglielo, una buona volta! Che può succedere di brutto? Almeno, se va male, ti metti il cuore in pace".
Ah, Greta, come le fai facili tu queste faccende. Vorrei che mi prestassi la tua faccia tosta, il giorno che tornerà...
"Ancora, ancora!" urlano gli avventori nell'istante in cui la botte spilla l'ultima sua goccia. "Ce la fai da sola?", mi chiede zia Brigida mentre spingo il fusto vuoto in direzione del retrobottega. Le annuisco con un sorriso: "il trucco è farla rotolare!".
La maniglia della porta è fredda come il ghiaccio: mi aspetta un bell'abbraccio di aria gelata. Un bel respiro, poi apro la porta. Niente luna oggi, neppure una minuscola falce. La botte vuota rotola oltre l'uscio, andando a far compagnia alle altre. Faccio per rientrare, quando l'occhio mi cade su uno strano sacco. No, non è un sacco: sembra più un mantello. Qualcuno deve averlo smarrito...
A un tratto qualcosa di vetro, o forse di coccio, si frantuma sulla mia testa. La prima cosa a cui penso è il vaso di petunie di Brigida, impunemente ostentato sul balcone a dispetto della loro morte avvenuta mesi addietro. Che sfortuna, penso toccandomi la testa. Sento caldo sotto alle dita, tra i capelli.
"I soldi".
La paura per quella voce improvvisa mi fa trasalire."C.. cosa?" La voce mi esce da sola, senza alcun controllo. Il cuore batte forte.
"I soldi. Dammi i soldi".
"N... non ho niente, lo giuro".
"Voltati".
Mi volto: il bandito si trova di fronte a me, ha in mano qualcosa che sembra un coltello... no, non è un coltello. Sembra piuttosto qualcosa di simile a un grosso spillone, sottilissimo e acuminato. Oh Dei...
"Guardami".
Alzo gli occhi, ma il buio e la paura non mi fanno vedere nulla. Sforzati, Nailah... Potresti doverlo riconoscere.
"Guardami, ho detto!"
Inutile. Non riesco a metterlo a fuoco. E' buio, la testa mi fa male, ho troppa paura. Sento le lacrime agli occhi, ci vedo doppio, la testa mi fa male. "Per favore... ti prego..."
Scuote la testa. "Non voglio farti del male: voglio solo i soldi. Dammi i soldi.".
Annuisco. Mi viene da piangere. Forse sono ferita, forse sono già grave. Mi tremano le gambe.
"I soldi, maledizione!" Osservo mentre mi punta lo spillone addosso, sul ventre.
"Ti prego... N... non ho soldi, con me... D.. dentro... dentro ci sono dei soldi... ti prego..."
"Dimmi il tuo nome".
"C... cos...."
"Il tuo nome, cazzo!"
"Ti prego, per favore..." le parole mi escono da sole: lo supplico, in lacrime, in preda al terrore.
"Avanti... Dimmi come ti chiami senza pisciarti addosso e prometto che ti lascio andare".
Per un istante la luce proveniente dalla locanda illumina il suo sguardo. Maledetto bugiardo, il mio nome lo sai già. Voltarmi di scatto, correre all'interno, aprire la bocca per gridare aiuto. Questo è ciò che devo fare, ciò che provo a fare. Ma il mio piano si arena dopo la prima mossa: il dolore alla testa mi blocca sull'uscio prima ancora delle sue mani. Una sulla bocca, l'altra sulla spalla. Qualcosa mi punge sotto la scapola: un dolore acuto e intenso, come il pungiglione di un insetto. E' così, dunque: sta accadendo davvero. Mi tocca morire qui, in questo cortile interno, a un metro e mezzo da una folla infinita di persone. Non è giusto. Non...
"Prima tu... poi Jacob".
No. Questo no. Per favore, per l'amore degli Dei, no. Ti prego, no. Provo a dirlo, provo a urlarlo... Ma non ci riesco. Mi manca il fiato. Non riesco a respirare, non riesco a prendere aria. Respiro, ma non succede niente. Respiro ancora, sento dell'acqua dentro al naso, dentro alla gola. Acqua calda. Dolore inaudito. Jacob, Guelfo, Greta... Marin, Vaenar, Mara... Madama Rossane... Jules.... Flan... Brigida... Mastro... Peron...
"Versa, versa!" Il coro di avventori infreddoliti inneggia alla botte che si erge a fatica oltre la soglia del bancone, sorretta dalle mie braccia e da quelle di Flan. "Sei pronta?" Mi chiede lui, preparandosi a correre: il frastuono è tale che lo sento a malapena. "Sempre!", gli urlo di rimando: al suo segnale iniziamo a correre, inseguiti dal copioso tracimare del sidro bollente e da una fila indistinta di boccali assetati.
Un lavoro come un altro. A dirla tutta, forse preferivo la pasticceria: ma è stato un autunno impegnativo, e Mastro Peron doveva fare qualcosa. "O te o Greta", mi ha detto. "Io penso che tu sia più brava, ma..."
"Tenete Greta, per carità. Sarà mamma prima dell'estate..."
"E la retta di Jacob?"
"Non preoccupatevi per me, davvero: so già dove andare".
E' quasi un mese che lavoro qui. Jules è stato gentile a convincere zia Brigida. "Guarda che non è una passeggiata lavorare qui, per una secca secca come te!" Aveva ragione da vendere: ci sono volute settimane per abituarmi al mal di schiena. Ne è valsa la pena, però: Jacob si è ambientato, a Noyes, e ha una nuova amica. Sta crescendo in fretta! Tra poco vorrà essere lui a badare a me. Quanto a Guelfo... chissà se sta bene. Speravo che tornasse per la Rinascita, mi sarebbe piaciuto poterla festeggiare insieme a lui. Non per altro, ma...
...
"Al diavolo! Chi vuoi prendere in giro, Nailah? La verità è che ti piace, ti piace un sacco. Vedi di dirglielo, una buona volta! Che può succedere di brutto? Almeno, se va male, ti metti il cuore in pace".
Ah, Greta, come le fai facili tu queste faccende. Vorrei che mi prestassi la tua faccia tosta, il giorno che tornerà...
"Ancora, ancora!" urlano gli avventori nell'istante in cui la botte spilla l'ultima sua goccia. "Ce la fai da sola?", mi chiede zia Brigida mentre spingo il fusto vuoto in direzione del retrobottega. Le annuisco con un sorriso: "il trucco è farla rotolare!".
La maniglia della porta è fredda come il ghiaccio: mi aspetta un bell'abbraccio di aria gelata. Un bel respiro, poi apro la porta. Niente luna oggi, neppure una minuscola falce. La botte vuota rotola oltre l'uscio, andando a far compagnia alle altre. Faccio per rientrare, quando l'occhio mi cade su uno strano sacco. No, non è un sacco: sembra più un mantello. Qualcuno deve averlo smarrito...
A un tratto qualcosa di vetro, o forse di coccio, si frantuma sulla mia testa. La prima cosa a cui penso è il vaso di petunie di Brigida, impunemente ostentato sul balcone a dispetto della loro morte avvenuta mesi addietro. Che sfortuna, penso toccandomi la testa. Sento caldo sotto alle dita, tra i capelli.
"I soldi".
La paura per quella voce improvvisa mi fa trasalire."C.. cosa?" La voce mi esce da sola, senza alcun controllo. Il cuore batte forte.
"I soldi. Dammi i soldi".
"N... non ho niente, lo giuro".
"Voltati".
Mi volto: il bandito si trova di fronte a me, ha in mano qualcosa che sembra un coltello... no, non è un coltello. Sembra piuttosto qualcosa di simile a un grosso spillone, sottilissimo e acuminato. Oh Dei...
"Guardami".
Alzo gli occhi, ma il buio e la paura non mi fanno vedere nulla. Sforzati, Nailah... Potresti doverlo riconoscere.
"Guardami, ho detto!"
Inutile. Non riesco a metterlo a fuoco. E' buio, la testa mi fa male, ho troppa paura. Sento le lacrime agli occhi, ci vedo doppio, la testa mi fa male. "Per favore... ti prego..."
Scuote la testa. "Non voglio farti del male: voglio solo i soldi. Dammi i soldi.".
Annuisco. Mi viene da piangere. Forse sono ferita, forse sono già grave. Mi tremano le gambe.
"I soldi, maledizione!" Osservo mentre mi punta lo spillone addosso, sul ventre.
"Ti prego... N... non ho soldi, con me... D.. dentro... dentro ci sono dei soldi... ti prego..."
"Dimmi il tuo nome".
"C... cos...."
"Il tuo nome, cazzo!"
"Ti prego, per favore..." le parole mi escono da sole: lo supplico, in lacrime, in preda al terrore.
"Avanti... Dimmi come ti chiami senza pisciarti addosso e prometto che ti lascio andare".
Per un istante la luce proveniente dalla locanda illumina il suo sguardo. Maledetto bugiardo, il mio nome lo sai già. Voltarmi di scatto, correre all'interno, aprire la bocca per gridare aiuto. Questo è ciò che devo fare, ciò che provo a fare. Ma il mio piano si arena dopo la prima mossa: il dolore alla testa mi blocca sull'uscio prima ancora delle sue mani. Una sulla bocca, l'altra sulla spalla. Qualcosa mi punge sotto la scapola: un dolore acuto e intenso, come il pungiglione di un insetto. E' così, dunque: sta accadendo davvero. Mi tocca morire qui, in questo cortile interno, a un metro e mezzo da una folla infinita di persone. Non è giusto. Non...
"Prima tu... poi Jacob".
No. Questo no. Per favore, per l'amore degli Dei, no. Ti prego, no. Provo a dirlo, provo a urlarlo... Ma non ci riesco. Mi manca il fiato. Non riesco a respirare, non riesco a prendere aria. Respiro, ma non succede niente. Respiro ancora, sento dell'acqua dentro al naso, dentro alla gola. Acqua calda. Dolore inaudito. Jacob, Guelfo, Greta... Marin, Vaenar, Mara... Madama Rossane... Jules.... Flan... Brigida... Mastro... Peron...
13 febbraio 519
Lunedì 20 Giugno 2011
Il giorno in cui avrei potuto salvarti
toc... toc... toc...
"Un altro chiodo... grazie"
"Non avresti potuto fare niente". Le parole consolatorie di Frate Erwin continuano a risuonarmi nella mente, scandite dal battere del martello. "Non avresti potuto fare niente"
toc... toc... toc...
In verità non è così.
C'è stato un giorno in cui avrei potuto salvarti.
Il giorno in cui ho fatto la mia scelta... ed ho preferito Luceen.
Adesso, col ricordo fresco di Carmen con le mani bloccate negli anelli di una catena e tradotta via dall'Inquisizione, ripenso a quel giorno, a quel momento. E mi chiedo fino a che punto è colpa mia.
Era il mio dovere fermarla, era in mio potere farlo.
"Non sposarti con Rostand, non commettere una simile follia, non comprometterti con il Barone e con la sua famiglia"
"E tu abbandona Luceen al suo destino, Andrè, lavati le mani di quei pezzenti".
Carmen... sorella mia, cosa hai fatto?
Inchiodo le assi di legno del pavimento della locanda, in ginocchio a terra accanto ai "pezzenti" di cui parlavi, ed ogni chiodo che fisso mi interrogo sul valore delle cose, su quanto le nostre scelte possano essere fatali. Alternative del diavolo, in cui è impossibile scegliere per il bene, senza conseguenze nefaste per molti innocenti.
Se avessi immaginato gli esiti di quella scelta, se avessi immaginato di Ludmilla, di Carmen, del sangue che sarebbe stato versato per questa follia... avrei abbandonato Luceen? Avrei scelto di tenere Carmen stretta a me nella torre, sotto controllo, al sicuro, e lasciare questa gente al proprio destino?
Guardo gli occhi riconoscenti di queste persone, il loro sguardo fiducioso, e mi viene di dire no. Ma poi penso alla Cattedrale distrutta e a tutta la rovina che ha colpito questa Baronia e mi viene la pelle d'oca.
Avrei potuto impedire tutto quanto, se soltanto fossi stato capace di tenere a bada mia sorella.
toc... toc... toc...
Sogno di una casa che non può esistere, di una pace che non ci sarà mai. Sono soltanto un uomo, eppure ho compiuto le mie scelte, e con le mie scelte ho influenzato la storia.
Carmen è perduta. Ludmilla amaramente vendicata. Mio nipote in Monastero, soltanto un bambino e già "un problema".
Cosa mi resta?
Mi restano "questi pezzenti". Mi resta il sogno di un villaggio che cresce e diventa un "Campo di Luce". E' questo che Luceen significa: "Campo di Luce". Ed è così la voglio immaginare, così che voglio che sia. Sogno che esista davvero una via d'uscita da tutta questa oscurità, e che oltre il buio e la notte si spalanchi un prato immenso baciato dal sole.
Carmen, mia sorella amata, potrai un giorno perdonarmi? Ti ho abbandonata nella ragnatela oscura delle ambizioni, ho lasciato che tu scivolassi nella rovina e nel peccato. Non ho saputo fermarti, troppo spaventato dal tuo sguardo e dai tuoi desideri.
Ti ho sempre amata, ma non ti ho mai capita. E ormai è troppo tardi.
toc... toc... toc...
Diamoci da fare. Mi resta soltanto un sogno... e voglio che diventi realtà.
"Un altro chiodo... grazie"
"Non avresti potuto fare niente". Le parole consolatorie di Frate Erwin continuano a risuonarmi nella mente, scandite dal battere del martello. "Non avresti potuto fare niente"
toc... toc... toc...
In verità non è così.
C'è stato un giorno in cui avrei potuto salvarti.
Il giorno in cui ho fatto la mia scelta... ed ho preferito Luceen.
Adesso, col ricordo fresco di Carmen con le mani bloccate negli anelli di una catena e tradotta via dall'Inquisizione, ripenso a quel giorno, a quel momento. E mi chiedo fino a che punto è colpa mia.
Era il mio dovere fermarla, era in mio potere farlo.
"Non sposarti con Rostand, non commettere una simile follia, non comprometterti con il Barone e con la sua famiglia"
"E tu abbandona Luceen al suo destino, Andrè, lavati le mani di quei pezzenti".
Carmen... sorella mia, cosa hai fatto?
Inchiodo le assi di legno del pavimento della locanda, in ginocchio a terra accanto ai "pezzenti" di cui parlavi, ed ogni chiodo che fisso mi interrogo sul valore delle cose, su quanto le nostre scelte possano essere fatali. Alternative del diavolo, in cui è impossibile scegliere per il bene, senza conseguenze nefaste per molti innocenti.
Se avessi immaginato gli esiti di quella scelta, se avessi immaginato di Ludmilla, di Carmen, del sangue che sarebbe stato versato per questa follia... avrei abbandonato Luceen? Avrei scelto di tenere Carmen stretta a me nella torre, sotto controllo, al sicuro, e lasciare questa gente al proprio destino?
Guardo gli occhi riconoscenti di queste persone, il loro sguardo fiducioso, e mi viene di dire no. Ma poi penso alla Cattedrale distrutta e a tutta la rovina che ha colpito questa Baronia e mi viene la pelle d'oca.
Avrei potuto impedire tutto quanto, se soltanto fossi stato capace di tenere a bada mia sorella.
toc... toc... toc...
Sogno di una casa che non può esistere, di una pace che non ci sarà mai. Sono soltanto un uomo, eppure ho compiuto le mie scelte, e con le mie scelte ho influenzato la storia.
Carmen è perduta. Ludmilla amaramente vendicata. Mio nipote in Monastero, soltanto un bambino e già "un problema".
Cosa mi resta?
Mi restano "questi pezzenti". Mi resta il sogno di un villaggio che cresce e diventa un "Campo di Luce". E' questo che Luceen significa: "Campo di Luce". Ed è così la voglio immaginare, così che voglio che sia. Sogno che esista davvero una via d'uscita da tutta questa oscurità, e che oltre il buio e la notte si spalanchi un prato immenso baciato dal sole.
Carmen, mia sorella amata, potrai un giorno perdonarmi? Ti ho abbandonata nella ragnatela oscura delle ambizioni, ho lasciato che tu scivolassi nella rovina e nel peccato. Non ho saputo fermarti, troppo spaventato dal tuo sguardo e dai tuoi desideri.
Ti ho sempre amata, ma non ti ho mai capita. E ormai è troppo tardi.
toc... toc... toc...
Diamoci da fare. Mi resta soltanto un sogno... e voglio che diventi realtà.
6 gennaio 519
Sabato 21 Maggio 2011
Il Grande Giorno
Finalmente cedi il passo, notte interminabile: sale a spezzarti un sole freddo e luminoso, che illumina la neve e il ghiaccio che hai lasciato. Raggiungo la finestra, lo sguardo vola oltre le siepi: oh Dei, che scenario mozzafiato. Nessun giardiniere osi spalare, a nessun inserviente salti in mente di liberare gli alberi da quel manto candido che li veste a festa. Tra poche ore, quando uscirò da palazzo con il mio abito nero, tutto deve essere esattamente così.
Ryan si è sposato all'aperto, nel cortile del castello di Valamer: voleva che tutti i soldati potessero assistere all'evento. Io mi sposerò nella cattedrale di Dytros, così da far partecipare tutta la città.
Comincio lentamente a prepararmi: il tempo, ora che si è fatto giorno, scorre improvvisamente più veloce. Yera bussa tre o quattro volte, impaziente di comunicarmi tutto ciò che succede a Palazzo: a quanto pare, sir Gerdy Tolmen se la caverà. Il poveretto è caduto durante il torneo, dando una botta così forte che tutti pensavano che si fosse spezzato la schiena. Il miglioramento delle sue condizioni di salute, a quanto dicono tutti, è un ottimo auspicio per il mio matrimonio. Meno male! La nevicata della notte ha in qualche modo compromesso le scorte di pane fresco... Che seccatura! Ma in cucina contano di risolvere entro l'ora di pranzo. Stamattina si è perso Rickert, il figlio di una delle cameriere che prestano servizio a Valamer... Salterà fuori quando avrà fame! La cosa importante, oggi, è non perdere la calma.
Il sole, letteralmente, vola da una parte all'altra del cielo: quando finisco trucco e acconciatura è quasi ora di andare. Dopo aver messo il vestito, chiamo Yera e Arlyn per aiutarmi con la composizione floreale.
"Allora, Yera... li hai trovati?"
La mia infaticabile ancella non mi delude, mostrandomi trionfante la cesta piena.
"Cosa sono?" Chiede Arlyn, incuriosita.
"Elleboro nero", le spiega Yera, con aria soddisfatta. "Altrimenti detto la Rosa della Rinascita. Ne esistono molte varietà: bianco, livido... Fioriscono d'inverno, sulle colline a sud di Beid. Rosalie mi ha chiesto di trovargliene il più possibile, ed eccoli qui".
Spendiamo l'ora successiva a fissare i fiori al vestito. Quando finalmente decido di guardarmi allo specchio, l'effetto è spettacolare.
