Celémbrìmbòr

La notte è ancora piena di stelle a Imlàdris,
eppure l’Ombra ogni giorno più ingombra
il cielo d’Oriente
e il sole si appanna della speranza,
del sogno.

La notte è ancora piena di stelle a Imlàdris
e partono gli Eldar, il cui tempo è compiuto,
con note silenti al Reame Beato:
struggente addio di un amore interrotto
per ciò che forse
mai non è nato.

Consolati dai Valar
tra i fiori e il profumo,
odorano il vento
che spira lontano.

Mentre li guarda dall’alto
scendere piano,
Elrond ricorda come i giorni
passarono
tra ansie, paure, sorrisi,
sospirate attese
nelle lunghe ere
imperfette d’amore
sulla Terra di Mezzo.

E come d’un lampo
il pensiero si posa
sui monti, su Erégion.

Dall’era trascorsa, dal vuoto
il tintinnare dei fabbri,
i dolci occhi di Celémbrìmbòr.

Quando raccontava i sogni al mattino
e ne faceva filtri d’oro

per renderla più bella e più forte e in volo,
per donarle luce di stella e un caldo riparo,
per darle poesia dei nostri giorni di Vàlinor.

E così si fingeva questa Terra ferita
e di farle un regalo
nell’umile Erégion, di tutti gli Elfi
la meno scintillante dimora.

E come lo vide quella notte oscura,
quando tutto cadeva, l’illusione spezzata,
svelato l’inganno della mente troppo cieca
e troppo generosa.

I dolci occhi di Celémbrìmbòr,
inondati di una lacrima
silenziosa.

E la roccia che crolla,
il mondo che arriva,
la verità dell’Ombra.

Forse è per questo che ora
non vuole salpare con gli Elfi
e non guida alle navi intoccabili
dei segreti Rifugi.

Forse lo tiene
il destino degli Eldar che morirono qui
per amore:
il mistero del perdersi
senza l’Albero e il fiore
delle Terre d’Occidente;

e le bellissime rune
incise, le rune di Vìlya,
che porta al dito,
le mille onde del magico zaffiro,
così profonde, così pure,
così sole.

E lo sguardo della mente
tra le palpebre strette
ricorre e vola
alle opere di Nénya,
ai giardini di Lothlòrien,
ridenti
e sempreverdi.

E si commuove:
gli ultimi giorni di Erégion,
i doni vani di Celémbrìmbòr

e quei tre plasmati di notte
nella solitudine dei sogni
e delle false speranze
al bianco chiarore di Ëaréndìl,
ultimo resto
dell’antico Sìlmarìl.

La notte è ancora piena di stelle a Imlàdris,
vuota di canti, di danze;
Elrond rimane sulla loggia
il cielo notturno a rimirare;

sente il fuoco di Nàrya,
l’Anello che si disse perduto,
che respira, che vuole
ancora sperare.

L’ultimo gesto
di tenero amore
- una lontana elfica voce sussurra -
è restare.