Benson, 2 settembre 507

Mia cara Alice,
ho parlato con Kay.
È uscito da pochi minuti da questa tenda, dopo avermi "ordinato" di aver cura di te, di starti accanto. È un uomo che ti è molto affezionato, ha molto a cuore che tu stia bene. Ed ha un coraggio straordinario.
Mi ha raccontato quello che è successo, Alice. Mi ha raccontato tutto. Mi ha detto di Volgar… e del bambino.

Alice, amore mio, non dare ascolto, ti prego, ai discorsi spaventosi di Kay, non credere ai morti che ritornano, alle maledizioni, non credere a niente di tutti questi orrori!
Avremo altri figli, Alice, se tu lo vorrai.
Lo so che è difficile da accettare, che dopo le esperienze che hai vissuto tutto sembra collegarsi in ragnatele misteriose e soffocanti.
Ricordo i racconti dei sogni che facevi, degli incubi terribili di cui mi raccontavi quando stavamo insieme a Nekkar.
Ma gli incubi sono soltanto il prodotto delle esperienze spaventose che hai vissuto, non hanno alcun potere di farti realmente del male.

La morte del nostro bambino è un dramma tutto naturale, umano. E come uomo avrei voluto esserti vicino, per farti coraggio, per tenerti stretta tra le braccia e sentire i battiti del tuo cuore ogni sera, fino a farti addormentare. Ma sono qui, in questa stupida guerra, sotto questo afoso sole di Benson, a combattere per niente, ad uccidere gente sconosciuta e veder morire gente amica, senza una ragione. Non è giusto, non ha senso tutto questo!

Vorrei strapparmi di dosso l'uniforme e saltare sul primo cavallo, al galoppo verso Vintenberg. E correre come un pazzo fino a vedere l'insegna dorata della tua locanda, entrare, sbattere le porte, abbracciarti, baciarti, stringerti fortissimo, amarti fino a farti dimenticare ogni tristezza, ogni paura.

Alice, aspettami.

Adam