"Accidenti..." esclama Arlyn, restando a bocca aperta.
"E' la cosa più fantastica che io abbia mai visto, parola mia", le fa eco Yera.
Annuisco soddisfatta: ora so di essere davvero pronta.
Quando scendo nel grande salone del palazzo, il Marchese è già lì ad aspettarmi. Dietro di lui c'è Ryan, con la spada al fianco e l'armatura dell'esercito di Beid, e Solice, con la cappa e la fratina che conosco fin troppo bene. L'altro mio fratello, Karl, è già in chiesa insieme al suo nuovo amichetto del cuore, il fratellastro di Lord Strahd.
"Siete davvero incantevole, Milady", mi dice mio fratello facendomi un inchino. Il Marchese annuisce, prendendomi per mano. Solo tu non dici nulla, Solice.
"Che ne pensi, piccoletta? Ti fa ancora così tanta paura questo vestito?"
Scuoti la testa. "Sei bellissima, e il vestito è meraviglioso. Non ho mai visto niente del genere..."
"Quindi ho la tua benedizione?"
Adesso mi annuisci: non la pensavi così tre giorni fa, quando hai visto in anteprima ciò che avevo in mente di indossare. "Non puoi farlo", mi hai detto: "non è adatto". Abbiamo discusso a lungo a riguardo, ma alla fine sono stata io a spuntarla: io vestita di nero, tu da paladina. Luce e ombra, certezza e dubbio, realtà e fantasia, ordine e caos. I due aspetti di me stessa che camminano insieme, fuori dal palazzo e poi giù per la via di alberi innevati che conduce alla grande Cattedrale di Dytros.
Sposarsi all'interno di una chiesa è cosa quantomai insolita: solitamente i matrimoni avvengono all'aperto, sotto il cielo d'estate o di primavera. Sir Thomas è già dentro che mi aspetta, vicino all'altare. Cos'è questo brivido che sento, freddo oppure... emozione? Sento la musica, mentre saliamo le scale. Il Marchese mi prende per mano, aiutandomi a salire: mio fratello da un lato, mia sorella dall'altro. Percorriamo la navata centrale: oh Dei, quanta gente. Non è facile camminare lentamente, quando ti sembra di volare. Sir Thomas si alza, si volta verso di me: è bellissimo, in armatura da cavaliere. Mi viene a prendere. La paura mi assale: guardo indietro, verso il Marchese, Ryan e Solice: oh Dei, è la fine...
No... è l'inizio.
Il discorso del vescovo, i due giuramenti, la preghiera congiunta e l'abbraccio, il volo degli uccelli, l'applauso. E poi ancora abbracci, congratulazioni, risate, squilli di trombe e petali profumati. La città intera che ci saluta e ci festeggia. In carrozza quasi non parliamo, da quanto siamo imbarazzati. Un attimo dopo siamo a Valamer a salutare i soldati, poi ancora in carrozza, verso il palazzo. Il pranzo all'aperto, con i piedi che affondano nella neve. I calici augurali levati al cielo, mentre il sole già comincia a calare verso l'orizzonte. E poi la festa da ballo, l'ultima, destinata a protrarsi fino a notte fonda.
E' in quel momento che il tempo si ferma. Il Marchese si alza in piedi, conquistando in un attimo l'attenzione di tutti. Un attimo dopo chiama presso di sé il Duca di Krandamer, che lo raggiunge.
Ci siamo, piccoletta. Ti osservo mentre trattieni il fiato, aspettando che facciano il tuo nome. Sei emozionata, malgrado tutto...
"... venite pure, figlia mia".
Ti stringi dentro la cappa da paladina, poi annuisci educatamente e vai verso di loro. Il discorso del Marchese continua, lento e retorico come a voler rimandare l'inevitabile.
"... a simbolo e suggello dell'amicizia tra il Ducato di Krandamer e la Marca di Beid..."
Lord Strahd Voranov ti guarda. Tu tieni la testa bassa, rispettosamente... ma hai le guance rosse, e un sorriso un pò ebete stampato sul viso: posso vederli da qui. Lui ti piace, ne sono certa: e molto, anche! Mi piace credere che ci hai pensato per tutta la notte, senza chiudere occhio. Beh, sai che ti dico? Te lo sei meritato. Hai la mia benedizione, piccoletta: tanti auguri e figli maschi.
"... e con la speranza che, in un giorno lieto come quello di oggi, questa promessa possa un giorno tradursi in matrimonio..."
Yera compare al mio fianco, emozionatissima: anche lei l'aveva capito subito, proprio come me.
"... il fidanzamento di mia figlia, Solice..."
Ci siamo: Yera mi artiglia il braccio, mentre il nostro sguardo rimbalza furiosamente da Solice a Lord Strahd, dal Marchese a Ryan, da Karl al fratellastro di Strahd, il piccolo...
"... con Lord Haydn Voranov, Principe di Dusken".
...
...
...
Uno scroscio di applausi riempie la sala. Io e Yera restiamo così, paralizzate, immobili come due statue di sale, lo sguardo spento, fisso su Solice, la bocca ancora aperta dallo stupore.
Il piccolo Haydn Voranov, sentendo il suo nome, lascia la mano di Karl e si avvicina a Solice, salutandola con un profondo e sentito inchino. Poi rompe gli indugi e l'abbraccia, suscitando un misto di applausi e risate tra gli astanti.
Oh Dei, quel ragazzino avrà dodici anni a dir tanto! E' talmente imbarazzante che vorrei sprofondare. Poveretta... "il principe di Dusken".... Oh, misericordia. Anche Strahd ridacchia, forse divertito dalla scena. Non posso crederci, non è vero...
La piccoletta, dal canto suo, fa del suo meglio: ricambia l'abbraccio, un pò titubante, inginocchiandosi quanto basta: gli sorride, un pò incredula... Oh Dei, neppure lei sa che cosa deve fare! Una giovane mamma inesperta alle prese con il suo figlioletto. Una mamma commossa, a giudicare dalle lacrime che le solcano il viso. Poveretta, stavolta ti hanno davvero giocato un brutto tiro. E il più maledetto di tutti è Lord Strahd che se la ride, che ride di te: scommetto che persino tu, adesso, vorresti sguainare la tua spada e trafiggerlo al cuore. Pensavi di diventare Duchessa, e invece ti ritrovi tra le braccia il "principe di Dusken".
... Ma che diavolo è Dusken, poi?
Giuro che questa davvero non me l'aspettavo.
Ryan si è sposato all'aperto, nel cortile del castello di Valamer: voleva che tutti i soldati potessero assistere all'evento. Io mi sposerò nella cattedrale di Dytros, così da far partecipare tutta la città.
Comincio lentamente a prepararmi: il tempo, ora che si è fatto giorno, scorre improvvisamente più veloce. Yera bussa tre o quattro volte, impaziente di comunicarmi tutto ciò che succede a Palazzo: a quanto pare, sir Gerdy Tolmen se la caverà. Il poveretto è caduto durante il torneo, dando una botta così forte che tutti pensavano che si fosse spezzato la schiena. Il miglioramento delle sue condizioni di salute, a quanto dicono tutti, è un ottimo auspicio per il mio matrimonio. Meno male! La nevicata della notte ha in qualche modo compromesso le scorte di pane fresco... Che seccatura! Ma in cucina contano di risolvere entro l'ora di pranzo. Stamattina si è perso Rickert, il figlio di una delle cameriere che prestano servizio a Valamer... Salterà fuori quando avrà fame! La cosa importante, oggi, è non perdere la calma.
Il sole, letteralmente, vola da una parte all'altra del cielo: quando finisco trucco e acconciatura è quasi ora di andare. Dopo aver messo il vestito, chiamo Yera e Arlyn per aiutarmi con la composizione floreale.
"Allora, Yera... li hai trovati?"
La mia infaticabile ancella non mi delude, mostrandomi trionfante la cesta piena.
"Cosa sono?" Chiede Arlyn, incuriosita.
"Elleboro nero", le spiega Yera, con aria soddisfatta. "Altrimenti detto la Rosa della Rinascita. Ne esistono molte varietà: bianco, livido... Fioriscono d'inverno, sulle colline a sud di Beid. Rosalie mi ha chiesto di trovargliene il più possibile, ed eccoli qui".
Spendiamo l'ora successiva a fissare i fiori al vestito. Quando finalmente decido di guardarmi allo specchio, l'effetto è spettacolare.
"Accidenti..." esclama Arlyn, restando a bocca aperta.
"E' la cosa più fantastica che io abbia mai visto, parola mia", le fa eco Yera.
Annuisco soddisfatta: ora so di essere davvero pronta.
Quando scendo nel grande salone del palazzo, il Marchese è già lì ad aspettarmi. Dietro di lui c'è Ryan, con la spada al fianco e l'armatura dell'esercito di Beid, e Solice, con la cappa e la fratina che conosco fin troppo bene. L'altro mio fratello, Karl, è già in chiesa insieme al suo nuovo amichetto del cuore, il fratellastro di Lord Strahd.
"Siete davvero incantevole, Milady", mi dice mio fratello facendomi un inchino. Il Marchese annuisce, prendendomi per mano. Solo tu non dici nulla, Solice.
"Che ne pensi, piccoletta? Ti fa ancora così tanta paura questo vestito?"
Scuoti la testa. "Sei bellissima, e il vestito è meraviglioso. Non ho mai visto niente del genere..."
"Quindi ho la tua benedizione?"
Adesso mi annuisci: non la pensavi così tre giorni fa, quando hai visto in anteprima ciò che avevo in mente di indossare. "Non puoi farlo", mi hai detto: "non è adatto". Abbiamo discusso a lungo a riguardo, ma alla fine sono stata io a spuntarla: io vestita di nero, tu da paladina. Luce e ombra, certezza e dubbio, realtà e fantasia, ordine e caos. I due aspetti di me stessa che camminano insieme, fuori dal palazzo e poi giù per la via di alberi innevati che conduce alla grande Cattedrale di Dytros.
Sposarsi all'interno di una chiesa è cosa quantomai insolita: solitamente i matrimoni avvengono all'aperto, sotto il cielo d'estate o di primavera. Sir Thomas è già dentro che mi aspetta, vicino all'altare. Cos'è questo brivido che sento, freddo oppure... emozione? Sento la musica, mentre saliamo le scale. Il Marchese mi prende per mano, aiutandomi a salire: mio fratello da un lato, mia sorella dall'altro. Percorriamo la navata centrale: oh Dei, quanta gente. Non è facile camminare lentamente, quando ti sembra di volare. Sir Thomas si alza, si volta verso di me: è bellissimo, in armatura da cavaliere. Mi viene a prendere. La paura mi assale: guardo indietro, verso il Marchese, Ryan e Solice: oh Dei, è la fine...
No... è l'inizio.
Il discorso del vescovo, i due giuramenti, la preghiera congiunta e l'abbraccio, il volo degli uccelli, l'applauso. E poi ancora abbracci, congratulazioni, risate, squilli di trombe e petali profumati. La città intera che ci saluta e ci festeggia. In carrozza quasi non parliamo, da quanto siamo imbarazzati. Un attimo dopo siamo a Valamer a salutare i soldati, poi ancora in carrozza, verso il palazzo. Il pranzo all'aperto, con i piedi che affondano nella neve. I calici augurali levati al cielo, mentre il sole già comincia a calare verso l'orizzonte. E poi la festa da ballo, l'ultima, destinata a protrarsi fino a notte fonda.
E' in quel momento che il tempo si ferma. Il Marchese si alza in piedi, conquistando in un attimo l'attenzione di tutti. Un attimo dopo chiama presso di sé il Duca di Krandamer, che lo raggiunge.
Ci siamo, piccoletta. Ti osservo mentre trattieni il fiato, aspettando che facciano il tuo nome. Sei emozionata, malgrado tutto...
"... venite pure, figlia mia".
Ti stringi dentro la cappa da paladina, poi annuisci educatamente e vai verso di loro. Il discorso del Marchese continua, lento e retorico come a voler rimandare l'inevitabile.
"... a simbolo e suggello dell'amicizia tra il Ducato di Krandamer e la Marca di Beid..."
Lord Strahd Voranov ti guarda. Tu tieni la testa bassa, rispettosamente... ma hai le guance rosse, e un sorriso un pò ebete stampato sul viso: posso vederli da qui. Lui ti piace, ne sono certa: e molto, anche! Mi piace credere che ci hai pensato per tutta la notte, senza chiudere occhio. Beh, sai che ti dico? Te lo sei meritato. Hai la mia benedizione, piccoletta: tanti auguri e figli maschi.
"... e con la speranza che, in un giorno lieto come quello di oggi, questa promessa possa un giorno tradursi in matrimonio..."
Yera compare al mio fianco, emozionatissima: anche lei l'aveva capito subito, proprio come me.
"... il fidanzamento di mia figlia, Solice..."
Ci siamo: Yera mi artiglia il braccio, mentre il nostro sguardo rimbalza furiosamente da Solice a Lord Strahd, dal Marchese a Ryan, da Karl al fratellastro di Strahd, il piccolo...
"... con Lord Haydn Voranov, Principe di Dusken".
...
...
...
Uno scroscio di applausi riempie la sala. Io e Yera restiamo così, paralizzate, immobili come due statue di sale, lo sguardo spento, fisso su Solice, la bocca ancora aperta dallo stupore.
Il piccolo Haydn Voranov, sentendo il suo nome, lascia la mano di Karl e si avvicina a Solice, salutandola con un profondo e sentito inchino. Poi rompe gli indugi e l'abbraccia, suscitando un misto di applausi e risate tra gli astanti.
Oh Dei, quel ragazzino avrà dodici anni a dir tanto! E' talmente imbarazzante che vorrei sprofondare. Poveretta... "il principe di Dusken".... Oh, misericordia. Anche Strahd ridacchia, forse divertito dalla scena. Non posso crederci, non è vero...
La piccoletta, dal canto suo, fa del suo meglio: ricambia l'abbraccio, un pò titubante, inginocchiandosi quanto basta: gli sorride, un pò incredula... Oh Dei, neppure lei sa che cosa deve fare! Una giovane mamma inesperta alle prese con il suo figlioletto. Una mamma commossa, a giudicare dalle lacrime che le solcano il viso. Poveretta, stavolta ti hanno davvero giocato un brutto tiro. E il più maledetto di tutti è Lord Strahd che se la ride, che ride di te: scommetto che persino tu, adesso, vorresti sguainare la tua spada e trafiggerlo al cuore. Pensavi di diventare Duchessa, e invece ti ritrovi tra le braccia il "principe di Dusken".
... Ma che diavolo è Dusken, poi?
Giuro che questa davvero non me l'aspettavo.
5 gennaio 519
Domenica 15 Maggio 2011
La firma del trattato
Uno scroscio di applausi saluta Sir Al Fennec di Amer mentre riceve dalle mie mani il premio destinato al vincitore del Torneo. Nel suo breve discorso, il Cavaliere dedica la sua vittoria al Duca di Amer e alla famiglia Desyenne, rappresentata da Lord Konon e da Lord Ural. "E' un onore essere premiato da una giovane così bella", mi dice mentre lo accompagno sugli spalti. Sorrido, cercando rilassare la mia tensione: ci siamo, penso tra me e me. Domani è il grande giorno. Il tempo che fino a stamattina sembrava essersi fermato ha preso a correre all'impazzata: il batticuore aumenta ad ogni istante che passa.
Il palco è ora occupato dai soldati del Marchese che scortano i dignitari di Beid: li precedono Lord Elias Kenson e Lord Thedor Korzeniowski, prossimi alla firma del trattato che sancirà una lunga e duratura pace tra la Baronia di Keib e la Marca di Beid. Il momento è solenne. I membri delle delegazioni Deliote si alzano in piedi, manifestando i loro omaggi nei confronti di questo importante risultato. Riconosco il profilo del Senatore Thomàs Raoùl, circondato dai suoi delegati. Alla sua sinistra distinguo chiaramente il Tassiarca Basilios Fokas e, dietro di lui, il Protosebasto Isaàch Anghelos: a una certa distanza, seminascosto all'interno degli spalti riservati agli ospiti di Krandamer, si leva l'esile figura del Metropolita Eunapios, giunto insieme alla delegazione del Duca nel tardo pomeriggio della giornata di ieri. Stando a quello che mi è stato detto, quell'uomo gode di una considerazione persino superiore di quella del Vescovo che celebrerà le mie nozze.
Il documento che sta per essere firmato non è che la riconferma del trattato a valenza decennale stipulato nel marzo del 508: anche allora, il trattato veniva firmato alla vigilia di un importante matrimonio. Lord Thedor Korzeniowski prendeva in moglie Lisa Hrant della Piana del Vento. All'epoca Lady Lisa aveva diciannove anni... la stessa età di Solice adesso.
Fin dal giorno in cui ho saputo della morte di Lisa mi aveva sfiorato il pensiero che il Marchese avrebbe dato a Solice il compito di rinnovare la promessa di pace con la baronia di Keib. Il mio sospetto si era tramutato in certezza alcuni giorni fa, quando Lord Kenson comunicò che avrebbe reso noto il fidanzamento di Solice nel giorno successivo al rinnovo del trattato con Keib: il giorno del mio matrimonio. L'austero e minaccioso Lord Thedor, un ufficiale dell'esercito spregiudicato al punto da tradire i suoi signori per trarre vantaggio e titoli nobiliari dalla loro sconfitta ad opera di Beid, sarebbe quindi diventato mio cognato. Ma l'onta che questo avrebbe significato per me sarebbe stata niente a confronto della maledizione demoniaca che avrebbe colpito mia sorella per il resto della sua vita. Povera Solice, infelicissima sposa di Thedor Korzeniowski, il sanguinario, il macellaio, il lascivo, il traditore, e soprattutto - a quanto si racconta - l'uxoricida. Un matrimonio scellerato, reso purtroppo necessario dall'unione dei Korzeniowski con i De La Fois e dal conseguente mutamento dell'equilibrio di forze della regione.
... E invece mi sbagliavo.
Solice non andrà in sposa a Lord Thedor: il Marchese di Beid non ha intenzione di consegnare sua figlia nelle mani di quell'essere ignobile. Mesi e mesi di trattative segrete, accordi nell'ombra e scambi epistolari sono riusciti a produrre una sorprendente quanto imprevedibile alternativa, tale da convincere il Barone di Keib a rinnovare il trattato senza che gli venga offerto alcun sacrificio. Domani la nostra Marca stringerà un'alleanza con una forza ancor più grande di quella di Annecy, temuta e rispettata non soltanto ad Amer e nel Granducato, ma persino nelle lontane terre di Delos...
Lord Strahd Voranov, Duca di Krandamer.
