Una campana… da qualche parte stava suonando una campana. Poi si materializzarono le voci, gente che parlava e schimazzava, alcuni in una lingua incomprensibile, di altri si riusciva a cogliere qualche parola isolata. Erano per lo più donne, confuse in un cicaleggio distante e insensato. Poi fu la volta dell’asino, gli passò tanto vicino che per un attimo Ben si sentì nella sua ombra, ma quando riuscì ad aprire gli occhi l’asino era già scomparso. Aveva attorno forme indistinte e la testa gli pulsava, e subito si accorse di quel tanfo dolciastro e acre insieme che lo circondava. Allora tossì, sputò a terra, senza riuscire però a liberarsi del saporaccio che aveva in bocca.
Accoccolato tra i rifiuti, infreddolito, non aveva quasi la forza di muoversi: ogni gesto lo allontanava dal torpore del sonno e lo privava di quel poco calore che aveva a proteggerlo. Doveva essere giorno, perché tra le palpebre socchiuse arrivava del chiarore, e poi perché Ben non aveva più così tanta paura.
C’era qualcuno che russava poco più avanti, vicino a lui. Puzzava di urina e di vomito, era un vecchio ubriacone avvolto nell’immondizia in un mantellaccio grigio. Con grande fatica Ben strisciò sui gomiti e si alzò a sedere, poggiando la schiena al muro. Ancora gli girava la testa, diede un profondo respiro, sputò di nuovo e si asciugò con il dorso della mano.
Che ci faccio io qui?
Ricordi vaghi, immagini confuse. Una fata dei boschi, alata e vestita d’azzurro, l’aveva irretito. Capelli intrecciati d’oro… denti d’oro… una Teniella…
Ho sete.
Annaspando allungò la mano tra i rifiuti, alla ricerca del suo zaino, ma non c’era.
Dov’è la borraccia…
Foglie di verdura marcita, pezzi di legno, paglia sporca… il suo zaino non c’era.
Le mie cose… non ci sono più.
Eppure c’era qualcosa di importante lì dentro, qualcosa di prezioso non era più al suo posto.
Il flauto! Il mio flauto è scomparso!
Gli venne voglia di piangere. Il suo flauto, che si era fatto da solo, il flauto che suonava insieme a sua sorella Ermethel quando stavano ancora a Vallombrosa… Vallombrosa… c’era qualche altra cosa che mancava.
Mentre il mal di testa lo assaliva più forte, ricordò un’immagine, il volto agitato del Cavaliere Sieghard che gli gridava “Ben, prendilo!” – ma prendi che cosa? – prendi il cofanetto, presto!”
Il cofanetto.
Il cofanetto era scomparso! Non c’era più, l’aveva perduto…
Strusciando sui ginocchi si mise a raspare freneticamente tra i rifiuti, lasciandosi assalire dall’odore nauseabondo di vomito e marciume. La testa continuava a girare ma Ben non smise di frugare con le mani, a caso.
Ma no, non può esserci, l’avranno rubato… l’avranno portato via. Come farò a dirlo ai cavalieri?
No!
Un tuffo al cuore, eccolo.
Spostò una foglia marcia di insalata, qualche insetto formicolò via. Ed ecco il cofanetto. Tutto sporco, ammaccato, alcune lettere d’avorio si erano staccate e perse in mezzo al vicolo lurido. Ma era intero. Ed il lucchetto… il lucchetto spezzato. Spezzato. Rotto, inutile.
Lo apro.
Non esitò in istante. Lo prese tra le mani e l’aprì.

Tu-tum!
Tutto qui? Ben fissò rapito il fondo del cofanetto. Non c’era niente dentro, tutto nero e buio… non c’era altro che oscurità senza fondo. Possibile che sia tutto qui? si chiese incredulo. Tanti viaggi, tante morti… per una scatola vuota? Una scatola vuota e nera… e profonda….e bella?
Tu-tum!
È bella, sì, è bella, ed in fondo, ma proprio in fondo, gli parve di scorgere qualcosa, un battito che lo rassicurava, qualcosa di caldo e di accogliente, qualcosa che si stava svegliando poco a poco e che lo chiamava…
Tu-tum!
Il sangue mi chiama.
Tu-tum!
Guardò meglio, ma non era più la scatoletta che guardava, perché quel battito adesso era tra le sue mani… non ricordava di avere mani così grandi e forti. Le vene pulsavano vigorose e si annodavano ai tendini, ai muscoli pronti a scattare E il battito risuonava nella sua mente, tutto intorno, assetato. Io devo placare la sua sete, si disse, devo soddisfare il suo desiderio.
Tu-tum!
Quell’uomo, quello straccione. Ben lo poteva sentire che russava, ed il suo respiro rumoroso lo infastidiva, disturbava la perfezione del battito. Sarà tuo, Kelost, mio padrone, disse. Comincerò da lui. Comincerò proprio da lui.