Non ho ancora le prove, ma non mi servono: mi basta vedere come guarda Solice, l'interesse e la soddisfazione che brillano nei suoi occhi. E dire che all'inizio non volevo credere ai miei, di occhi: come è possibile? come è potuto succedere? Sembrava certo che Lord Strahd fosse già imparolato, per non dire impegnato, con Lady Megan Bjorgsson, figlia del Granduca Harald... Da quello che sapevo, già nell'ultimo Palio di Krandamer il fidanzamento veniva dato per imminente. Il Marchese dev'essere riuscito a compiere un vero miracolo... o forse qualcosa è semplicemente andato storto al giovane e ambizioso Strahd? Che le sue fortune con la famiglia del Granduca si siano improvvisamente esaurite?
... Sia come sia, domani il Duca di Krandamer sarà ufficialmente il mio futuro cognato. Confesso che sono un pò invidiosa: è vero, il mio sarà un matrimonio d'amore, mentre quello di Solice sarà soprattutto un modo per legare il nostro sangue a quello dei Voranov. Ma ciò non toglie che... Solice metterà al mondo l'erede del Duca di Krandamer. Fa impressione, a pensarci bene: è un traguardo vertiginosamente alto, persino per lei. Il suo matrimonio verrà cantato e musicato dai bardi, e la notizia si spargerà in tutto il Continente...
... E poi, diciamolo senza mezzi termini: Lord Strahd forse non è bello come Thomas, ma ha uno sguardo al quale poche donne sono in grado di resistere: nei suoi occhi c'è tutta la forza, il potere, l'autorità della sua stirpe di Duchi. Anche se fosse stronzo e spietato come dicono, di certo non si può negare che sia un partito eccezionale. Congratulazioni, piccoletta! Domani sarai importante come una principessa. E dire che non te n'eri manco accorta... te l'ho dovuto dire io, poco fa.
"Non puoi dire sul serio..."
"Credimi, piccoletta... è lui. Ma non hai visto come ti guardava?"
"Non... non mi è sembrato..."
"Solice, devi darti una svegliata! Quello è venuto apposta... Perché pensi che il Marchese abbia voluto che fossi proprio tu a riceverlo? Lady Amy lo conosceva già, a differenza tua... Ma lui ha insistito: voleva che ci andassi tu. Sono già d'accordo, Solice: è deciso."
"Io.. non lo so, mi sembra così strano...".
"Dimmi cosa ti ha detto. Avrete parlato, no? Raccontami tutto".
"Ho accompagnato lui e la sua scorta a Valamer, insieme a sir Malaki e sir Thomas: ho mostrato loro le stanze che abbiamo riservato... con lui c'era anche Hayden, suo fratello minore, che ha più o meno la stessa età di Karl. A un certo punto Karl, che era venuto con noi, ci ha chiesto se poteva portarlo a visitare il castello..."
"... E Lord Strahd ha acconsentito".
"Si..."
"... E così siete rimasti da soli".
"Si".
"E avete parlato un pò? Cosa vi siete detti?"
"Mi ha detto... che aveva sentito parlare molto di me. E che era contento di scoprire che le voci dicevano il vero, e che ero educata e gentile come gli era stato raccontato."
"Ti ha detto questo? E cos'altro doveva fare per fartelo capire, Solice? Baciarti lì sul posto?"
"Sono frasi di circostanza, Rosalie: non significano niente..."
"... ma falla finita. Quello è l'uomo che sposerai, Solice... Non hai la minima idea di quanto sei fortunata. Te ne rendi conto? Il Duca di Krandamer, dannazione! Sarai Duchessa... che effetto ti fa?"
"Non lo so... è strano."
"E' spettacolare, non strano! E dimmi un'altra cosa... Ti piace?"
"D.. diventare Duchessa, dici?"
"No, scema: Strahd. Che effetto ti fa?"
"Non lo so, Rosalie: non lo so che effetto mi fa".
"Dimmelo".
"Ti ho detto che non lo so."
"Oh, insomma: ti piacciono gli uomini, no?"
"Si..."
"E Strahd, com'è? Ti piace?"
"..."
Ti piace: eccome, se ti piace. Povera piccoletta: al Duca di Krandamer, già conquistatore di Benson, sono bastati pochi minuti per fare breccia nelle tue difese. Mai come stavolta la tua cappa da Paladina ha i giorni contati. Chissà se adesso anche per te il tempo sta scorrendo così all'impazzata... Anche tu non riesci a pensare ad altro? Ce la farai ad addormentarti, stanotte, o la passerai sveglia ed emozionata come accadrà a me?
Oh Dei, che giorni fantastici e carichi di sorprese che mi avete donato: se tutte le notti fossero così, nessuno vorrebbe mai vedere il sorgere del sole.
Il palco è ora occupato dai soldati del Marchese che scortano i dignitari di Beid: li precedono Lord Elias Kenson e Lord Thedor Korzeniowski, prossimi alla firma del trattato che sancirà una lunga e duratura pace tra la Baronia di Keib e la Marca di Beid. Il momento è solenne. I membri delle delegazioni Deliote si alzano in piedi, manifestando i loro omaggi nei confronti di questo importante risultato. Riconosco il profilo del Senatore Thomàs Raoùl, circondato dai suoi delegati. Alla sua sinistra distinguo chiaramente il Tassiarca Basilios Fokas e, dietro di lui, il Protosebasto Isaàch Anghelos: a una certa distanza, seminascosto all'interno degli spalti riservati agli ospiti di Krandamer, si leva l'esile figura del Metropolita Eunapios, giunto insieme alla delegazione del Duca nel tardo pomeriggio della giornata di ieri. Stando a quello che mi è stato detto, quell'uomo gode di una considerazione persino superiore di quella del Vescovo che celebrerà le mie nozze.
Il documento che sta per essere firmato non è che la riconferma del trattato a valenza decennale stipulato nel marzo del 508: anche allora, il trattato veniva firmato alla vigilia di un importante matrimonio. Lord Thedor Korzeniowski prendeva in moglie Lisa Hrant della Piana del Vento. All'epoca Lady Lisa aveva diciannove anni... la stessa età di Solice adesso.
Fin dal giorno in cui ho saputo della morte di Lisa mi aveva sfiorato il pensiero che il Marchese avrebbe dato a Solice il compito di rinnovare la promessa di pace con la baronia di Keib. Il mio sospetto si era tramutato in certezza alcuni giorni fa, quando Lord Kenson comunicò che avrebbe reso noto il fidanzamento di Solice nel giorno successivo al rinnovo del trattato con Keib: il giorno del mio matrimonio. L'austero e minaccioso Lord Thedor, un ufficiale dell'esercito spregiudicato al punto da tradire i suoi signori per trarre vantaggio e titoli nobiliari dalla loro sconfitta ad opera di Beid, sarebbe quindi diventato mio cognato. Ma l'onta che questo avrebbe significato per me sarebbe stata niente a confronto della maledizione demoniaca che avrebbe colpito mia sorella per il resto della sua vita. Povera Solice, infelicissima sposa di Thedor Korzeniowski, il sanguinario, il macellaio, il lascivo, il traditore, e soprattutto - a quanto si racconta - l'uxoricida. Un matrimonio scellerato, reso purtroppo necessario dall'unione dei Korzeniowski con i De La Fois e dal conseguente mutamento dell'equilibrio di forze della regione.
... E invece mi sbagliavo.
Solice non andrà in sposa a Lord Thedor: il Marchese di Beid non ha intenzione di consegnare sua figlia nelle mani di quell'essere ignobile. Mesi e mesi di trattative segrete, accordi nell'ombra e scambi epistolari sono riusciti a produrre una sorprendente quanto imprevedibile alternativa, tale da convincere il Barone di Keib a rinnovare il trattato senza che gli venga offerto alcun sacrificio. Domani la nostra Marca stringerà un'alleanza con una forza ancor più grande di quella di Annecy, temuta e rispettata non soltanto ad Amer e nel Granducato, ma persino nelle lontane terre di Delos...
Lord Strahd Voranov, Duca di Krandamer.
Non ho ancora le prove, ma non mi servono: mi basta vedere come guarda Solice, l'interesse e la soddisfazione che brillano nei suoi occhi. E dire che all'inizio non volevo credere ai miei, di occhi: come è possibile? come è potuto succedere? Sembrava certo che Lord Strahd fosse già imparolato, per non dire impegnato, con Lady Megan Bjorgsson, figlia del Granduca Harald... Da quello che sapevo, già nell'ultimo Palio di Krandamer il fidanzamento veniva dato per imminente. Il Marchese dev'essere riuscito a compiere un vero miracolo... o forse qualcosa è semplicemente andato storto al giovane e ambizioso Strahd? Che le sue fortune con la famiglia del Granduca si siano improvvisamente esaurite?
... Sia come sia, domani il Duca di Krandamer sarà ufficialmente il mio futuro cognato. Confesso che sono un pò invidiosa: è vero, il mio sarà un matrimonio d'amore, mentre quello di Solice sarà soprattutto un modo per legare il nostro sangue a quello dei Voranov. Ma ciò non toglie che... Solice metterà al mondo l'erede del Duca di Krandamer. Fa impressione, a pensarci bene: è un traguardo vertiginosamente alto, persino per lei. Il suo matrimonio verrà cantato e musicato dai bardi, e la notizia si spargerà in tutto il Continente...
... E poi, diciamolo senza mezzi termini: Lord Strahd forse non è bello come Thomas, ma ha uno sguardo al quale poche donne sono in grado di resistere: nei suoi occhi c'è tutta la forza, il potere, l'autorità della sua stirpe di Duchi. Anche se fosse stronzo e spietato come dicono, di certo non si può negare che sia un partito eccezionale. Congratulazioni, piccoletta! Domani sarai importante come una principessa. E dire che non te n'eri manco accorta... te l'ho dovuto dire io, poco fa.
"Non puoi dire sul serio..."
"Credimi, piccoletta... è lui. Ma non hai visto come ti guardava?"
"Non... non mi è sembrato..."
"Solice, devi darti una svegliata! Quello è venuto apposta... Perché pensi che il Marchese abbia voluto che fossi proprio tu a riceverlo? Lady Amy lo conosceva già, a differenza tua... Ma lui ha insistito: voleva che ci andassi tu. Sono già d'accordo, Solice: è deciso."
"Io.. non lo so, mi sembra così strano...".
"Dimmi cosa ti ha detto. Avrete parlato, no? Raccontami tutto".
"Ho accompagnato lui e la sua scorta a Valamer, insieme a sir Malaki e sir Thomas: ho mostrato loro le stanze che abbiamo riservato... con lui c'era anche Hayden, suo fratello minore, che ha più o meno la stessa età di Karl. A un certo punto Karl, che era venuto con noi, ci ha chiesto se poteva portarlo a visitare il castello..."
"... E Lord Strahd ha acconsentito".
"Si..."
"... E così siete rimasti da soli".
"Si".
"E avete parlato un pò? Cosa vi siete detti?"
"Mi ha detto... che aveva sentito parlare molto di me. E che era contento di scoprire che le voci dicevano il vero, e che ero educata e gentile come gli era stato raccontato."
"Ti ha detto questo? E cos'altro doveva fare per fartelo capire, Solice? Baciarti lì sul posto?"
"Sono frasi di circostanza, Rosalie: non significano niente..."
"... ma falla finita. Quello è l'uomo che sposerai, Solice... Non hai la minima idea di quanto sei fortunata. Te ne rendi conto? Il Duca di Krandamer, dannazione! Sarai Duchessa... che effetto ti fa?"
"Non lo so... è strano."
"E' spettacolare, non strano! E dimmi un'altra cosa... Ti piace?"
"D.. diventare Duchessa, dici?"
"No, scema: Strahd. Che effetto ti fa?"
"Non lo so, Rosalie: non lo so che effetto mi fa".
"Dimmelo".
"Ti ho detto che non lo so."
"Oh, insomma: ti piacciono gli uomini, no?"
"Si..."
"E Strahd, com'è? Ti piace?"
"..."
Ti piace: eccome, se ti piace. Povera piccoletta: al Duca di Krandamer, già conquistatore di Benson, sono bastati pochi minuti per fare breccia nelle tue difese. Mai come stavolta la tua cappa da Paladina ha i giorni contati. Chissà se adesso anche per te il tempo sta scorrendo così all'impazzata... Anche tu non riesci a pensare ad altro? Ce la farai ad addormentarti, stanotte, o la passerai sveglia ed emozionata come accadrà a me?
Oh Dei, che giorni fantastici e carichi di sorprese che mi avete donato: se tutte le notti fossero così, nessuno vorrebbe mai vedere il sorgere del sole.
31 dicembre 518
Domenica 1 Maggio 2011
La Notte delle Streghe (prima parte)
Auguri, congratulazioni, di nuovo auguri: e poi ancora doni, inviti e complimenti, lodi, ringraziamenti e regali. Il gran ballo del giorno del fato è soltanto il primo appuntamento di questi giorni di festa, ma la maggior parte degli invitati sono già qui: altri ancora ne arriveranno, nel corso dei giorni successivi. Mai, da quando vivo qui, il palazzo di Beid aveva ospitato un evento tanto sfarzoso.
Esco dal grande salone con la musica che mi segue, il bicchiere in mano riempito forse un pò troppe volte. Lo alzo, finalmente sola, oltre la balaustra che separa il balcone dal giardino sottostante. Buio, silenzio. La notte che segue il giorno del Fato è la più lunga dell'anno: la notte delle Streghe, come la chiamano i popolani superstiziosi. La leggenda vuole che nell'antichità il sole restasse nascosto per un intero quarto di luna, tornando a splendere soltanto nel settimo giorno di gennaio. Una settimana di tenebra che la tradizione ci esorta a vivere nella preghiera, rintanati nel silenzio delle nostre dimore.
Non questa volta.
"Alla vostra salute, madre mia". O dovrei forse dire "madri"? Quella che non ho mai avuto, quella che non mi ha mai amato e quella che mi ha dato in pasto ai cani. A voi dedico la lunga notte dei miei festeggiamenti. Rido, inclino la testa, bevo e getto il bicchiere di sotto, mandandolo a infrangersi sul selciato in un'esplosione secca di gocce argentate.
"Fate attenzione a non perdere l'equilibrio: potreste farvi male".
A parlarmi è un'ombra sottile ferma al centro del terrazzo: devo avere davvero esagerato col vino per non averla notata prima.
"Vi ringrazio per la vostra premura: sarei così sgarbata a chiedervi di tornare dentro? ho voglia di stare un pò da sola".
"Potete provarci".
"L'ho appena fatto".
"Penso che resterò qui: sono arrivato prima di voi, in fondo".
Riconosco la voce di sir Walder Mormont, il cavaliere di Nekkar che mi è stato presentato oggi: l'oscurità in cui è avvolto nasconde i suoi capelli lunghi e il pallore innaturale del volto. "Il Cavaliere Macabro", l'ha subito soprannominato Ryan. Ripenso con un sorriso all'espressione sul volto di mio padre, Lord Elias Kenson, quando se lo è visto di fronte al posto dell'atteso e inaspettatamente dimissionario Barone di Nekkar. Trasandato, irriverente e poco formale, proprio il genere di cavalieri che detesta. Non mi stupisco di trovarlo qui, infastidito da una musica che non conosce e da balli a cui non vuole nè può prendere parte. Fai un pò come ti pare, penso: tanto il terrazzo è grande.
"Sono certo che era bellissima".
"Chi?"
"Colei a cui avete brindato: vostra madre".
Ah-ah... Argomento sbagliato, sir Walder: e dire che mi stavi quasi simpatico. Mi volto verso la sala, da cui scaturisce uno scroscio di applausi: a non più di dieci metri da me, circondato da un folto gruppo di invitati, Lord Konon Desyenne giace in ginocchio davanti a Lady Juliette Keitel nel tentativo di farsi concedere un ballo. "E che sia una Tresca, stavolta" tuona il cugino del Duca di Amer, agitando un indice in direzione del palco dei musicisti, "ché non si faccia mistero delle mie intenzioni!". La battuta strappa alla sala una risata, alla quale partecipo volentieri.
"Già ve ne andate?"
"Mi è venuta voglia di tornare dentro: ma voi restate pure, se lo desiderate".
"Credevo che il silenzio della notte vi piacesse".
"Lo credevo anch'io. A presto, sir Mormont". Faccio due passi, poi la sua mano mi afferra il polso.
"Aspettate".
Ritraggo il braccio con uno scatto. Adesso state esagerando, sir Cavaliere Macabro.
"Prima di tornare lì dentro, ditemi perché avete scelto questa settimana".
"Non c'è un motivo particolare", rispondo seccamente. "E' capitato così".
"Conoscete la leggenda, vero?"
Scuoto la testa. "Conosco le storie e le superstizioni legate a questi giorni, questo è tutto. Mi piaceva l'idea di scherzarci un pò sopra".
"Voi eravate una paladina, giusto? O una veste bianca...".
"Non c'entra con questo".
"... E poi avete capito che non era ciò che volevate".
"Vi ho detto che non c'entra. Ho scelto questi giorni per gioco, non per polemica nei riguardi di ciò che ero".
"Non vi credo. Io penso che l'abbiate fatto perché volevate fare qualcosa di irriverente, di dissacrante..."
"Pensate quello che vi pare: io torno dentro".
"Ditemi se ho ragione, prima."
"E anche se fosse? Vi crea problemi?"
"Oh no... mi piace, mi piace molto". E così dicendo il cavaliere macabro mi prende ancora il braccio, stavolta all'altezza del polso, chinandosi a baciarmi la mano. Nuovamente mi ritraggo, stavolta a titolo definitivo: ho perso fin troppo tempo con questo spostato, è tempo di tornare dai miei ospiti.
Il mio ritorno nel salone ruba a Lord Konon e a Lady Juliette le fiaccole della ribalta: in pochi istanti mi trovo circondata dalla delegazione di Delos, capitanata dall'eccellentissimo Panipersebasto Thomàs Raoùl. Il Senatore, che parla un Greyhavenese non particolarmente fluido ma comunque comprensibile, si dichiara entusiasta del ricevimento e della selezione raffinata dei vini e delle pietanze, nonché di quella degli invitati: le difficoltà linguistiche non ci impediscono di conversare piacevolmente e di danzare. Al termine del ballo il Panipersebasto insiste per introdurmi personalmente alle altre personalità Deliote presenti: faccio così la conoscenza di Isaàch Anghelos, Protosebasto e Tassiarco di Ausonìa, tanto giovane nell'aspetto quanto austero e riservato nei modi. Dopo di lui è la volta del Tassiarco di Kastorìa, Basilios Fòkas: anch'egli, rivolgendomi un caloroso sorriso, mi invita a ballare.
A differenza dei suoi conterranei, che incarnano il modello formale dell'ufficiale dell'Impero, Basilios Fòkas ha piuttosto l'aspetto di un giovane mondano: entrambi ci accorgiamo ben presto di non essere completamente sobri e, nonostante il suo Greyhavenese un pò stentato, ci troviamo ben presto a ridere e a scherzare come due amici. Capisco che mi conosce, che ha già sentito parlare di me: sa che il mio promesso sposo è un cavaliere di mio padre, e ha persino l'audacia di dirmi quanto fosse rimasto deluso nell'aver appreso tale notizia: "avreste dovuto dare anche a Delos l'occasione di conquistarvi", conclude fissandomi negli occhi. "Siete un bugiardo, nondimeno questo è il più bel complimento della serata", gli rispondo raggiante. Subito dopo mi confida di aver avuto notizie dell'esistenza di un'altra figlia del Marchese ancora da maritare. Capisco che è il momento di parlargli di Solice: la piccoletta ha i giorni contati, mio padre è stato chiaro... e mi ha anche chiesto di dare una mano al destino. Dopo aver confermato le voci sulla sua esistenza, spiego al Tassiarca come stanno le cose: come è fatta, cosa pensa, come prenderla, cosa dirle.
"Voglio incontrarla", mi dice quando ho finito di incuriosirlo a morte. "Dove si trova?"
Io stessa impiego del tempo a trovarla nel grande salone, lontana com'è dal cuore della festa, impegnata in una interminabile conversazione con gli invitati più noiosi e meno interessanti dell'intero ballo... la delegazione dei nanetti di Nair-Al-Zaurak. Sospiro, scuotendo la testa: in bocca al lupo, Basilios Fòkas, penso mentre gliela indico: ne avrai bisogno.
Grande è la mia sorpesa quando la riconosce.
"Ma... è la paladina", dice sorpreso, fissandola.
"Si, ma... non vi preoccupate: è una sistemazione temporanea", mi viene da rispondere d'istinto. "Ma voi... la conoscete già?"
Il Tassiarco non mi risponde: si avvicina in silenzio al gruppetto, un passo dopo l'altro: Solice alza la testa, anche lei lo riconosce... sembra imbarazzata. I nanetti si disperdono, lasciandoli soli. Sogno o son desta? Tra quei due è senz'altro successo qualcosa, di certo nel corso del viaggio della piccoletta a Delos: ma cosa? E il Marchese ne è a conoscenza? Accidenti... Devo sapere! In un primo momento mi viene l'idea di avvicinarmi furtivamente per poter sentire quello che si dicono... impossibile, senza farsi notare. No, devo limitarmi a guardare la scena da lontano: indagherò più tardi, a notte inoltrata. Obbligherò Solice e Yera a restare alzate: insieme festeggeremo la notte delle Streghe, raccontandoci storie di paura... e rivelandoci segreti. E poi vedremo come utilizzarli al meglio, questi segreti.
Immersa come sono in questi pensieri non noto la figura scura che mi si avvicina da dietro, scivolando in silenzio tra gli invitati come un fantasma tra le lapidi.
"Mi piace molto".
Rieccolo: il Cavaliere Macabro. "Cosa?", rispondo senza voltarmi.
"Quello che fate... e come lo fate".
"Mi fa piacere che la festa vi piaccia".
"Oh, si..."
D'un tratto la musica si interrompe, per riprendere un attimo dopo con un ritmo più lento e solenne.
"Posso ardire di chiedervi di concedermi questo ballo?"
Scuoto la testa. "Non ne sareste in grado, cavaliere. Questa non è una danza adatta a chi non sa ballare".
"Mettetemi alla prova: a Nekkar c'è ancora chi conosce la basse danse".
"Conoscerla vi fa onore... ma sono stanca, e ho da fare".
"Di cosa avete paura? Vostra sorella se la caverà benissimo anche senza di voi... E poi devo ancora darvi il mio regalo. Non siate scortese...".
Mi allontano con passo deciso, tuffandomi in una conversazione in corso tra Ryan, Thomas e un cavaliere di Achenar che non mi è stato ancora presentato: la presenza del mio promesso sposo dovrebbe scoraggiare ogni ulteriore invito da parte del Cavaliere Macabro. "Che bel vestito!" mi dice quella che sembra essere la dama di compagnia del cavaliere. "Vi ringrazio molto. Che bella collana!" le rispondo, indicando il monile tempestato di diamanti sfoggiato senza troppa grazia sopra a una generosa scollatura. Mi viene presentata come Lynn, Lynn di Achenar. E brava Lynn, penso tra me e me: devi aver giocato bene le tue carte di popolana per essere riuscita a ottenere un simile regalo.
Io, d'altro canto, credo di averne appena perso uno...
Esco dal grande salone con la musica che mi segue, il bicchiere in mano riempito forse un pò troppe volte. Lo alzo, finalmente sola, oltre la balaustra che separa il balcone dal giardino sottostante. Buio, silenzio. La notte che segue il giorno del Fato è la più lunga dell'anno: la notte delle Streghe, come la chiamano i popolani superstiziosi. La leggenda vuole che nell'antichità il sole restasse nascosto per un intero quarto di luna, tornando a splendere soltanto nel settimo giorno di gennaio. Una settimana di tenebra che la tradizione ci esorta a vivere nella preghiera, rintanati nel silenzio delle nostre dimore.
Non questa volta.
"Alla vostra salute, madre mia". O dovrei forse dire "madri"? Quella che non ho mai avuto, quella che non mi ha mai amato e quella che mi ha dato in pasto ai cani. A voi dedico la lunga notte dei miei festeggiamenti. Rido, inclino la testa, bevo e getto il bicchiere di sotto, mandandolo a infrangersi sul selciato in un'esplosione secca di gocce argentate.
"Fate attenzione a non perdere l'equilibrio: potreste farvi male".
A parlarmi è un'ombra sottile ferma al centro del terrazzo: devo avere davvero esagerato col vino per non averla notata prima.
"Vi ringrazio per la vostra premura: sarei così sgarbata a chiedervi di tornare dentro? ho voglia di stare un pò da sola".
"Potete provarci".
"L'ho appena fatto".
"Penso che resterò qui: sono arrivato prima di voi, in fondo".
Riconosco la voce di sir Walder Mormont, il cavaliere di Nekkar che mi è stato presentato oggi: l'oscurità in cui è avvolto nasconde i suoi capelli lunghi e il pallore innaturale del volto. "Il Cavaliere Macabro", l'ha subito soprannominato Ryan. Ripenso con un sorriso all'espressione sul volto di mio padre, Lord Elias Kenson, quando se lo è visto di fronte al posto dell'atteso e inaspettatamente dimissionario Barone di Nekkar. Trasandato, irriverente e poco formale, proprio il genere di cavalieri che detesta. Non mi stupisco di trovarlo qui, infastidito da una musica che non conosce e da balli a cui non vuole nè può prendere parte. Fai un pò come ti pare, penso: tanto il terrazzo è grande.
"Sono certo che era bellissima".
"Chi?"
"Colei a cui avete brindato: vostra madre".
Ah-ah... Argomento sbagliato, sir Walder: e dire che mi stavi quasi simpatico. Mi volto verso la sala, da cui scaturisce uno scroscio di applausi: a non più di dieci metri da me, circondato da un folto gruppo di invitati, Lord Konon Desyenne giace in ginocchio davanti a Lady Juliette Keitel nel tentativo di farsi concedere un ballo. "E che sia una Tresca, stavolta" tuona il cugino del Duca di Amer, agitando un indice in direzione del palco dei musicisti, "ché non si faccia mistero delle mie intenzioni!". La battuta strappa alla sala una risata, alla quale partecipo volentieri.
"Già ve ne andate?"
"Mi è venuta voglia di tornare dentro: ma voi restate pure, se lo desiderate".
"Credevo che il silenzio della notte vi piacesse".
"Lo credevo anch'io. A presto, sir Mormont". Faccio due passi, poi la sua mano mi afferra il polso.
"Aspettate".
Ritraggo il braccio con uno scatto. Adesso state esagerando, sir Cavaliere Macabro.
"Prima di tornare lì dentro, ditemi perché avete scelto questa settimana".
"Non c'è un motivo particolare", rispondo seccamente. "E' capitato così".
"Conoscete la leggenda, vero?"
Scuoto la testa. "Conosco le storie e le superstizioni legate a questi giorni, questo è tutto. Mi piaceva l'idea di scherzarci un pò sopra".
"Voi eravate una paladina, giusto? O una veste bianca...".
"Non c'entra con questo".
"... E poi avete capito che non era ciò che volevate".
"Vi ho detto che non c'entra. Ho scelto questi giorni per gioco, non per polemica nei riguardi di ciò che ero".
"Non vi credo. Io penso che l'abbiate fatto perché volevate fare qualcosa di irriverente, di dissacrante..."
"Pensate quello che vi pare: io torno dentro".
"Ditemi se ho ragione, prima."
"E anche se fosse? Vi crea problemi?"
"Oh no... mi piace, mi piace molto". E così dicendo il cavaliere macabro mi prende ancora il braccio, stavolta all'altezza del polso, chinandosi a baciarmi la mano. Nuovamente mi ritraggo, stavolta a titolo definitivo: ho perso fin troppo tempo con questo spostato, è tempo di tornare dai miei ospiti.
Il mio ritorno nel salone ruba a Lord Konon e a Lady Juliette le fiaccole della ribalta: in pochi istanti mi trovo circondata dalla delegazione di Delos, capitanata dall'eccellentissimo Panipersebasto Thomàs Raoùl. Il Senatore, che parla un Greyhavenese non particolarmente fluido ma comunque comprensibile, si dichiara entusiasta del ricevimento e della selezione raffinata dei vini e delle pietanze, nonché di quella degli invitati: le difficoltà linguistiche non ci impediscono di conversare piacevolmente e di danzare. Al termine del ballo il Panipersebasto insiste per introdurmi personalmente alle altre personalità Deliote presenti: faccio così la conoscenza di Isaàch Anghelos, Protosebasto e Tassiarco di Ausonìa, tanto giovane nell'aspetto quanto austero e riservato nei modi. Dopo di lui è la volta del Tassiarco di Kastorìa, Basilios Fòkas: anch'egli, rivolgendomi un caloroso sorriso, mi invita a ballare.
A differenza dei suoi conterranei, che incarnano il modello formale dell'ufficiale dell'Impero, Basilios Fòkas ha piuttosto l'aspetto di un giovane mondano: entrambi ci accorgiamo ben presto di non essere completamente sobri e, nonostante il suo Greyhavenese un pò stentato, ci troviamo ben presto a ridere e a scherzare come due amici. Capisco che mi conosce, che ha già sentito parlare di me: sa che il mio promesso sposo è un cavaliere di mio padre, e ha persino l'audacia di dirmi quanto fosse rimasto deluso nell'aver appreso tale notizia: "avreste dovuto dare anche a Delos l'occasione di conquistarvi", conclude fissandomi negli occhi. "Siete un bugiardo, nondimeno questo è il più bel complimento della serata", gli rispondo raggiante. Subito dopo mi confida di aver avuto notizie dell'esistenza di un'altra figlia del Marchese ancora da maritare. Capisco che è il momento di parlargli di Solice: la piccoletta ha i giorni contati, mio padre è stato chiaro... e mi ha anche chiesto di dare una mano al destino. Dopo aver confermato le voci sulla sua esistenza, spiego al Tassiarca come stanno le cose: come è fatta, cosa pensa, come prenderla, cosa dirle.
"Voglio incontrarla", mi dice quando ho finito di incuriosirlo a morte. "Dove si trova?"
Io stessa impiego del tempo a trovarla nel grande salone, lontana com'è dal cuore della festa, impegnata in una interminabile conversazione con gli invitati più noiosi e meno interessanti dell'intero ballo... la delegazione dei nanetti di Nair-Al-Zaurak. Sospiro, scuotendo la testa: in bocca al lupo, Basilios Fòkas, penso mentre gliela indico: ne avrai bisogno.
Grande è la mia sorpesa quando la riconosce.
"Ma... è la paladina", dice sorpreso, fissandola.
"Si, ma... non vi preoccupate: è una sistemazione temporanea", mi viene da rispondere d'istinto. "Ma voi... la conoscete già?"
Il Tassiarco non mi risponde: si avvicina in silenzio al gruppetto, un passo dopo l'altro: Solice alza la testa, anche lei lo riconosce... sembra imbarazzata. I nanetti si disperdono, lasciandoli soli. Sogno o son desta? Tra quei due è senz'altro successo qualcosa, di certo nel corso del viaggio della piccoletta a Delos: ma cosa? E il Marchese ne è a conoscenza? Accidenti... Devo sapere! In un primo momento mi viene l'idea di avvicinarmi furtivamente per poter sentire quello che si dicono... impossibile, senza farsi notare. No, devo limitarmi a guardare la scena da lontano: indagherò più tardi, a notte inoltrata. Obbligherò Solice e Yera a restare alzate: insieme festeggeremo la notte delle Streghe, raccontandoci storie di paura... e rivelandoci segreti. E poi vedremo come utilizzarli al meglio, questi segreti.
Immersa come sono in questi pensieri non noto la figura scura che mi si avvicina da dietro, scivolando in silenzio tra gli invitati come un fantasma tra le lapidi.
"Mi piace molto".
Rieccolo: il Cavaliere Macabro. "Cosa?", rispondo senza voltarmi.
"Quello che fate... e come lo fate".
"Mi fa piacere che la festa vi piaccia".
"Oh, si..."
D'un tratto la musica si interrompe, per riprendere un attimo dopo con un ritmo più lento e solenne.
"Posso ardire di chiedervi di concedermi questo ballo?"
Scuoto la testa. "Non ne sareste in grado, cavaliere. Questa non è una danza adatta a chi non sa ballare".
"Mettetemi alla prova: a Nekkar c'è ancora chi conosce la basse danse".
"Conoscerla vi fa onore... ma sono stanca, e ho da fare".
"Di cosa avete paura? Vostra sorella se la caverà benissimo anche senza di voi... E poi devo ancora darvi il mio regalo. Non siate scortese...".
Mi allontano con passo deciso, tuffandomi in una conversazione in corso tra Ryan, Thomas e un cavaliere di Achenar che non mi è stato ancora presentato: la presenza del mio promesso sposo dovrebbe scoraggiare ogni ulteriore invito da parte del Cavaliere Macabro. "Che bel vestito!" mi dice quella che sembra essere la dama di compagnia del cavaliere. "Vi ringrazio molto. Che bella collana!" le rispondo, indicando il monile tempestato di diamanti sfoggiato senza troppa grazia sopra a una generosa scollatura. Mi viene presentata come Lynn, Lynn di Achenar. E brava Lynn, penso tra me e me: devi aver giocato bene le tue carte di popolana per essere riuscita a ottenere un simile regalo.
Io, d'altro canto, credo di averne appena perso uno...
15 novembre 518
Giovedì 17 Febbraio 2011
Cattivi maestri (prologo)
15 novembre 518
Di nuovo a Chalard. I picchi delle Falayse costeggiano il lato sinistro della via maestra, celando il sentiero che porta al Monastero di Foucault. Chissà se quella strada si ricorda ancora di me: ci conoscevamo bene qualche anno fa, quando non vedevo l'ora di percorrerla per tornare a Beid... Dai miei fratelli, da mio padre, da Sir Thomas. E' con lui che cavalco oggi, insieme a una trentina di soldati da lui comandati. Ma non è Foucault il monastero a cui siamo diretti: la nostra meta è Noyes, ben più modesto tempio per fama e dimensioni e del quale a dire il vero non conservo un buon ricordo: quel luogo mi ha vista entrare debole e febbricitante, lontana da me stessa come non ero mai stata.
Neanche a farlo apposta, una torre fa capolino dalle colline davanti a noi. La sua sagoma fruga tra i miei ricordi, con la grazia che si addice un ospite indesiderato. La Torre del Tramonto, così la chiamava la mia entusiasta sorella: immagino quante feste, tra quei grossi mattoni... Annoia persino da questa distanza. Mi aspettano lunghe giornate. Ma non temete, Padri di Noyes, non è stata la cortesia ad avermi fatto accettare il vostro invito: la Marca di Beid esaudirà le vostre richieste di sua spontanea volontà. Avete chiesto soldati e risposte e state per ricevere entrambe le cose, con l'augurio che possiate farne buon uso.
17 novembre 518
Secondo giorno a Noyes. Il vento è freddo, il cibo si lascia mangiare. Lenzuola pulite, materassi ridicoli, e il rumore... il rumore è ovunque, come fosse il padrone di casa. Che davvero qualcuno possa studiare, in questo collegio? A saperlo prima avrei chiesto di farmi mettere un letto in biblioteca, l'unico posto dove il silenzio è riuscito a restare sul trono: graziose fanciulle vestite di bianco consultano testi e allenano la mano alla scrittura, lontano dagli schiamazzi dei maschi in cortile. L'istinto meno che assente di mescolarmi a loro si tramuta per forza di cose in ineludibile necessità.
"Rosalie Lambert, incontrarvi è per me un piacere e un onore: ma ancora più grande è la gioia nel vedervi sfogliare il memoriale di Giosìa il Venerabile".
L'anziano sacerdote che disturba sia pure educatamente la mia lettura ha un che di familiare: che sia...
"Voi... siete di Beid, non è vero?"
Annuisce, presentandosi come Padre Camarque. Mi saluta di nuovo, dicendo di conoscermi. Mi racconta la sua vita. Ammetto che le sue storie riescono a suscitare il mio interesse: questo monaco sa parlare bene, sembra essere un tipo interessante. La mia attenzione schizza alle stelle quando si mette a raccontare di mio padre: non gli dò tregua, voglio sapere tutto, lo ascolto per ore. La cosa divertente è che non sa dirmi nulla che io già non sappia: ma sono cose che voglio sentire e risentire ancora, come una bambina con la sua favola preferita. E come una bambina, mentre lo ascolto, penso che questa sera dormirò felice e sognerò qualcosa di meraviglioso.
18 novembre 518
Terzo giorno a Noyes. Il vento freddo è morto, ucciso da una brezza gentile che mi carezza con il suo soffio delicato fino a svegliarmi. Le lenzuola scivolano via come seta, e anche la colazione ha un sapore diverso. I materassi... Quelli sono ancora ridicoli: sognare mio padre dà luogo a miracoli, ma per tramutare queste cotenne di gallo in qualcosa di simile a piume non basterebbe tutta la misericordia di Pyros.
Dopo essermi lavata, pettinata e profumata, decido di dare sollievo alla mia schiena indolenzita: il buonumore mi accompagna mentre percorro il chiostro del collegio, salutando gli uccellini che scendono a dissetarsi nelle piccole pozzanghere riempite dalla pioggia notturna. Oggi sarà il primo giorno di colloquio, in cui mi verrà chiesto di raccontare quello che mi è successo.
Fino ad ora sono stata trattata nel migliore dei modi: Padre Quart in persona è venuto a ricevermi, ringraziandomi per aver accettato una richiesta così delicata. Nei due giorni che hanno seguito il mio arrivo ho conosciuto Sir Arles, il Comandante dei Paladini, Padre Horace Ashby, il Rettore del Collegio dove si trova la mia stanza, e molte altre personalità importanti di questo monastero. Hanno fatto del loro meglio per mettermi a mio agio, forse temendo che avrei potuto cambiare idea.