Tu-tum!
Si avvicinò strisciando nel vicolo e tra le sue mani, non avrebbe saputo dire come, aveva già un bastone arrugginito. È abbastanza, seppe in un guizzo, perché mi sento forte e risoluto, determinato come mai sono stato in tutta la mia vita. Avanzò verso di lui, lo osservò per qualche momento e sorrise. Poi gli calò il bastone sul cranio con tutte le sue forze.
Tu-tum!
Si spacca tutto! È bellissimo! Si spacca e gorgoglia con rumori di sofferenza! Ben poteva percepire il suo dolore, sentire il godimento del suo padrone! E gli schizzi di sangue lo raraggiungevano, tutto intorno, mentre lui pregava Kelost: ovunque tu sia, bevili, spargiteli sul viso come sto facendo io…
Tu-tum!
Rumori più avanti per il vicolo, gente che grida… gridate, sì sì, gridate di paura! Paura! Tremate davanti alla venuta di Kelost! Tremate! Perché la vostra fine è giunta.
Tu-tum!
Reminiscenza improvvisa, un nome, un ricordo…. Eos! Signore luminoso aiutami liberami ti prego, che ho fatto! Che ho fatto! Che cosa ho fatto…
Tu-tum!
Le voci si avvicinarono, Ben afferrò il bastone arrugginito con tutte e due le mani, strinse tanto che le nocche diventarono bianche, e avanzò incontro alla gente che arrivava. Era lì che sentiva di dover andare, da lì proveniva il battito e tutte quelle persone.
Tu-tum!
La prima era una donna, teneva in mano un attizzatoio, aveva abiti stracciati mentre un vecchio cercava di colpirla con un coltellaccio. Ben li colpì entrambi violentemente – meraviglioso! - lasciò il bastone per attaccarli con le mani, strappò l’attizzatoio dal corpo della donna, mentre laggiù ne arrivavano altri, la gente nelle case, tutti quanti…
Tu-tum!
Grida forti… è un trionfo! Grida forti arrivavano da un cortile, Ben cominciò a correre, sempre con l’attizzatoio stretto in pugno, incespicò tra i corpi che già ingombravano il vicoletto, c’era gente che si massacrava dappertutto, pero’ quelle strilla lo attiravano più dell’aria, del sangue, e Ben corse da quella parte, corse più veloce ancora!
Tu-tum!
Erano tre uomini… circondavano una persona che stava gridando forte, in lacrime, piangeva… piangeva… perché sento qualcosa che si piega nel mio cuore? No!
Tu-tum!
Ben li assalì con furia selvaggia e disperata, qualcosa lo colpì al braccio, iniziò a sanguinare ma continuò, continuò… gridando un nome di cui non ricordava più il significato. Ben gridava e chiamava e piangeva, le sue lacrime sciolsero il sangue che gli imbratttava la faccia. Ne spinse via uno che cadde all’indietro, gli altri rallentarono, uno lo guardò con occhi ottusi, l’altro stava strozzando qualcuno, Ben chiamò il suo nome, no! Non puoi essere qui! Non ora! Non adesso!!
Tu-tum!
Ermitilla.
Tu-tum!
Perchè sei qui? Ermitilla!
Con l’attizzatoio Ben disperatamente colpì chiunque lo ostacolasse, si avvicinò a lei mentre gli occhi pieni di pianto di sua sorella lo guardavano, e labbra senza fiato chiamavano il suo nome: “Ben, Ben… perché l’hai fatto? Perché hai lasciato che tutto questo accadesse?”
Tu-tum!
Basta! Basta! Il suo grido spezzò la foga di tutti quei disperati, smettetela! Lasciatela! Io sono Ben, e Kelost non è il mio padrone! Ermitilla, perdonami… perdonami sorellina mia…
Tu-tum!
Lo presero per le spalle, erano due, tre, tanti, mentre un altro gli strappò l’attizzatoio dal pugno e ci trafisse il cuore di sua sorella. Lei gridò di dolore, e morì.
Tu-tum!
No! Perché, perché mio signore hai lasciato che tutto questo accadesse? È veramente colpa mia? È veramente mia la colpa di tutto?
Tu-tum!
Sei stato tu Ben.
Tu-tum!
Un colpo tra le scapole, il sapore del sangue in bocca, Ben sputò sangue e provò a rialzarsi, ma gli erano già addosso. Non respiro, un altro colpo, dolore e luci intorno, mi manca il respiro, mi manca l’aria… solo sangue… o è la terra rossa della strada? È la terra che mi risucchia?
Tu-tum!
Perché respirare è così faticoso, perché non sento più dolore? Eos, ti supplico, abbi misericordia della mia anima. Ma già so che non ne avrai.