Le loro paure non sono del tutto infondate, e vantano radici tanto fresche quanto solide. I toni con cui meno di un mese fa mio padre il Marchese aveva risposto alla lettera inviatagli da padre Quart erano stati, per usare un eufemismo, piuttosto categorici. Egli non avrebbe consentito all'uomo che aveva avuto l'ardire di penetrare nei giardini del Palazzo di Beid di tornare sul suo territorio, tanto meno per porre a sua figlia domande di qualsivoglia tipo; di contro, comunicava il suo rammarico per aver appreso che l'altra sua figlia era stata inviata nientemeno che a Delos, fatto di cui egli non era stato messo a conoscenza.
Il rammarico è un sentimento di amarezza o contrarietà: per una persona normale può essere talvolta simile al rimpianto o al disappunto. Per il Marchese di Beid è qualcosa che può essere considerato simile a un fulmine che colpisce il tronco di una quercia secolare: il lavoro di molti, moltissimi anni che diventa cenere nel giro di pochi istanti. Questo, se lo so io, lo sanno di certo anche Sir Arles, Sir Bruno e Padre Quart. Il primo e il terzo hanno scritto entrambi una lettera di scuse, mentre il secondo è partito da Chalard per non fare più ritorno.
Quando tutto sembrava ormai perduto gli Dei sono scesi a mettere una pezza su questo disastro diplomatico, facendo spuntare dal nulla Lord Albert con tutti i suoi soldati. Alleanze impreviste, un monastero attaccato e a rischio di cadere, forse il primo di una lunga serie. La barba incolta di Lord Albert ha fatto cadere i pochi capelli che erano rimasti ai Padri di Noyes, ma ha anche provocato il loro perdono da parte del Marchese: trenta soldati a Noyes, cento a Foucault, e altri ancora a presidio delle strade e dei passi principali a scongiurare qualsiasi pericolo di attacco. Questa è stata la seconda risposta di Beid, della quale faccio parte anch'io: visto che colui che fu mio compagno di cella non poteva venire a trovarmi, ho convinto mio padre il Marchese a farmi portare da lui.
"Sono la fidanzata di Sir Thomas: chiedo che mi sia concesso l'onore di accompagnarlo in questo incarico".
e ancora:
"Vi prometto che farò del mio meglio per riportare a casa Solice".
ma soprattutto:
"Voi più di tutti sapete cosa mi è capitato in quelle grotte, e potete comprendere il mio desiderio di fare giustizia dei responsabili: se quest'uomo conosce un modo per arrivare a loro, non posso esimermi dall'aiutarlo nella sua ricerca... e dall'apprendere quelle informazioni".
Sono qui perché mio padre il Marchese ha ascoltato le mie argomentazioni, perché ha avuto fiducia in me. Ho aspettato a lungo questa occasione e ora devo sfruttarla al meglio, affinché la mia visita sia fruttuosa: l'uomo con cui sto per recarmi a parlare è già in debito con me, e presto farò in modo che lo sia ancora di più. Scoprirò la verità sulla mia prima madre, sugli individui che mi hanno rapita... e su Amon.
E poi, finalmente, darò corso alla mia vendetta.
18 novembre 518, qualche ora più tardi
Il tramonto spinge il sole verso il basso, nascondendone i raggi dietro alla Torre che ruba il suo nome e tingendo l'aria di tonalità autunnali. Domani chiederò a Padre Quart di accompagnarmi dentro quell'austero edificio: voglio salire fino in cima, guardare la campagna da lassù. Mentre percorro il sentiero di ciottoli che conduce alle stanze del collegio ripenso al mio primo dialogo con Netjerikhet Zauemia Ruinethot... Quanto lo odiavano i genitori per avergli trovato un nome del genere? forse volevano una femmina. A parte questo, non avrei mai immaginato di...
"Quanta fretta! Ti aspetta forse qualcuno?"
Come dicevo ieri, il rumore di questo posto riesce a volte ad essere fastidioso. Qualsiasi governante strilla come se stesse parlando con...
"Sto parlando con te. Sei sorda, forse?"
Mi volto in direzione della mia inattesa interlocutrice: è una delle graziose fanciulle della biblioteca, e sembra avere più o meno la mia età.
"Allora sei muta, oltre che sorda..."
La maleducazione è un malanno fastidioso: parte dalle campagne, ma basta perderla di vista un attimo e la ritrovi nelle città, nei castelli... ovunque. Questo collegio, apprendo amaramente mentre mi accingo a rispondere, mostra di non essere immune a tale infausto contagio.
"Scusate, ma non credo di conoscervi: di grazia, a che titolo avete intenzione di prendere il mio tempo?"
Sorride. "Sei stronza come pensavo, Rosalie. Stronza e altezzosa."
Oh Dei, e adesso questa chi è? La osservo, certa di non averla mai vista prima d'ora. Mora, occhi scuri... un serpentello a forma di treccia che scende da un lato del viso. Vuoto totale. La osservo per alcuni secondi: mi guarda fissa e mi riempie di insulti, mentre sorride. Stronza, e sorride. Stronza e altezzosa, e sorride. Stronza, altezzosa, arrogante, assassina... Assassina? Rifletto. Ecco la scorciatoia che mi porta sulla buona strada. Tra un insulto e l'altro comincio a riconoscere l'accento. D'improvviso, sono io a sorridere.
"Interessante: e così fanno studiare anche voi in questo collegio. Magari è l’occasione per imparare come si ricostruiscono le case…"
La cugina arde di di odio e rancore: parla di mio padre e dei miei fratelli, colpevoli di averle ucciso i familiari. Alzo le spalle. e allora? non sei l'unica orfana di guerra. Potrei parlarti anch'io di mio padre e di come è stato ucciso, o di tanti altri genitori morti con e senza la spada in pugno. Servirebbe forse a qualcosa? Non sei disposta ad ascoltermi, proprio come io non intendo ascoltare te. Quello che vorresti fare, invece, è saltarmi addosso qui nel cortile. Eppure, vedo che ti trattieni. Come mai?
Alle galline non insegnano l’autocontrollo. A dispetto delle sue maniere da contadina manesca, questa ragazza non è una popolana. Quando le chiedo il nome risponde a improperi, segno che dev’essere insignificante. Il nome di suo padre, forse? seguono altri insulti: insignificante pure lui. Un Dominus forse, o magari un cavaliere. Perché sto sprecando il mio tempo con te, gallinella di Keib? Che siano i Padri di Noyes a farti da fattore. Riprendo il mio passo, ignorandola. Poi arriva la sfida, soffice come un guanto, sulla nuca.
“Dormi bene, stanotte".
Mi allontano senza voltarmi, soffocando il giullare impazzito che ride a squarciagola dentro di me. Dormi bene anche tu, cuginetta, sappiamo entrambe che ti manca il coraggio per fare alcunché.
7 novembre 518
Giovedì 27 Gennaio 2011
Caccia notturna.
Corte Fabris, signoria di Ratel, Baronia di Laon.
Testimonianza di Ernst Whale, contadino
Sono arrivati nel cuore della notte. Io e mia moglie stavamo dormendo, quando abiamo sentito forti grida che provenivano dalla casa accanto. Ho detto a Adelaide di restare a letto, mi sono alzato ed ho aperto la finestra per capire che stava succedendo.
Davanti, nell'aia, non c'era nessuno ed era buio pesto. Ma con la finestra aperta si sentivano meglio le grida dei vicini, che chiamavano aiuto, invocavano pietà.
"Ernst! Che sta succedendo!" mi ha chiesto Adelaide, saltando giù dal letto, "che cosa..."
"Chiuditi in cantina coi bambini", le ho ordinato. "Io vado a vedere".
Infilo gli zoccoli e la mantella, scendo le scale, mentre sento di sopra i passi trafelati di mia moglie che sveglia i piccoli, li infagotta in fretta, tranquillizzandoli a bassa voce. Rivolgo una silenziosa preghiera a Pyros, che ci protegga, poi prendo l'attizzatoio dal caminetto e mi avvicino alla porta di casa.
Da fuori le grida dei vicini continuano.
Spingo piano le imposte della finestra di cucina per dare un'occhiata all'aia, che è ancora deserta. Poi mi avvicino alla porta di casa e la apro.
E' una notte fredda e dall'odore di brina capisco che l'alba non è lontana.
La porta accanto alla mia è spalancata, da dentro scorgo della luce.
Noi siamo povera gente, nessuno qui chiude a chiave la porta, nessuno ha soldi da buttare per una serratura, e nessuno ha in casa niente di prezioso che valga la pena rubare.
Ma proprio mentre faccio questo pensiero, riconosco le grida di Clarisse, la figlia adolescente dei miei vicini. Un fiore delicato, un piccolo tesoro.
La prima a correre fuori dalla casa è una donna. La riconosco più dalla voce che dalla figura, che è infagottata in un mantello e in un'armatura. "Io vado al fienile!" sta dicendo lei, mentre avanza con una spada in mano ed una torcia nell'altra mano, "voi muovetevi subito ai cavalli!"
Mi passa accanto, non si accorge di me, provo a colpirla con l'attizzatoio.
Sbatto su qualcosa di duro, lei non sembra ferita. Si gira verso di me e mi punta la spada. "Sparisci, se non vuoi morire" mi dice. Serissima.
"Chi siete..." provo a domandare. Lei avanza di un passo nella mia direzione, costringendomi ad arretrare. "Sono Martha. Ora inizia a correre... e ringrazia che non ho tempo da perdere".
Che avrei dovuto fare? Sono un padre di famiglia, ho delle responsabilità verso i miei figli, verso mia moglie... senza di me loro sarebbero perduti.
Ho iniziato ad arretrare lentamente, sempre stringendo in mano l'attizzatoio.
Lei, Martha, avanza verso il fienile, all'altro lato dell'aia. Subito dietro di lei esce dalla porta un uomo armato, che mi rivolge un'occhiata arcigna. E immediatamente dopo ne esce un altro, con tra le braccia un grosso fagotto che si muove debolmente.
"Fermatevi..." provo a dire, ma la voce mi muore in gola. L'ultimo che esce dalla casa è il più grosso della banda, armato di mazza e con una faccia patibolare. Fa alcuni passi verso di me, mi vede incespicare all'indietro e scoppia a ridere.
Succede tutto velocemente. Martha dà fuoco al fienile, gli altri corrono verso le betulle in fondo all'aia, dove avevano lasciato dei cavalli. E si danno tutti alla fuga.
Aspetto qualche istante, ansimando. Poi mi faccio coraggio ed entro in casa di Georg, il mio vicino. Tutto tace.
"Georg..." provo a chiamare. "Sono io, Ernst..."
La casa è buia, si intravede solo un chiarore irregolare che proviene dalla cucina, che sta sul retro. Mi inoltro di qualche metro e sento odore di fumo. "Georg!" chiamo ancora, stavolta a voce alta. Entro in cucina. Una tovaglia sta bruciando, ed illumina le sagome sinistre di tre persone riverse a terra. Riconosco il mio amico, sua moglie e il figlio maggiore, un ragazzo di quindici anni. Stanno a terra, in una pozza di sangue.
"Oh, Dei..." mormoro, mi chino su di loro, nessuno respira. L'aria stessa si sta facendo più fumosa, tanto che ricordo finalmente di avere ancora in mano l'attizzatoio: prendo con la sua punta la tovaglia in fiamme, spingendola nel caminetto spento, prima che provochi un incendio.
"Il fienile..." mormoro amaramente. Per il fienile c'è poco da fare... eppure qualcosa bisogna fare.... Sono l'unico uomo della corte, ormai, e solo Pyros sa come potrò placare le fiamme.
Ai pozzi, al torrente, mobilitare gli uomini delle corti vicine.... ma proprio mentre sto per uscire da casa mi sento chiamare da una vocina debole. "Ernst... sei tu?"
Mi si gela il sangue nelle vene. E' il piccolo Gabriel, il più piccolo dei figli di Georg, un bambino di cinque anni. Lo vedo uscire tremante dal sottoscala, con i piedi scalzi e la camicia da notte indosso.
"Non guardare!" gli ordino.
"Sono... tutti morti, vero?" chiede lui.
Sospiro. "Vieni, ti porto a casa mia, Adelaide ti scalda un po' di latte".
"Tutti..." mormora lui, e mi segue a testa bassa.
Testimonianza di Samuel Horton, soldato
Quei bastardi hanno fatto l'errore più grande della loro vita, questo è poco ma sicuro.
Hanno sconfinato.
Lo sapevamo già che c'erano questi banditi, criminali sanguinari capeggiati da una donna, e che da qualche settimana non facevano altro che tormentare Navon, Luceen, quei posti lì. E non è che ci volesse un genio a capirlo, il problema era proprio legato a chissà che trascorsi tra questa banditessa, Martha, e Sir Andrè. D'altronde lo sanno tutti che è un donnaiolo, chissà che sarà successo tra di loro, per suscitare una simile voglia di vendetta.
Mah, fatti loro, dico io. Fatti loro e di quei poveracci villici di Sir Andrè, che come sempre ci vanno di mezzo... e comunque peggio per loro.
Ma stavolta Martha e i suoi complici hanno sconfinato. Attaccando Corte Fabris sono entrati nel territorio della Signoria di Ratel, e qui a Ratel non si scherza.
Magari, ironia della sorte, nemmeno se ne sono resi conto di avere sconfinato... ma al mio Dominus non interessa. Come non gli interessa se a capeggiare la banda è un bandito, una banditessa, un orco o un adoratore degli Dei oscuri. Si dice che in passato ne abbia fronteggiati a dozzine... chissà se è vero, ma potrebbe anche essere.
Ho portato io stesso la notizia al Castello, ed ho avuto l'onore di parlare con il Dominus in persona. Era tarda mattina, lui sedeva sul molo ai piedi delle mura, insieme a un paio dei suoi figli, ed insegnava loro a pescare.
Quando mi ha visto si è alzato, allontanandosi dai bambini per non farli sentire. Gli ho raccontato dell'assalto alla corte, del rapimento della ragazzina e dell'assassinio di quel contadino, della moglie e del figlio maggiore. Il Dominus ha ascoltato tutto con attenzione, adombrandosi poco a poco.
"Non possono passarla liscia", ha detto poi, quasi con rimpianto. "Stanotte li andiamo a stanare". Poi si è rivolto ai due ragazzini, ordinando loro di rientrare nel castello.
"Partiamo al tramonto, portami cinque tuoi compagni dei migliori. E che non abbiano paura dei cani".
Sento un brivido per la schiena. Il Dominus vuole utilizzare nella caccia i tremendi cani di sua moglie, Lady Dorothy. Che Harkel ci aiuti.
Poco prima del tramonto io e cinque dei miei compagni siamo davanti alle porte del Castello. Si sente l'abbaiare di molti cani.
Appena il sole è calato dietro l'orizzonte, le porte si aprono e Sir Porter esce dal castello, attorniato da una mezza dozzina di grossi segugi. Indossa una vecchia corazza di piastre sul tronco, braccia e gambe sono coperte da cuoio rinforzato. Non ha con sè lo scudo, ma soltanto due daghe alla cintura. Eppure sembra incredibilmente a suo agio con un simile equipaggiamento.
Trae da una sacca un vestito, lo fa annusare i cani e quelli iniziano a guardarsi intorno, poi tutti insieme prendono una direzione e iniziano a correre verso il bosco. Li seguiamo.
Sir Porter cammina insieme a noi, a piedi, e a un tratto è costretto a fermarsi a riprendere fiato. "Sono un po' arrugginito", commenta con un mezzo sorriso, "come le mie daghe".
I cani, quasi potessero intuire la volontà del Dominus, rallentano il passo, anche se continuano a muoversi senza esitare nella stessa direzione, verso sud, lungo il fianco di una collina.
Raggiungiamo il crinale quando il cielo è ormai scuro, e le prime stelle iniziano a brillare tra le nuvole.
La zona boscosa che divide Ratel da Navon è ampia e fitta, attraversata da pochi sentieri. Offre infiniti ottimi rifugi a dei fuggiaschi, e senza un valido aiuto cercare Martha e i suoi compari sarebbe come trovare un ago in un pagliaio.
Ma per fortuna noi abbiamo un aiuto, un aiuto spaventoso e quasi sovrannaturale: i cani di Lady Dorothy non conoscono esitazione, e appena raggiunto il crinale iniziano la discesa muovendo lungo il percorso meno intuitivo, il più scoperto e diretto verso Sud.
Poco a poco i cani iniziano a manifestare un'eccitazione crescente, sembra che la preda sia vicina. Sir Porter ci fa cenno di tenerci pronti, avanziamo di buon passo verso il nemico con le armi in pugno.
Testimonianza di Josh "Manigrosse" Kayafils, bandito
E' stato un attacco improvviso e velocissimo.
Ci sono piombati addosso prima i cani, circondandoci da ogni parte. Poi gli uomini, cinque o sei in tutto, capeggiati da un vecchio combattente armato di due daghe che poi, con sorpresa, ho scoperto essere il Dominus di Ratel.
Abbiamo avuto il tempo di prendere le armi prima che ci arrivassero addosso, Martha ci ha gridato di resistere e di mandarli all'inferno, Robert ne ha steso uno con un colpo fortunato alla gola.
Ma ben presto ho capito che era persa.
Caduto il soldato, su Robert si è scagliato quel vecchio demonio, con due daghe ed un'agilità sorprendente per la sua età. L'ha colpito ripetutamente, fino a lasciarlo a terra rantolante.
Io ho subito gettato la spada gridando "mi arrendo! mi arrendo!" mentre quella pazza di Martha corre verso la ragazzina, le punta la spada sotto la gola urlando ai nostri assalitori di andarsene, altrimenti l'avrebbe sgozzata.
Ho colto un attimo di esitazione nei loro sguardi, ma poi il vecchio senza tanti complimenti fa due passi verso Martha. "Non peggiorare la tua situazione, è già abbastanza brutta".
"Avvicinati e l'ammazzo!" insiste lei, ormai come impazzita.
"Lascia la ragazzina e getta la spada"
"Mai!"
Accade contemporaneamente: lui trafigge Martha, mentre Martha colpisce alla gola la ragazzina.
Il resto è storia. Sia Martha che la ragazzina sono sopravvissute, l'una è stata portata come me prigioniera al castello di Sir Porter, l'altra rispedita a casa sua. O a quel che ne è rimasto.
Lungo la via del ritorno, il soldato che mi aveva in consegna aveva voglia di parlare.
"La cosa che mi piacerebbe sapere" mi dice mentre avanziamo per il bosco al lento passo dei feriti, "è se avevate capito sì o no di aver sconfinato nel territorio di Ratel"
Scuoto il capo. "Non sono di queste parti", rispondo.
"Eh... è stato un grosso errore, credimi. Il nostro Dominus è una persona tranquilla, ma non gli si possono fare sgarri, altrimenti si paga amaramente".
Non ho niente da dire, in effetti pagheremo amaramente, penso tra me. Ma il soldato insiste con le sue domande.
"E come mai stavate facendo guerra a Navon? Era un problema personale tra la vostra capobanda e il Dominus?"
Mi stringo nelle spalle. "So che si conoscevano, sì. Non conosco però i loro trascorsi".
"Ehh... quel Sir Navon, lo dicono tutti che era un donnaiolo... sembrava avesse messo la testa a posto, ultimamente, ma poi con tutto quel che gli è capitato..."
POvero me, mi è toccata una comare come sorvegliante, invece di un soldato.
"Non lo so", rispondo tentando di chiudere in fretta. "Non ne ho idea nè mi è mai importato qualcosa".
"Ah... ma della ragazzina sì, te n'è importato eccome, eh?"
Lo sapevo, lo sapevo che era lì che sarebbe andato a parare. E questa sua morbosa curiosità non lo rende poi così migliore di me, questo bastardo.
"Vuoi sapere se l'ho stuprata anche io?" gli domando.
Lui esita, si volta a guardarla, a guardare quella poveretta che avanza zoppicando al fianco del Dominus, avvolta in un mantello non suo. Poi annuisce.
"L'hai fatto?"
"Sì, l'ho fatto. E se non la smetti di fare domande, toccherà presto anche a tua sorella", rispondo tranquillo.
"Eh?", il soldato trasale: "non ti permettere a dire mai più una cosa simile!"
Non dico più nulla.
Tutto questo è già abbastanza penoso.
La nostra grande fuga, iniziata a Spandel qualche mese fa, si conclude qui, nelle prigioni del castello di Ratel.
Testimonianza di Ernst Whale, contadino
Sono arrivati nel cuore della notte. Io e mia moglie stavamo dormendo, quando abiamo sentito forti grida che provenivano dalla casa accanto. Ho detto a Adelaide di restare a letto, mi sono alzato ed ho aperto la finestra per capire che stava succedendo.
Davanti, nell'aia, non c'era nessuno ed era buio pesto. Ma con la finestra aperta si sentivano meglio le grida dei vicini, che chiamavano aiuto, invocavano pietà.
"Ernst! Che sta succedendo!" mi ha chiesto Adelaide, saltando giù dal letto, "che cosa..."
"Chiuditi in cantina coi bambini", le ho ordinato. "Io vado a vedere".
Infilo gli zoccoli e la mantella, scendo le scale, mentre sento di sopra i passi trafelati di mia moglie che sveglia i piccoli, li infagotta in fretta, tranquillizzandoli a bassa voce. Rivolgo una silenziosa preghiera a Pyros, che ci protegga, poi prendo l'attizzatoio dal caminetto e mi avvicino alla porta di casa.
Da fuori le grida dei vicini continuano.
Spingo piano le imposte della finestra di cucina per dare un'occhiata all'aia, che è ancora deserta. Poi mi avvicino alla porta di casa e la apro.
E' una notte fredda e dall'odore di brina capisco che l'alba non è lontana.
La porta accanto alla mia è spalancata, da dentro scorgo della luce.
Noi siamo povera gente, nessuno qui chiude a chiave la porta, nessuno ha soldi da buttare per una serratura, e nessuno ha in casa niente di prezioso che valga la pena rubare.
Ma proprio mentre faccio questo pensiero, riconosco le grida di Clarisse, la figlia adolescente dei miei vicini. Un fiore delicato, un piccolo tesoro.
La prima a correre fuori dalla casa è una donna. La riconosco più dalla voce che dalla figura, che è infagottata in un mantello e in un'armatura. "Io vado al fienile!" sta dicendo lei, mentre avanza con una spada in mano ed una torcia nell'altra mano, "voi muovetevi subito ai cavalli!"
Mi passa accanto, non si accorge di me, provo a colpirla con l'attizzatoio.
Sbatto su qualcosa di duro, lei non sembra ferita. Si gira verso di me e mi punta la spada. "Sparisci, se non vuoi morire" mi dice. Serissima.
"Chi siete..." provo a domandare. Lei avanza di un passo nella mia direzione, costringendomi ad arretrare. "Sono Martha. Ora inizia a correre... e ringrazia che non ho tempo da perdere".
Che avrei dovuto fare? Sono un padre di famiglia, ho delle responsabilità verso i miei figli, verso mia moglie... senza di me loro sarebbero perduti.
Ho iniziato ad arretrare lentamente, sempre stringendo in mano l'attizzatoio.
Lei, Martha, avanza verso il fienile, all'altro lato dell'aia. Subito dietro di lei esce dalla porta un uomo armato, che mi rivolge un'occhiata arcigna. E immediatamente dopo ne esce un altro, con tra le braccia un grosso fagotto che si muove debolmente.
"Fermatevi..." provo a dire, ma la voce mi muore in gola. L'ultimo che esce dalla casa è il più grosso della banda, armato di mazza e con una faccia patibolare. Fa alcuni passi verso di me, mi vede incespicare all'indietro e scoppia a ridere.
Succede tutto velocemente. Martha dà fuoco al fienile, gli altri corrono verso le betulle in fondo all'aia, dove avevano lasciato dei cavalli. E si danno tutti alla fuga.
Aspetto qualche istante, ansimando. Poi mi faccio coraggio ed entro in casa di Georg, il mio vicino. Tutto tace.
"Georg..." provo a chiamare. "Sono io, Ernst..."
La casa è buia, si intravede solo un chiarore irregolare che proviene dalla cucina, che sta sul retro. Mi inoltro di qualche metro e sento odore di fumo. "Georg!" chiamo ancora, stavolta a voce alta. Entro in cucina. Una tovaglia sta bruciando, ed illumina le sagome sinistre di tre persone riverse a terra. Riconosco il mio amico, sua moglie e il figlio maggiore, un ragazzo di quindici anni. Stanno a terra, in una pozza di sangue.
"Oh, Dei..." mormoro, mi chino su di loro, nessuno respira. L'aria stessa si sta facendo più fumosa, tanto che ricordo finalmente di avere ancora in mano l'attizzatoio: prendo con la sua punta la tovaglia in fiamme, spingendola nel caminetto spento, prima che provochi un incendio.
"Il fienile..." mormoro amaramente. Per il fienile c'è poco da fare... eppure qualcosa bisogna fare.... Sono l'unico uomo della corte, ormai, e solo Pyros sa come potrò placare le fiamme.
Ai pozzi, al torrente, mobilitare gli uomini delle corti vicine.... ma proprio mentre sto per uscire da casa mi sento chiamare da una vocina debole. "Ernst... sei tu?"
Mi si gela il sangue nelle vene. E' il piccolo Gabriel, il più piccolo dei figli di Georg, un bambino di cinque anni. Lo vedo uscire tremante dal sottoscala, con i piedi scalzi e la camicia da notte indosso.
"Non guardare!" gli ordino.
"Sono... tutti morti, vero?" chiede lui.
Sospiro. "Vieni, ti porto a casa mia, Adelaide ti scalda un po' di latte".
"Tutti..." mormora lui, e mi segue a testa bassa.
Testimonianza di Samuel Horton, soldato
Quei bastardi hanno fatto l'errore più grande della loro vita, questo è poco ma sicuro.
Hanno sconfinato.
Lo sapevamo già che c'erano questi banditi, criminali sanguinari capeggiati da una donna, e che da qualche settimana non facevano altro che tormentare Navon, Luceen, quei posti lì. E non è che ci volesse un genio a capirlo, il problema era proprio legato a chissà che trascorsi tra questa banditessa, Martha, e Sir Andrè. D'altronde lo sanno tutti che è un donnaiolo, chissà che sarà successo tra di loro, per suscitare una simile voglia di vendetta.
Mah, fatti loro, dico io. Fatti loro e di quei poveracci villici di Sir Andrè, che come sempre ci vanno di mezzo... e comunque peggio per loro.
Ma stavolta Martha e i suoi complici hanno sconfinato. Attaccando Corte Fabris sono entrati nel territorio della Signoria di Ratel, e qui a Ratel non si scherza.
Magari, ironia della sorte, nemmeno se ne sono resi conto di avere sconfinato... ma al mio Dominus non interessa. Come non gli interessa se a capeggiare la banda è un bandito, una banditessa, un orco o un adoratore degli Dei oscuri. Si dice che in passato ne abbia fronteggiati a dozzine... chissà se è vero, ma potrebbe anche essere.
Ho portato io stesso la notizia al Castello, ed ho avuto l'onore di parlare con il Dominus in persona. Era tarda mattina, lui sedeva sul molo ai piedi delle mura, insieme a un paio dei suoi figli, ed insegnava loro a pescare.
Quando mi ha visto si è alzato, allontanandosi dai bambini per non farli sentire. Gli ho raccontato dell'assalto alla corte, del rapimento della ragazzina e dell'assassinio di quel contadino, della moglie e del figlio maggiore. Il Dominus ha ascoltato tutto con attenzione, adombrandosi poco a poco.
"Non possono passarla liscia", ha detto poi, quasi con rimpianto. "Stanotte li andiamo a stanare". Poi si è rivolto ai due ragazzini, ordinando loro di rientrare nel castello.
"Partiamo al tramonto, portami cinque tuoi compagni dei migliori. E che non abbiano paura dei cani".
Sento un brivido per la schiena. Il Dominus vuole utilizzare nella caccia i tremendi cani di sua moglie, Lady Dorothy. Che Harkel ci aiuti.
Poco prima del tramonto io e cinque dei miei compagni siamo davanti alle porte del Castello. Si sente l'abbaiare di molti cani.
Appena il sole è calato dietro l'orizzonte, le porte si aprono e Sir Porter esce dal castello, attorniato da una mezza dozzina di grossi segugi. Indossa una vecchia corazza di piastre sul tronco, braccia e gambe sono coperte da cuoio rinforzato. Non ha con sè lo scudo, ma soltanto due daghe alla cintura. Eppure sembra incredibilmente a suo agio con un simile equipaggiamento.
Trae da una sacca un vestito, lo fa annusare i cani e quelli iniziano a guardarsi intorno, poi tutti insieme prendono una direzione e iniziano a correre verso il bosco. Li seguiamo.
Sir Porter cammina insieme a noi, a piedi, e a un tratto è costretto a fermarsi a riprendere fiato. "Sono un po' arrugginito", commenta con un mezzo sorriso, "come le mie daghe".
I cani, quasi potessero intuire la volontà del Dominus, rallentano il passo, anche se continuano a muoversi senza esitare nella stessa direzione, verso sud, lungo il fianco di una collina.
Raggiungiamo il crinale quando il cielo è ormai scuro, e le prime stelle iniziano a brillare tra le nuvole.
La zona boscosa che divide Ratel da Navon è ampia e fitta, attraversata da pochi sentieri. Offre infiniti ottimi rifugi a dei fuggiaschi, e senza un valido aiuto cercare Martha e i suoi compari sarebbe come trovare un ago in un pagliaio.
Ma per fortuna noi abbiamo un aiuto, un aiuto spaventoso e quasi sovrannaturale: i cani di Lady Dorothy non conoscono esitazione, e appena raggiunto il crinale iniziano la discesa muovendo lungo il percorso meno intuitivo, il più scoperto e diretto verso Sud.
Poco a poco i cani iniziano a manifestare un'eccitazione crescente, sembra che la preda sia vicina. Sir Porter ci fa cenno di tenerci pronti, avanziamo di buon passo verso il nemico con le armi in pugno.
Testimonianza di Josh "Manigrosse" Kayafils, bandito
E' stato un attacco improvviso e velocissimo.
Ci sono piombati addosso prima i cani, circondandoci da ogni parte. Poi gli uomini, cinque o sei in tutto, capeggiati da un vecchio combattente armato di due daghe che poi, con sorpresa, ho scoperto essere il Dominus di Ratel.
Abbiamo avuto il tempo di prendere le armi prima che ci arrivassero addosso, Martha ci ha gridato di resistere e di mandarli all'inferno, Robert ne ha steso uno con un colpo fortunato alla gola.
Ma ben presto ho capito che era persa.
Caduto il soldato, su Robert si è scagliato quel vecchio demonio, con due daghe ed un'agilità sorprendente per la sua età. L'ha colpito ripetutamente, fino a lasciarlo a terra rantolante.
Io ho subito gettato la spada gridando "mi arrendo! mi arrendo!" mentre quella pazza di Martha corre verso la ragazzina, le punta la spada sotto la gola urlando ai nostri assalitori di andarsene, altrimenti l'avrebbe sgozzata.
Ho colto un attimo di esitazione nei loro sguardi, ma poi il vecchio senza tanti complimenti fa due passi verso Martha. "Non peggiorare la tua situazione, è già abbastanza brutta".
"Avvicinati e l'ammazzo!" insiste lei, ormai come impazzita.
"Lascia la ragazzina e getta la spada"
"Mai!"
Accade contemporaneamente: lui trafigge Martha, mentre Martha colpisce alla gola la ragazzina.
Il resto è storia. Sia Martha che la ragazzina sono sopravvissute, l'una è stata portata come me prigioniera al castello di Sir Porter, l'altra rispedita a casa sua. O a quel che ne è rimasto.
Lungo la via del ritorno, il soldato che mi aveva in consegna aveva voglia di parlare.
"La cosa che mi piacerebbe sapere" mi dice mentre avanziamo per il bosco al lento passo dei feriti, "è se avevate capito sì o no di aver sconfinato nel territorio di Ratel"
Scuoto il capo. "Non sono di queste parti", rispondo.
"Eh... è stato un grosso errore, credimi. Il nostro Dominus è una persona tranquilla, ma non gli si possono fare sgarri, altrimenti si paga amaramente".
Non ho niente da dire, in effetti pagheremo amaramente, penso tra me. Ma il soldato insiste con le sue domande.
"E come mai stavate facendo guerra a Navon? Era un problema personale tra la vostra capobanda e il Dominus?"
Mi stringo nelle spalle. "So che si conoscevano, sì. Non conosco però i loro trascorsi".
"Ehh... quel Sir Navon, lo dicono tutti che era un donnaiolo... sembrava avesse messo la testa a posto, ultimamente, ma poi con tutto quel che gli è capitato..."
POvero me, mi è toccata una comare come sorvegliante, invece di un soldato.
"Non lo so", rispondo tentando di chiudere in fretta. "Non ne ho idea nè mi è mai importato qualcosa".
"Ah... ma della ragazzina sì, te n'è importato eccome, eh?"
Lo sapevo, lo sapevo che era lì che sarebbe andato a parare. E questa sua morbosa curiosità non lo rende poi così migliore di me, questo bastardo.
"Vuoi sapere se l'ho stuprata anche io?" gli domando.
Lui esita, si volta a guardarla, a guardare quella poveretta che avanza zoppicando al fianco del Dominus, avvolta in un mantello non suo. Poi annuisce.
"L'hai fatto?"
"Sì, l'ho fatto. E se non la smetti di fare domande, toccherà presto anche a tua sorella", rispondo tranquillo.
"Eh?", il soldato trasale: "non ti permettere a dire mai più una cosa simile!"
Non dico più nulla.
Tutto questo è già abbastanza penoso.
La nostra grande fuga, iniziata a Spandel qualche mese fa, si conclude qui, nelle prigioni del castello di Ratel.
12 ottobre 518
Lunedì 15 Novembre 2010
12 ottobre dell'anno degli Dei 518
Bosco di Navon
"La nebbia porta sempre il sole", diceva suo padre, il vecchio Pjotr. "Esci tranquillo nella nebbia, perchè l'Occhio di Pyros sorgerà presto a scaldarti".
Eppure quel mattino Yesso Bravo, mentre avanzava trascinando il suo carretto tra gli alberi, si sentiva inquieto.
La nebbia era densa, biancastra, e attraverso di essa riusciva a stento a scorgere i tronchi scuri ricoperti di edera.
Yesso conosceva bene quel sentiero, che da Luceen arrivava nel fitto del bosco, e avrebbe potuto percorrerlo ad occhi chiusi. In una radura più avanti, oltre un leggero avvallamento, il giorno precedente aveva abbattuto una grossa quercia malata, ed oggi bisognava farla a pezzi e portare la legna in paese.
"Mai che qualcuno si offra di darmi una mano", borbottò tra sè con voce appena più alta del necessario, per farsi un po' di compagnia da solo. Il bosco assorbì le sue parole, che si dissolsero nell'aria ovattata.
Ogni volta che superava la deviazione del sentiero che portava al Prato di Neve, il luogo in cui l'inverno prima era stato trovato il corpo di Ludmilla, Yesso Bravo si fermava e si raccoglieva in una breve preghiera.
Così fece anche quel mattino.
Poggiò a terra i due manici del carretto, accompagnandolo con attenzione per non far cadere l'ascia a terra, poi sciolse i muscoli contratti delle gambe, in particolare di quella gamba sinistra che ancora ricordava, nelle giornate umide, l'impronta della morning star del vecchio Bob Delmontesque.
Chiuse gli occhi, sospirò. "Abbi misericordia, oh Kayah, dell'anima della dolce Ludmilla, e aiuta il nostro signore Sir Andrè a trovare e punire chi le ha fatto del male".
Yesso non era bravo con le parole, rimase qualche istante in raccoglimento e poi riaprì gli occhi, per rimettersi in cammino.
Ma, mentre si chinava per sollevare nuovamente il carretto, scorse con la coda dell'occhio un movimento, un lembo di stoffa, lungo il sentierino per il Prato di Neve.
"Ehi, chi è là!", chiamò. Nessuna risposta.
In una giornata diversa Yesso avrebbe lasciato perdere. Avrebbe ripreso il suo carretto e sarebbe andato a tagliare la legna. Molto spesso d'altronde gente di Luceen, specialmente le donne, andavano a portare fiori e a pregare al Prato di Neve, non c'era niente di così insolito.
Eppure quel mattino c'era qualcosa nell'aria, qualcosa che spinse Yesso a raccogliere la sua ascia dal carretto, e ad incamminarsi, lentamente e con cautela, lungo il sentiero per il Prato di Neve.
A terra, nel fango impiastrato di foglie secche, si scorgevano impronte recenti, senza dubbio di più persone.
Yesso strinse più forte l'impugnatura della sua ascia.
Yesso ricordava bene il gennaio dell'anno passato, quando insieme ad altri uomini di Luceen era andato a recuperare il corpo di Ludmilla. Ricordava l'aria limpida, la neve bianchissima, i raggi del sole che filtravano tra i rami secchi degli alberi. Ricordava ogni asperità del sentiero, che tanto li aveva messi in difficoltà nel trascinare il carretto. Ricordava le strettoie, le pietre affioranti, e tanto più ricordava il silenzio opprimente dei suoi compagni, gli sguardi tesi, le voci sussurrate appena sulle orribili condizioni del corpo da poco ritrovato.
Quel mattino il sentiero era molto diverso, senza neve, senza luce, appariva quasi velato da un sogno.
Yesso avanzava cercando di scorgere di nuovo la sagoma che aveva intravisto nella nebbia, ma senza riuscirci. Eppure le impronte erano reali, non era stata un'impressione, nè un fantasma.
Un fantasma... Yesso non credeva ai fantasmi, anche se le lunghe notti degli anni trascorsi alle Parole d'Oro lo avevano abituato a sussultare ad ogni fruscio, a difendersi da ogni ombra.
Mancava ormai poca strada al Prato di Neve, e Yesso percorse gli ultimi metri nella nebbia trattenendo il fiato, come se stesse entrando in una chiesa.
Aveva piovuto nei giorni passati, la terra era fangosa, e al centro della radura si poteva scorgere la grande pietra bianca che ricordava il punto in cui giaceva il corpo di Ludmilla. Una pietra grezza, piuttosto piatta e liscia, spesso ricoperta dai fiori.
A parte la pietra, la radura appariva deserta.
Anche quel mattino c'erano dei fiori, notò Yesso mentre avanzava con cautela, stringendo l'ascia tra le mani. Fiori sparpagliati, rossastri, disordinati...
"Santi Dei..."
Il respiro gli si fermò. Non erano fiori.
Una mano blasfema aveva tracciato sulla pietra bianca degli scarabocchi ripugnanti e volgari, scritte oscene, utilizzando il sangue di uno scoiattolo che giaceva buttato a terra ai piedi della lapide.
Yesso si chinò, posò due dita sulla carcassa, era ancora tiepida: chiunque avesse commesso quella profanazione non poteva essere lontano.
"Ehi tu!" gridò forte Yesso, rivolto alle ombre degli alberi nella nebbia, tutto intorno a lui. "Come hai osato, esci fuori!"
Aveva gridato d'istinto, senza pensarci. Ma subito il timore di chi potesse essere stato l'autore di un simile gesto gli strinse lo stomaco. L'assassino di Ludmilla era tornato? Oppure chi altri avrebbe potuto compiere un simile assurdo sacrilegio?
Udì un fruscio alle sue spalle, strinse forte l'ascia e si voltò.
Arrivò prima il rumore dello scatto oppure il dolore? Yesso non avrebbe saputo dirlo, mentre scivolava a terra con un dardo di balestra conficcato nella gamba. La solita sfortunata gamba sinistra.
L'ascia gli sfuggì di mano, mentre il calore del sangue si diffondeva intorno alla ferita. Rovinò a terra, nel fango, incapace di alzarsi.
"Per... perchè..." mormorò, col cuore che pompava disperatamente.
"Yesso!", si sentì chiamare da voce di donna.
"Chi..."
Dalla boscaglia emerse una sagoma femminile con la balestra in mano, una mantella scura sulle spalle, i capelli ormai lunghi raccolti in una coda di cavallo. Sembrava in forma, abbronzata, i suoi lineamenti erano induriti ed una cicatrice nuova le tagliava in due un sopracciglio.
"Martha..", biascicò sorpreso.
Lei avanzò di qualche passo verso di lui. Alle sue spalle, nella nebbia, Yesso riuscì a scorgere alcuni movimenti: la ragazza non era sola.
"Ho un messaggio per il tuo Signore" disse lei osservandolo dall'alto in basso. "Puoi dire a Sir Navon che sono tornata per lui. Per lui, e per la sua stupida Paladina bionda del cazzo".
"Martha ma dove... sei stata tutti questi mesi, che ti è..." provò a dire Yesso, incredulo. Il dardo era conficcato in profondità nella sua coscia, gli rendeva difficile anche solo ragionare. Parlare era quasi impossibile.
Lei si avvicinò ancora di un passo, chinandosi accanto a lui.
"Lo saprai presto, amico mio. E non saranno belle giornate. Credimi".
Detto questo, Martha si alzò di nuovo in piedi, incamminandosi verso gli alberi. Poco prima di svanire nella nebbia si fermò un momento.
"E buona festa di Reyks", aggiunse. Dopodichè si allontanò.
Bosco di Navon
"La nebbia porta sempre il sole", diceva suo padre, il vecchio Pjotr. "Esci tranquillo nella nebbia, perchè l'Occhio di Pyros sorgerà presto a scaldarti".
Eppure quel mattino Yesso Bravo, mentre avanzava trascinando il suo carretto tra gli alberi, si sentiva inquieto.
La nebbia era densa, biancastra, e attraverso di essa riusciva a stento a scorgere i tronchi scuri ricoperti di edera.
Yesso conosceva bene quel sentiero, che da Luceen arrivava nel fitto del bosco, e avrebbe potuto percorrerlo ad occhi chiusi. In una radura più avanti, oltre un leggero avvallamento, il giorno precedente aveva abbattuto una grossa quercia malata, ed oggi bisognava farla a pezzi e portare la legna in paese.
"Mai che qualcuno si offra di darmi una mano", borbottò tra sè con voce appena più alta del necessario, per farsi un po' di compagnia da solo. Il bosco assorbì le sue parole, che si dissolsero nell'aria ovattata.
Ogni volta che superava la deviazione del sentiero che portava al Prato di Neve, il luogo in cui l'inverno prima era stato trovato il corpo di Ludmilla, Yesso Bravo si fermava e si raccoglieva in una breve preghiera.
Così fece anche quel mattino.
Poggiò a terra i due manici del carretto, accompagnandolo con attenzione per non far cadere l'ascia a terra, poi sciolse i muscoli contratti delle gambe, in particolare di quella gamba sinistra che ancora ricordava, nelle giornate umide, l'impronta della morning star del vecchio Bob Delmontesque.
Chiuse gli occhi, sospirò. "Abbi misericordia, oh Kayah, dell'anima della dolce Ludmilla, e aiuta il nostro signore Sir Andrè a trovare e punire chi le ha fatto del male".
Yesso non era bravo con le parole, rimase qualche istante in raccoglimento e poi riaprì gli occhi, per rimettersi in cammino.
Ma, mentre si chinava per sollevare nuovamente il carretto, scorse con la coda dell'occhio un movimento, un lembo di stoffa, lungo il sentierino per il Prato di Neve.
"Ehi, chi è là!", chiamò. Nessuna risposta.
In una giornata diversa Yesso avrebbe lasciato perdere. Avrebbe ripreso il suo carretto e sarebbe andato a tagliare la legna. Molto spesso d'altronde gente di Luceen, specialmente le donne, andavano a portare fiori e a pregare al Prato di Neve, non c'era niente di così insolito.
Eppure quel mattino c'era qualcosa nell'aria, qualcosa che spinse Yesso a raccogliere la sua ascia dal carretto, e ad incamminarsi, lentamente e con cautela, lungo il sentiero per il Prato di Neve.
A terra, nel fango impiastrato di foglie secche, si scorgevano impronte recenti, senza dubbio di più persone.
Yesso strinse più forte l'impugnatura della sua ascia.
Yesso ricordava bene il gennaio dell'anno passato, quando insieme ad altri uomini di Luceen era andato a recuperare il corpo di Ludmilla. Ricordava l'aria limpida, la neve bianchissima, i raggi del sole che filtravano tra i rami secchi degli alberi. Ricordava ogni asperità del sentiero, che tanto li aveva messi in difficoltà nel trascinare il carretto. Ricordava le strettoie, le pietre affioranti, e tanto più ricordava il silenzio opprimente dei suoi compagni, gli sguardi tesi, le voci sussurrate appena sulle orribili condizioni del corpo da poco ritrovato.
Quel mattino il sentiero era molto diverso, senza neve, senza luce, appariva quasi velato da un sogno.
Yesso avanzava cercando di scorgere di nuovo la sagoma che aveva intravisto nella nebbia, ma senza riuscirci. Eppure le impronte erano reali, non era stata un'impressione, nè un fantasma.
Un fantasma... Yesso non credeva ai fantasmi, anche se le lunghe notti degli anni trascorsi alle Parole d'Oro lo avevano abituato a sussultare ad ogni fruscio, a difendersi da ogni ombra.
Mancava ormai poca strada al Prato di Neve, e Yesso percorse gli ultimi metri nella nebbia trattenendo il fiato, come se stesse entrando in una chiesa.
Aveva piovuto nei giorni passati, la terra era fangosa, e al centro della radura si poteva scorgere la grande pietra bianca che ricordava il punto in cui giaceva il corpo di Ludmilla. Una pietra grezza, piuttosto piatta e liscia, spesso ricoperta dai fiori.
A parte la pietra, la radura appariva deserta.
Anche quel mattino c'erano dei fiori, notò Yesso mentre avanzava con cautela, stringendo l'ascia tra le mani. Fiori sparpagliati, rossastri, disordinati...
"Santi Dei..."
Il respiro gli si fermò. Non erano fiori.
Una mano blasfema aveva tracciato sulla pietra bianca degli scarabocchi ripugnanti e volgari, scritte oscene, utilizzando il sangue di uno scoiattolo che giaceva buttato a terra ai piedi della lapide.
Yesso si chinò, posò due dita sulla carcassa, era ancora tiepida: chiunque avesse commesso quella profanazione non poteva essere lontano.
"Ehi tu!" gridò forte Yesso, rivolto alle ombre degli alberi nella nebbia, tutto intorno a lui. "Come hai osato, esci fuori!"
Aveva gridato d'istinto, senza pensarci. Ma subito il timore di chi potesse essere stato l'autore di un simile gesto gli strinse lo stomaco. L'assassino di Ludmilla era tornato? Oppure chi altri avrebbe potuto compiere un simile assurdo sacrilegio?
Udì un fruscio alle sue spalle, strinse forte l'ascia e si voltò.
Arrivò prima il rumore dello scatto oppure il dolore? Yesso non avrebbe saputo dirlo, mentre scivolava a terra con un dardo di balestra conficcato nella gamba. La solita sfortunata gamba sinistra.
L'ascia gli sfuggì di mano, mentre il calore del sangue si diffondeva intorno alla ferita. Rovinò a terra, nel fango, incapace di alzarsi.
"Per... perchè..." mormorò, col cuore che pompava disperatamente.
"Yesso!", si sentì chiamare da voce di donna.
"Chi..."
Dalla boscaglia emerse una sagoma femminile con la balestra in mano, una mantella scura sulle spalle, i capelli ormai lunghi raccolti in una coda di cavallo. Sembrava in forma, abbronzata, i suoi lineamenti erano induriti ed una cicatrice nuova le tagliava in due un sopracciglio.
"Martha..", biascicò sorpreso.
Lei avanzò di qualche passo verso di lui. Alle sue spalle, nella nebbia, Yesso riuscì a scorgere alcuni movimenti: la ragazza non era sola.
"Ho un messaggio per il tuo Signore" disse lei osservandolo dall'alto in basso. "Puoi dire a Sir Navon che sono tornata per lui. Per lui, e per la sua stupida Paladina bionda del cazzo".
"Martha ma dove... sei stata tutti questi mesi, che ti è..." provò a dire Yesso, incredulo. Il dardo era conficcato in profondità nella sua coscia, gli rendeva difficile anche solo ragionare. Parlare era quasi impossibile.
Lei si avvicinò ancora di un passo, chinandosi accanto a lui.
"Lo saprai presto, amico mio. E non saranno belle giornate. Credimi".
Detto questo, Martha si alzò di nuovo in piedi, incamminandosi verso gli alberi. Poco prima di svanire nella nebbia si fermò un momento.
"E buona festa di Reyks", aggiunse. Dopodichè si allontanò.
11 settembre 518
Venerdì 11 Giugno 2010
Speranze future
Il rancore non è diminuito. Non più di ieri, almeno.
Quanto tempo è passato? Due settimane, forse... Sicuramente non più di tre. Alla rocca dell'Aquila fa buio presto, nonostante il sole d'estate... ed è facile perdere il conto quando non esci. Nasconderli alla mia vista non è comunque servito: in questi giorni riuscivo ugualmente a sentire le loro voci, a distinguere quei fastidiosi e sommessi mormorii. I Signori dovrebbero servire i loro sudditi, mi diceste una volta, quando eravate in vena di aforismi. Se fosse vero, padre, avrei fallito il mio compito: le morti di Lisa e del bambino che aveva in grembo privano questo feudo di un erede e distruggono le prospettive di speranza costruite in dieci lunghi anni. Se fosse vero, padre, questi uomini avrebbero tutto il diritto di odiarmi.
"Lord Thedor... vi imploro..."
E' tardi per questa conversazione, padre. Avreste dovuto pensarci prima di farvi carico di questo ingrato fardello. Cosa pensavate di fare, qual era il vostro piano...
"Niente... non volevamo fare... niente. Vi scongiuro... Voi conoscete la misericordia, lo avete dimostrato più volte. Ve lo chiedo in ginocchio, ripensateci...".
Avete ragione, padre: conosco la misericordia. E' per questo che siete ancora vivo. Adesso datemi i nomi che vi ho chiesto.
"Non c'è nessuno, Lord Thedor... nessuno vi ha tradito, nessuno che vi abbia in..."
La misericordia, padre, è una concessione che doveste sforzarvi maggiormente di meritare. Un privilegio che conto di revocare al più presto, qualora vogliate persistere in questo ostinato e colpevole silenzio. Davvero pensate che io sia così stupido, così facile da ingannare? Ho anch'io un aforisma per voi, padre: i Sacerdoti dovrebbero pregare, non predicare. Ho ascoltato personalmente quello che dite durante le vostre funzioni. Ero lì. Non mi avete riconosciuto, forse? Non mi stupisce: sapete così poco di me, eppure non vi fate mancare nulla nel descrivere le mie mancanze agli occhi degli Dei. E nell'elencare i miei errori non fate mistero di auspicare il ritorno di una dinastia ormai estinta, dimenticando che ha portato questo feudo sull'orlo della distruzione. Ditemi, padre, quand'è che siete diventato così distratto?
...
Cosa c'è, non dite più nulla? D'accordo, continuate pure a tenere in piedi la vostra sciarada. Ve lo prometto, farò sì che possiate riscoprire presto il dono della parola. Prima che le guardie vi riportino in cella voglio che sappiate un'ultima cosa: oggi ho ricevuto la lettera che stavo aspettando. Presto mi recherò presso la Marca di Beid, dove avrò modo di discutere con il Marchese alcuni dettagli relativi al vostro futuro. Conoscete la Foresta di Veremar, padre? Dicono che quel posto sia in grado di offrire esperienze particolarmente intense. E pensate... se ho ben inteso il senso di quella lettera c'è persino la possibilità che questa Baronia possa ospitare presto un nuovo matrimonio.
Anche se temo che non sarete voi a celebrarlo...
Quanto tempo è passato? Due settimane, forse... Sicuramente non più di tre. Alla rocca dell'Aquila fa buio presto, nonostante il sole d'estate... ed è facile perdere il conto quando non esci. Nasconderli alla mia vista non è comunque servito: in questi giorni riuscivo ugualmente a sentire le loro voci, a distinguere quei fastidiosi e sommessi mormorii. I Signori dovrebbero servire i loro sudditi, mi diceste una volta, quando eravate in vena di aforismi. Se fosse vero, padre, avrei fallito il mio compito: le morti di Lisa e del bambino che aveva in grembo privano questo feudo di un erede e distruggono le prospettive di speranza costruite in dieci lunghi anni. Se fosse vero, padre, questi uomini avrebbero tutto il diritto di odiarmi.
"Lord Thedor... vi imploro..."
E' tardi per questa conversazione, padre. Avreste dovuto pensarci prima di farvi carico di questo ingrato fardello. Cosa pensavate di fare, qual era il vostro piano...
"Niente... non volevamo fare... niente. Vi scongiuro... Voi conoscete la misericordia, lo avete dimostrato più volte. Ve lo chiedo in ginocchio, ripensateci...".
Avete ragione, padre: conosco la misericordia. E' per questo che siete ancora vivo. Adesso datemi i nomi che vi ho chiesto.
"Non c'è nessuno, Lord Thedor... nessuno vi ha tradito, nessuno che vi abbia in..."
La misericordia, padre, è una concessione che doveste sforzarvi maggiormente di meritare. Un privilegio che conto di revocare al più presto, qualora vogliate persistere in questo ostinato e colpevole silenzio. Davvero pensate che io sia così stupido, così facile da ingannare? Ho anch'io un aforisma per voi, padre: i Sacerdoti dovrebbero pregare, non predicare. Ho ascoltato personalmente quello che dite durante le vostre funzioni. Ero lì. Non mi avete riconosciuto, forse? Non mi stupisce: sapete così poco di me, eppure non vi fate mancare nulla nel descrivere le mie mancanze agli occhi degli Dei. E nell'elencare i miei errori non fate mistero di auspicare il ritorno di una dinastia ormai estinta, dimenticando che ha portato questo feudo sull'orlo della distruzione. Ditemi, padre, quand'è che siete diventato così distratto?
...
Cosa c'è, non dite più nulla? D'accordo, continuate pure a tenere in piedi la vostra sciarada. Ve lo prometto, farò sì che possiate riscoprire presto il dono della parola. Prima che le guardie vi riportino in cella voglio che sappiate un'ultima cosa: oggi ho ricevuto la lettera che stavo aspettando. Presto mi recherò presso la Marca di Beid, dove avrò modo di discutere con il Marchese alcuni dettagli relativi al vostro futuro. Conoscete la Foresta di Veremar, padre? Dicono che quel posto sia in grado di offrire esperienze particolarmente intense. E pensate... se ho ben inteso il senso di quella lettera c'è persino la possibilità che questa Baronia possa ospitare presto un nuovo matrimonio.
Anche se temo che non sarete voi a celebrarlo...
23 agosto 518
Venerdì 16 Aprile 2010
Notte dopo notte.
"Siete un uomo di fede?"
L'innocenza. "Siete un uomo di fede?"
No. Non sono un uomo di fede.
"Credi in me?"
L'ombra come sempre si avvicina silenziosa per invadere i miei sogni.
"Va' via". Non mi ascolta. Non mi ascolta mai.
Si avvicina ancora, poi il suo sguardo cade sul ciondolo che porto al collo.
"Toglilo!" mi ordina.
"No".
"Toglilo subito...."
"No".
"Ti prego.... non vorrai lasciarmi sola...."
Devo resistere. Per l'ennesima notte, per l'ennesima volta... devo resistere. Ma la sento piangere sommessamente ai piedi del letto, il suo lamento è straziante.
"TI prego, ti prego Andrè, tu lo sai che hai bisogno di me... che soltanto io posso darti ciò di cui hai bisogno per placare la tua sofferenza".
"Vattene".
Ogni sua lacrima mi brucia sulla pelle, ogni suo singhiozzo mi toglie il respiro.
"Vattene."
"Ama colei che ha ucciso la donna che amavi e le ha strappato il cuore".
"Vattene!"
Stringo la mano sul ciondolo, mi sembra scottare. Non ti amo, non ti amo, non ti amo. Sei un mostro, sei soltanto un mostro, una creatura dannata, una maledetta strega.
"Sangue del tuo sangue".
"No!"
"Perchè fai così, Andrè? Nemmeno più i sogni ci rimangono per stare insieme? Nemmeno qui, nell'unico angolo di libertà che abbiamo... perchè mi rifiuti?"
Sospiro. E' straziante.
Mi si avvicina, protende la mano per accarezzarmi, ma è come se qualcosa la trattenesse, un muro invisibile tra di noi.
"Leva quel ciondolo, ti scongiuro..."
Scuoto il capo. "Lasciami stare, va' via".
Tutto si fa buio intorno a me. Nel silenzio si sente il mio respiro sofferente e il vento fuori dalla finestra. Forse adesso potrò riposare, forse adesso troverò pace. Lady Solice... se voi poteste vedermi in questo istante.
Ma eccola ancora.
"Ti amo".
"Ti amo..."
"... ti amo ti amo ti amo ti amo..."
...
Basta... ti prego smettila!
"Ti amo! Ti amo! Ti amo!"
Mi alzo di soprassalto, in un bagno di sudore. Il sogno è così vivido, così reale.
Ce l'ho fatta, sorrido tra me. Ci sono riuscito.
...
Ludmilla, mio pubblico invisibile. Le mie mani sono ancora mie. Il mio cuore, le mie gambe, il mio cevello. Sono io. E anche se non sono degno.... questa notte facciamo finta che io lo sia.
Perchè ogni notte sarà battaglia. Ogni singola notte... ed ho bisogno di aiuto.
L'innocenza. "Siete un uomo di fede?"
No. Non sono un uomo di fede.
"Credi in me?"
L'ombra come sempre si avvicina silenziosa per invadere i miei sogni.
"Va' via". Non mi ascolta. Non mi ascolta mai.
Si avvicina ancora, poi il suo sguardo cade sul ciondolo che porto al collo.
"Toglilo!" mi ordina.
"No".
"Toglilo subito...."
"No".
"Ti prego.... non vorrai lasciarmi sola...."
Devo resistere. Per l'ennesima notte, per l'ennesima volta... devo resistere. Ma la sento piangere sommessamente ai piedi del letto, il suo lamento è straziante.
"TI prego, ti prego Andrè, tu lo sai che hai bisogno di me... che soltanto io posso darti ciò di cui hai bisogno per placare la tua sofferenza".
"Vattene".
Ogni sua lacrima mi brucia sulla pelle, ogni suo singhiozzo mi toglie il respiro.
"Vattene."
"Ama colei che ha ucciso la donna che amavi e le ha strappato il cuore".
"Vattene!"
Stringo la mano sul ciondolo, mi sembra scottare. Non ti amo, non ti amo, non ti amo. Sei un mostro, sei soltanto un mostro, una creatura dannata, una maledetta strega.
"Sangue del tuo sangue".
"No!"
"Perchè fai così, Andrè? Nemmeno più i sogni ci rimangono per stare insieme? Nemmeno qui, nell'unico angolo di libertà che abbiamo... perchè mi rifiuti?"
Sospiro. E' straziante.
Mi si avvicina, protende la mano per accarezzarmi, ma è come se qualcosa la trattenesse, un muro invisibile tra di noi.
"Leva quel ciondolo, ti scongiuro..."
Scuoto il capo. "Lasciami stare, va' via".
Tutto si fa buio intorno a me. Nel silenzio si sente il mio respiro sofferente e il vento fuori dalla finestra. Forse adesso potrò riposare, forse adesso troverò pace. Lady Solice... se voi poteste vedermi in questo istante.
Ma eccola ancora.
"Ti amo".
"Ti amo..."
"... ti amo ti amo ti amo ti amo..."
...
Basta... ti prego smettila!
"Ti amo! Ti amo! Ti amo!"
Mi alzo di soprassalto, in un bagno di sudore. Il sogno è così vivido, così reale.
Ce l'ho fatta, sorrido tra me. Ci sono riuscito.
...
Ludmilla, mio pubblico invisibile. Le mie mani sono ancora mie. Il mio cuore, le mie gambe, il mio cevello. Sono io. E anche se non sono degno.... questa notte facciamo finta che io lo sia.
Perchè ogni notte sarà battaglia. Ogni singola notte... ed ho bisogno di aiuto.
14 maggio 518
Giovedì 15 Ottobre 2009
Risposta.
Mia spiritosa benefattrice,
siate pur certa la fiamma che arde nel mio cuore è dono di Pyros, come l'occhio di Kayah è il brillante che orna la mia collana.
Mia, sì. Perchè se questa vostra strana e pietosa lettera ha come scopo quello di reclamare indietro il dono che mi faceste, beh... avete consumato inutilmente dell'inchiostro.
"Ricorda sempre quello che sei". QUale condanna peggiore, quale insulto peggiore potevate immaginare per una donna come me, dalle origini tanto umili? Eppure sono orgogliosa di dimostrarvi che no, non solo non ricordo quello che sono, ma che non sussiste più alcun legame con la mia misera vita passata. La mia collana è stata la fonte del mio coraggio, grazie ad essa ho ricordato non "chi sono", ma "chi sarei potuta essere". E lo sono diventato realmente.
Non capisco quanto siete seria, nella vostra lettera. Non capisco di cosa vi scusiate, non capisco cosa vi affligga.
Non ho bisogno di aiuto nè di protezione, so badare a me stessa, so bastare a me stessa.
E non sono mai stata tanto fiera di me.
Solice. Ecco finalmente il vostro nome, un nome che non ho mai sentito. Realmente mi incuriosite. Perchè un simile dono? Perchè adesso una lettera tanto incomprensibile?
Chi siete, Solice, cosa vi muove?
Dopotutto mi piacerebbe scoprirlo.
siate pur certa la fiamma che arde nel mio cuore è dono di Pyros, come l'occhio di Kayah è il brillante che orna la mia collana.
Mia, sì. Perchè se questa vostra strana e pietosa lettera ha come scopo quello di reclamare indietro il dono che mi faceste, beh... avete consumato inutilmente dell'inchiostro.
"Ricorda sempre quello che sei". QUale condanna peggiore, quale insulto peggiore potevate immaginare per una donna come me, dalle origini tanto umili? Eppure sono orgogliosa di dimostrarvi che no, non solo non ricordo quello che sono, ma che non sussiste più alcun legame con la mia misera vita passata. La mia collana è stata la fonte del mio coraggio, grazie ad essa ho ricordato non "chi sono", ma "chi sarei potuta essere". E lo sono diventato realmente.
Non capisco quanto siete seria, nella vostra lettera. Non capisco di cosa vi scusiate, non capisco cosa vi affligga.
Non ho bisogno di aiuto nè di protezione, so badare a me stessa, so bastare a me stessa.
E non sono mai stata tanto fiera di me.
Solice. Ecco finalmente il vostro nome, un nome che non ho mai sentito. Realmente mi incuriosite. Perchè un simile dono? Perchè adesso una lettera tanto incomprensibile?
Chi siete, Solice, cosa vi muove?
Dopotutto mi piacerebbe scoprirlo.
15 maggio 518
Sabato 19 Settembre 2009
Un'esperienza.
Strane persone.
Lady Nina mi aveva avvisata, d'altronde, che sarebbe stata un'esperienza. Per le cose che abbiamo fatto, effettivamente avventurose, ma soprattutto perchè ho avuto modo di conoscere più da vicino degli "avventurieri". Beh, se prima avessi avuto dei dubbi, ora so che la loro non è una vita che fa per me.
Le ragazze sono simpatiche.
Desiree specialmente è una persona cordiale, alla mano, molto gentile. E' stata la prima a parlarmi, e mi ha dato l'impressione di rendersi conto dell'originalità dei suoi compagni. Sicuramente è la più normale tra tutti quanti, l'unica con cui penso che potrei, con un po' di tempo, diventare amica.
Solice anche è gentile e disponibile, ma il fatto di essere una paladina me la fa sentire più distante, più lontana dal modo semplice di vedere le cose che ho io, che ha la gente qualunque.
Ma devo dire sono i ragazzi quelli più curiosi, che più mi hanno messa in difficoltà.
Loic ed Elias, specialmente.
Molto legati, molto amici, ma con una strana attitudine non paritetica, come se Elias considerasse Loic una sorta di guida spirituale, o qualcosa del genere. Tant'è che ha cambiato atteggiamento verso di me a un certo punto, inizialmente era molto cortese, garbato (a parte un po' goffo quando mi è cascato addosso nella galleria), e poi, dopo aver visto l'attitudine di sufficienza con cui mi trattava il "signor Loic", ha iniziato a sua volta a essere spocchioso nei miei confronti.
Eric è un tipo taciturno e burlone, sembra sempre un po' distaccato dagli altri, come se sapesse sempre qualcosa che gli altri ignorano, e fondamentalmente glie ne importasse comunque poco. Con me è sempre stato gentile, anche se poco socievole.
Guelfo... strano, forse quello che mi ha messo più paura. Apparentemente piuttosto cordiale, anche se sempre con una certa vena derisoria, di colpo ha scatti di collera spropositati, fa minacce molto gravi (non a me direttamente, per fortuna), e insomma sembra uscire dai gangheri con enorme facilità. Da come parla, sembra essere uno studioso di arti occulte, forse uno stregone. E uno stregone iracondo e impulsivo è un tipo di persona che mette davvero inquietudine! Io credo che gli siano capitate molte disavventure, solo così si spiega una simile attitudine verso il mondo...
E infine... Youri.
Beh, bel tipo. Silenziosissimo, chiuso e molto più grande di età degli altri, a volte mi è sembrato che parlassero di lui come del loro "capo". Beh, io immaginavo che un capo fosse il rompiscatole principale di un gruppo, quello che decide, parla, dice, ordina e così via. Invece raramente ho visto una persona discreta e taciturna come lui. Poche parole, ma sempre presente e attento. Secondo me dietro quello sguardo schivo nasconde un passato davvero interessante. Peccato che non me lo racconterà mai.
Adesso sto qui a Adison Hill, in ansia per la mia signora e i miei compaesani. Ma ho fiducia in Sir Hector, e anche in quella strana combriccola di avventurieri con cui sono arrivata fin qui.
Prego Dytros che il bene trionfi... e sono orgogliosa di aver dato il mio piccolo contributo.
Lady Nina mi aveva avvisata, d'altronde, che sarebbe stata un'esperienza. Per le cose che abbiamo fatto, effettivamente avventurose, ma soprattutto perchè ho avuto modo di conoscere più da vicino degli "avventurieri". Beh, se prima avessi avuto dei dubbi, ora so che la loro non è una vita che fa per me.
Le ragazze sono simpatiche.
Desiree specialmente è una persona cordiale, alla mano, molto gentile. E' stata la prima a parlarmi, e mi ha dato l'impressione di rendersi conto dell'originalità dei suoi compagni. Sicuramente è la più normale tra tutti quanti, l'unica con cui penso che potrei, con un po' di tempo, diventare amica.
Solice anche è gentile e disponibile, ma il fatto di essere una paladina me la fa sentire più distante, più lontana dal modo semplice di vedere le cose che ho io, che ha la gente qualunque.
Ma devo dire sono i ragazzi quelli più curiosi, che più mi hanno messa in difficoltà.
Loic ed Elias, specialmente.
Molto legati, molto amici, ma con una strana attitudine non paritetica, come se Elias considerasse Loic una sorta di guida spirituale, o qualcosa del genere. Tant'è che ha cambiato atteggiamento verso di me a un certo punto, inizialmente era molto cortese, garbato (a parte un po' goffo quando mi è cascato addosso nella galleria), e poi, dopo aver visto l'attitudine di sufficienza con cui mi trattava il "signor Loic", ha iniziato a sua volta a essere spocchioso nei miei confronti.
Eric è un tipo taciturno e burlone, sembra sempre un po' distaccato dagli altri, come se sapesse sempre qualcosa che gli altri ignorano, e fondamentalmente glie ne importasse comunque poco. Con me è sempre stato gentile, anche se poco socievole.
Guelfo... strano, forse quello che mi ha messo più paura. Apparentemente piuttosto cordiale, anche se sempre con una certa vena derisoria, di colpo ha scatti di collera spropositati, fa minacce molto gravi (non a me direttamente, per fortuna), e insomma sembra uscire dai gangheri con enorme facilità. Da come parla, sembra essere uno studioso di arti occulte, forse uno stregone. E uno stregone iracondo e impulsivo è un tipo di persona che mette davvero inquietudine! Io credo che gli siano capitate molte disavventure, solo così si spiega una simile attitudine verso il mondo...
E infine... Youri.
Beh, bel tipo. Silenziosissimo, chiuso e molto più grande di età degli altri, a volte mi è sembrato che parlassero di lui come del loro "capo". Beh, io immaginavo che un capo fosse il rompiscatole principale di un gruppo, quello che decide, parla, dice, ordina e così via. Invece raramente ho visto una persona discreta e taciturna come lui. Poche parole, ma sempre presente e attento. Secondo me dietro quello sguardo schivo nasconde un passato davvero interessante. Peccato che non me lo racconterà mai.
Adesso sto qui a Adison Hill, in ansia per la mia signora e i miei compaesani. Ma ho fiducia in Sir Hector, e anche in quella strana combriccola di avventurieri con cui sono arrivata fin qui.
Prego Dytros che il bene trionfi... e sono orgogliosa di aver dato il mio piccolo contributo.
14 maggio 518
Venerdì 10 Luglio 2009
Aspettando l'alba.
L'infelicità assume di notte una colorazione diversa. E' come se rilucesse nel buio, ricoprendo la stanza e il lento scorrere del tempo di una patina bluastra e luminescente, fredda. Si insinua tra le coperte, simile ad un'onda lenta di marea, raggiunge il cuore e si ferma lì, a pesare.
La sento su di me, questa mano fredda che stringe appena la gola, e non ho la forza di ricacciarla indietro. Mi abbandono invece ai ricordi, lasciando che continuino a ferirmi.
Quante volte le mani di Derek mi hanno cinto il collo? Calde e ruvide, coi calli provocati dalle briglie strette per ore e ore ogni giorno.
Allora pensavo fosse soltanto un corriere della Posta Granducale, il migliore, il più rapido e generoso. Ignoravo la sua seconda vita, la "Rosa Bianca", e tanto più ignoravo forse la sua terza vita, il Tradimento.
Ho scoperto più cose su di lui morto di quante non ne immaginassi finchè era in vita. Credevo di conoscere l'uomo che amavo, ma a volte adesso non riesco più a separare i nostri ricordi più belli dal viso incomprensibile dello sconosciuto che ha preso il suo posto.
Derek.
Fingevi anche in quella notte in cui mi hai salvata dal rimorso e dallo strazio eterno? La notte in cui mi hai ridato speranza e vita, in cui hai rimediato al più spaventoso errore che io potessi commettere?
Eri tu o era soltanto una tua maschera l'uomo che galoppava nella tormenta con quel bambino moribondo tra le braccia? Eri tu. Eri tu, Derek... o veramente sono cieca, veramente potrei strapparmi questo cuore e non cambierebbe nulla, perchè è un cuore incapace di distinguere il bene dal male.
L'infelicità consiste nel vedere con chiarezza i propri limiti.
Ed io li vedo, adesso. Riconosco la paura, la debolezza, la contraddittorietà dei miei desideri.
Sei morto, Derek? Sei vivo e traditore? Se tu tornassi da me... sarei disposta a perdonare?
Ieri, mentre cercavo di contattare i ragazzi di Chalard, sono passata alla Stazione di Posta. Ho rivisto il piccolo Josh, mi è venuto incontro tutto sorridente, e l'ho abbracciato. L'ho rivisto per un istante com'era quella notte, bianco, devastato dal vomito, minuscolo tra le tue braccia. Talmente stremato da non avere più nemmeno la forza di piangere. E adesso ha quattro anni, è forte e grassottello, con gli occhi pieni di vita.
Non ci credo, Derek. Non sei un traditore. Ma non riesco nemmeno ad accettare il pensiero che tu possa essere morto, e mi attacco a tutto, anche alle più orribili delle illusioni, pur di avere la speranza di rivederti ancora.
I ragazzi venuti da Chalard sono nei guai, e vorrei tanto riuscire ad avvertirli. Ma come fare? Alla stazione di posta non si sono fatti vivi, nè io posso tornare al Gatto Nero e farmi vedere insieme a loro. Devo trovare un modo... un modo per aiutarli. Non posso deludere anche loro.
La sento su di me, questa mano fredda che stringe appena la gola, e non ho la forza di ricacciarla indietro. Mi abbandono invece ai ricordi, lasciando che continuino a ferirmi.
Quante volte le mani di Derek mi hanno cinto il collo? Calde e ruvide, coi calli provocati dalle briglie strette per ore e ore ogni giorno.
Allora pensavo fosse soltanto un corriere della Posta Granducale, il migliore, il più rapido e generoso. Ignoravo la sua seconda vita, la "Rosa Bianca", e tanto più ignoravo forse la sua terza vita, il Tradimento.
Ho scoperto più cose su di lui morto di quante non ne immaginassi finchè era in vita. Credevo di conoscere l'uomo che amavo, ma a volte adesso non riesco più a separare i nostri ricordi più belli dal viso incomprensibile dello sconosciuto che ha preso il suo posto.
Derek.
Fingevi anche in quella notte in cui mi hai salvata dal rimorso e dallo strazio eterno? La notte in cui mi hai ridato speranza e vita, in cui hai rimediato al più spaventoso errore che io potessi commettere?
Eri tu o era soltanto una tua maschera l'uomo che galoppava nella tormenta con quel bambino moribondo tra le braccia? Eri tu. Eri tu, Derek... o veramente sono cieca, veramente potrei strapparmi questo cuore e non cambierebbe nulla, perchè è un cuore incapace di distinguere il bene dal male.
L'infelicità consiste nel vedere con chiarezza i propri limiti.
Ed io li vedo, adesso. Riconosco la paura, la debolezza, la contraddittorietà dei miei desideri.
Sei morto, Derek? Sei vivo e traditore? Se tu tornassi da me... sarei disposta a perdonare?
Ieri, mentre cercavo di contattare i ragazzi di Chalard, sono passata alla Stazione di Posta. Ho rivisto il piccolo Josh, mi è venuto incontro tutto sorridente, e l'ho abbracciato. L'ho rivisto per un istante com'era quella notte, bianco, devastato dal vomito, minuscolo tra le tue braccia. Talmente stremato da non avere più nemmeno la forza di piangere. E adesso ha quattro anni, è forte e grassottello, con gli occhi pieni di vita.
Non ci credo, Derek. Non sei un traditore. Ma non riesco nemmeno ad accettare il pensiero che tu possa essere morto, e mi attacco a tutto, anche alle più orribili delle illusioni, pur di avere la speranza di rivederti ancora.
I ragazzi venuti da Chalard sono nei guai, e vorrei tanto riuscire ad avvertirli. Ma come fare? Alla stazione di posta non si sono fatti vivi, nè io posso tornare al Gatto Nero e farmi vedere insieme a loro. Devo trovare un modo... un modo per aiutarli. Non posso deludere anche loro.